06.12.05

L'azienda: la macchina armonica di Ernesto Gismondi

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Presentazione alla LIUC di Castellanza Presentazione alla LIUC di Castellanza

Qual è il percorso della mia vita?

Mio padre faceva il cinema, io ho deciso di fare un'altra cosa. Prima ho pensato di fare gli aeroplani, poi i missili. Però per fare missili bisognava avere tanti soldi, quindi ho chiuso la partita missili. Mi sono divertito ad aprire Artemide mentre insegnavo al Politecnico. Sono anch'io uno di quegli italiani che se non ha due o tre lavori non passa bene la giornata!
Mi sono messo a fare lampade perché c'era di mezzo il design, un nuovo modo di pensare.
Molte volte i figli non seguono i padri e il mio consiglio per voi è: fate quello che vi piace, perché se non fate ciò che vi piace siete morti. Mio figlio è stato a dirigere per due o tre mesi Artemide Stati Uniti, ma al ritorno mi ha detto: "Papà, il tuo lavoro è troppo noioso, me ne vado!" e io gli ho risposto: "Eh, caro figlio mio, io sono 45 anni che mi annoio, adesso speravo che ti annoiassi un po' tu!". In realtà il nostro lavoro è tutt'altro che noioso, ma bisogna mettere in conto che i momenti in cui si prendono le grandi decisioni, in cui ci si sente di poter cambiare il mondo sono degli istanti nella nostra vita, mentre tutti i giorni dobbiamo avere a che fare con i problemi legati al personale, ai concorrenti, al mercato. Senza contare i grandi pensieri come la globalizzazione e allora lì devi proprio pensare!
Quando avevo dei dubbi andavo dal mio professore di Aerodinamica al Politecnico di Milano, Bruno Filzi, e gli chiedevo: "Professore, non mi sembra che in Italia ci siano tante aziende che fanno aeroplani e che io possa avere un grande avvenire". E lui mi rispondeva: "Tu fai esattamente ciò che ti piace, perché quando una cosa ti piace la fai bene e con entusiasmo, poi a decidere che cosa farai nella vita, ci penserà la vita".

L'azienda è una macchina utile alla società? Che cosa deve fare l'imprenditore?

Le aziende oggi si confrontano con il mondo, sono la spinta del mondo, senza nulla togliere alla politica, alla religione, etc. Sull'utilità sociale io non ho il minimo dubbio: pensate un modo senza lavoro come può essere, è meglio cercare di salvare i posti di lavoro e fare tutto il possibile perché la gente possa vivere, possa avere una casa. Ciò che conta è che ognuno faccia la propria parte attraverso il lavoro, dal quale si ricava il reddito per vivere.
Io guardo sempre con grande preoccupazione come vengono gestite le aziende: troppe volte vengono gestite a livello di giochetto personale, legato agli interessi personali e non a quelli dell'intera macchina.
L'azienda è fatta da centinaia di persone che dedicano una fetta della loro vita al lavoro ed è chiaro che prendono un stipendio, ci mancherebbe altro, ma dedicano parte della loro vita a te che guidi l'azienda e l'imprenditore può moltiplicare la forza delle sue idee proprio grazie alla forza dei tanti che lavorano con lui: molte energie convergono nel realizzare l'obiettivo.
Se l'azienda esiste non è solo per merito di uno che l'ha inventata, ma perché ci sono stati e ci sono tanti che ci lavorano. Per questo la responsabilità dell'imprenditore è assolutamente sociale, non è un fatto privato. Far funzionare un'azienda non vuol dire consentire a qualcuno di comprarsi una barca più grande, ma è una strada ben precisa, un compito che bisogna avere ben presente.

Come mai ci sono aziende che falliscono?

