31.01.06

Dibattito: innovazione, responsabilità e comunicazione

Piero Bassetti: durante questi sei incontri vi è stato posto un grosso problema: il problema dell'innovazione, della sua natura, di che cos'è, della sua fenomenologia, cioè di come si presenta, di che aspetti ha, dei suoi problemi, che sono diversi a seconda della sua fenomenologia, a seconda se è legata alla creatività, ai metodi o al potere. Noi qui abbiamo avuto testimonials intrisi di creatività, basta pensare ad un testimonial come Missoni; un altro tipo di testimonianza è venuta da Scaglia, con un tipo di innovazione sistematica, sistemica; il ruolo del potere nel fare innovazione è invece emerso dall'intervento di Schena, cosa che è possibile quando l'innovazione ha per suo teatro non il mercato, ma la società e quindi anche la società politica.

Abbiamo parlato dei problemi che l'innovare crea e solleva e abbiamo anche parlato, direttamente o indirettamente, dei suoi attori, di cui abbiamo avuto qui un paradigma. Avendo qui gli attori, ho notato, anche dai vostri interventi, che il tema delle motivazioni dell'innovatore è indubbiamente interessante. Sentendo parlare di innovazione ci si chiede subito qual è il senso, quali sono le motivazioni che portano a innovare e quindi, di conseguenza, in che modo l'innovatore si pone il problema dell'innovare. Perché si innova? Come? In vista di che cosa? E qui scatta anche l'altro grande tema di cui si occupa la Fondazione Bassetti: quello della responsabilità nell'innovazione.

Voi avete notato come siano diversi i tipi di responsabilità e l'attenzione che i vari testimonials attribuiscono alla responsabilità: si è andati da un tipo di responsabilità come quella di Pedrollo, che carica in modo esplicito il suo lavoro di quella che si può avvicinare alla cosiddetta responsabilità sociale dell'impresa, a un tipo di responsabilità legata invece al bello, al saper vivere, come quella di Missoni, un tipo di responsabilità eudemonistca, di felicità, che pure è una cosa a cui la classe dirigente dovrebbe contribuire; nell'intervento di Schena abbiamo sentito invece parlare di una responsabilità funzionale: perché le cose vadano bene è anche necessario mettere la norma impositiva.
Quello che non è emerso, ed è giusto che non emergesse, è non tanto la responsabilità dell'innovazione quanto la responsabilità delle conseguenze sul mondo, e non sull'azienda, delle scelte di innovazione.
Quando, come Fondazione Bassetti, parliamo di responsabilità nell'innovazione ci sforziamo di non avere solo una visione micro e di non pensare che a cambiare il mondo siano solo le grandi innovazioni, come la bomba atomica, il missile o le innovazioni tecnologiche. Le innovazioni che cambiano il mondo non sono solo quelle technology intensive, ma altrettanto efficaci sono quelle di poiesis intensive e quindi il tipo di responsabilità politica che l'innovatore si assume è diverso.

Abbiamo avuto sei testimonials, ma io richiamo alla vostra attenzione un settimo testimonial che è Giannino Bassetti, di cui potete leggere la biografia. Giannino Bassetti fa un'innovazione pù simile a quelle di Schena e di Scaglia che non a quella di Missoni, pur essendo un industriale tessile: la sua innovazione è stata di tipo organizzativo-sociale con il superamento dei grossisti, con l'organizzazione di una rete di venditori al dettaglio in un mondo, quello del tessile, che era assolutamente dominato dall'idea del grossista. Questi spostamenti di ruoli sociali sono delle innovazioni sulle quali vale la pena riflettere. Io credo, quindi, che al termine di questi interventi voi vi siate accorti della rilevanza del problema nella nostra società. Io penso che il problema sia molto importante.

Assodato che il problema è rilevante, ci chiediamo per chi è rilevante? Certamente per l'impresa, perché l'impresa che non innova non ha grossi successi ed è importante per gli innovatori. Tutti quelli che sono stati qui sono degli innovatori e tutti hanno fatto un sacco di soldi grazie all'innovazione. Credo però che si possa dire che l'innovazione è importante per l'intersa società: forse si può discutere sull'importanza di un golf colorato bene, ma certamente è importante la cablatura, così come una pompa per il Bangladesh. L'importanza dell'innovazione per la società è quindi indiscutibile, perché cambia i modi di vita. E l'innovazione è importante anche per la nazione: la forza degli Stati Uniti, per esempio, si basa sulla sua capacità di innovazione in campo economico e scientifico. La competitività di una nazione si avvale moltissimo della capacità di innovazione.

