30.12.05

Silvano Pedrollo: bisogna sognare per realizzare qualcosa

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Alessandro Sinatra: Io ho ascoltato direi con emozione l'intervento di Silvano Pedrollo, notevole sia dal punto di vista del business sia dal punto di vista dei valori.

Domanda dal pubblico: I prodotti che vi copiano hanno le stesse performance degli originali?

Silvano Pedrollo: Inizialmente erano di qualità scadente, e per questo abbiamo avuto anche dei grossi problemi in particolare nei paesi arabi. Vi posso riportare al riguardo un episodio: un uomo che faceva la doccia è rimasto gravemente ustionato per la scarica elettrica causata dallo scarso isolamento del motore della pompa. Sono andato dal sindaco di Dubai e ho dimostrato che il prodotto non era nostro ma era un prodotto Pedrollo clonato di produzione cinese.
Per non avere ripercussioni nell'ambito commerciale abbiamo deciso già da anni, che quando da un nostro distributore si presenta un cliente con un prodotto clonato, con la targhetta Pedrollo e il Made in Italy, lo cambiamo con uno originale, spiegando le differenze e promuovendo il nostro prodotto. Diventa così occasione di marketing.
In Cina ci sono sia produttori di buon livello che costruttori di qualità scadente, ma in genere assistiamo ad un miglioramento. Un dato che può essere interessante. L'ultimo prodotto che abbiamo progettato è stato realizzato in un anno e mezzo: i cinesi dopo due mesi l'avevano già copiato e immesso nei mercati. Hanno una velocità incredibile e per questo mi sono informato su come riescono ad essere così rapidi e ho scoperto che organizzano dei corsi universitari. Per carità, tutti noi guardiamo com'è fatto un prodotto della concorrenza, però capiamo com'è fatto e poi cerchiamo di esprimere idee diverse attraverso il nostro lavoro. E questo porta ad un miglioramento continuo dei prodotti. I produttori cinesi, coadiuvati dalle università, acquistano le nostre elettropompe, le pesano, le smontano, analizzano nei laboratori dell'università i materiali, studiano il prodotto nel dettaglio, e poi sono in grado di copiarlo perfettamente.

Piero Bassetti: E proteggono i brevetti?

SP: No. Ho provato in passato diverse volte a perseguire i produttori cinesi. Ma è molto difficile individuare anzitutto i produttori, perché al di sopra di essi ci sono delle società di trading, le uniche autorizzate ad esportare, che fanno clonare i prodotti occidentali da costruttori sempre diversi. Le stesse società di trading sono molto abili a cambiare velocemente ragione sociale e quindi sono difficili da individuare e perseguire. In Cina si copia di tutto, dalle motociclette Yamaha, alle medicine, ai profumi francesi, alle automobili (la Golf per esempio è copiatissima).
Quindi la protezione dei brevetti è un problema che solo la politica europea può risolvere obbligando le autorità cinesi alla lotta alla contraffazione e al rispetto dei brevetti.

Domanda dal pubblico: Secondo me sono convinti di non copiare.

SP: Sì, posso confermarlo. Avevo organizzato un viaggio con l'obiettivo di visitare dei produttori che clonavano alcuni nostri prodotti. Ho visitato l'azienda il cui titolare era l'ingegner Ding, nella zona del Fuan, e mi sono subito reso conto che lui stesso era all'oscuro del reato che commetteva. Infatti mi aveva chiesto se aveva copiato bene le pompe e se avevo dei suggerimenti da dargli per migliorarne le qualità.
E' stata in quella occasione che ho capito che ci sono le società di trading che commissionano il prodotto più noto nei mercati per venderlo più facilmente. In quella occasione avevo anche trovato un bravissimo avvocato in Cina e volevo indire una causa per contraffazione, ma mi ha subito dissuaso: affrontare giudici cinesi dipendenti dallo Stato, per fare causa allo Stato stesso, era una battaglia persa in partenza. Comunque non bisogna sottovalutare l'economia cinese che ha come obiettivo fondamentale ottenere risultati economici rapidamente e, come dicono loro, diventare l'officina del mondo. A tal riguardo per dimostrare la loro velocità e l'efficienza dell'apparato statale, costituito per la maggior parte di persone di cultura elevata, che hanno studiato in America o in Inghilterra, perseguono gli obiettivi economici decisi dal governo centrale con grande determinazione. Ad esempio durante l'ultimo viaggio in Cina, nell'autunno del 2005, mi sono recato a Chindao, una città di 7-8 milioni di persone, e dopo appena un'ora dal mio arrivo all'hotel, sono stato contattato dal sindaco che mi ha fissato un appuntamento per il giorno dopo a colazione con tutto il Consiglio comunale.
La mattina dopo il sindaco ha esordito dicendo che durante la notte, visitando il nostro sito internet, aveva visto che produciamo con sistemi robotizzati ad alta tecnologia e per questo era molto interessato ad un nostro eventuale insediamento nel suo territorio. Hanno subito messo a nostra disposizione delle macchine e ci hanno fatto vedere i siti nella zona industriale dove sarebbero potuti sorgere gli stabilimenti, chiarendo che nell'eventuale nostra decisione di costruire l'unità di produzione, in considerazione del livello tecnologico elevato della nostra azienda, aveva il potere decisionale di applicare uno sconto anche del 50% sul prezzo del terreno. Se si pensa che in Italia, per avere un ampliamento del portone della mia azienda, sto ancora aspettando una risposta, dopo sette mesi dalla domanda...
Il nostro Paese deve rendersi conto che è entrato in un mercato globale e che tutto deve essere accelerato, semplificato e migliorato se vogliamo avere qualche possibilità di sopravvivere con dei competitor che hanno costi di manodopera estremamente bassi e tassazione pressoché inesistente, forte agevolazione all'esportazione e tutto un sistema paese che funzione piuttosto bene. I giovani imprenditori dovrebbero viaggiare di più, verificare queste nuove realtà e magari frequentare anche università straniere perché il futuro del nostro paese passa anche attraverso il confronto con questi grandi paesi emergenti.

Un altro aspetto che il nostro Paese e i nostri imprenditori devono affrontare con la dovuta preparazione e per tempo è il cambio generazionale. Ho due figli, una laureata in Economia e Commercio, l'altro in Ingegneria Meccanica. Entrambi hanno fatto anche un Master di tre anni al Politecnico di Milano.
Mia figlia lavora a stretto contatto con me e segue tutte le fasi di controllo della gestione e del marketing.
Le è stato affidato il progetto della gestione completa di un'altra azienda, la City Pump, di cui è amministratore unico, e dove dovrà dimostrare le sue capacità di sviluppare e tenere sotto controllo la gestione e la crescita dell'azienda sia sotto l'aspetto commerciale che gestionale.
Con Giulio è stata costituita un'altra azienda, la Linz Electric, con l'obiettivo di progettare e sviluppare generatori di corrente e successivamente pannelli solari e sistemi di produzione di energia eolica.
Ebbene, in entrambi i casi le crescite sono ottime e così hanno la possibilità di sviluppare e dimostrare le loro capacità imprenditoriali.
Il mio consiglio è: se siete figli di imprenditori non andate in azienda subito; dopo aver concluso gli studi, lavorate fuori azienda qualche anno perché questo vi servirà moltissimo una volta rientrati.

PB: Questa è un'innovazione, fare un'azienda ad hoc per il figlio. Bisognerebbe fare qualche corso ai padri per spiegarlo. Non credo siano tanti i genitori disposti a creare un'aziendina per i figli perché si misurino, perché la mentalità è un'altra. Ti mettono in azienda, magari sotto un impiegato bravo, di cui si fidano per vedere se hai delle attitudini. Questa tua idea è davvero interessante per responsabilizzare.

SP: Responsabilizzare le persone fa crescere l'azienda. La mia azienda è composto da più business unit ed ognuna ha un responsabile, con mansioni di imprenditore. Io controllo, ma soprattutto stimolo e non dico mai di no alle proposte. Questo ha fatto sì che si creasse un circolo virtuoso straordinario che alimenta un flusso di innovazione continua.

Domanda dal pubblico: Un neo laureato, che non abbia un'esperienza come la sua nell'officina di suo padre, non ha grandi competenze da portare in azienda.

SP: Al contrario, oggi siete molto più preparati!

Domanda dal pubblico: Ma abbiamo solo la teoria.

SP: Abbiamo fatto una ricerca con la Confindustria: un neo laureato non rimane in azienda più di due - tre anni, poi cambia lavoro. All'inizio consiglio di volare un po' bassi, anche se le aspirazioni sono alte, perché non dimenticate che l'esperienza è l'altra parte che manca per essere completi.
L'esperienza lavorativa è essenziale, e per questo dico che è importante lanciarsi subito nel mondo del lavoro, magari andando qualche anno all'estero. Perché il centro del mondo non è più l'Italia o l'Europa, è la Cina o l'India.

PB: Se uno ha maturato un'esperienza intellettuale maggiore, con la stessa quantità di pratica, impara più rapidamente.

SP: E' vero. Un laureato, nei primi anni può trovare anche alcune difficoltà, anche perché le aspettative sono alte. Bisogna pazientare perché occorre tempo per acquisire la dovuta esperienza. Comunque la preparazione avuta vi porterà ad acquisire una rapidità maggiore nell'analisi dei problemi e nell'applicazione delle relative soluzioni. Quindi arriveranno anche le soddisfazioni.

Alessandro Sinatra: Infatti il tentativo che si fa in università è quello di insegnare a imparare. La testimonianza che oggi ci ha dato Silvano Pedrollo è quella di una volontà inossidabile di imparare e investire sulla persona.

Domanda dal pubblico: Secondo me, la nascita di un imprenditore è qualcosa che viene anche dal tecnico, perché dopo che uno ha un'idea deve anche saperla mettere in pratica ed è più facile che ce l'abbia una persona che abbia un background di esperienza pratica.

PB: C'è stato qui Missoni che non aveva nessuna competenza a fare le tute. E' giusto quello che tu dici, ma ci sono anche delle differenze, dipende dal tipo di innovazione, dal tipo di sfida che uno raccoglie. Quello che maggiormente caratterizza gli imprenditori di successo è la grinta del volere fare le cose. Nell'imprenditore c'è formazione, pratica e grinta.

SP: Le idee imprenditoriali possono nascere da chiunque. Per esempio Giovanni Rana non si era mai occupato di tortellini, poi con il figlio ha avuto questa idea imprenditoriale, supportata da una forte campagna di immagine e oggi è il re dei tortellini. L'idea imprenditoriale non è sempre tecnica, come nel mio caso, ma può essere di qualunque tipo, commerciale, finanziaria...

Domanda dal pubblico: Molte aziende sfruttano la responsabilità sociale come nuovo business. Perché lei non lo ha fatto? O se lo ha fatto, non si vede.

SP: Non lo abbiamo fatto per strombazzarlo a destra e sinistra, lo abbiamo fatto per coscienza e per un dovere cristiano.
Devo dire, però, che quello che noi diamo torna cento volte, senza chiederlo.
Anche con i nostri distributori, che sono coinvolti in questi piccoli grandi progetti, c'è più unione.
All'inizio non parlavamo di quello che facevamo nel sociale, ma ci hanno fatto notare, non ultimo il Cardinal Tonini, che dovevamo parlarne perché le nostre iniziative potessero essere di esempio per altri.

Alessandro Sinatra: Nei nostri corsi parliamo spesso dell'importanza dei valori come patrimonio dell'impresa, come strumento di sviluppo. Io sono particolarmente grato a Silvano Pedrollo per questa testimonianza vera, viva e vivace di questa situazione che è difficile spiegare in astratto. La lettura di questa testimonianza è sistematicamente ricca di questi valori, non solo nel sociale, ma nel credere alla possibilità di crescita delle persone, andare in giro e acquisire le persone qualitativamente migliori, voler controbattere alla concorrenza cinese sul piano del contenuto che vuol dire avere una struttura solidissima.

PB: Pedrollo ha vinto il premio imprenditore dell'anno in Italia, poi è andato al premio mondiale e se non fosse stato che l'anno prima aveva vinto un italiano, avrebbe vinto. Noi abbiamo voluto portare qui alcune testimonianze che hanno caratteristiche di eccezionalità, però l'eccezionalità serve per capire la strada che si può percorrere. Il nostro Paese deve conservare la capacità di innovare attraverso gli imprenditori e per questo mi rivolgo a voi giovani.

SP: Io ho sempre pensato di avere delle gambe lunghe per camminare e tanta volontà. Le cose nascono da sé, basta avere buona volontà e grande costanza.