Il fallimento deriva da tante ragioni possibili: una è che il padrone "rincoglionisce" e questo è possibile, l'altra è che cambia il mondo e si crede di poter fare delle cose che invece vanno diversamente.
Vi cito due esempi: quelli della Kodak erano i re del loro settore, facevano tutto e molto bene. Oggi si trovano ad affrontare il fatto che l'uso delle pellicole fotografiche è limitato e tutto il resto è super-elettronico. Sono morti? No, sono stati così bravi da modificare la loro azienda, scegliendosi qualcos'altro per portarne avanti la gestione. Questo per dirvi come può cambiare il mondo, non esistono certezze così forti per un'azienda.
Qualche tempo fa sono andato allo SMAU e giravo tra gli stand e molti erano assediati da montagne di giovani che volevano capire, vedere, toccare. Poi arrivo in uno stand con un tecnigrafo. Ci sono ancora, li avete visti? Un tavolone da disegno con un tecnigrafo messo sopra ed era lì, in bella vista, con l'ultimo modello realizzato. L'omino dello stand era seduto in un angolino e si capiva che aspettava solo l'ora della morte! Non entrava nessuno nello stand; oggi tutti disegnano con le nuove macchine. Tutto il mondo del tecnigrafo non c'è più: oggi dallo schizzo si passa direttamente alla macchina.

Come fa l'azienda a crescere e ad essere qualcuno?

Le imprese devono innovare perché devono continuare ad esistere: se non innovi, se non vai avanti, se non presenti dei prodotti nuovi, dei prodotti che diano qualcosa di più, sei destinato alla morte, come il caso del tecnigrafo.
Inoltre, quello che non fai tu come innovazione, lo fa un'altra azienda, non si può scappare, non si può dire "Beh, io sono bravo, quindi sto fermo": se l'atteggiamento è questo le innovazioni le fa un altro e voi vi trovate improvvisamente le vendite che calano e siete obbligati o a difendervi o a fallire. Quindi innovare serve per la salvaguardia dell'impresa.
Inoltre, per chi fa questo tipo di mestiere, il lavoro innovativo è un piacere, un onore, è la vita. Non so come farei se mi togliessero il mio lavoro, la possibilità di inventare, di studiare i "bisogni inespressi dell'uomo".
La grande soddisfazione è inventare qualcosa, è esserne protagonisti. E con questo non sto dicendo che da una parte c'è il padrone e dall'altra l'azienda: l'insieme è una "macchina armonica", fatta da persone ognuna con il proprio compito. Ciò che nasce non nasce da uno solo, ma da un gruppo di persone che insieme, anche se con funzioni diverse, cercano di raggiungere un risultato.
La nostra soddisfazione è di fare qualcosa di importante, cioè rispondente ai valori che si hanno in quel momento con l'apporto di tutti.

L'innovazione che cos'è? Com'è fatta?

Non vi sto a ripetere che è indispensabile, anche perché credo sia chiaro a tutti. L'innovazione nasce in azienda da uno solo, se c'è un leader, altrimenti da uno staff di menti pensanti che studiano che cosa si deve e che cosa si può fare in funzione di che cosa sa fare l'azienda.
Il reparto che si chiama Ricerca e Sviluppo studia che cosa si può fare nel lungo periodo: ha il compito di "sognare" un po', inventare delle cose, avendo contatti con istituti di ricerca esterni, firmando contratti con dipartimenti universitari. Si pensa con dei discorsi più grandi rispetto al voler far funzionare meglio qualcosa che si ha già.
Il gruppo ha il vantaggio di essere formato da "suonati" che devono pensare cose diverse, ma ha anche lo svantaggio di essere formato da "suonati" che pensano cose tanto diverse che poi è difficile tradurre in pratica.
Su questi progetti a lungo periodo, dobbiamo innestare la macchina del "che fare nel medio termine", che vuol dire creare una politica dell'azienda, per sapere cosa fare per continuare ad avere successo. E successo vuol dire - ve lo ripeto perché è il cuore di tutto - da una parte avere i denari per tutti e dall'altra la soddisfazione di fare qualche cosa di importante, qualcosa con cui segnare la vita dell'uomo in quel momento, lasciare un segno piccolo o grande che sia.

Come fare?