Oggi però ho invitato il dott. Claudio Carlone per porre l'accento su un argomento problematico: se il tema dell'innovazione è importante, perché se ne sente parlare così poco? Per esempio, come mai, se il tema è così rilevante, nessun medium nazionale ha parlato dei nostri incontri con importanti imprenditori intervenuti in ambito universitario? Se avessimo portato qui due veline e qualche calciatore avremmo avuto quattro colonne di cronaca.
Delle novità si parla tanto, ma dell'innovazione come l'abbiamo discussa qui, che non è la novità, ma è l'effetto, il mutamento che la novità unita al capitale e unita al potere introduce nella storia, nella vita sociale, non si parla. Perché di questo tema che ci cambia davvero la vita e dei suoi meccanismi non si parla?

Oggi noi molto problematicamente vogliamo parlare di questo.

Io penso che noi abbiamo un sistema di informazione, ma anche un sistema di gerarchie sociali, che va dietro alla visibilità, piuttosto che - addirittura - al profitto e alla ricchezza. La fama e la visibilità che dà la televisione è quasi preferito al conto in banca.
Qual è la remunerazione che la capacità di innovare dà? Senz'altro è un misto di queste cose, ma certo in primo luogo non c'è la visibilità, anche perché spiegare alla gente il senso dell'innovazione non è così facile, tanto che noi ci abbiamo messo sei incontri per cercare di spiegarlo. Il tema ha un suo grado di complessità che comprende che cos'è l'innovazione, come si fa, i giudizi che si danno. L'impegno innovativo, buono o cattivo che sia, ha una scarsa visibilità in quanto tale.
Per fare un esempio, l'inventore del talidomide è noto non perché ha inventato il farmaco, ma per i danni tremendi che ha causato, altrimenti non avremmo mai saputo chi avesse inventato quel farmaco. E casi di questo genere ce ne sono molti. Chi ha introdotto, per esempio, l'amianto nelle costruzioni?
Se pure il tema della responsabilità è centrale, il dibattito su questo non è così diffuso. La missione della Fondazione Bassetti è promuovere una riflessione sui temi della responsabiltà dell'innovazione, ma certo è difficile discuterne i lati positivi e negativi se il tema è poco noto. Nella nostra società dell'informazioni siamo informati su tante cose e questa è certamente una delle cose su cui dovremmo essere informati, perché quello della responsabilità dell'innovazione è un tema che ha diritto ad essere importante. Come mai, però, la discussione non si accende? Perché? E' un dubbio che non risolviamo certo questa mattina, anzi è una domanda su cui vi lascio riflettere, oggi come per tutta la vita, perché l'innovazione è un tema che tocca la vita di tutti, che fa il futuro di tutti e cambia anche il nostro presente. Perché il sistema dei media sorvola su questo problema? Perché è difficile? Perché non interessa? Perché non si sa come affrontarlo?

Studente A: Io cerco di dare una riposta all'ultima domanda che ci ha posto. Secondo me i media hanno un'utenza di cultura medio-bassa, per cui temi come l'innovazione e la creatività possono destare interesse in un pubblico di cultura più elevata. Questa è secondo me la ragione principale.

Studentessa B: Il tema dell'innovazione è trattato dai media in generale, ma in modo sbagliato. Per esempio c'è lo stereotipo della moda italiana come innovativa, quando invece è ferma; l'Italia in questo momento non ha quel qualcosa in più rispetto agli altri e nonostante questo si parla del Made in Italy come del meglio che si possa avere e molti imprenditori sono convinti di innovare, ma non lo stanno facendo.

PB: E quindi l'informazione, secondo lei, non dà un contributo critico?

Studentessa B: Sono gli imprenditori stessi a non essere critici con se stessi.

PB: Perché quindi i media non stanano questo fatto? Per esempio, quando la categoria sociale dei politici fa qualcosa che non va, i media lo sottolineano.

Studentessa B: Perché sono tutti convinti che stando fermi si possa andare avanti, quando in realtà non è così.

Studente C: Secondo me il tema non è trattato dai media perché la classe politica italiana lo ritiene un argomento scomodo, anche perché l'innovazione porta grandi investimenti e poca visibilità, con risultati che non sono immediatamente tangibili. I politici preferiscono avere qualcosa di controllabile e che possa portare subito consenso, non qualcosa che possa portare magari a riscuotere il merito nella legislazione successiva.