by Valentina Porcellana on 30.12.05 at 22:00 | Permalink |

29.12.05

L'azienda secondo Silvano Pedrollo: la persona al centro

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La mia storia di imprenditore è iniziata nella piccola officina di riparazioni elettromeccaniche di mio padre. Per farmi guadagnare qualcosa mio padre mi affidava qualche riparazione.
Quel periodo è stato fondamentale per la mia formazione. Infatti, era importante, oltre alla tecnica appresa a scuola, vedere come, in concreto, venivano progettati e costruiti pompe, motori e trasformatori e così capirne le soluzioni tecniche e valutarne le caratteristiche.
Tutte nozioni che mi sono poi servite per fare delle scelte precise per la futura azienda che desideravo costruire.
Nel 1974 notai che c'era grande richiesta di pompe per l'acqua. Infatti era entrata in vigore una legge che prescriveva la sostituzione delle vecchie pompe elettriche - che creavano disturbi alle radio e ai primi televisori - , con quelle di nuova concezione: le pompe ad induzione.
Così progettai la mia prima elettropompa. Per essere concorrenziale doveva avere dimensioni ridotte, essere molto affidabile e a basso costo. Un concetto che avevo mutuato dalle prime radioline Sony, che si stavano diffondendo in Europa proprio per le dimensioni ed il prezzo. Una concezione, però, che ha fatto fatica ad imporsi sul mercato delle elettropompe per la mentalità allora corrente, abituata a dimensioni decisamente maggiori. Ma, col tempo, l'idea si è dimostrata assolutamente vincente, soprattutto per l'affidabilità e per il prezzo, anche se per anni la mia pompa è stata chiamata ironicamente "Mickey Mouse" o Topolino.
Progettata la pompa, dovevo trovare i finanziamenti. Le banche locali, con le quali tenevo i rapporti, mi presentavano notevoli difficoltà, soprattutto perché venivano richieste garanzie a tutta la famiglia.
Casualmente avevo letto che nei Paesi Arabi l'acqua costava molto più della benzina. Ho così pensato che, forse, il Medio Oriente poteva diventare il mio primo mercato. In effetti, quando proposi le mie pompe a Dubai ed Abu Dhabi trovai un notevole interesse e i clienti, per avere la certezza di ricevere le mie pompe mi davano subito le lettere di credito che io, a mia volta, portavo in Italia. Così la banca mi poteva anticipare immediatamente le somme delle lettere di credito. E il problema finanziario si poteva dire relativamente risolto.
Rimaneva da affrontare la altrettanto delicata questione tecnico-costruttiva. Non era facile, infatti, trovare dei terzisti che garantissero semilavorati di qualità. Problema questo che mi ha causato diversi problemi sui miei primi mercati.
Perchè non poche partite di pompe, dopo un breve tempo di funzionamento, bruciavano il motore. Mentre ero dai clienti per esaminare il problema ho rischiato di essere il primo imprenditore sequestrato. Infatti, i clienti non accettavano la sostituzione della pompa rotta con una che avrei mandato dall'Italia, ma chiedevano immediatamente la restituzione del denaro. In caso contrario non mi avrebbero permesso di tornare in Italia. Grazie a Dio, un acquirente - tuttora nostro affezionato cliente - ha garantito personalmente sulla mia onestà e sulla certezza che avrei sostituito i prodotti. Così son potuto tornare in Italia, ho risolto il problema tecnico ed ho spedito le pompe nuove in garanzia. Durante il viaggio successivo ho trovato i clienti così soddisfatti da rinnovarmi gli ordini.
L'episodio mi convinse che, se volevo avere un prodotto di qualità, dovevo controllare direttamente anche la produzione dei componenti e non solo il montaggio. Tutto questo è risultato possibile perché la richiesta commerciale era sempre superiore alla mia capacità produttiva, fornendomi così i mezzi finanziari che mi hanno permesso di acquistare macchine utensili e attrezzatura per la produzione dei componenti delle pompe.
L'altro scoglio che ho dovuto affrontare è stata la nostra mancanza di cultura relativamente alle macchine utensili. Anche questo un problema presto risolto. Infatti, durante una trattativa di acquisto di una macchina alla Minganti di Bologna, ho conosciuto ingegner Dino Savoia, un tecnologo responsabile delle attrezzature per lavorare i particolari meccanici. Ci siamo accordati con Savoia, che ha così collaborato con noi per oltre dieci anni portando cultura, esperienza e formando il personale nell'utilizzo delle tecnologie più avanzate.
Un'esperienza largamente positiva perchè credo che non si possa crescere, se non con tempi lunghissimi, solo per linee interne. Così ho sempre cercato di individuare personale con esperienza per acquisire da subito in azienda tecnologia e nuove capacità. Anche per questo negli anni abbiamo avuto per lunghi periodi rapporti con università di tutto il mondo, sia per la parte tecnica, sia per la parte economica e formativa. Queste collaborazioni hanno portato l'azienda ad avere prodotti eccellenti, sempre all'avanguardia. Inoltre, ci hanno permesso la scelta di spingere molto sull'automazione. Automazione che parte dall'ideazione del prodotto fino al montaggio, tanto che siamo convinti di essere, nel nostro settore, l'azienda più automatizzata d'Europa. Da noi molti lavori ripetitivi vengono eseguiti da robot anziché dalle persone, che, piuttosto, dopo la dovuta formazione, si occupano del controllo, della verifica dell'efficienza produttiva e della qualità della produzione.
Abbiamo anche tenuto sotto controllo e coltivato in modo particolare l'aspetto commerciale. Il mio intento è sempre stato quello di individuare dei collaboratori che mi aiutassero ad essere presente in tutte le parti del mondo. Oggi, in effetti, siamo in 160 paesi e costruiamo 2 milioni di elettropompe e di motori l'anno. Abbiamo smentito nei fatti gli esperti di marketing che sostenevano che eravamo pazzi a voler gestire 160 paesi, con diverse problematiche e caratteristiche anche tecniche, a partire dai differenti voltaggi. Uno dei nostri "segreti" è quello di avere cercato di soddisfare velocemente le consegne. E direi proprio che abbiamo avuto successo.
La scelta vincente, oltre alla tempestività, è stata quella di avere inserito nell'ufficio estero persone provenienti da ogni parte del mondo, con culture diverse, di madrelingua diversa. E' fondamentale, infatti, poter parlare la lingua del posto. Ad esempio, senza Roberto Reggiani, - che conosce perfettamente il russo - probabilmente non avrei sfondato in Russia e in tutti i paesi dell'ex Unione Sovietica che si affacciano adesso sul mercato internazionale. E' vero che con l'inglese si arriva dappertutto, ma certo è che la conoscenza della lingua e della cultura particolare garantisce una penetrazione più capillare e profonda nel singolo mercato.
Già, la cultura di un posto. Posso dimostrarlo con un episodio che ci è capitato la settimana scorsa in Romania.
Una donna aveva venduto una mucca per comprare una nostra pompa e così avere l'acqua dal rubinetto, come i suoi vicini. Purtroppo aveva sbagliato modello. Il marito, arrabbiatissimo, minacciava persino di ammazzarla.
Il mio distributore, venuto a saperlo - in conformità all'etica e allo stile aziendale, cui teniamo tantissimo - è andato dalla donna per sostituire subito la pompa e lei, per riconoscenza, gli ha regalato una bottiglia di grappa e persino una gallina.
Prodotti affidabili, finanza, strategia commerciale sono fattori strategici, fondamentali, ma non sufficienti. Un altro aspetto che considero, da sempre, indispensabile per la nostra azienda è il design.
Alcuni decenni fa alla Fiera di Milano, il mio primo piccolo stand da 10 metri quadrati, ero uno dei tanti, tutti con la stessa tipologia di prodotto.
L'incontro, poco dopo, con un architetto specializzato in design ed allestimenti per fiere mi ha indotto a proporgli di progettare il mio nuovo stand per l'anno successivo. Il risultato è stato bellissimo, di forte impatto emozionale. I clienti (ed anche i concorrenti ) mi confermavano nella mia impressione, tutti convinti, grazie alla nuova immagine, che avevamo fatto un salto tecnologico importante. Eppure i prodotti erano esattamente gli stessi dell'anno precedente.
Da quel momento ho capito che il design doveva essere uno degli elementi fondamentali per distinguere Pedrollo dagli altri produttori ed ho quindi inserito lo studio estetico dei prodotti come elemento fondamentale anche di marketing. Questo anche se è risultato un po' difficile far accettare ad un progettista meccanico che un architetto mettesse mani ad un suo disegno. Ma, con il tempo, anche l'ufficio tecnico ha imparato a disegnare con stile, tanto che diversi nostri prodotti sono stati premiati per il design innovativo.
Lo stile italiano, ne sono pienamente convinto, non si può trascurare, perchè fa parte della nostra cultura. Dal punto di vista tecnico ci sono altri paesi concorrenti, altrettanto forti, ma il gusto e lo stile che possediamo noi italiani, abbinato alle competenze tecniche, è certamente l'elemento distintivo che fa apprezzare nel mondo il Made in Italy.
E' fondamentale oggi più di ieri, dato che la concorrenza, negli ultimi anni, si è fatta molto agguerrita. Quindici anni fa avevamo un vantaggio tecnologico di cinque anni sui concorrenti. Ora si può considerare ridotto a sole ventiquattro ore. Questo cambiamento così drastico è dovuto in parte all'accelerazione tecnologico-scientifica di quest'ultimo decennio, con la diffusione dell'Information Technology. Ma in parte dipende anche dalla globalizzazione e quindi dall'entrata di nuovi paesi nel mercato di moltissimi prodotti. Anche delle pompe, ovviamente, e questo ha portato problemi molto seri anche alla nostra azienda, soprattutto legati alla contraffazione.
Contraffazione che, per noi, ha avuto inizio circa 10 anni fa sempre negli Emirati Arabi (i corsi e ricorsi della storia). Ero stato informato che alcune nostre elettropompe non funzionavano ed ero andato immediatamente sul posto per controllare le pompe. Ad un primo sguardo sembravano solo verniciate male, ma da un'analisi più accurata erano risultate di produzione cinese. Da quel momento è iniziata una lotta costante contro la contraffazione. Un fenomeno gravissimo, che ha portato ad un blocco, negli anni della nostra crescita. Un rallentamento che abbiamo calcolato attorno al 40% del fatturato.
Io sono totalmente convinto che i mercati debbano essere liberi, però dico che devono esserci delle regole. Soprattutto i marchi, i loghi, i brevetti, tutto ciò che è regolarmente depositato deve essere rispettato da chi vuole far parte del libero mercato. Così invece non è stato. La Cina è entrata nel mercato senza nessuna regola, con sistemi sindacali inesistenti, ma soprattutto vendendo i prodotti sottocosto in regime di dumping.
La Cina è un altro mondo, come ben sappiamo. Bisogna anche tener presente che i cinesi rispetto a noi lavorano tantissime ore, sabato e domenica compresi, con compensi insignificanti, e per di più, lavorano con grande entusiasmo per raggiungere l'obiettivo di diventare l'officina del mondo.
Ma sono convinto che, se fossero rispettati i nostri marchi, il logo e i brevetti - insomma, le regole del gioco -, con la nostra qualità, il servizio, il design, saremmo ugualmente vincenti in tutte le parti del mondo, anche a fronte dei loro prodotti che hanno costi inferiori anche del 50%.
Vorrei soffermarmi ancora un po' sul tema della contraffazione per ricordare un episodio in particolare. Cinque anni fa, alla Fiera di Milano, lo stand, cinese ovviamente, accanto al nostro presentava ben 120 prodotti identici ai nostri, perfettamente copiati. La Guarda di Finanza ha sequestrato tutto. Oltre ai prodotti erano copiati i cataloghi, il logo, il "Made in Italy", "Verona", tutto copiato perfettamente, perfino un particolare interno al motore non più utilizzato da diverso tempo.
Tutto bene? Assolutamente no perchè, malgrado le battaglie intraprese, sia a livello politico, sia sui media, ad oggi non abbiamo ancora risolto nulla. Oggi le aziende cinesi quando esportano danno addirittura consigli su come evitare i controlli alla Dogana. Invece di mettere "Made in Italy" scrivono solo "Italy", invece di "Pedrollo", "Pedrolla" o "Petrollo", oppure applicano una targhetta diversa che verrà poi sostituita al momento dell'arrivo del prodotto a destinazione.
Era stata persino costituita una Commissione Europea proprio per portare all'attenzione delle autorità cinesi i casi più significativi di contraffazione, ma non se ne è saputo più nulla, malgrado l'enorme documentazione precisa e puntuale inviata a Bruxelles.
Purtroppo la situazione, ad oggi prosegue. La contraffazione continua, i prodotti copiati hanno prezzi dal 40 al 60% inferiori, con qualità ovviamente bassa, e in ogni paese abbiamo due o tre cause aperte, con il relativo sequestro dei prodotti copiati. C'è, però, in corso, una sorta di nostra controffensiva. Per combattere la concorrenza sleale, infatti, ci siamo rimboccate le maniche e abbiamo accettato la sfida riposizionando tutta l'azienda, internazionalizzando l'ufficio acquisti, preparando il personale addetto anche con corsi di lingua inglese e corsi di marketing internazionale. Abbiamo pure rivisto l'ufficio della qualità preparandolo alle nuove scelte di acquisti internazionali, quindi alla verifica dei prodotti provenienti dei vari paesi fornitori. Abbiamo costituito diversi uffici d'acquisto fuori dell'Italia, in particolare in Cina, e, tra breve, in India. Questi cambiamenti hanno portato ad internazionalizzare il 30% degli acquisti e puntiamo a raggiungere il 50%. Tutto ciò ci ha permesso di non aumentare i prezzi e, in qualche caso, anche di diminuirli.
Abbiamo inoltre riorganizzato l'ufficio tecnico in modo da accelerare tutti i processi di reingegnerizzazione dei prodotti e di dimezzare i tempi di progettazione, inserendo sistemi moderni di simulazione di fluidodinamica, passando da una progettazione a due dimensioni a una tridimensionale a dodici stazioni di pro engineering. Altre stazioni di calcolo delle parti magnetiche del motore elettrico ad elementi finiti ci hanno permesso di ottenere nuovi prodotti con consumo energetico ridotto di 10 o 20 punti percentuali. Tutto questo porta al risultato pratico per il cliente di ammortizzare il costo del prodotto in un anno proprio grazie al risparmio energetico. Il nostro impegno su questo campo, come pure dal punto di vista progettistico e sotto il profilo dell'entità dell'investimento finanziario, è stato di grande sacrificio e valore. Tanto che per tutte queste innovazioni è stato richiesto il brevetto europeo.
Abbiamo fatto anche passi notevoli nella parte idraulica migliorando i rendimenti, riducendo la rumorosità con conseguente allungamento della vita dell'intera elettropompa. Tecnica, si, certamente, ma anche l'occhio che vuole la sua parte tanto che abbiamo continuato anche a scegliere il design, e un packaging più accattivanti.
Nessuna rivoluzione copernicana, ovviamente, ma un impegno aziendale a 360 gradi quello che ci ha visto impegnati nella nuova organizzazione. Siamo così intervenuti decisamente sul prodotto modificando radicalmente presentazione, rumorosità, dimensioni delle nostre pompe. Abbiamo dimezzato i tempi di produzione e così abbiamo ripreso in mano il mercato. Tanto che l'anno scorso abbiamo realizzato il 60-70% del fatturato con nuovi prodotti.
Certo è che se non avessimo agito in questo senso oggi almeno la metà del nostro personale sarebbe a casa e la Pedrollo sarebbe in crisi come, purtroppo, lo sono oggi molte aziende.
E, ancora una volta, il nostro ufficio commerciale si è inquadrato nel nuovo posizionamento di prodotto e di mercato.
Ormai da qualche anno, infatti, abbiamo costituito delle società direttamente nei vari mercati esteri. Questo ci ha permesso di tagliare i costi del 20-30%, assicurando allo stesso tempo un servizio post vendita più capillare. Le società ci stanno dando grosse soddisfazioni. Infatti crescono tutte a due cifre. Ma non ci fermiamo davanti ai successi perchè questo progetto proseguirà. Perché vogliamo essere protagonisti in prima persona del mercato.
Per la crescita dell'azienda infine stiamo puntando molto sulla formazione del personale creando anche una "Management school" dotata di aule multimediali e di postazioni informatiche. La risposta dei collaboratori è stata pronta. Ai corsi di inglese, francese, informatica, meccanica, elettrotecnica, corsi di sviluppo delle capacità manageriali possono accedere tutti i dipendenti. I corsi sono coordinati da un professore dell'Università di Padova e stiamo ottenendo risultati eccellenti.
Tutto questo mi conferma in una certezza: al centro dell'azienda deve stare assolutamente la persona.
Per avere le tecnologie (e noi crediamo di essere ai primi posti nel mondo) bastano i soldi. Il nostro futuro, quello del nostro sistema imprenditoriale, non può che essere nella cultura italiana e nella formazione delle persone. Tutti insieme possiamo ottenere cose straordinarie. Quando si è più uniti le cose si risolvono più facilmente e si risulta sicuramente vincenti.
C'è un ultimo aspetto che vorrei sottolineare. Con il nostro prodotto siamo continuamente in contatto con Paesi estremamente poveri e bisognosi di acqua. Questa vicinanza ha fatto maturare nell'azienda l'attenzione per la solidarietà. Il primo progetto è sorto in Bangladesh. Quando ho visitato per la prima volta il Paese ho trovato una situazione drammatica, con vita media di 30-40 anni. In accordo con il mio distributore locale abbiamo progettato una pompa (doveva servire per travasare l'acqua per la produzione del riso da un terreno ad un altro) che consumasse pochissimo, perché in Bangladesh c'è poca elettricità. Abbiamo impiegato un anno per progettare questa pompa, che consuma come una lampadina ed ha una portata d'acqua da 1000 litri al minuto, ma in due giorni realizza il lavoro che le donne facevano manualmente in due mesi. Così in un anno si possono ottenere tre raccolti di riso anziché due.
Per questa operazione abbiamo ricevuto un riconoscimento dalla Banca mondiale e la capitale economica Chittagong ci ha dedicato una piazza (la "Pedrollo Plaza"). Dopo questo progetto la richiesta di elettropompe è aumentata moltissimo e con una parte degli utili abbiamo poi costruito una bellissima scuola che oggi ospita 1200 ragazze. Ho insistito perché fosse una scuola femminile perché, a mio modo di vedere, in Bangladesh la donna è poco considerata. La nostra è così diventata una scuola molto ambita.
Dopo questo progetto siamo intervenuti in altre parti del mondo: a Cermjan, in Kosovo, abbiamo ricostruito una scuola superiore (la precedente, durante la recente guerra, era stata rasa al suolo dalle bombe), intitolata a Madre Teresa di Calcutta.
In Albania abbiamo lavorato con due atenei di Tirana: all'Università dell'Agricoltura abbiamo finanziato alcuni corsi sull'utilizzo dell'acqua in vista della privatizzazione dopo la caduta del regime e abbiamo costruito l'Aula Magna; all'Università di Ingegneria qualche mese fa abbiamo inaugurato la nuova biblioteca. Un nostro ingegnere albanese ha tradotto testi tecnici di metallurgia del prof. Gian Mario Paolucci dell'Università di Padova, testi che sono stati donati ad una biblioteca che fino ad allora era in possesso soltanto di libri degli anni '40. In Ucraina, all'Università di Economia e Tecnologie Avanzate di Kremenchuk, è stata finanziata la ricerca, con relative borse di studio, per l'utilizzare l'acqua presente nel sottosuolo a grandi profondità. Questo anche perché l'acqua più superficiale è avvelenata dopo il disastro di Chernobyl. Un'altra scuola sarà pronta quest'anno in India, a Bangalore, e ospiterà 1500 studenti.
In Africa nel 2005 abbiamo donato tutta l'attrezzatura per realizzare 120 pozzi in collaborazione con i missionari. E' stato calcolato che l'acqua di questi pozzi abbia già raggiunto circa 1 milioni e mezzo di persone. Una pompa e la relativa attrezzatura, che al costruttore costa relativamente poco, può davvero cambiare la vita di una comunità: poche gocce d'acqua migliorano la salute, favoriscono l'agricoltura, danno la vita. Per il 2006 abbiamo lanciato un'altra campagna di costruzione con l'obiettivo di superare il numero di pozzi dell'anno precedente e vogliamo che questo diventi un progetto continuativo. Non diamo solo la pompa, ma ci accertiamo anche delle condizioni di installazione, facciamo analizzare l'acqua e ci assicuriamo che sia presente l'energia elettrica. Altrimenti si rischia di ripetere quanto è successo con il primo pozzo. Dopo aver effettuato lo scavo, installata la pompa e preparato il sistema idraulico, mi ha chiamato il missionario dicendomi: "E' tutto pronto, manca solo la corrente!". Abbiamo subito provveduto mandando anche il generatore di corrente.
In ogni luogo in cui siamo presenti promuoviamo delle piccole realizzazioni e non lo facciamo per un atto di carità, ma adempiamo ad un dovere di giustizia.
In fin dei conti, chiunque abbia avuto fortuna, come l'abbiamo avuta noi in Italia, ha il dovere di fare qualcosa per chi è in difficoltà. E questa sensibilità, condivisa da tutta l'azienda, col tempo crea un forte legame tra i collaboratori e ci spinge a migliorare e a superarci perché il nostro prodotto possa sempre renderci fieri per quanto abbiamo realizzato.


by Valentina Porcellana on 29.12.05 at 23:50 | Permalink |

21.12.05

Silvano Pedrollo: rassegna stampa

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Fondata nel 1974, Pedrollo SpA, è oggi azienda di riferimento a livello mondiale nel settore delle macchine per la movimentazione dell'acqua.
Organizzata su 60.000 m², si avvale di un processo di produzione caratterizzato da un alto livello tecnologico e di automazione che la pongono ai vertici del settore sia per l'entità degli investimenti sia per la capacità di controllo della qualità, lungo tutto il processo produttivo.
Le elettropompe Pedrollo sono distribuite in 160 Paesi, permettendo così all'azienda di assumere un carattere internazionale, che si traduce in una produzione annua vicina alle 2.000.000 di unità.
La gamma si articola su 50 famiglie di elettropompe (da drenaggio, sommerse e di superficie), coprendo la maggior parte delle applicazioni in campo domestico, civile, agricolo ed industriale.

L'Arena
27 dicembre 2005
Visita privata dell'industriale veronese Silvano Pedrollo al presidente Sali Berisha. Eliminare la corruzione uno dei primi obiettivi del governo
L'ALBANIA CHIAMA GLI IMPRENDITORI ITALIANI
L'approvvigionamento di energia resta uno dei problemi maggiori per l'avvio di attività economiche
di Franco Ruffo

25 novembre 2005
PROGETTO 100 POZZI PER L'AFRICA

14 settembre 2005
NUOVA FILIALE COMMERCIALE IN UNGHERIA

Febbraio 2005
PRESIDENT FENECH ADAMI AND AMBASSADOR SILVANO PEDROLLO

Dicembre 2004
PREMIO DOMUS MERCATORUM

Financial Express
11 ottobre 2004
PEDROLLO TEAM ARRIVES IN CITY ON BUSINESS TOUR

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4 novembre 2003
INDUSTRIA, ECCO GLI IMPRENDITORI ECCELLENTI IN UN LIBRO EDITO DA IL SOLE 24 ORE

L'Arena
30 settembre 2003
PEDROLLO FINANZIA UNA SCUOLA A GJAKOVA IN KOSOVO
Inaugurata una scuola a Gjakova, l'ha finanziata l'imprenditore Pedrollo
di Bonifacio Pignatti

Verona Manager - Economia & Società
novembre-dicembre 2002, n. 75
IL PROGETTO "IMPRESA E CULTURA" VA ALLA PEDROLLO DI SAN BONIFACIO
"Progetto a più alta valenza sociale". E' promosso da Confindustria.