Bisogna guardarsi intorno nel mondo e capire che cosa c'è, chi sono i concorrenti, come si muove la società, quali sono le nuove tendenze. Questo è ciò che si fa nel medio termine, in due o tre anni il programma stabilito deve essere realizzato. In realtà il programma non è mai uno solo, ma ci si muove su canali diversi per riuscire a fare prodotti che siano interessanti.

Vi faccio un esempio vissuto di programma a medio-lungo termine: Artemide e la Cina.

Si parla della Cina, del Sud-Est asiatico, del BRIC (Brasile, Russia, India, Cina), i mercati del futuro, mercati che non si può far finta che non ci siano, perché l'azienda non vive da sola, non è un artefatto che sta lì nella sua nicchia. Se fa la nicchia, muore lentamente, magari con il suo fondatore.
Come affrontiamo la Cina, visto che vogliamo vivere a lungo? Se la vediamo da un certo punto di vista la Cina è un disastro di livello superiore, intanto perché sono tanti, tantissimi. Un solo numero: 860 milioni di contadini che vogliono andare a lavorare in città, persone che vogliono emigrare per avere un altro tipo di lavoro, più remunerativo. Non hanno i nostri diritti garantiti, certo non quello del diritto di proprietà intellettuale, non c'è rispetto per quello che facciamo noi, ma neanche per quello che fanno tra loro. Generalizzando, le cose stanno così, anche se stanno cambiando.
Siamo di fronte ad un concorrente con il quale siamo obbligati ad avere a che fare, non possiamo scappare, anche perché è lui ad inseguirci. E' un grosso gigante che si sta svegliando e per il quale le regole non sono uguali alle nostre. Diventa difficile confrontarsi quando le regole sono così diverse, ma rimane il fatto che questi concorrenti esistono e sono decisi a crescere senza avere rispetto, dato che copiano.

Di fronte a questo che cosa ho fatto io?

Conosco bene questi problemi perché ho frequentato la Cina parecchie volte e ho capito che non è possibile rinunciare a quel mercato, è un suicidio, bisogna assolutamente essere là. Quindi ho pensato che bisogna andare "a combattere" in Cina con quelle che sono le nostre capacità che sono saper produrre ad altissima qualità e con inventiva e saper creare prodotti innovativi e molto belli. Perché la nostra forza, quella che si chiama Made in Italy, è questa nostra capacità di saper creare degli oggetti non solo funzionali, ma di altissimo design e questo ci distingue moltissimo da altri Paesi che fanno cose diverse.
Ho pensato quindi che, per prima cosa, dovevamo fare un esame completo di noi stessi, per capire dove siamo deboli e dove perdiamo efficienza, capire come produrre e come distribuire i prodotti, con quali mezzi e quali costi.
Non dobbiamo riununciare, ma anzi fare tutto al meglio possibile.
La mia soluzione è comprare macchine automatiche, così anche se gli operai cinesi costano poco, quelli di Artemide costano di meno perché sono pochi a guardare delle macchine. Questo vuol dire investire in tecnologia e investire nel processo di produzione per avere dei vantaggi. E i vantaggi sono costruire qui potendo governare facilmente il processo, senza portare l'azienda in altri Paesi, riuscendo a concentrarci a fare dei prodotti migliori.
Quello di cui vi sto parlando è la verticalizzazione del processo produttivo.
C'è chi invece ha scelto altre strade, come quella di andare a produrre in Cina.
E' un problema abbastanza grande, anche perché i cinesi sono tutt'altro che fessi e sono dei copiatori con tutte le intenzioni di migliorare, anche perché sanno che se non si adeguano ai nostri standard di qualità rimarranno loro stessi fregati in un lasso di tempo abbastanza limitato.
Artemide ha scelto di non produrre in Cina e di aprire in Cina solo la parte commerciale. Avevamo già da vent'anni una società che si occupa di Hong Kong e del Sud-Est asiatico, adesso abbiamo aperto a Shanghai Artemide Cina ed è una pura società commerciale, attraverso la quale mettiamo a disposizione dei ricchi cinesi dei prodotti di qualità. Anche se siamo copiatissimi, il cinese se ha i soldi compra l'originale, perché con questa operazione si qualifica.
Stiamo aprendo una catena di negozi in Cina, seppure costosissimi, perché i cinesi si fanno pagare molto.
E' un'operazione di marca, noi vendiamo il Made in Italy, vendiamo la qualità, il servizio.
Dall'altra parte noi utilizziamo nella produzione delle componenti super-collaudate - trasformatori, piccoli computer, fili - prodotte in Cina che ci consentono di limitare il prezzo del prodotto che comunque viene fatto in Italia, Francia, Germania, Ungheria dove abbiamo fabbriche noi.
Se produrremo in Cina, lo faremo per il mercato cinese, non produrremo per noi. E produrremo lampade e sistemi con il nostro marchio, perché è quello che vuole chi compra i nostri prodotti.