PB: Quindi è implicito c'è che i media seguono i desiderata della politica?

Studente C: I media alla fine devono avere anche loro un profitto, quindi puntano su quegli argomenti che possano suscitare interesse nel pubblico; l'innovazione in Italia non crea questo interesse.

Studentessa D: Anch'io sono molto d'accordo con l'ultimo intervento: per i media conta quello che dicono i politici. Secondo me, però, i media non sono rivolti in generale ad un pubblico di livello medio-basso: farei una distinzione tra televisione e giornali. I giornali non si leggono e non si comprano perché la gente non li sa leggere, il quotidiano riscuote sempre minore successo. L'opposizione al Governo tratta molto il tema dell'innovazione, sottolineando la necessità di innovare in contrapposizione all'attuale Governo, perché porterà dei risultati nel lungo termine. Chi deve evidenziare i propri risultati parla di cose più concerete, fatte nel breve, di cifre attuali, di politica fiscale, di spesa pubblica. L'innovazione comunque, secondo me, è trattata dai giornali, soprattutto dalle maggiori testate quotidiane e i quotidiani non sono riviste specializzate. Io leggo i giornali e secondo me non è un tema così escluso come dalla televisione che non ne parla, ma la televisione non parla di niente di serio secondo me.

Studente E: Secondo me invece si deve partire dall'inizio: siamo sicuri che gli imprenditori abbiano capito che cosa vuol dire innovare? Magari un imprenditore pensa che bisogna fare qualche cosa che cambia la vita, invece dalla testimonianza di Pedrollo abbiamo sentito che dalle pompe grosse, macchinose, difficili, ha costruito un prodotto semplicissimo, funzionale e ha fatto la sua innovazione. Quindi oggi l'imprenditore a cosa sta pensando: a complicare una cosa semplice o magari l'innovazione sarebbe semplificare una cosa complessa? Questa magari potrebbe essere la chiave. Anche perché quando si pensa all'innovazione tecnologica, la si pensa come qualcosa di sempre più complesso, perché non pensare invece a qualcosa di più semplice, che magari costa anche meno?

PB: Quindi i media dovrebbero almeno accorgersi delle innovazioni che semplificano.

Studente F: Se si riuscisse a far associare l'innovazione con qualcosa che costa meno, secondo me funzionerebbe di più che cercare di spiegare l'innovazione con parole difficili che non tutti riescono a capire. Potrebbe essere un'idea di partenza per coinvolgere più persone sull'argomento. Qualcosa che costa di meno e fa star meglio.

Studente E: Perché fare qualche cosa di speciale, quando posso fare una cosa semplice e abbassare il costo? Alla fine funziona lo stesso.

PB: Il suo ragionamento è giustissimo. Perché però non lo leggiamo sui giornali e non lo vediamo da nessuna parte in televisione? Sarà d'accordo con me che non sentiamo tutti i giorni un ragionamento come il suo.

Studente E: Sono io il primo a cascare nel gioco delle novità, come il telefonino: abbiamo quello come mille funzioni e lo usiamo solo per telefonare. Ho letto che si sta pensando proprio ad un nuovo telefonino senza alcuna funzione se non quella di telefonare.

Studentessa B: Secondo me è vero che l'imprenditore non ha ben chiaro che cosa voglia dire innovazione e la nozione di innovazione non gira perché non è ben chiaro che cosa voglia dire.

Studente G: Bisogna anche tenere conto della realtà imprenditoriale italiana. Per esempio dove abito io, in Brianza, i piccoli imprenditori hanno tra loro un legame molto diretto, veicolato dal dialetto. E questo può essere positivo e creare un polo, però porta anche delle limitazioni all'apertura verso l'esterno, quindi anche verso l'innovazione.

Studente H: Ho letto che il 60% delle imprese nate nel 2005 sono state impiantate da persone senza scolarizzazione, mentre gli studenti e i laureati tendono a cercare un posto fisso, non riescono a vedere oltre, a guardarsi intorno e a vedere le opportunità imprenditoriali. E questo credo sia un problema. Inoltre in Italia non vengono agevolati gli start up, non viene agevolato chi ha un'idea imprenditoriale, magari anche innovativa, ma solo chi ha già i soldi per farlo.