8 novembre 2001
ASSEGNATO IL PREMIO ERNST&YOUNG L'IMPRENDITORE DELL'ANNO: I VINCITORI E I FINLISTI DEL 2001
di Daniela Sarti


by Valentina Porcellana on 21.12.05 at 11:40 | Permalink |

20.12.05

Silvio Scaglia: con passione e impegno si realizza l'improbabile

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Piero Bassetti: Rispetto alle lezioni precedenti, oggi c'è stato un cambiamento. Silvio Scaglia ha incarnato, nel suo discorso, i quattro tipi di innovazione da lui elencati. La sua vicenda, innanzi tutto, è densa dell'innovazione del primo tipo, l'innovazione incrementale: infatti ha raccontato di diversi problemi che si sono presentati, e quindi dei modi attraverso i quali i problemi sono stati affrontati, in vista di un miglioramento. Poi è stata affrontata l'innovazione scientifica, che per noi diventa innovazione soltanto quando la scoperta, il brevetto, hanno un'applicazione concreta. Poi abbiamo sentito l'innovazione imprenditoriale, cioè la scelta di fare un business di una certa idea: l'introduzione della business idea nel contesto storico in cui ci si trova.
Mi sembra poi estremamente interessante, nell'esposizione di Silvio Scaglia, la parte relativa all'innovazione imprenditorial-finanziaria. Penso in particolare all'exit procedure, la procedura di uscita dell'imprenditore innovativo dall'istituzione da lui creata. Questo processo di uscita può, come in questo caso, diventare routiniero, costante. Infatti l'innovazione è, secondo la nostra definizione, realizzare l'improbabile, ma quando l'improbabile è realizzato non c'è più innovazione. Quando una cosa è realizzata, non è più improbabile, bensì certa, accaduta. E qui possiamo servirci dell'esperienza illustrata da Silvio Scaglia per rimarcare un punto importante anche per i temi affrontati dalla Fondazione Bassetti: quando l'imprenditore ha raggiunto il suo risultato, se vuol rimanere imprenditore deve defilarsi e portarsi su un'altra business idea, senò diventa un rentier, fondamentalmente. Questo non è stato capito dalla stampa, che considera colui che se ne va come uno che molla il mazzo. Cosa che, tra l'altro, ogni imprenditore avrebbe anche il diritto di fare. Tuttavia, concettualmente, passare a una nuova business idea, oppure mollare il mazzo, sono cose molto diverse.
Con Scaglia abbiamo visto anche in azione il rischio personale: Fastweb è partita, in fondo, con la sua personale liquidazione, con le sue stock options. Il fatto di mettere in gioco la propria puglia personale è tipico dell'imprenditore, e consente poi di ottenere l'appoggio di un finanziere, perché se rischi di tuo, anche altri è disposto ad appoggiarti.
La storia che abbiamo sentito oggi dimostra infine la dignità del lavoro dell'imprenditore. Se molti di noi, se molte aziende e famiglie italiane possono godere del vantaggio dei trasferimenti di dati ad alta velocità, delle telecomunicazioni, delle videotelefonate e della televisione via cavo è perché qualcuno si è impegnato personalmente, dapprima ad inventare tutto questo, poi a migliorare l'invenzione, quindi a rischiare di "bucare".
L'Università ci ha offerto l'opportunità di osservare un case study di grandissimo interesse, e di questo ringrazio personalmente anche Silvio Scaglia.

Domanda: In che momento di questo processo avete capito qual era la tipologia di customer care che dovevate realizzare, per cambiare il sistema che non dava buoni risultati? Quand'è che siete passati al customer care personalizzato di Fastweb?

Silvio Scaglia: Era il 2003. Perché proprio in quel momento? Perché a quella data avevamo risolto dei problemi molto più impellenti. Il customer care è importantissimo, però se non funziona il servizio, oppure se non si riesce a scavare per portare il servizio, il cavo, fino al cliente, il problema del customer care non emerge, nel senso che rimane sepolto sotto problemi più grossi, dal product care, dal far funzionare la baracca. Ci abbiamo messo mano nel 2003, poi ci è voluto un anno per farlo funzionare, e ha cominciato a essere a posto dalla seconda metà del 2004.

PB: Gismondi, la settimana scorsa, ci parlava del suo atteggiamento come della filosofia dell'I care. Oggi si parla di customer care. A volte, quindi, l'innovazione si basa sul care dell'imprenditore. Missoni e Gismondi per metà realizzavano loro stessi quell'innovazione che noi definiamo poiesis intensive. Invece qui, oggi, si sente il protagonismo del consumatore. In altre parole, non basta realizzare un bel sistema-luce che piace all'ingegnere che l'ha progettato e che riesce a trasmettere come in fondo Picasso riesce, con fatica, a trasmettere la propria poesia, anche se a volte a prima vista questa non viene colta. Qui c'è la necessità di leggere nel consumatore quelle che sono le sue vere preferenze, di prendersi cura del consumatore.

Prof. Alessandro Sinatra: Innanzi tutto mi unisco ai ringraziamenti per questa testimonianza straordinaria.
Io sono convinto che la categoria "fortuna" non esista, se sistematica. Si può aver fortuna una volta, ma non tante volte di fila. La sua azienda, secondo quanto lei ha detto, ha colto delle opportunità quando c'erano, al momento giusto, dal punto di vista finanziario, dal punto di vista di mercato, dal punto di vista della tecnologia, in un insieme molto interessante. Chi studia i sistemi complessi pensa che questa capacità derivi dalla capacità di lettura, dal non essere ciechi o sordi. Nel caso del mercato, si trattava di capire qual era l'esigenza di servizio. Vorrei chiederle come ha fatto lei a tradurre all'interno della sua azienda questo tipo di capacità, partendo da questa ipotesi, che l'errore più tradizionale che fanno le persone dotate di potere è quello di fare loro, di spiegare loro. Come ha fatto a centrare questa serie di obiettivi, ad assumere tali rischi?

Silvio Scaglia: Non posso risponderle: "Con tanta fortuna"!?
La mia opinione, ed è un'opinione non condivisa da tutti, è che le grandi aziende non possano fare altro che innovazione incrementale, nel senso illustrato quando parlavamo dei quattro tipi di innovazione. Questo lo vedo anche nelle mie aziende: lo vedevo in Omnitel e lo vedo oggi in Fastweb. Quando un'azienda comincia ad avere qualche migliaio di persone ha delle strutture organizzative, ha dei processi decisionali che parcellizzano le responsabilità, le strutture, eccetera: fa una grande fatica ad arrivare a una sintesi imprenditoriale innovativa. Non ci riesce più. Se ci guardiamo intorno, vediamo che non vengono quasi mai delle innovazioni importanti dalle grandi aziende. E non vengono mai innovazioni importanti da grandi aziende in buona salute. Magari le grandi aziende in difficoltà, alla fine, con un colpo di reni, fanno innovazioni importanti. Penso a Apple, ad esempio. Ma una grande azienda sana non può assumersi il rischio di un'innovazione importante. Piuttosto, si compra degli start up. Uno dei modi normali per gestire l'innovazione in una grande azienda è stare attenti a quello che sta nascendo al mondo e comprarsi lo start up giusto prima di un altro. Ad esempio, eBay che si compra Skype.
Questo perché? Perché l'innovazione non è un meccanismo completamente razionale. E' in gran parte un meccanismo di sintesi che passa attraverso una grande quantità di aspetti irrazionali. Ci si deve innamorare di un'idea! Così ci si può buttare nella realizzazione di qualcosa che è obiettivamente, come dice giustamente Piero Bassetti, improbabile. Se uno pensa, prima, a tutte le difficoltà che ci sono, e guarda razionalmente al problema, non lo fa. Nessun consulente al mondo avrebbe mai consigliato, nel 1999, di partire sull'idea di Fastweb. Ci si dice invece: "Tutto sommato, ho proprio voglia di farlo. Me la sento, mi sembra che possa funzionare", e si incomincia a farlo.
Non è molto diverso dalla decisione di avere un figlio. Se si pensa razionalmente alla quantità di problemi che deve superare un bambino, un ragazzo, crescendo, non lo fa. Se si mettono insieme le probabilità che si presentino problemi, il fatto che cresca bene è quasi un miracolo.
E' un atto di cuore e di passione nei confronti di un'idea che a poco a poco ti prende. E' straordinario vedere come un'idea ti prende. Inizi a pensare a qualche cosa e ti accorgi che l'idea s'impadronisce di te stesso: non sei più tu che la governi in modo razionale. Io tendo a pensare che quando incomincia a funzionare così, forse ci siamo.
A me è capitato una volta passivamente, con Omnitel. Io ho avuto la fortuna di partecipare allo start up fin dall'inizio. L'idea era di altri, così come il rischio patrimoniale, ma ho dovuto innamorarmi dell'idea perché senò non sarei andato a lavorare lì, sarei rimasto a fare dell'altro.
Successivamente, all'inizio di Fastweb, sono ripassato in pieno nel processo di realizzazione di un'idea.
Oggi sono convinto che il vero screening, per la prossima cosa che farò, sarà questo livello di passione nei confronti di un'idea.

PB: Con quest'ultimo discorso hai toccato un discorso che noi, come Fondazione Bassetti, abbiamo difficoltà ad affrontare. L'idea, cioè, che l'innovazione non è la trouvaille, la scoperta, ma è quel misto di volontà e passione (tu stesso hai usato la parola "passione") che secondo me è la parte di "divino", per così dire, che c'è nell'innovazione. E' un tema totalmente inedito. Si tratta della presa di coscienza del fatto che l'innovazione non è soltanto "più sapere", e nemmeno "più potere", ma al limite è "più volere", in un atteggiamento di volontà acritico. E qui sta il grande fascino del mestiere di imprenditore.
Ciò che gli italiani hanno fatto negli anni Cinquanta, è stato mettere in pratica l'idea che l'unico modo per salvare il Paese era realizzarsi. Sembra che ciò, nelle nuove generazioni, si sia in una certa misura perduto. Sembra ora prevalere soprattutto il calcolo razionale. E solo con la ragione, al mondo, non si va da nessuna parte. Emozione e impegno sono sempre indispensabili.

Domanda: Quando avrà identificato un nuovo progetto imprenditoriale, porterà con sé gli ingeneri con i quali ha creato Fastweb, svuotando questa azienda?

Silvio Scaglia: Assolutamente no. Quando siamo partiti con Fastweb, alcune delle persone che lavoravano in Omnitel con me mi hanno accompagnato. Ma, in modo molto conscio, non ho preso le persone chiave. Vittorio Colao, che era direttore generale quando io ero amministratore delegato di Omnitel, sarebbe stata una persona che io avrei sognato di avere con me in Fastweb. Non gli ho proposto di venire con me in Fastweb perché c'era bisogno di lui in Omnitel. Come lui, tante altre persone. Ricordo ancora esplicitamente Paolo Galli, che poi divenne direttore generale di Omnitel. L'ultima cosa che si vuole è vedere andare male un'azienda che si ha contribuito a far nascere.

Domanda: Dal punto di vista del capitale azionario, non ha paura che la sua uscita possa avere effetti negativi?

Silvio Scaglia: Ci sono, naturalmente, dei pro e dei contro. Io ho annunciato in anticipo la mia intenzione di uscire proprio per dare tempo. L'azionariato di Fastweb è fatto prevalentemente da fondi, oggi soprattutto fondi anglosassoni. Ci sono fondi più adatti a situazioni imprenditoriali e altri più adatti a situazioni più stabilizzate di private company. In questo tempo dobbiamo gestire un cambiamento di azionariato, meno fund, più fondi pensione, un azionariato più in linea con la nuova fase, rispetto alla prima fase molto imprenditoriale. Cerchiamo di farlo bene, accompagnando questa transizione. Io ho preso l'impegno di non toccare nessuna delle mie azioni prima che questo processo sia definito. Riconosco che il problema che la domanda ha posto esiste, ma va gestito, e metto il mio portafoglio insieme a quello degli altri azionisti fino a quando non è gestito. Se si gestisce bene il problema, si crea maggior valore rispetto a prima.

PB: Anche i manager sono uomini liberi. Questo è uno dei drammi di cui dovete avere consapevolezza ed è uno dei problemi del capitalismo moderno. Se andate a Silicon Valley lo vedete drammaticamente. Del resto, è il problema della scienza. Presto o tardi ci pentiremo di aver incentivato la trasformazione degli scienziati in imprenditori. Qualche volta, infatti, si perde un buon scienziato e si acquista un cattivo imprenditore.
Il problema della vocazione del manager e della vocazione dell'imprenditore, che la domanda ha sollevato, è un problema interessantissimo, ma da non risolvere con schemi: "Tu sei un manager e devi star lì! Io sono un azionista e ho diritto che tu stia lì a fare lo schiavo". Invece, se io voglio un'azienda che funzioni è chiaro che ho bisogno di uomini liberi, e gli uomini liberi a volte vanno dietro all'imprenditore che magari ha più coraggio di loro, in base al fatto che se qualcuno rischia sull'innovazione, c'è chi è pronto a rischiarvi la propria posizione di manager. E' un problema molto delicato.
Il problema è che i giudizi morali sulle scelte degli imprenditori e dei manager vanno dati caso per caso e fuori dai cliché. E' una sfida per i giornalisti: chi pronuncia sentenze deve essere molto accurato. La vita è fatta di complessità, non di schemi. Di rischio concreto, di etica concreta, al di fuori dei codici.


by Valentina Porcellana on 20.12.05 at 00:02 | Permalink |

19.12.05

Silvano Pedrollo: il re dell'acqua

Innovazione, tecnologia e sensibilità per il sociale. Sono le parole chiave dell'imprenditorialità responsabile di Silvano Pedrollo, Presidente della Pedrollo SpA, che lunedì 19 dicembre 2005 sarà ospite all'Università Carlo Cattaneo-LIUC dalle 11.30 in aula C1.12.

SILVANO PEDROLLO

1945
Nasce a Arcole, in provincia di Verona.
Frequenta l'Istituto tecnico e si diploma Perito industriale.

1970
Mette a frutto le competenze acquisite in anni di attività nel laboratorio del padre e passa dalla riparazione alla produzione di motori elettrici.
Ben presto passa alla produzione di elettropompe. Il suo prodotto si rivela vincente.
Silvano Pedrollo porta i suoi prodotti in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi dove ottiene grande successo. Il credito ottenuto all'estero gli garantisce la fiducia anche degli istituti di credito italiani.

1974
Silvano Pedrollo getta le basi di quella che di lì a poco sarà la sua azienda, la Pedrollo SpA.

Oggi Silvano Pedrollo è Amministratore unico della Pedrollo SpA, con sede a San Bonifacio (VR), azienda leader mondiale della produzione di elettropompe per uso agricolo, civile ed industriale. I prodotti Pedrollo raggiungono 160 Paesi in tutto il mondo, con un export dell'80%. Silvano Pedrollo è anche titolare della Citypumps, azienda produttrice di elettropompe in acciaio inox (export 80%) e Amministratore unico della Linz Elèctric, azienda produttrice di generatori di corrente elettrica (export 50%).

1992
Presidente della "Pedrollo Foundation", Bangladesh, che si occupa, in una propria struttura scolastica, dell'istruzione dei giovani, con circa 1500 studenti.
La Pedrollo ha fornito gratuitamente ad un'intera regione del Bangladesh piccole pompe idrauliche a basso consumo energetico che hanno consentito di migliorare le condizioni di vita dei coltivatori di riso della zona. Le pompe, inoltre, vengono costruite in loco, dando occupazione ad un buon numero di addetti. A beneficio di operatori locali, sono stati bonificati anche molti laghetti per l'allevamento ittico.
A Silvano Pedrollo, cittadino benemerito del Bangladesh, è stata dedicata anche una piazza nella capitale economica del Paese, Chittagong.

1995
Presidente e fondatore del premio Nazionale Giornalistico Albanese "Anton Mazreku", che si tiene annualmente in Albania.

2000
Membro dell'Accademia Ucraina delle Scienze e del Progresso Nazionale di Kiev e Membro del Senato Accademico dell'Università di Agricoltura di Tirana in Albania.

Silvano Pedrollo è inoltre stato Ambasciatore del Sovrano Militare Ordine di Malta nella Repubblica di Guyana (America del Sud) dal 2000 al 2003. Dal 2004 è Ambasciatore del Sovrano Militare Ordine di Malta nella Repubblica di Malta.


Premi e riconoscimenti

1990
Viene conferita a Silvano Pedrollo la Laurea Honoris Causa in Ingegneria dalla National Technical University Ivano Frankoskiv, Ucraina.

1991
E' insignito Cavaliere al Merito della Repubblica Italiana.

1993
La Camera di Commercio del Veneto premia la Pedrollo SpA come migliore impresa per la crescita economica nei mercati internazionali nel 1992.

1994
La Camera di Commercio di Verona premia la Pedrollo SpA per gli importanti miglioramenti tecnici elaborati all'interno dell'impresa.

1995
La DATABANK di Milano premia la Pedrollo SpA come "Miglior impresa dell'anno".

1997
La DATABANK di Milano premia il modello TOP come "Pompa sommergibile dell'anno" per il design innovativo e l'avanzata tecnologia.

1998
Riceve negli Stati Uniti l'attestato di benemerenza per l'impegno a favore dell'infanzia, conferito dal Presidente del Rotary International.

1999
Riceve dal presidente del Rotary International e dal consiglio di amministrazione dello stesso il riconoscimento "Service Above Self".
Viene conferita a Silvano Pedrollo la Laurea Honoris Causa dall'University of Economy and Advanced Technology di Kremenchuk in Ucraina.

2000
Riceve il premio Ernst & Young, categoria Quality of life, "per la sua grande sensibilità nei confronti della collettività e per la sua abilità nell'integrare lo sviluppo della sua Azienda con programmi coerenti e continuativi in supporto alla cultura, alle arti, all'ambiente e ai rapporti sociali".
DATABANK di Milano seleziona la pompa sommergibile 4SR come "Pompa dell'Anno" per la sua innovazione tecnica.