by Valentina Porcellana on 06.12.05 at 23:59 | Permalink |

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by Lorenzo Fossi on 26.01.06 at 20:04

La testimonianza del dott. Ernesto Gismondi, a parer mio, è stata una delle più interessanti. Infatti l'imprenditore di Artemide dichiara come il loro fattore critico di succeso più importante sia "l'Italianità" dei loro design e dei loro prodotti.
Inoltre, essendo studente di Marketing, mi è piaciuto molto l'approccio market oriented di Artemide e la loro concezione molto innovativa dell'illuminazione (human light). I loro processi di progettazione infatti non si limitano semplicemente ad innovative soluzioni tecniche e di design, ma analizzano profondamente le varie componenti che formano la luce e i colori affidandosi anche al contributo di discipline non propriamente economiche come la psicologia. Studiare nuovi modi di offrirsi alla clientela, nuovi approcci al mercato che considerano l'illuminazione come componente fondamentale d'arredamento, possono permettere di ottenere vantaggio competitivo di lungo periodo e di potersi districare efficacemente anche di fronte a nuove problematiche concorrenziali (come ad esempio la concorrenza Cinese).


by sabrina taboni on 27.01.06 at 14:06

Ciò che più mi ha colpito è stata la seguente affermazione:"il nostro compito è quello di soddisfare i bisogni che la gente non sa ancora di avere" .
Ritengo che in questa frase sia racchiusa la principale forza che caratterizza il Gruppo Artemide nonchè la vera innovazione. Credo che la testimonianza del dott.Gismondi abbia ribadito l'importanza di uno dei principi fondamentali sulla quale si fonda il marketing, ossia la necessità di avere un orientamento costante al consumatore, a quelle che sono le sue esigenze per poter delineare un'offerta congruente alle sue necessità.
In contesti evoluti,in mercati maturi, diventa fondamentale riuscire a far leva sui bisogni difficilmente percepiti. I bisogni primari sono da tempo stati soddisfatti e credo che lo stesso consumatore, ormai saturo di qualsiasi cosa, abbia difficoltà a comprendere quello di cui realmente ha bisogno.
Cercando dunque di essere un passo più avanti rispetto alle esigenze percepite dal consumatore, l'azienda tutela sè stessa dalle minacce dei competitors, riuscendo a differenziarsi generando costantemente nuove idee, che sfociano in prodotti resi ancora più unici dalla qualità e dal design...


by Simone Renna on 30.01.06 at 01:59

Ernesto Gimondi, fa capire dalla sua testimonianza che seguendo la strada della continua innovazione, della assoluta qualità di prodotto - servizio e del design di eccellenza made in italy ma non solo, si riesce a rimanere nel lungo periodo altamente competitivi tanto quasi da non riconoscere dei veri competitor di riferimento.
L'innovazione messa in essere da Artemide segue tutte le vie possibili dalla tecnologia a led allo studio medico-psichico del effetto luce sull'uomo passando per l'intuizione che pur essendo gli italiani strepitosi designers al mondo vi sono altri designer che crescono e devono quindi essere tenuti in considerazione.