2001
Ernst & Young leader internazionale nei servizi professionali all'impresa, promuove il Premio "L'Imprenditore dell'Anno", prestigioso riconoscimento della business community italiana, giunto alla sua nona edizione. Il Premio è assegnato da una Giuria composta da noti esponenti del mondo delle istituzioni, dell'economia, dell'imprenditoria e della comunicazione agli imprenditori che si sono distinti per l'eccellenza e la rappresentatività del loro contributo professionale. Il Premio, nato negli Stati Uniti, è attivo oggi in oltre 35 paesi nel mondo.
Silvano Pedrollo, Presidente di Pedrollo S.p.A. di San Bonifacio (VR) è stato proclamato Vincitore Nazionale per il miglior utilizzo strategico, a livello nazionale ed internazionale, delle opportunità e delle leve offerte dal mercato.
Questa la motivazione espressa dalla Giuria: "In un momento in cui sono particolarmente evidenti i problemi derivanti dal divario tra le zone ricche e quelle indigenti, un imprenditore come Pedrollo assurge a buon diritto ad un ruolo chiave, sia per la sua nota sensibilità al sociale e la continua attenzione verso le popolazioni più disagiate, sia per il prodotto, come risposta ai fabbisogni primari dell'uomo quale certamente è la disponibilità d'acqua".
Nello stesso anno riceve a Kiev la Medaglia d'oro di Platone, conferita dall'Accademia ucraina delle Scienze del Progresso Nazionale e la Medaglia d'oro conferita dal Fondo Internazionale Ecologico "Aqua-Vitae" di Kiev.
Gli viene inoltre conferita la Laurea Honoris Causa dall'Università di Agricoltura di Tirana, Albania.

2002
Il progetto "Pedrollo for Life" è stato riconosciuto quello "a più alta valenza sociale" tra i finalisti al concorso Premio Impresa e Cultura promosso da Confindustria, De Agostini -Rizzoli Arte & Cultura , Ice, Gruppo Editorale Il sole 24 Ore, Ministero delle Attività Produttive, Regione Campania e Philip Morris.
La motivazione del premio è: "Per l'efficacia con cui ha saputo utilizzare la cultura come risorsa primaria di comunicazione e cooperazione sociale, in alcuni dei Paesi economicamente più svantaggiati e problematici dello scenario mondiale".
Il progetto "Pedrollo for Life" si articola in numerose iniziative di solidarietà: aiuti alla redazione della testata sportiva albanese Sport Shqiptar all'ideazione di un premio giornalistico sportivo; costruzione dell'aula magna dell'università di Tirana e il sostengo di cinque borse di studio; l'istituzione di un appuntamento culturale divenuto, insieme al Premio giornalistico Anton Mazreku, uno degli eventi di rilievo a livello nazionale; il Concorso letterario Serembe, nato per incoraggiare la libera espressione letteraria e artistica dopo decenni di censura.

2003
Riceve a Firenze il Premio "Cerec Award 2003" per il Miglior progetto ad Alta Valenza Sociale conferito dal "Comité Européen pour le Rapprochement de l'Economie et de la Culture".

2004
La Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Verona ha conferito a Silvano Pedrollo il Premio "Domus Mercatorum" con la seguente motivazione: "A Silvano Pedrollo, l'imprenditore che, grazie alle sue intuizioni manageriali ed all'incessante impegno per lo sviluppo di nuove tecnologie, ha portato la sua azienda ai vertici mondiali nella produzione di elettropompe ad uso civile, industriale ed agricolo, imponendo la propria leadership anche nel settore dell'export, in un mercato altamente competitivo. La sua visione industriale, proiettata nel futuro, si coniuga mirabilmente con le sue doti umane ed il personale impegno a favore di tutti coloro che soffrono: impegno che si traduce in solidarietà vera, in interventi concreti nelle aree più bisognose. "Imprenditore di Razza", quindi, ma anche "Persona" intrisa dei più nobili valori, ambasciatore ideale della tradizione e dell'ingegno veronese".

2005
Silvano Pedrollo riceve l'onorificenza di Commendatore al Merito della Repubblica.



by Valentina Porcellana on 19.12.05 at 00:01 | Permalink |

18.12.05

Qualche domanda a Rosario Messina

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Piero Bassetti: Quello che vogliamo far capire è che il problema dell'innovazione è estremamente complesso, è molto legato al ruolo dell'imprenditore e per questo è importante ascoltare le esperienze esistenziali e personali dei testimonials che abbiamo invitato qui alla LIUC. Come avete sentito da Rosario Messina, se c'è già uno schema, difficilmente c'è l'invenzione.

Domanda: Dove producete i vostri prodotti?

Rosario Messina: Il prodotto di qualità, prodotto con mano esperta difficilmente viene costruito fuori. Noi abbiamo una fabbrica in Canada e una in Giappone, ma non per risparmio di manodopera, ma perché la gente vuole le tre-quattro settimane di consegna e quindi è meglio produrre lì. Altre aziende producono in Cina perché vendono in Cina e vogliono essere competitivi con quel mercato.
Per quanto riguarda la Cina, loro hanno costi bassi e copiano molto, ma bisogna anche dire che noi ci siamo "seduti" molto e abbiamo innovato poco.

Domanda: Qual è il vostro target?

RM: Il nostro target è trasversale. Noi ci siamo specializzati solo in un prodotto, il letto, quindi dobbiamo produrlo diversificandolo per le diverse esigenze. Non ne facciamo un problema solo di marketing di nicchia.

Domanda: L'IKEA è un concorrente temibile?

RM: L'IKEA esiste e va benissimo, ha una sua clientela, c'è una copia del nostro Nathalie a circa 500 euro, ma faccio tanti auguri a quelli che sono disponibili a dormire su una doga di legno larga 35 e con quei tessuti!
Il letto dell'IKEA vale per quello che è il materiale con cui è costruito. Andare all'IKEA fa molto chic, o almeno, lo faceva quando hanno aperto, chi ha i soldi e compra all'IKEA lo fa anche un po' per snobismo. In realtà, all'IKEA ci vai se vuoi spendere poco. I nostri materiali sono al massimo della qualità e noi non ci sentiamo attaccati concorrenzialmente. Non mi sento attaccato neanche da Chateau d'Ax, che ha una copia il cui prezzo è il 30% in meno del nostro e il materiale il 70% in meno di quello che diamo noi. L'ho detto anche a Colombo: chi compra oggi Chateau d'Ax, tra sette-otto anni sarà cliente Flou.
La nostra filosofia è combattere le copie dei nostri prodotti attraverso la qualità e continuando ad innovare e dando il massimo del servizio.
E si può dare il massimo, quando in azienda si lavora bene. Non è tutto legato solo ai soldi: io ho molti dirigenti che rifiutano offerte anche molto alte e restano in Flou. Bisogna essere anche un po' psicologi nella scelta dei propri collaboratori e stare attenti a quelli che badano solo ai soldi, perché alla prima offerta più alta ti lasciano.
Bisogna stare attenti a quelli che vivono per i soldi. Chi usa i soldi per vivere, difficilmente se ne va, perché in azienda trova anche altre soddisfazioni. Se non ti accanisci sui soldi, provi anche il piacere di vivere. Se lavori in un ambiente positivo, ti innamori del lavoro, sei coinvolto, c'è un buon rapporto coi colleghi, ti diverti e poi, come è stato nel mio caso, le soddisfazioni e i soldi arrivano. Quello che è importante per chi ha un'azienda è il rapporto diretto, quotidiano con i propri dipendenti e collaboratori.


by Valentina Porcellana on 18.12.05 at 18:35 | Permalink |

16.12.05

Rosario Messina: innovare vuol dire usare il cervello e guardarsi intorno

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Venire qui per me è sempre un piacere, anche perché a stare con voi c'è sempre da imparare. Io ho incominciato a lavorare a 15 anni e mi sono diplomato a 24 mentre lavoravo, quindi non essendo riuscito nella vita a stare seduto nei banchi universitari, questo un po' mi manca.
Spero questa mattina di esservi utile, chiarendo un po' di dubbi e rispondendo alle vostre domande, visto che in 48 anni un po' di chilometri in giro per il mondo li ho fatti e di cose ne ho viste abbastanza.

Oggi parliamo di innovazione: di grandi invenzioni ce ne sono solo due o tre in un secolo. Innovare o inventare vuol dire anche cambiare le cose che abbiamo ritenuto vecchie.

Oggi ho il grande piacere di sedere accanto a Piero Bassetti: la Flou è nata in Bassetti. Quando Piero Bassetti disse che era meglio diversificare i canali distributivi, andando anche nel canale dei mobilieri, io stavo entrando in Bassetti dopo anni di esperienza maturati in B&B Divani, Rex Zanussi e Rinascente.
All'epoca la Bassetti aveva lanciato l'innovazione del piumone, ma i rivenditori mobilieri erano un po' allergici a questo discorso del tessile. L'intuizione innovativa è nata in quel momento da quest'idea: dato che ai mobilieri non interessa il piumone, perché non diamo loro il letto con il piumone?

Le più grandi innovazioni, secondo me, nascono guardando come ci comportiamo noi stessi.
Certo chi si è inventato i jeans non si è preoccupato di inventare le scarpe, ma qualcuno ha osservato bene a che cosa serviva il jeans e si è accorto che le scarpe di vitello nero o marrone, classiche, con quei pantaloni non andavano bene, per cui ci volevano delle scarpe sportive per la funzione che aveva il jeans.

Ogni tanto porto con me oggetti che hanno una storia: oggi ho portato un nastro della Chanel. Quindici anni fa, la figlia di un manager che lavorava alla Superga Scarpe casualmente, vedendo il nastro che usavano alla Chanel per confezionare i pacchi, ne chiese alla commessa qualche metro. Due settimane dopo al negozio Chanel hanno dovuto togliere il nastro dalle confezioni perché la ragazzina, che andava in uno dei più importanti licei di Milano, lo aveva usato al posto delle stringhe bianche e tutti i ragazzini erano andati al negozio a chiedere il raso dei pacchetti per farsi le stringhe delle scarpe.
Da lì venne fuori che anche le stringhe delle scarpe potevano essere a pois, a righe, con dei marchi. E' da notare che quello era il momento in cui la Superga attraversava la peggiore crisi del suo business. Lo stesso è successo quando è nata la Swatch in Svizzera: le aziende di orologi stavano chiudendo, erano in stato fallimentare. Grazie alla Swatch oggi il collezionismo di orologi è una febbre che fa arrivare la gente a spendere anche 1 milione di euro per un Patek Philippe a fasi lunari.

Innovare vuol dire semplicemente usare il cervello e guardarsi intorno, osservando come ci comportiamo noi stessi, notando le esigenze che hanno le persone, anche perché l'innovazione, la ricerca, l'inventiva servono fondamentalmente a migliorare la qualità della vita.

Se una cosa non ha qualche funzionalità aggiunta rispetto a quella che uso già, non ho motivo di comprarne un'altra. Inoltre bisogna presentare la cosa giusta al momento giusto.
Il piumone è nato in un momento straordinario, all'inizio degli anni '70 con la liberalizzazione della donna e della casalinga. La donna usciva, andava a lavorare e aveva poco tempo per restare a casa e per fare un letto con lenzuolo di sotto, lenzuolo di sopra, coperta e copriletto. Per rifare un letto completo si perdono, specie per un matrimoniale, almeno cinque minuti e con molta fatica essendo da soli. Se si prende invece il lenzuolo con gli angoli e lo si mette sul materasso e poi si ha un sacco in cui sta dentro il piumone, quando bisogna rifare il letto tutto è fatto in un gesto.
Attraverso un'invenzione tecnologica, e nel caso del nostro Made in Italy, anche estetica e funzionale, si è rivoluzionato l'agire della donna che aveva l'esigenza di perdere poco tempo nel fare il letto. Inoltre, la grande invenzione del piumone italiano Bassetti è stata quella di fare il sacco più lungo del letto, così che si potesse rimboccare sotto il materasso impedendo al piumone di cadere durante la notte, scoprendo la persona. E questo vuol dire dormire meglio.

Bisogna conciliare funzionale e emozionale: per questo mi sembrava indispensabile il design per inventare il letto per il piumone, quindi chiamai Vico Magistretti. Come succede, le cose geniali nascono in mezz'ora: lui mi chiese che ci fossero solo un letto, un materasso e un pezzo di legno che facesse da testata, un paio di piumoni e lenzuola. Arrivati nella fabbrica di Meda, lui fece una manovra molto semplice: mise un piumone sul letto e un altro a cavallo della testata, così che la testata fosse la continuazione del piumone. Pensando che il guanciale rimanesse alla polvere, si è poi trovato il modo di metterlo sotto, nascosto.
L'idea della sfoderabilità è nata in base al fatto che una trentina di anni fa i mobili venivano consegnati tra i tre e i sei mesi, perché eravamo nel boom in cui la domanda superava l'offerta. Il problema era evitare la strozzatura dei tempi di consegna. Abbiamo pensato alla catena produttiva come quella delle macchine, in cui si mette la carrozzeria del colore richiesto dal cliente solo all'ultimo passaggio.
Poter cambiare la fodera del letto, inoltre, dava una funzionalità in più, così che la parte emozionale interessava anche quella razionale. I letti della Flou, oltre all'altissima qualità dei materiali e alla ricerca sui materassi, danno la possibilità di scegliere stoffe e colori, così da seguire la vita di una persona, i diversi gusti, gli umori, le esigenze legate all'età. Non è quindi un acquisto fine a se stesso, ma è un acquisto-investimento.
Prima che nascesse la Flou, quando si voleva cambiare il letto si era obbligati a buttarlo e comprarne un altro perché i letti imbottiti avevano il tessuto bloccato. C'è quindi un'utilità anche di carattere economico e di carattere sociale.
Poi ci è venuta l'idea di fare il letto che fosse smontabile: quando l'abbiamo fatto, vent'anni fa, l'hanno tacciato come un letto economico, perché allora se non si vedeva la quantità il prodotto non era di valore.
In realtà con gli stessi costi di trasporto potevamo mandarne in Giapppone cinque invece di uno, mandare un operaio da solo a portare un letto per le scale al sesto piano con meno fatica, in fabbrica i metri quadrati per far stare mille letti erano l'80% in meno di quelli che servivano prima, far girare meno camion, con minor dispendio di benzina, meno traffico, meno inquinamento.
Inventare vuol dire anche fare economie gestionali.

Oggi è un momento in cui l'offerta supera la domanda, quindi bisogna fermarsi a pensare. Abbiamo la fortuna di essere in Italia, il Paese più creativo al mondo, una creatività che non è riproducibile perché ce l'abbiamo nel DNA. Quando è stato creato il mondo ad alcuni è stato dato l'uranio, ad altri il petrolio, all'Italia la creatività!
In Italia abbiamo troppo, ma spesso non ce lo sappiamo vendere. Abbiamo opere d'arte che non sappiamo valorizzare solo perché ce l'abbiamo sottomano e diamo per scontato il Colosseo e la Torre di Pisa, mentre un giapponese davanti alla torre di Pisa si mette a piangere! Dato che siamo nati nel benessere, diamo per scontata la nostra creatività. L'italiano qualunque cosa fa, crea. Ma non ce ne rendiamo conto. Non bisogna mettere limiti all'inventiva, i limiti li mette poi il mercato. Anche una cosa fuori dal comune, ma azzeccata, può diventare un'opera d'arte.

Quello che noi abbiamo in Italia è la ricchezza data dalle nostre aziende con il nostro marchio e la potenzialità di poter sviluppare il marchio. E questo è un patrimonio impressionante che non è dato solo dallo stato patrimoniale, dagli utili, ma dall'importanza del marchio.

Oggi mancano i manager preparati, anche perché siamo stati troppo ben abituati. Per vent'anni, anche nella mia azienda, con l'incremento del 30-40% l'anno, che strategie bisognava fare? L'unica strategia era raccogliere gli ordini, produrre e consegnare. Ecco perché magari oggi sono più bravi di noi i cinesi o gli indiani: la necessità aguzza l'ingegno. Dietro l'angolo c'è un'opportunità sconvolgente di lavorare, ma bisogna avere anche un po' di voglia! Gli ultimi venti, trent'anni ci hanno abituato al benessere, ma oggi la manna non cade più dal cielo!

Nella mia azienda cerco di creare un ambiente piacevole che sia di per sé fonte di creatività, facendo vivere i dipendenti in un bell'ambiente di lavoro. Avere un atteggiamento positivo favorisce la creatività nel costruire e nel presentare i prodotti.

Si è sempre fatta la differenza tra il design industriale e quello filosofico: io, essendo un commerciante, mangio solo design industriale e quindi se di un pezzo non ne faccio almeno mille copie vado in fallimento. Altre aziende invece se ne fanno più di cento esemplari si sentono svilite. E questo perché il design è stato sempre visto come qualche cosa di esclusivo, per l'élite. La soluzione che ha datola Swatch , per esempio, non è legata solo all'orologio, ma anche al design venduto a 30 euro, così il design diventa alla portata di chiunque, è trasversale.
Il design non deve migliorare solo la vita di chi ha i soldi, ma deve migliorare la vita di tutti. Il design deve essere visto sì per le sue qualità estetiche, ma anche per il suo rapporto con la funzionalità. Il design nasce da un architetto e dall'industria, non nasce al di fuori di questo connubio e unisce la conoscenza del prodotto, del mercato e delle tecnologie.

La genialità di un'innovazione è data anche dal saperla comunicare. Oggi noi abbiamo un grosso dramma a livello della distribuzione: i commessi parlano poco, non dicono niente ai clienti, si presentano senza un dépliant in mano, quando il cliente va via non lasciano neanche un biglietto da visita. Sono stati abituati male dal fatto che fino a sette-otto anni fa il cliente arrivava in negozio quasi pregando di avere un letto, perché la domanda superava l'offerta. Oggi il problema si è ribaltato. L'Italia e l'Europa non potevano comprare mobili per cent'anni, è dal 1940 che si vendono mobili. Oggi si vende all'estero, in Giappone, America, Cina, Russia, Sud Africa, Brasile, Venezuela. Questi per noi sono i Paesi emergenti.
Certo, era più comodo quando andavamo alla fiera di Parigi e a quella di Colonia e l'unico pensiero era andare al ristorante e al night e tornavamo con qualche miliardo di ordine. Oggi torni da Colonia con qualche centinaio di mila euro da pagare per lo stand alla fiera, ma gli ordini non arrivano.

In realtà, l'innovazione non è neanche inventare sempre qualcosa di nuovo: il nostro letto Nathalie nel 1978 era unico, oggi nel listino presentiamo venti modelli, varianti diversi di Nathalie.
Oggi la gente si è acculturata, anche grazie alle nostre proposte, e vuole il modello che risponde alle proprie esigenze. Oggi, per esempio, il letto non serve solo per dormire. Si passano molte ore a letto a guardare la televisione, quindi il letto assume anche la funzione di divano. Per questo abbiamo creato lo schienale-testiera regolabile e questo assolve ad un'esigenza che ha il cliente finale. Un'altra invenzione dettata dalle esigenze della vita quotidiana: la casa diventa sempre più piccola. Per esigenze di spazio abbiamo creato il letto con il cassone dove riporre la biancheria e le coperte. Vent'anni fa quest'esigenza non c'era, le case avevano una grandezza media di 120 metri quadrati, cinque anni fa era già scesa a novanta e tenderà a scendere ancora, per cui è necessario sfruttare ogni centimetro quadrato.
L'azienda di successo non ha bisogno di inventare una cosa nuova all'anno; nel nostro caso le grandi novità, anno per anno, sono quelle tessili, la biancheria. Noi abbiamo pensato anche alle esigenze dei giovani proponendo il duetto, con i due letti sovrapposti.

L'innovazione deve anche arrivare al momento giusto nel posto giusto: la Flou è nata in Bassetti, quindi c'era già cosa mettere sopra i nostri letti imbottiti, era la biancheria Bassetti. E' importante anche l'incontro tra varie esperienze, varie persone come è successo nel nostro caso. Inoltre non bisogna solo guardare il proprio settore, ma capire le esigenze di un mercato più vasto, vendendo non solo il prodotto, ma anche il servizio.


by Valentina Porcellana on 16.12.05 at 19:00 | Permalink |

14.12.05

Silvio Scaglia: FASTWEB, innovazione del quarto tipo

Scaglia e Bassetti

logo Fastweb

I quattro modi di innovare

Quando penso all'innovazione, ne vedo quattro grandi categorie.
Due di queste, situate agli estremi, sono abbastanza scontate. La prima è l'innovazione incrementale che coinvolge tutte le aziende che sono già su un certo prodotto-mercato e le guida, giorno per giorno, a migliorare: questo è il tipo di innovazione che fa sì che le automobili di oggi siano meglio di quelle di 50, 60 anni fa. Ed è un'innovazione molto strutturata, che avviene nelle grandi aziende, in modo super-organizzato; ci sono strutture organizzative dedicate a fare questo, ci sono processi organizzativi che collegano marketing, che collegano sviluppo-prodotto, che collegano l'ingegneria della produzione: tutto ciò porta a un'innovazione di prodotti continua, a cui siamo abituati.

L'altro tipo di innovazione che è molto semplice da classificare è quella che si fa nelle università, nei laboratori, che poi produce in genere i brevetti dai quali eventualmente possono nascere prodotti o aziende. Questi laboratori possono essere all'interno delle università oppure all'interno delle aziende: è il budget di ricerca delle aziende. E' ciò che si dice che in Italia manchi molto. E' un'innovazione particolarmente difficile da gestire; lavora su tassi di successo molto bassi.
Nel primo tipo di innovazione, quando si fa innovazione incrementale, un prodotto migliore viene fuori quasi certamente; invece, quando si entra in un laboratorio, non è detto che vengano fuori prodotti migliori, e non si può sapere quanto tempo e quante risorse ci vogliano.
Sono pochi i sistemi che riescono effettivamente ad utilizzare bene il patrimonio innovativo di un grande laboratorio e trasformarlo in innovazione reale e concreta. Ad esempio a Cambridge, in Inghilterra, dove c'è un sistema di università, di venture-capital che ruotano attorno all'università e riescono poi a motivare imprenditorialmente degli scienziati e riescono ad aiutarli non solo economicamente, ma anche come know-how imprenditoriale, per permettere loro di diventare, da scienziati, imprenditori. In Israele sono bravissimi a gestire questo tipo di transizione. Negli Stati Uniti non sono i più bravi al mondo, contrariamente a quanto spesso si pensa. In Italia, a mio parere, abbiamo molto da imparare sotto questo profilo.

I due livelli intermedi di innovazione sono più a portata di mano. Il primo è l'innovazione di business-system: si lavora in un mercato esistente, con prodotti e tecnologie esistenti, ma si innova il modo di gestire un'impresa all'interno di questi prodotti e mercati.
Un esempio concreto di questo tipo di innovazione è quello compiuto da Ryanair e di tutto il low-cost, che è stata un'innovazione fortissima, che cambia il modo in cui viviamo e ci rapportiamo. L'impatto della tecnologia e sulla tecnologia è stato molto ridotto; si è limitato quasi all'uso di internet per fare i biglietti, per bypassare le agenzie, ma avrebbero potuto farlo anche usando il telefono. L'impatto è stato su un mercato che già si conosceva, le cui necessità erano chiare. E sono stati bravissimi a trovare un nuovo modo per affrontare un prodotto-mercato già esistente.
In questo modo d'innovare ci sono anche tanti esempi italiani, come quelli presentati in questo corso dalla Fondazione Bassetti.

C'è un quarto tipo di innovazione, che è quello che ci ha dato modo di far partire FASTWEB. E' un tipo di innovazione più tecnico, meno scientifico, che parte a valle del laboratorio perché si basa su prodotti che incominciano ad esserci, nell'ambito di una transizione tecnologica che ha una sua precisa collocazione temporale, in una finestra precisa: fatta troppo presto, o troppo tardi, non sarebbe stata possibile.

L'innovazione di FASTWEB

Nel caso di FASTWEB, la transizione tecnologica è stata quella delle reti IP, le reti Internet-Protocol dei router.
I router sono computer che ricevono delle stringhe di bit, ai quali è associato un indirizzo, e le indirizzano verso altri router sulla base dell'indirizzo che leggono. Dietro queste stringhe di bit ci può essere qualunque cosa: un collegamento telefonico, una trasmissione dati, che viene suddivisa in pacchetti, oppure una trasmissione video, che anch'essa viene suddivisa in pacchetti per essere mandata al destinatario.
Nel 1999 i router venivano usati solo per fare delle reti limitate all'interno di aziende, delle reti dati aziendali. Non c'era la consapevolezza che si potesse fare una rete pubblica, una rete che potesse gestire un servizio pubblico telefonico e di trasmissione su router.
Si pensava che la tecnologia fosse ancora immatura, si pensava che ci sarebbero voluti ancora cinque o sei anni per arrivare a quel punto, secondo un'opinione comunemente accettata. Ma era diffusa la consapevolezza che questa nuova tecnologia avrebbe dato importanti vantaggi rispetto alle reti tradizionali.
Una rete tradizionale è composta da una quantità enorme, anche in termini di investimenti, di centrali di commutazione, a vari livelli (centrale locale, centrale di transito, centrale di gestione del traffico internazionale...); vi si trovano, inoltre, diverse generazioni di sistemi di trasmissione dati (Atm, Sdh...), dietro ai quali c'è un concetto di linea. La linea dati riproduce il sistema tradizionale di linea di commutazione telefonica, che mette a disposizione una certa capacità di trasporto dati, sia che questa venga sfruttata, sia che rimanga inutilizzata. I sistemi tradizionali comportano, insomma, costi maggiori e forniscono minore potenza di trasmissione dati rispetto a un sistema basato su router.

Oggi Fasweb può fornire in real time bandwith on-demand a un'azienda, a un computer che lo richiede, fino a Giga-bit al secondo, in tempo reale. Dieci anni fa, per dare un termine di paragone, le linee di connessione tra i maggiori operatori al mondo erano di 155 mega bit al secondo.
Ma la disponibilità attuale è possibile solo se la rete non funziona con linee dedicate, solo se, dinamicamente, è in grado di allocare banda dove la si richiede. Ed è ciò che i router, i computer, possono fare.

Nel 1999 alcuni servizi, tra cui la telefonia, potevano ormai essere gestiti con logiche di mercato, e non più secondo la logica dello Stato-imprenditore, una logica ormai superata. In un clima di "corsa all'oro", dopo la liberalizzazione del mercato, ma prima dello sbum della bolla, quella di FASTWEB era la 315a richiesta di licenza per telecomunicazioni di rete fissa. C'erano quindi le condizioni favorevoli del mercato, ma c'era soprattutto quella finestra "fatata" rispetto alla maturazione della tecnologia.
Da un punto di vista tecnico ci eravamo posti due sfide importanti: far funzionare una rete IP e far funzionare un collegamento fiber to the home in modo sistematico per tutti i nostri clienti. Soltanto dal 2003, quando l'Adsl ha raggiungo i 6 mega bit, abbiamo potuto offrire i nostri servizi anche su doppino telefonico, riducendo di molto i costi di allacciamento degli utenti.

Il 2001 e il 2002 furono anni molto difficili perché riuscimmo a far funzionare questa tecnologia, ma le difficoltà tecniche erano frequenti, il sistema era giovane e scricchiolava parecchio. I problemi erano dovuti per la maggior parte a problemi di inter-operatività tra i router, i cui software non erano progettati dalla Cisco tenendo conto delle necessità di una rete di questa complessità. L'altro grande problema sono stati gli scavi nelle strade, necessari per collegare tutti gli edifici.
La terza grande sfida era quella del mercato: far nascere un mercato su un'esigenza che si intuiva soltanto. Quando si parlava di larga banda, allora, si intendevano qualche centinaio di kilo-bit al secondo, non di diversi mega-bit. Dovevamo far capire alla gente che avere più mega-bit avrebbe significato più rapidità, meno tempi di attesa, ma non solo: dovevamo fare capire che con diversi mega si poteva anche guardare la televisione sulla rete del telefono, un'idea totalmente astrusa per il tempo. Ed era un mercato che non aveva riferimenti né in Italia, né fuori, essendo noi stati i primi a realizzare una rete con queste caratteristiche, a portare sistematicamente la fibra ottica nelle case e a realizzare una rete pubblica IP.

Una sfida alla quale inizialmente non avevamo pensato è che una azienda che offre servizi di questa complessità, che offre telefono, connessione a banda larga, televisione... deve avere un customer care adeguato; non basato, come succede nel campo delle comunicazioni, sul minimizzare i costi della singola chiamata, ma sul minimizzare i costi di risoluzione del problema. Questo ci ha condotti a creare il nostro personale, selezionato con rigore e formato all'interno dell'azienda, in grado di rispondere efficacemente ai problemi dell'utenza. Diversamente dall'inizio, oggi il nostro customer care è un elemento di forza dell'azienda ed è coerente con la nostra offerta.

Sono passati 6 anni dal momento in cui siamo partiti con FASTWEB.
Oggi l'azienda fa circa un miliardo all'anno di fatturato, ha investito più di 3 miliardi di euro, l'occupazione creata direttamente è di 7000 persone, di cui 3000 dipendenti e 4000 persone che lavorano esclusivamente per noi, nell'area vendite e nell'area tecnica (per gli allacciamenti). La rete FASTWEB, nel mondo degli operatori di telecomunicazioni, è the next generation network, ovvero il punto di riferimento per lo sviluppo di tutte le reti esistenti: la rete IP, che lanciammo 6 anni fa, oggi è totalmente accettata ed è il modello per le evoluzioni delle reti di telecomunicazione.

Il futuro di Silvio Scaglia e di FASTWEB

Dal mio punto di vista, quindi, inizio a vedere FASTWEB come vedevo Omnitel nel 1999: da un punto di vista di business mi sembra che il business case sia dimostrato, che funzioni, da un punto di vista tecnologico funziona, è accettato, l'azienda è solida, ha un team di manager molto forte... sento quindi il bisogno di fare delle nuove cose.
Dall'anno prossimo comincerò a diluire la mia posizione in FASTWEB per dedicarmi a ciò che più mi interessa, che si trova sempre all'incrocio tra start-up e tecnologia, a cui vorrei dedicare più tempo e più risorse, mentre FASTWEB sta in piedi con le sue gambe, non ha più bisogno di quel taglio imprenditoriale che è servito all'inizio.
Ma vorrei gestire bene la transizione, giustificando tutte le cose che intendo fare prima di farle, anziché vendere le mie quote e poi raccontare perché l'ho fatto, come avviene generalmente in questi casi.
Abbiamo attivato all'interno di FASTWEB un processo di review di alternative strategiche con l'obiettivo di capire con quale assetto azionario il valore per gli azionisti di FASTWEB può essere massimizzato in futuro. E' un grado di libertà che abbiamo e che mi sembra importante gestire in modo conscio, per non rendere FASTWEB vittima di una decisione mia.

Ci sono tre alternative possibili, tra cui è necessario scegliere quella che crea maggior valore per l'azienda. La prima è che FASTWEB continui come azienda indipendente, come public company quotata in borsa, senza azionisti dominanti, basandosi come molte aziende nel mondo, e poche in Italia, sulla fiducia dei mercati finanziari. La seconda opzione è che subentri qualche altro socio di riferimento al mio posto. La terza opzione è che ci sia qualcuno che compri Fastweb nel suo complesso.
Sono tre opzioni teoriche che abbiamo deciso di gestire attivamente, per vedere quale concretamente offre le migliori prospettive di valorizzazione dell'azienda e di creazione di valore per gli azionisti dell'azienda.


by Valentina Porcellana on 14.12.05 at 19:45 | Permalink |

13.12.05

Rosario Messina e Flou: rassegna stampa

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Fin dalla sua costituzione Flou ha basato la propria strategia su un concetto innovativo: produrre letti di design con un ottimo rapporto prezzo-qualità, moderni, funzionali, capaci di trasformare la camera da luogo chiuso e quasi inaccessibile in un ambiente aperto e colorato, offrendo al consumatore il miglior modo di dormire, nella consapevolezza che dormire bene aiuta a vivere meglio.
Leader in Italia, dove è presente in tutte le regioni con i "Centri Flou", oggi produce oltre 40 modelli di letti e divani-letto in tessuto, pelle, legno, cuoio e alluminio; una vasta gamma di accessori tecnici di complemento e di coordinati copripiumini in tessuti naturali, oltre alla collezione di abiti per la casa, complementi d'arredo e oggettistica nella home collection "Vestire Flou".
La collezione è distribuita nei negozi di arredamento di oltre 60 Paesi del mondo e in dodici showroom monomarca aperti nelle principali capitali europee ed extra europee.
Inoltre, in joint-venture con partner locali, i prodotti Flou sono fabbricati su licenza esclusiva e commercializzati in Canada dal 1989 e in Giappone dal 1986.

Ottobre 2005
Un evento di solidarietà
"Marilyn" a New York
Mosca - "I Saloni Worldwide" - 12/15 Ottobre 2005

Ottobre 2004
Flou apre un nuovo showroom a Tokyo

Settembre 2004
Premiato con il "Bardi web" il nuovo sito www.flou.it
Site Evolution Award at the Bardi Web 2004

Settembre 2004
Assegnato a Flou il premio "Compasso d'oro-ADI alla Carriera"
Con la motivazione: "Una vocazione pluridecennale di approfondita ricerca di design e comfort, in un ambito specialistico dalle profonde diversità culturali nazionali, è all'origine dell'affermazione della Flou in campo internazionale. L'eccellenza della sua produzione e comunicazione, in tutto l'arco della sua storia, rappresenta un contributo alla valorizzazione del design italiano e dei suoi prodotti nel mondo".

Aprile 2004
Flou finanzia la ricerca
Una borsa di dottorato al Politecnico di Milano per approfondire i temi dell'innovazione tecnologica e della responsabilità sociale

Ottobre 2003
Rosario Messina partecipa al Primo Convegno Internazionale degli Imprenditori Italiani nel Mondo

Novembre 2002
Rosario Messina "Imprenditore dell'anno"
Con la motivazione: "Per la più creativa e innovativa vision che abbia segnato una svolta determinante nella vita d'impresa, per la rivoluzionaria concezione dell'ambiente domestico e la trasformazione della camera da letto in uno spazio da vivere in ogni suo particolare, con idee moderne ed originali, dando vita ad una nuova cultura dell'abitare e del dormire. Il letto completamente sfoderabile e rinnovabile e la gamma completa di accessori per la camera sono novità che contraddistinguono il marchio Flou a livello mondiale e che hanno dato un forte stimolo all'innovazione del sistema distributivo del settore, incidendo sulla frequenza di visita del punto vendita e sulle modalità di relazione con il cliente".


by Valentina Porcellana on 13.12.05 at 18:15 | Permalink |

11.12.05

Silvio Scaglia e Fastweb: rassegna stampa

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A partire dal 1 dicembre 2004 FASTWEB è il nuovo nome di e.Biscom in seguito alla fusione con la controllata FastWeb, società operativa focalizzata sullo sviluppo e sulla fornitura di servizi di telecomunicazione a banda larga in Italia.
FASTWEB per prima ha coniugato l'uso estensivo del protocollo IP (Internet Protocol) per la gestione integrata di voce, dati e video con la fibra ottica e i sistemi xDSL. In questo modo ha raggiunto un duplice obiettivo: offrire ai clienti un'ampiezza di banda pressoché illimitata e senza eguali nel nostro Paese e conseguire un'estrema efficienza negli investimenti in infrastrutture.
La disponibilità di una simile piattaforma ha permesso di riunire funzioni finora distinte e separate e ha offerto la possibilità di sviluppare servizi innovativi ad alto valore aggiunto, fruibili contemporaneamente con un solo collegamento, il cosiddetto Triple Play che realizza la convergenza fra telecomunicazioni, Internet e televisione.
FASTWEB fornisce un'ampia gamma di servizi a tutti i segmenti di mercato: dai servizi di telefonia vocale e connettività Internet a larga banda alle più avanzate applicazioni di videocomunicazione (videoconferenza per le aziende e videotelefonia per le famiglie), reti private virtuali (VPN), streaming audio e video, telelavoro, telesorveglianza, Tv digitale, interattiva e Video on Demand.
L'accesso al cliente finale viene realizzato direttamente in fibra ottica (con soluzioni Fiber-to-the-Home/Fiber-to-the-Office) o mediante tecnologie xDSL su linee in unbundling.

La rassegna stampa qui proposta raccoglie alcuni articoli che ripercorrono, dal 1999 ad oggi, le tappe più significative della "scommessa innovativa" di Silvio Scaglia.

Il Sole 24 Ore
12 novembre 1999
Scaglia: "Con Fastweb la prima rete alternativa"
di V.D.G.

Sette. Corriere della Sera
2 dicembre 1999
Così metto Milano nella rete
Entro il 2000 verrà cablata Milano. Poi toccherà a tutto il nord. E' l'obiettivo di Silvio Scaglia che, con Micheli e l'Aem, si prepara a trasformare l'Italia in una grande Silicon Valley. Per migliorare la vita e battere il colosso Telecom.
di Giancarlo Radice

Affari&Finanza
7 febbraio 2000
Fastweb sta posando 1600 chilometri di cavi nell'area milanese e altrettanti nell'area circostante
Milano supercablata
Silicon Valley sbarca in Val Padana
di Andrea Di Stefano

Il Sole 24 ore
15 luglio 2000
La società di Scaglia conferma investimenti per 11.600 miliardi nelle fibre e vola in Borsa (+4,2%)
e.Biscom cablerà tutta Italia
Entro 18 mesi approderà al listino anche Fastweb, che sarà seguita da Videoportal e B2Biscom
di F.V.

Il Secolo XIX
4 giugno 2001
Intervista all'amministratore delegato di e.Biscom. "Dopo l'ubriacatura per l'alta tecnologia si torna a guardare ai ritorni degli investimenti"
Scaglia: new economy? Un bluff se mancano i progetti industriali
di Luigi Leone

Time
7 luglio 2003
Global Tech Guru
di Mark Halper

Corriere della Sera
11 luglio 2003
Scaglia: con i bonus in azioni ho potuto creare un'impresa mia
di Giancarlo Radice

La Stampa
3 maggio 2004
Intervista con il fondatore e presidente di e.Biscom Sivlio Scaglia
"La New Economy rialza la testa ma questa volta niente eccessi"
di Francesco Manacorda

Il Sole 24 Ore
2 giugno 2004
Fibra forte. Il presidente diventa amministratore delegato unico
e.Biscom, pieni poteri a Scaglia
"La fase di startup è quasi completata: nel 2006 arriverà il dividendo e volteremo pagina"
di Marco Magrini

CorrierEconomia
14 febbraio 2005
Scaglia chiede 800 milioni: "Piani ambiziosi"
Iliad, in Francia, è già in utile. "Ma noi puntiamo sulla tecnologia"
di Enrico Grazzini

La Repubblica - Affari&Finanza
18 aprile 2005
Banda larga. Scaglia ha vinto la scommessa sulla convergenza
di Giuseppe Turani

Il Sole 24 Ore
14 ottobre 2005
Assegnati i "Best of european business"
Ecco le sei aziende più competitive
di R.E.

Giornale di Sicilia
20 novembre 2005
Telecomunicazioni. L'apertura entro la fine del 2006. la scommessa dell'operatore di servizi a banda larga.
Terzo call center in arrivo Fastweb investe in Sicilia
di Alessandra Turrisi

Corriere della Sera
4 dicembre 2005
Il fondatore del gruppo: la cessione non è l'unica strada, potrebbero entrare altri partner.
Scaglia: "Fastweb, la mia quota scenderà"
"Ma non dirò addio alla società. L'azienda è solida, servono però nuove strategie".
di Giancarlo Radice


by Valentina Porcellana on 11.12.05 at 17:10 | Permalink |

10.12.05

L'innovazione collettiva di Silvio Scaglia e la nuova cultura del dormire di Rosario Messina

Telefono, internet e televisone su 6 mega di banda larga: questa è la scommessa triple play di Silvio Scaglia che ha portato FASTWEB nelle case di 700 mila italiani. Una vera innovazione collettiva.
Silvio Scaglia, Presidente di FASTWEB, sarà ospite di Piero Bassetti all'Università Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza lunedì 12 dicembre 2005 alle 10.00 in aula C1.12.


SILVIO SCAGLIA

1958
Nasce a Lucerna, in Svizzera. Trascorre infanzia e giovinezza a Novara.

1983
Laurea in Ingegneria Elettronica al Politecnico di Torino.

Silvio Scaglia inizia la sua carriera come consulente per McKinsey & Co e Bain per poi passare in Piaggio come Senior Vice President per le attività extra-europee.

1995-1999
Silvio Scaglia è stato Amministratore Delegato di Omnitel, l'attuale Vodafone Italia, contribuendo al suo sviluppo e accompagnandola dalla fase di start up fino alla posizione di secondo operatore mobile in Italia, facendone una delle Società più redditizie in Europa.

1999
Nasce a Milano la Società e.Biscom. E' la prima al mondo ad implementare una radicale innovazione nel campo delle telecomunicazioni realizzando una rete interamente basata su protocollo IP in grado di connettere in fibra ottica anche utenti residenziali, offrire televisione digitale e video on demand su fibra e ADSL: viene presto dimostrata la sostenibilità industriale di questo progetto, divenuto oggi un benchmark a livello internazionale.

2003
A riconoscimento del cambiamento epocale nelle tlc, il Time dedica a Silvio Scaglia un articolo in cui viene definito "Global Tech Guru".

2004
Si perfeziona la fusione per incorporazione di FastWeb in e.Biscom deliberata ad aprile dai rispettivi CdA. La fusione rappresenta il naturale esito del processo di razionalizzazione intrapreso sin dal 2002 dal Gruppo per focalizzarsi sul proprio core business: le telecomunicazioni a banda larga su rete fissa in Italia. La società assume il nome FASTWEB.
Silvio Scaglia è Presidente e fondatore di FASTWEB, l'operatore alternativo di telecomunicazioni a banda larga leader in Italia e secondo operatore nel Paese per la telefonia fissa.

English version

Eleganza, raffinatezza, funzionalità e design: queste le parole chiave del successo di Flou, l'azienda fondata nel 1978 da Rosario Messina, che ha inventato una nuova "cultura del dormire", conquistando la leadership internazionale del settore.
Rosario Messina, Presidente di Flou SpA, sarà ospite di Piero Bassetti all'Università Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza lunedì 12 dicembre 2005 alle 11.30 in aula C1.12.


ROSARIO MESSINA

1942
Nasce ad Acicastello.

Primogenito di cinque fratelli, alla guida della famiglia dopo la prematura scomparsa del padre, prosegue gli studi per diplomarsi e contemporaneamente entra giovanissimo alla Rinascente di Catania, dove assume cariche di sempre maggior rilievo.

Nei primi anni Settanta, dopo qualche anno trascorso a Catania come direttore della Filiale Zanussi, all'epoca la più importante azienda italiana di elettrodomestici, accetta l'invito di trasferirsi in Lombardia dove, in tempi diversi, assume la direzione commerciale di due tra le maggiori industrie del mobile.

Le significative esperienze maturate nel settore gli permetteranno di manifestare appieno le sue non comuni doti imprenditoriali quando collaborerà con Bassetti allo sviluppo di un nuovo concetto di applicazione del tessile nell'arredamento.

1978
La svolta fondamentale avviene quando, sulla base di una intuizione assolutamente innovativa, con Achille Locatelli fonderà la Flou, prima tappa di quella che si rileverà un'ininterrotta catena di successi.
L'intraprendenza, la lungimiranza e una straordinaria carica di entusiasmo hanno permesso al siciliano Messina di affermarsi in Brianza, storico distretto di aziende locali che hanno contribuito a portare al successo il Design Italiano nel mondo.

Premi e riconoscimenti:

1996
"Industriale dell'Anno", conferito dal Gruppo Giornalisti Brianza.

1997
Cavaliere della Repubblica Italiana
Consigliere Associazione Industriali Monza & Brianza
Presidente Federlegno-Arredo, associazione che raggruppa i fabbricanti di mobili.

2000
Premio "Made in Italy Awards" New York
"Giara d'Argento", premio conferito ai siciliani distintisi nel mondo
"Paul Harris per l'Imprenditoria" premio conferito dal Rotary Meda & Brughiere

2002
"Imprenditore Categoria Innovation" Ernst&Young, Milano, Palazzo Mezzanotte, Borsa.

2003
Premio "Piazza Mercanti" Camera Commercio Industria Agricoltura Milano, assegnato agli imprenditori distintisi per innovazioni di processo e prodotto introdotte nella propria impresa.

2005
L'Amministrazione Comunale di Meda lo ha insignito della Cittadinanza Onoraria.

Particolarmente prestigioso è il ruolo che ricopre dal 1999 come Presidente del Cosmit, il comitato organizzatore del "Salone del Mobile di Milano", "Euroluce", "Eurocucina", "Eimu", "Sasmil", "Salone complemento", "SaloneSatellite".

Nel giro di pochi anni Messina ha dato un importante contributo strategico alla visibilità e al prestigio delle più importanti fiere internazionali del sistema "Legno-Arredo", concentrato soprattutto sul Salone del Mobile, evento che in aprile attira a Milano oltre 180.000 addetti ai lavori e 3.000 giornalisti provenienti da tutto il mondo, consolidando il ruolo della città come "capitale del design".

Il profilo professionale di Messina si avvale inoltre della partecipazione a convegni e conferenze in Atenei e Facoltà Universitarie, dove è spesso richiesto di presentare la "case history" Flou.


by Valentina Porcellana on 10.12.05 at 15:00 | Permalink |

07.12.05

L'antropologia della luce: the human light di Artemide

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Piero Bassetti: Se è più immediato capire la bellezza di una lampada, che cosa fa invece la bellezza di un sistema di illuminazione? Come siete passati dalla lampada al sistema luce?

Ernesto Gismondi: Per sistema luce intendiamo che ci sono delle situazioni di illuminazione che vanno oltre la lampada sul comodino. Quando si devono illuminare degli spazi pubblici, dove ci sono situazioni mutevoli e bisogna creare particolari effetti, dobbiamo offrire un progetto ben determinato. Il sistema nasce quando si va ad analizzare i bisogni, introducendo determinati parametri e stabilendo come si modifica la luce durante la giornata in un determinato spazio.

PB: Chi è in grado di valutare con competenza il valore e l'efficacia di un sistema luce?

EG: Ci sono i lighting consultant che hanno esperienza e possono fare queste valutazioni. Le nostre controparti per i sistemi luce sono gli architetti e i migliori sono quelli che fanno sia building sia interni, perché non puoi progettare prima i muri e poi riprogettare l'interno.
Di solito noi, quando qualcuno viene a chiedere la progettazione per un luogo specifico, prepariamo gratuitamente il progetto con il preventivo, ma non è un gran sistema perché io Artemide cerco di mettere pochi apparecchi miei per non fare salire troppo il prezzo e inoltre, magari, in un punto particolare andrebbe meglio la lampada disegnata da un'altra azienda. Quindi puoi risparmiare, ma ti sei messo nelle mani di una sola azienda, anche se primaria. Allora non ti rimane che chiamare dei tecnici professionisti che possano valutare il progetto che ti è stato proposto e possano darti consigli specifici.
Oggi le necessità sono cambiate in maniera enorme. Ci sono anche delle normative per le luci pubbliche per cui devi stare dentro a degli standard, quindi anche la ditta privata che ti fa il progetto deve stare in quegli standard.
Oggi il sistema deve essere interattivo, perché deve ageduarsi alle situazioni del momento: è qui che sta il servizio.

PB: Il consumatore si accorge di queste nuove possibilità?

EG: Anche all'interno di un'azienda, sia per questioni di normative, sia per richiesta dei dipendenti, c'è la richiesta di una luce giusta, che non sia stancante. E' stato dimostrato, e noi l'abbiamo studiato, che dopo una giornata di lavoro in uno di questi luoghi sigillati, in cui c'è solo luce artificiale, al momento del contatto con la luce naturale si hanno problemi alla vista per 20-30 minuti. Se c'è questo tipo di problema, noi dobbiamo cercare di risolverlo con un sistema che, magari, mezz'ora prima dell'uscita modifichi le luci per abituare l'occhio alla luce esterna.

Noi abbiamo studiato a fondo il problema dell'illuminazione per l'uomo e in particolare l'illuminazione della casa. Oggi le necessità in una casa sono molto più grandi di una volta: abbiamo studiato, con gruppi di ricerca formati da medici e psicologi, quali erano le reciproche interazioni tra la luce, l'uomo, il suo modo di sentire e il colore. Quando prendi questi parametri e li metti insieme ti accorgi che devi regolare il tutto in maniera opportuna.
E' facile dare luce solo per illuminare, qualsiasi lampada è in grado di fare luce, più difficile è fare luce che faccia stare bene, che dia una sensazione di benessere. Non tutte le luci vi fanno stare bene. Pensate banalmente a quando guardate la televisione, di che luce avete bisogno? Luce diffusa e soffusa, posizionata alle vostre spalle.
Per noi quindi la sfida era quella di costruire degli apparecchi di illuminazione che fossero sistemati in un ambiente e che lavorassero tutti insieme per rispondere a tutte le esigenze e a tutti i momenti della giornata.

Il nostro lavoro, la nostra innovazione, è questo: andare a scoprire i bisogni che in realtà le persone hanno già. Noi creiamo le macchine che rispondono a questi bisogni e le vendiamo benissimo!

PB: Gismondi parla della luce in modo diverso da come potrebbe parlarne uno di noi, ma sentendo queste cose mi accorgo di quanto sono vere. Questa è l'innovazione: vai alla ricerca di un bisogno inespresso e gli corrispondi.

Domanda: Artemide è presente nei paesi nordici, dato che là l'esigenza è forte, visto che vivono per molti mesi al buio?

EG: Per noi è un grosso mercato, anche perché tengono la luce sempre accesa e perché hanno la necessità di non suicidarsi. Per questo noi progettiamo degli apparecchi appositi, che per noi sono abbastanza normali, che hanno delle regolazioni per cambiare il colore e fare in modo che l'atmosfera diventi più calda.

Domanda: Quali sono i concorrenti di Artemide?

EG: Ci sono? Io non li conosco! La modestia è sempre stata il mio forte!

EG: Abbiamo fatto uno studio di alcuni mesi con un gruppo di ricerca in cui emerge che per l'uomo la luce è importante, ma ancora di più lo è il colore. Per vivere meglio quindi è importante tenere conto di luce e colore. Per questo abbiamo deciso che dovevamo fare qualche cosa per soddisfare questi bisogni. Il bisogno è quello di avere, all'interno della casa, atmosfere diverse, piacevoli, rilassanti o eccitanti. Ci sono "momenti di luce diversa" che vorremmo avere.
La luce è comandata da tre colori principali: giallo, rosso e blu. Abbiamo pensato che se noi riuscivamo a fare di questi tre colori non un blocco di luce, ma stratificazioni di luce avremmo potuto riprodurre meglio ciò che avviene in natura, per esempio un tramonto con la gamma dei suoi colori.
Quello che volevamo realizzare con le nostre macchine era riuscire a stratificare la luce senza discontinuità, regolarla a nostro piacimento, costruire delle atmosfere e poterle memorizzare per poi riprodurle. Grazie al telecomando che regola la luce dei faretti si creano le diverse atmosfere. La macchina dava più di un miline di combinazioni, ma noi ne abbiamo memorizzato 12, ma c'è anche la possibilità di creare nuove atmosfere e memorizzarle.

Questo è stato l'origine di human light, la luce per l'uomo, pensata per creare benessere. Sono macchine speciali, con filtri speciali, con computer all'interno.

PB: Chi è abituato a queste raffinatezze della luce?

EG: Gli italiani sono per la dolcezza, per creare un'atmosfera. Gli italiani e i francesi sono i più raffinati, seguono gli svedesi a cui piace far finta che esista anche per loro un tramonto o un'alba, che esistano delle situazioni diverse dal buio pesto!

Un altro passo avanti l'abbiamo fatto con la lampada a.l.s.o. che vuole dire aria, luce e suono. Per far star bene l'uomo, che cosa serve oltre la luce? Abbiamo pensato al suono e all'aria purificata. Ci siamo chiesti perché non fare una macchina che mettesse insieme tutto: avere la luce sofisticata e regolata, il suono trasmesso via radio e filtri elettrostatici per purificare l'aria e l'ambiente.
La macchina purifica un ambiente abbastanza grande di 5X6 metri; il filtro raccoglie tutte le polveri sottili dello smog.

Domanda: Per una macchina del genere si avvalete di esperti esterni o producete tutto voi?

EG: Per suono e aria ci siamo avvalsi di consulenti esterni, soprattutto per il problema dell'aria, perché noi non sapevamo come erano fatti i filtri elettrostatici. Ci siamo quindi fatti progettare questi filtri da un'azienda specializzata. La progettazione e la concezione dell'intero sistema sono invece di Carlotta de Bevilacqua.

La nostra vera innovazione, però, si chiama Tolomeo e il suo successo deriva dalla sua etrema funzionalità e con Tizio, disegnata da Richard Sapper nel 1972, abbiamo conquistato il mondo. Sono lampade poli-uso perché si possono usare nelle varie stanze della casa, in ufficio.
Oggi le lampade sono a led, che sono una continua innovazione: ne stanno facendo sempre di nuovi, con diminuzione di prezzo.
Artemide è nata con i migliori designer italiani, che erano i migliori architetti dell'epoca. Poi siamo cresciuti e abbiamo chiamato anche i migliori designer del mondo per essere sicuri di avere il meglio. Questo è anche un motivo per cui abbiamo deciso di potere Artemide in tanti Paesi esteri: essendo là noi possiamo incontrare e discutere con i migliori designer del mondo, ma anche conoscere le leggi e i costumi dei diversi posti.

Per quanto riguarda la ricerca, recentemente abbiamo costituito un gruppo di medici, psicologi ed esperti di marketing per studiare la luce bianca. Di luce bianca non ce n'è una sola, ma tantissime, che vanno da 2600 gradi Kelvin della luce calda della candela fino ai 10 mila Kelvin del sole e ai 13 mila della luna. Abbiamo chiesto ai medici che influenza può avere la luce, in particolare quella bianca, sulla persona. Che luce si vuole nei vari momenti della giornata e soprattutto a casa, che luce bianca può dare benessere? Abbiamo abbinato una luce bianca diversa per ogni stato d'animo, anche se non per tutti allo stesso bianco corrispondono le stesse sensazioni.
Lo scopo è di raggiungere il benessere attraverso le lampade, ma senza mirare a nessun tipo di guarigione o di pratiche cromoterapiche. Semplicemente "I care", avere cura di sé attraverso un sistema di illuminazione.
La nostra lampada regola l'intensità della luce bianca che la macchina ricostruisce in tutte le sue gradazioni.

PB: Io ringrazio molto Ernesto Gismondi non solo perché ci ha spiegato molte cose, ma ci ha portato anche una testimonianza del personaggio, con tutte le sue complessità di sapere e di volere.
Questo dimostra che intorno all'innovazione c'è sempre una presenza umana e quindi c'è una responsabilità esistenziale, che poi è quello di cui la FGB si occupa e che ci interessa testimoniare, specialmente in un ambiente formativo come quello universitario.
Il nostro Paese ha un futuro se continuerà ad avere protagonisti della vita produttiva, ma anche della nostra vita esistenzaiale, come Ernesto Gismondi.
"Lavorare, lavorano tutti" diceva mio zio: ma lavorare deve avere un senso. Una volta il senso veniva dal senso del servizio, oggi il senso lo dà l'innovazione. "I care" è importantissimo.
In un mondo che si glocalizza dobbiamo essere quelli che insegnano a realizzare l' "I care". In questo modo possiamo superare tutte le crisi. E secondo me gli unici che potrebbero stare con noi sono proprio i cinesi: l'ideogramma Italia in cinese significa il "Paese delle idee". In Cina ci vedono come il paese delle idee e noi facciamo bene a vedere la Cina come un altro paese delle idee, perché tante cose hanno insegnato al mondo e tante ne insegneranno. Se noi italiani riusciremo nel campo dell'innovazione a farci portatori di questa responsabilità esistenziale dell'uomo, allora saremo gli unici a sfidare la massificazione che è la vera sfida della nostra epoca.


by Valentina Porcellana on 07.12.05 at 23:30 | Permalink |

06.12.05

L'azienda: la macchina armonica di Ernesto Gismondi

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Presentazione alla LIUC di Castellanza Presentazione alla LIUC di Castellanza

Qual è il percorso della mia vita?

Mio padre faceva il cinema, io ho deciso di fare un'altra cosa. Prima ho pensato di fare gli aeroplani, poi i missili. Però per fare missili bisognava avere tanti soldi, quindi ho chiuso la partita missili. Mi sono divertito ad aprire Artemide mentre insegnavo al Politecnico. Sono anch'io uno di quegli italiani che se non ha due o tre lavori non passa bene la giornata!
Mi sono messo a fare lampade perché c'era di mezzo il design, un nuovo modo di pensare.
Molte volte i figli non seguono i padri e il mio consiglio per voi è: fate quello che vi piace, perché se non fate ciò che vi piace siete morti. Mio figlio è stato a dirigere per due o tre mesi Artemide Stati Uniti, ma al ritorno mi ha detto: "Papà, il tuo lavoro è troppo noioso, me ne vado!" e io gli ho risposto: "Eh, caro figlio mio, io sono 45 anni che mi annoio, adesso speravo che ti annoiassi un po' tu!". In realtà il nostro lavoro è tutt'altro che noioso, ma bisogna mettere in conto che i momenti in cui si prendono le grandi decisioni, in cui ci si sente di poter cambiare il mondo sono degli istanti nella nostra vita, mentre tutti i giorni dobbiamo avere a che fare con i problemi legati al personale, ai concorrenti, al mercato. Senza contare i grandi pensieri come la globalizzazione e allora lì devi proprio pensare!
Quando avevo dei dubbi andavo dal mio professore di Aerodinamica al Politecnico di Milano, Bruno Filzi, e gli chiedevo: "Professore, non mi sembra che in Italia ci siano tante aziende che fanno aeroplani e che io possa avere un grande avvenire". E lui mi rispondeva: "Tu fai esattamente ciò che ti piace, perché quando una cosa ti piace la fai bene e con entusiasmo, poi a decidere che cosa farai nella vita, ci penserà la vita".

L'azienda è una macchina utile alla società? Che cosa deve fare l'imprenditore?

Le aziende oggi si confrontano con il mondo, sono la spinta del mondo, senza nulla togliere alla politica, alla religione, etc. Sull'utilità sociale io non ho il minimo dubbio: pensate un modo senza lavoro come può essere, è meglio cercare di salvare i posti di lavoro e fare tutto il possibile perché la gente possa vivere, possa avere una casa. Ciò che conta è che ognuno faccia la propria parte attraverso il lavoro, dal quale si ricava il reddito per vivere.
Io guardo sempre con grande preoccupazione come vengono gestite le aziende: troppe volte vengono gestite a livello di giochetto personale, legato agli interessi personali e non a quelli dell'intera macchina.
L'azienda è fatta da centinaia di persone che dedicano una fetta della loro vita al lavoro ed è chiaro che prendono un stipendio, ci mancherebbe altro, ma dedicano parte della loro vita a te che guidi l'azienda e l'imprenditore può moltiplicare la forza delle sue idee proprio grazie alla forza dei tanti che lavorano con lui: molte energie convergono nel realizzare l'obiettivo.
Se l'azienda esiste non è solo per merito di uno che l'ha inventata, ma perché ci sono stati e ci sono tanti che ci lavorano. Per questo la responsabilità dell'imprenditore è assolutamente sociale, non è un fatto privato. Far funzionare un'azienda non vuol dire consentire a qualcuno di comprarsi una barca più grande, ma è una strada ben precisa, un compito che bisogna avere ben presente.

Come mai ci sono aziende che falliscono?

Il fallimento deriva da tante ragioni possibili: una è che il padrone "rincoglionisce" e questo è possibile, l'altra è che cambia il mondo e si crede di poter fare delle cose che invece vanno diversamente.
Vi cito due esempi: quelli della Kodak erano i re del loro settore, facevano tutto e molto bene. Oggi si trovano ad affrontare il fatto che l'uso delle pellicole fotografiche è limitato e tutto il resto è super-elettronico. Sono morti? No, sono stati così bravi da modificare la loro azienda, scegliendosi qualcos'altro per portarne avanti la gestione. Questo per dirvi come può cambiare il mondo, non esistono certezze così forti per un'azienda.
Qualche tempo fa sono andato allo SMAU e giravo tra gli stand e molti erano assediati da montagne di giovani che volevano capire, vedere, toccare. Poi arrivo in uno stand con un tecnigrafo. Ci sono ancora, li avete visti? Un tavolone da disegno con un tecnigrafo messo sopra ed era lì, in bella vista, con l'ultimo modello realizzato. L'omino dello stand era seduto in un angolino e si capiva che aspettava solo l'ora della morte! Non entrava nessuno nello stand; oggi tutti disegnano con le nuove macchine. Tutto il mondo del tecnigrafo non c'è più: oggi dallo schizzo si passa direttamente alla macchina.

Come fa l'azienda a crescere e ad essere qualcuno?

Le imprese devono innovare perché devono continuare ad esistere: se non innovi, se non vai avanti, se non presenti dei prodotti nuovi, dei prodotti che diano qualcosa di più, sei destinato alla morte, come il caso del tecnigrafo.
Inoltre, quello che non fai tu come innovazione, lo fa un'altra azienda, non si può scappare, non si può dire "Beh, io sono bravo, quindi sto fermo": se l'atteggiamento è questo le innovazioni le fa un altro e voi vi trovate improvvisamente le vendite che calano e siete obbligati o a difendervi o a fallire. Quindi innovare serve per la salvaguardia dell'impresa.
Inoltre, per chi fa questo tipo di mestiere, il lavoro innovativo è un piacere, un onore, è la vita. Non so come farei se mi togliessero il mio lavoro, la possibilità di inventare, di studiare i "bisogni inespressi dell'uomo".
La grande soddisfazione è inventare qualcosa, è esserne protagonisti. E con questo non sto dicendo che da una parte c'è il padrone e dall'altra l'azienda: l'insieme è una "macchina armonica", fatta da persone ognuna con il proprio compito. Ciò che nasce non nasce da uno solo, ma da un gruppo di persone che insieme, anche se con funzioni diverse, cercano di raggiungere un risultato.
La nostra soddisfazione è di fare qualcosa di importante, cioè rispondente ai valori che si hanno in quel momento con l'apporto di tutti.

L'innovazione che cos'è? Com'è fatta?

Non vi sto a ripetere che è indispensabile, anche perché credo sia chiaro a tutti. L'innovazione nasce in azienda da uno solo, se c'è un leader, altrimenti da uno staff di menti pensanti che studiano che cosa si deve e che cosa si può fare in funzione di che cosa sa fare l'azienda.
Il reparto che si chiama Ricerca e Sviluppo studia che cosa si può fare nel lungo periodo: ha il compito di "sognare" un po', inventare delle cose, avendo contatti con istituti di ricerca esterni, firmando contratti con dipartimenti universitari. Si pensa con dei discorsi più grandi rispetto al voler far funzionare meglio qualcosa che si ha già.
Il gruppo ha il vantaggio di essere formato da "suonati" che devono pensare cose diverse, ma ha anche lo svantaggio di essere formato da "suonati" che pensano cose tanto diverse che poi è difficile tradurre in pratica.
Su questi progetti a lungo periodo, dobbiamo innestare la macchina del "che fare nel medio termine", che vuol dire creare una politica dell'azienda, per sapere cosa fare per continuare ad avere successo. E successo vuol dire - ve lo ripeto perché è il cuore di tutto - da una parte avere i denari per tutti e dall'altra la soddisfazione di fare qualche cosa di importante, qualcosa con cui segnare la vita dell'uomo in quel momento, lasciare un segno piccolo o grande che sia.

Come fare?

Bisogna guardarsi intorno nel mondo e capire che cosa c'è, chi sono i concorrenti, come si muove la società, quali sono le nuove tendenze. Questo è ciò che si fa nel medio termine, in due o tre anni il programma stabilito deve essere realizzato. In realtà il programma non è mai uno solo, ma ci si muove su canali diversi per riuscire a fare prodotti che siano interessanti.

Vi faccio un esempio vissuto di programma a medio-lungo termine: Artemide e la Cina.

Si parla della Cina, del Sud-Est asiatico, del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), i mercati del futuro, mercati che non si può far finta che non ci siano, perché l'azienda non vive da sola, non è un artefatto che sta lì nella sua nicchia. Se fa la nicchia, muore lentamente, magari con il suo fondatore.
Come affrontiamo la Cina, visto che vogliamo vivere a lungo? Se la vediamo da un certo punto di vista la Cina è un disastro di livello superiore, intanto perché sono tanti, tantissimi. Un solo numero: 860 milioni di contadini che vogliono andare a lavorare in città, persone che vogliono emigrare per avere un altro tipo di lavoro, più remunerativo. Non hanno i nostri diritti garantiti, certo non quello del diritto di proprietà intellettuale, non c'è rispetto per quello che facciamo noi, ma neanche per quello che fanno tra loro. Generalizzando, le cose stanno così, anche se stanno cambiando.
Siamo di fronte ad un concorrente con il quale siamo obbligati ad avere a che fare, non possiamo scappare, anche perché è lui ad inseguirci. E' un grosso gigante che si sta svegliando e per il quale le regole non sono uguali alle nostre. Diventa difficile confrontarsi quando le regole sono così diverse, ma rimane il fatto che questi concorrenti esistono e sono decisi a crescere senza avere rispetto, dato che copiano.

Di fronte a questo che cosa ho fatto io?

Conosco bene questi problemi perché ho frequentato la Cina parecchie volte e ho capito che non è possibile rinunciare a quel mercato, è un suicidio, bisogna assolutamente essere là. Quindi ho pensato che bisogna andare "a combattere" in Cina con quelle che sono le nostre capacità che sono saper produrre ad altissima qualità e con inventiva e saper creare prodotti innovativi e molto belli. Perché la nostra forza, quella che si chiama Made in Italy, è questa nostra capacità di saper creare degli oggetti non solo funzionali, ma di altissimo design e questo ci distingue moltissimo da altri Paesi che fanno cose diverse.
Ho pensato quindi che, per prima cosa, dovevamo fare un esame completo di noi stessi, per capire dove siamo deboli e dove perdiamo efficienza, capire come produrre e come distribuire i prodotti, con quali mezzi e quali costi.
Non dobbiamo riununciare, ma anzi fare tutto al meglio possibile.
La mia soluzione è comprare macchine automatiche, così anche se gli operai cinesi costano poco, quelli di Artemide costano di meno perché sono pochi a guardare delle macchine. Questo vuol dire investire in tecnologia e investire nel processo di produzione per avere dei vantaggi. E i vantaggi sono costruire qui potendo governare facilmente il processo, senza portare l'azienda in altri Paesi, riuscendo a concentrarci a fare dei prodotti migliori.
Quello di cui vi sto parlando è la verticalizzazione del processo produttivo.
C'è chi invece ha scelto altre strade, come quella di andare a produrre in Cina.
E' un problema abbastanza grande, anche perché i cinesi sono tutt'altro che fessi e sono dei copiatori con tutte le intenzioni di migliorare, anche perché sanno che se non si adeguano ai nostri standard di qualità rimarranno loro stessi fregati in un lasso di tempo abbastanza limitato.
Artemide ha scelto di non produrre in Cina e di aprire in Cina solo la parte commerciale. Avevamo già da vent'anni una società che si occupa di Hong Kong e del Sud-Est asiatico, adesso abbiamo aperto a Shanghai Artemide Cina ed è una pura società commerciale, attraverso la quale mettiamo a disposizione dei ricchi cinesi dei prodotti di qualità. Anche se siamo copiatissimi, il cinese se ha i soldi compra l'originale, perché con questa operazione si qualifica.
Stiamo aprendo una catena di negozi in Cina, seppure costosissimi, perché i cinesi si fanno pagare molto.
E' un'operazione di marca, noi vendiamo il Made in Italy, vendiamo la qualità, il servizio.
Dall'altra parte noi utilizziamo nella produzione delle componenti super-collaudate - trasformatori, piccoli computer, fili - prodotte in Cina che ci consentono di limitare il prezzo del prodotto che comunque viene fatto in Italia, Francia, Germania, Ungheria dove abbiamo fabbriche noi.
Se produrremo in Cina, lo faremo per il mercato cinese, non produrremo per noi. E produrremo lampade e sistemi con il nostro marchio, perché è quello che vuole chi compra i nostri prodotti.


by Valentina Porcellana on 06.12.05 at 23:59 | Permalink |

05.12.05

Il Gruppo Artemide - rassegna stampa

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Il Gruppo Artemide, fondato da Ernesto Gismondi e Sergio Mazza nel 1959, oggi opera attraverso 16 società controllate e partecipate e 35 distributori esclusivi in tutto il mondo.
Attraverso gruppi di lavoro differenziati, che operano a monte e a valle di tutto il processo progettuale, la ricerca scientifica del Gruppo Artemide vuole garantire che la luce sia compagna dell'uomo, come fonte di piacere fisico e di benessere psichico.
Questa finalità è riassunta nel messaggio The Human Light.
The Human Light è la luce intelligente, che sa di doversi porre in rapporto con le persone, accompagnandole nelle loro attività quotidiane, all'interno di ogni specifico contesto di vita.

La rassegna stampa qui proposta, che raccoglie alcuni recenti articoli su Ernesto Gismondi e Artemide SpA, vuole guidare il lettore ad un progressivo avvicinamento alle scelte imprenditoriali di un grande successo Made in Italy. (Per leggere gli articoli, clicca sui titoli)


Fondi a caccia del made in Italy

Il Sole 24 ore
3 febbraio 2005
Fondi a caccia del made in Italy
Le società di private equity stanno facendo incetta di imprese del lusso. Artemide cederà una quota prima della borsa
di Carlo Festa


Apro a un fondo di investimento

Il Sole 24ore
16 aprile 2005
"Apro a un fondo di investimento"
Gismondi: "Diponibile a cedere il 30% per andare verso la Borsa"
di Carlo Festa

Mi illumino di idee
L'Epresso
4 agosto 2005
Mi illumino di idee
Dagli ambienti domestici ai grandi progetti architettonici. Storia di un successo italiano
di J. Caracciolo Falck

Stringiamo i denti e puntiamo su Shanghai
La Repubblica - Supplemento Affari e Finanza
24 gennaio 2005
"Stringiamo i denti e puntiamo su Shanghai"
Ernesto Gismondi, Presidente di Artemide, spiega le strategie per resistere all'ondata che viene da Est: "Iniziamo a produrre in casa loro"
di R.T.


La Cina non fa ombra alle strategie di Artemide

La Repubblica - Supplemento Affari e Finanza
10 ottobre 2005
La Cina non fa ombra alle strategie di Artemide
di Irene Maria Scalise


by Valentina Porcellana on 05.12.05 at 19:59 | Permalink |

04.12.05

Creatività e tecnologia: l'innovazione secondo Ernesto Gismondi

Soddisfare i bisogni che la gente non sa ancora di avere. Parola di Ernesto Gismondi, Presidente di Artemide SpA, che sarà ospite di Piero Bassetti all'Università Carlo Cattaneo-LIUC di Castellanza lunedì 5 dicembre 2005 alle ore 10.00 in aula C112.


ERNESTO GISMONDI

1931
Nasce a Sanremo

1957
Laurea in Ingegneria Aereonautica al politecnico di Milano.

1959
Laurea in Ingegneria Missilistica alla Scuola Superiore di Ingegneria di Roma.

1959
Fonda, con il noto designer milanese Sergio Mazza, Artemide SpA, società leader nel campo dell' illuminazione di cui é Presidente. Artemide ha inizialmente una organizzazione artigianale per la produzione di lampade e prosegue sviluppando prodotti per un mercato di maggior diffusione.

1959-1964
E' assistente presso l'Istituto di Macchine del Politecnico di Milano.

1964-1984
E' Professore Associato di "Motori per Missili" al Politecnico di Milano.

Ha ricoperto la carica di Vice Presidente dell'A.D.I., l'Associazione per il Disegno Industriale, con sede a Milano.

Trasferisce alcune delle tecnologie specialistiche avanzate nel campo del mobile.
Passa al processo di produzione delle materie plastiche per estrusione, applicandole nel settore del mobile.
Prosegue nella produzione industriale di apparecchi di illuminazione sempre all'avanguardia per forme e tecnologie.

Si afferma quale designer internazionale.

Dal 1970
Disegna per Artemide diversi apparecchi di illuminazione di successo, con particolare attenzione al controllo ed alla sofisticazione della luce.

Dal 1981
Sviluppa Memphis, un laboratorio di ricerca sul design di avanguardia e dal 1989 la ricerca è estesa al rapporto artista-designer con Meta-Memphis e Memphis-Extra.

Presiede diverse società del gruppo Artemide.

In seno all'Associazione Industriale Lombarda (Assolombarda) ha ricoperto le cariche di:
- membro del consiglio direttivo
- membro del consiglio per la piccola industria.
É membro della giunta esecutiva.

In Federmeccanica ha ricoperto le cariche di:
- membro di giunta
- membro del comitato permanente per la piccola industria.

In Confindustria ha ricoperto le cariche di:
- membro del comitato nazionale per la piccola industria
- membro del consiglio centrale per la piccola industria
- vice presidente con delega per i rapporti interni dal 1988 al 1992
- membro della giunta esecutiva.
Ha presieduto il "Gruppo di lavoro per la tutela giuridica del design".

Per l'Ente Autonomo Fiera di Milano ha ricoperto le cariche di:
- membro del consiglio generale fra i rappresentanti degli industriali
- Presidente vicario dell'Ente Autonomo Fiera di Milano.

Per il Ministero per l'Università e la Ricerca ha operato quale:
- membro della Commissione per predisposizione di un piano di settore relativo alle facoltà di
architettura.

1993-1995
E' vice Presidente del Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (C.N.E.L.).

1994
Pone la sua candidatura al Senato della Repubblica nella lista progressista del collegio 1 di Milano.

E' stato membro del Consiglio di Amministrazione dell'E.A. La Triennale di Milano.

Dal 1994
E' membro del Comitato scientifico didattico dell'I.S.I.A. (Istituto Superiore per le Industrie Artistiche/Indusrial design) di Firenze con nomina del Ministero della Pubblica Istruzione.

1995-1998
E' membro del Collegio dei Probiviri del COSMIT (Comitato Organizzatore del Salone del Mobile di Milano).

1995-2000
E' componente del C.N.E.L., nominato dalla Presidenza della Repubblica .

Tra le attività didattiche ha presieduto e partecipato attivamente a numerosi seminari, in Italia ed all'estero, sul design ed i suoi sviluppi, sul risparmio energetico applicato all'illuminazione:
- The Parson School of Design, New York.
- Associazione Italiana Progettisti Industriali, Milano.
- Pacific Design Center, West Week, Los Angeles.
- Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura.
- Via Design, Diffusart, promosso dal Ministero degli Affari Culturali del Quebec.
- Unitè Pedagogique d'Architecture, Strasburgo.
- Università degli Studi di Pisa, Dipartimento di Economia Aziendale.
- Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, Milano.
- Assolombarda, Milano.
- Domus Accademy, Milano.
- Associazione Industriale, Treviso.
- Convegno Galgano sulla Qualità, Milano.
- Covegno Università degli Studi e Unione Industriali di Parma, sulla tutela del design.
- Centro di Cultura Scientifica "A.Volta", Como.
- Centro Affari Istituto Italiano per il Commercio con l'Estero, Parigi.
- Austrian Design Institute/Central European Design Conference, Vienna.
- The Scandinavian Management Symposium, Bergen, Norvegia.
- Università degli Studi di Napoli, Scuola di specializzazione in disegno industriale.
- Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, Dipartimento di programmazione e produzione edilizia.
- 17ma edizione ICSID di Lubiana, Slovenia.
- Corso di "Management e progetto" al Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura, anno accademico 1995/96


by Valentina Porcellana on 04.12.05 at 17:07 | Permalink |

03.12.05

Ottavio Missoni: non sapevo di essere innovativo mentre lo facevo

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Dopo avere raccontato con grande brio la sua vita tra sport e creatività, Ottavio Missoni si confronta con gli studenti e il pubblico presente. Nel dibattito, guidato da Piero Bassetti, sono intervenuti il prof. Alessandro Sinatra e Giacomo Correale Santacroce.

Piero Bassetti: L'essenza dell'innovazione creativa è saper mettere insieme creatività, lavoro e tecnologia. Quel riferimento che Missoni ha fatto alle macchine e al condizionamento che la tecnologia impone secondo me è molto importante. Tra creatività e tecnologia c'è un rapporto.

Ottavio Missoni: Noi avevamo una parte creativa, ma io ho fatto la gavetta con le macchine, sapevo come funzionavano, facevo i disegni sulla carta quadrettata e sapevo tecnicamente quali erano i materiali che dovevo adoperare e sapevo come utilizzarli con le macchine che avevamo a disposizione.

PB: Al di là delle apparenze c'è molto mestiere. Ma le cose che creavi come venivano proposte a donne e uomini? Come siete passati dalla soddisfazione di avere creato un bel golf o una bella sciarpa al fatto che tutti indossassero i vostri capi?

OM: Il nostro mercato non è mai stato programmato. Fino agli anni '70 di soldi per la pubblicità non ne spendevamo, anche perché non ne avevamo da spendere, dovevamo essere molto attenti nella gestione.
La pubblicità ci veniva data spontaneamente dai giornali perché proponendo qualcosa di diverso la stampa parlava di noi senza che la sollecitassimo. Io, la prima copertina, l'ho avuta a Parigi, neanche in Italia, e la copertina era importante, ma l'ho avuta senza pagare una lira. E' stato un successo di passaparola da parte della clientela che ha trovato belle queste sciarpine che sono diventate quasi tradizionali. Ma non è qualcosa che avessimo programmato, è venuto spontaneo dai clienti e dalla stampa.

PB: Quando tu vedevi che la gente cambiava modo di vestire, dentro di te sentivi qualche forma di responsabilità per avere introdotto questo cambiamento?

OM: Avevo piacere a vedere che queste cose venivano indossate, anche perché era un modo innovativo. E' chiaro che facesse piacere. Io sono stato un innovatore e sono contento che pur evolvendo, cambiando con i tempi, noi siamo rimasti sempre "in tema". Anche perché, se vogliamo dire, c'è differenza tra moda e costume e le grandi innovazioni sono state jeans, T-shirt e scarpe da tennis. Anche la minigonna, che però ad un certo punto è stata soppiantata dai pantaloni.
Ma lasciatemi dire un'altra cosa: ho visto aziende per cui l'innovazione era produrre e vendere il prodotto ad una lira di meno di quello del concorrente. A me sembra assurdo, il ragionamento dell'innovazione è al contrario: se tu vendi un prodotto nuovo deve costare una lira di più, ma senza fare il passo più lungo della gamba.

PB: L'innovazione di tipo competitivo - quella della lira in meno - è diversa dall'innovazione creativa. Riprendendo la tua esperienza sportiva, quando tu gareggiavi correvi in corsia e non ti saresti mai permesso di saltare nell'altra corsia; quando sei diventato imprenditore hai saltato sempre nell'altra corsia! Competere e innovare sono due cose molto diverse: per competere un passo in più e un secondo in meno vuol dire vincere, per innovare serve la novità che ti porta a vincere anche se corri meno. Questo è un discorso centrale per capire che cos'è l'innovazione.

Domanda dal pubblico: Ha mai avuto dei dubbi?

OM: Io sono pieno di dubbi ed è forse solo grazie a questi dubbi che sono riuscito a fare qualcosa. Se avessi avuto solo delle certezze forse sarei stato molto più sereno, ma con le sole certezze non avrei fatto molto. Ma quelli con le certezze non sono personaggi che mi piacciono. I dubbi ci sono perché ogni cosa che fai non sai se è quella giusta e ti domandi se la stessa cosa avresti potuto farla meglio. L'importante è non avere le certezze!

Domanda: Ha incontrato grandi difficoltà?

OM: Se ne incontravo, facevo finta di non conoscerle! Quando le incontri, fai finta di non esserci!

Domanda: Perché proprio la maglia? E' stato un caso?

OM: E' stato un caso. Un mio amico, Giorgio Oberweger, aveva una macchina di maglieria, poi ne abbiamo comprata un'altra e abbiamo fatto società. E' così che ho trovato questo mestiere della maglia.

PB: All'inizio hanno avuto successo perché hanno fatto la prima bella tuta sportiva che aveva un accorgimento che ancora oggi è rivelatore di stile: la parola "Italia" non era in bianco, ma era in negativo. E credo che questa tuta sia sta importante per l'inizio del successo dell'impresa. Aveva anche un'altra cosa intelligente: la lampo lunga sul polpaggio perché si togliesse facilmente e questo è un segno del mestiere. Molto del successo del Made in Italy è fatto dalle piccole trovate, come l'accorgimento della lampo lunga, che fanno dire "Questa cosa qui è meglio di un'altra!".

OM: Nel caso dell'abbigliamento, la prima cosa è scegliere materiali e forme in funzione delle esigenze di chi indosserà il capo. In un secondo tempo interviene l'estetica e a questo punto puoi anche migliorare il prodotto.

Domanda: E' possibile rendere istituzionale all'interno dell'azienda il processo che lei ci ha raccontato?

OM: Io sono stato fortunato, ma non c'è sempre l'opportunità di scegliere il proprio mestiere. Se uno ha la fortuna e la capacità di individuare una "fascia di lavoro" che coincida con il suo interesse personale, ecco che questo lavoro lo interessa, lo affascina. E' una cosa molto individuale, mi auguro che tutti possano scegliere un mestiere, un lavoro nel quale possano identificarsi e trovare interesse.

PB: Questo è il problema delle motivazioni. Ma come trasferisci queste motivazioni ad una macchina produttiva, ad un'impresa?

OM: Questo viene in un secondo momento, è una conseguenza. Se uno può scegliere, poi da cosa nasce cosa.

Domanda: Lei ha iniziato nel 1953, ma se avesse dovuto iniziare adesso?

OM: Per essere innovativi, all'epoca i tempi erano abbastanza favorevoli. Questo perché eravamo in pochi, stava morendo l'alta moda e stava nascendo quello che poi è stato chiamato il prêt-à-poter e il campo era abbastanza vergine. Negli anni '70 a Milano eravamo 7 e oggi siamo 300 e questo vuol dire che c'è stato spazio per altri anche in tempi successivi. Certo oggi sarebbe più difficile, magari useremmo delle altre regole, non vi saprei dire che cosa succederebbe se io dovessi iniziare un'attività adesso. I miei figli lavorano diversamente, ma non hanno tradito le origini della bottega.

Domanda: Quali stimoli le facevano creare i nuovi modelli e inventare le fantasie?

OM: Sono gli stimoli, miei, tuoi, di tutti.Davanti alle scelte, ai problemi, ognuno li affronta secondo le proprie esperienze, secondo la propria cultura, il proprio vissuto. Metti insieme tutte le esperienze e ti comporti di conseguenza. Più che uno stimolo iniziale, è la riposta ad un problema che ti si pone e che risolvi in un certo modo. Un'altra persona che deve affrontare lo stesso problema, magari lo risolve in un'altra maniera. Non ci sono stimoli particolari, ma cerchi di fare le cose come ti viene in quel momento.
Io facevo la maglia e non era un fatto di moda, ma il risultato di due componenti: la materia e il colore. Questi erano gli elementi di base del mio lavoro, oltre a conoscere la tecnica e sapere che cosa succedeva durante la lavorazione con le macchine. Quindi per la scelta dei colori, gli stimoli venivano da tutte le parti, dall'arte moderna, dall'arte antica. Non che io mi ispiri alla natura, ma tutto arriva dalla natura. I grandi artisti si ispirano alla natura e io mi ispiro ai grandi artisti. I colori sono come le note musicali che sono solo sette, ma guarda quante melodie sono state composte nel corso dei secoli! Ognuno si esprime attraverso certe scelte, scegliendo un proprio modo di mettere insieme i pezzi. E' l'esperienza che ti forma, anche quella della bottega, ma non c'è nessuna scuola che può insegnare queste cose.
Magari la teoria dice che due colori di un certo tipo non possono essere abbinati perché stridono, ma nella pratica puoi trovare un colore che in mezzo agli altri due riesce a legarli e a rendere armonico l'insieme.

PB: L'innovazione estetica è un modo nuovo di piacere alla sensibilità e questo modo nuovo lo puoi raggiungere seguendo certe regole - per esempio in musica le regole dell'armonia - oppure andando contro ad alcune di queste regole. Lo stesso è con l'armonia dei colori: a volte un incrocio eterodosso, proprio perché è nuovo, può essere quello che piace di più.

Domanda: Crede che le letture fatte durante la sua prigionia siano state importanti per le sue esperienze successive?

OM: Come ho già detto, credo che la lettura sia miracolosa. Anche ai miei figli ho sempre raccomandato la lettura, non che li obbligassi, ma facevo girare in casa certi libri e li lascivao in giro casualmente e loro magari li leggevano! La mia vera scuola di pensiero è stata la lettura. Poi ognuno sceglie e seleziona, ma l'importante è conoscere. La lettura è fondamentale per la formazione. Per me l'osteria e la lettura sono state la mia scuola!

PB: Io mi ricordo che agli allenamenti di Perugia il Missoni mi regala Cardarelli e io ce l'ho sempre. E davvero con pochi euro, comprando un libro vi comprate la possibilità di passare qualche ora con chi volete. Io questo l'ho imparato da Prezzolini con Saper leggere, bellissimo libro.

Domanda: Tornando al discorso della tecnologia. Poco fa diceva che all'inizio avevate macchine che facevano righe orizzontali e avete prodotto maglie a righe; poi sono arrivate macchine che facevano lo zig-zag e avete prodotto maglie a zig-zag. Ma chi produceva queste macchine, lo faceva per conto proprio o c'era un contatto tra voi e i produttori di tecnologia? E chi vi forniva la tecnologia dove stava?

OM: Chi ci forniva la tecnologia stava qui intorno. Noi dipendevamo da qui sia per tingere una lana, sia per un ago, per tutto. Noi abbiamo tutte macchine Jacquard, così si chiamano, ma una volta per progettare un disegno era tutto a catena con i chiodi, dovevo progettarlo e farlo e poi dopo un mese riuscivo ad avere il risultato. Adesso c'è il computer che legge tutto benissimo. La tecnologia ti aiuta moltissimo, anche perché adesso il risultato io ce l'ho in 24 ore, una volta aspettavo due mesi per vedere che cosa succedeva. Noi abbiamo recuperato certe macchine di ricamifici che già esistevano nella zona di Gallarate negli anni '20 e che nessuno sapeva più fare funzionare. Abbiamo dovuto chiamare qualche vecchio operaio che le conosceva per farle funzionare. Noi le abbiamo riattivate anche perché erano macchine straordinarie queste Jacquard, non hai idea di quello che facevano! E la macchina è straordinaria anche per le invenzioni, per darti delle idee. Completamente diverse da quelle macchine che potevano fare solo righe. Con i produttori di macchinari si cercava di recuperare anche roba vecchia.
Non c'entra con la tecnologia, ma quando abbiamo inventato i "fiammati", in realtà li abbiamo trovati a casa della Rosita. A casa dei suoi nonni producevano gli scialli veneziani con cui negli anni '20 e '30 si facevano anche gli abat-jour e loro avevano tutto questo materiale di ryon di quattro, cinque colori e ricamandolo con le macchine il fiore veniva multicolorato. Noi l'abbiamo preso e l'abbiamo trasferito nella maglieria e c'era già una tecnologia di tingere in un certo modo. Abbiamo recuperato molte cose, compreso il ryon come materiale, per rimetterle in circolo. I filati erano pochi, io andavo a prendere i filati nelle tessiture e poi li abbinavo con i filati che trovavo: era una ricerca che veniva adattata alla tecnologia che ti permetteva di fare queste cose. Sono stato il primo ad andare a stampare la lana e il cotone a Como e mi mandavano via a pedate con le duecento pezze da far stampare. La maglia non la potevano stendere come il tessuto e ne ho trovato uno solo che mi ha dato retta e abbiamo stampato per primi la maglia a Lecco.

Prof. Sinatra: E' molto interessante la testimonianza che ci è data qui oggi perché ci aiuta a decostruire quella visione romantica che descrive l'innovazione come la pensata di un momento. In realtà l'innovazine è il frutto di un processo di verifica, di sperimentazione, di prova.

OM: Ma io non sapevo di essere innovativo mentre lo facevo!

Prof. Sinatra: Ma infatti è la professionalità con cui uno cerca di costruire il proprio mestiere che, unita alle capacità dell'attore, può produrre innovazione. Innovazione vuol dire sapere molto bene quali sono i limiti tecnologici e poi aprire alla novità.

OM: Ci vuole la curiosità, la ricerca, la sperimentazione, provare più volte la stessa cosa.

Prof. Sinatra: Un'altra cosa per me fondamentale è che tutto questo è cultura.

OM: E' quello che io chiamo esperienza, che è la somma di culture varie, quello che hai bevuto di notte con gli amici, quello che hai letto, quello che hai conversato. Tutto si somma e viene tradotto in un risultato.

PB: E questo secondo me è la ragione del successo dell'innovazione italiana, il contenuto di umanesimo.

Prof. Sinatra: E da qui deriva l'assoluta difficioltà a copiarlo, perché è un prodotto di cultura che non è trasferibile.

Domanda: Voi fate lavorare artigiani della zona? E in futuro sarà ancora così?

OM: Tutto quello che facciamo nasce nella nostra azienda, che è abbastanza piccola, ha 250 dipendenti. Non facciamo nascere cose al di fuori, se non quello che, come gioielli o scarpe, viene fatto su nostro progetto ma in ditte specializzate che collaborano con noi. Noi abbiamo poche licenze, una sugli occhiali e ne avremo una molto importante sul profumo, finalmente.

Domanda: I dipendenti sono puri esecutori o hanno una capacità creativa?

OM: Alcuni dipendenti hanno capacità creative: per esempio la mia assistente ha capacità creativa perché lavora con me, ma la maggior parte sono quelli che eseguono, anche se devono conoscere bene il loro mestiere.


by Valentina Porcellana on 03.12.05 at 09:30 | Permalink |