PB: C'è qualcuno di voi che ha in testa di fare l'imprenditore? Due persone. Ma volete fare solo gli imprenditori o intendete anche essere innovativi?

Studentessa D: Io sento il peso dell'innovazione, ma credo che la classe impenditoriale che oggi è sul mercato è per lo più fatta di persone che si sono improvvisate e che magari hanno approfittato di un momento favorevole dell'economia e che oggi sono ricchi imprenditori. Oggi però avvertono gli scossoni perché, appunto, non si sono mai posti il problema di innovare. Io penso che la nostra classe imprenditoriale sarà più consapevole e non dormirà sugli allori e investirà sull'innovazione.

Studente I: Secondo me per innovare non è il caso di fare grandi stravolgimenti. L'innovazione si fa nel quotidiano, con piccoli accorgimenti mirati a più settori della propria impresa, dalla logistica ai rapporti con i fornitori, piccole sfumature, ma che possono creare un'impresa innovativa.


by Valentina Porcellana on 31.01.06 at 09:30 | Permalink |

30.01.06

L'innovazione imposta dal Principe (dall'incontro con Alberto Schena)

Piero Bassetti: Vorrei fare due osservazioni. Innanzi tutto vedo confermata la raccomandazione che ho fatto all'inizio. Quando il dott. Schena dice che le imprese non si servono di questa innovazione, dice una cosa drammatica, perché indica che la nostra impresa è semi-analfabeta, perché è piccola. Tra i Paesi industrializzati, il nostro è fra quelli che hanno il più basso livello di informatizzazione delle imprese. Sta ai giovani, alle nuove generazioni recuperare il ritardo accumulato. Un esempio calzante è quello delle Pagine Gialle; tra l'altro siamo tra i Paesi in cui questo servizio è più sviluppato. Ma la situazione è questa proprio a causa dell'analfabetismo informatico. Noi siamo alla guida del telefono: le Pagine Gialle sono una banca dati al livello della guida del telefono, che funziona come un dizionario. Ma già una consultazione come quella della rubrica del telefonino, alla quale si accede digitando le lettere iniziali del nome, è un miglioramento decisivo, che abbrevia i tempi di consultazione. Allo stesso modo la conoscenza di un linguaggio, come quello informatico, permette ulteriori, decisivi miglioramenti. C'è un nesso importante la tra sofisticazione delle dotazioni informatiche di un'azienda, o di un privato, e il diritto di accesso alla pubblica amministrazione, un nesso che è stato individuato e praticato dall'innovazione di InfoImprese. Ma la premessa è che l'utente sia familiarizzato con il linguaggio informatico. Il parallelo con la lingua è evidente: la competenza linguistica di uno studente universitario gli permette di servirsi di strumenti sofisticati, come una compiere una ricerca bibliografica oppure consultarla; una persona che ha compiuto soltanto gli studi della scuola dell'obbligo sarà in difficoltà di fronte a questi strumenti, che pure sono basati semplicemente sull'alfabeto. Allo stesso modo, se si conosce la lingua informatica, a mano a mano che si affinano gli strumenti ci si può impadronire di essi e sfruttarli. Oggi ci si affida ad un professionista, ma è un modo di aumentare i costi di transazione. Soluzioni tecnologiche che dovrebbero ridurre i costi di transazione, se recepiti male dall'organizzazione sociale finiscono per alzare i costi di transazione, oppure per trasferirli. Il trasferimento dei costi corrisponde a ciò che fa anche l'amministrazione fiscale, vale a dire demanda all'utente la compilazione delle denunce dei redditi.
Vorrei raccontare un episodio collegato agli archivi cartacei. Uno degli obiettivi dell'informatizzazione dei bilanci delle società è migliorare i controlli anticrimine. Le società che lavorano al limite della legalità preferirebbero che i loro documenti sparissero. Nel tribunale di Milano, all'epoca in cui c'ero io, quando le imprese mafiose erano costrette a depositare i bilanci, si auguravano ovviamente che i loro bilanci andassero perduti. Per dare un'idea di che cos'erano gli archivi del tribunale, basta sapere che gli operatori avevano negoziato sindacalmente un'indennità che era detta "indennità del minatore", perché lavoravano in locali nei quali potevano cadere dei dossier. In un tale contesto, i mafiosi mettevano le sottilette di formaggio accanto alle pagine dei bilanci che volevano far sparire; siccome gli archivi erano infestati da topi, i roditori si mangiavano formaggio e bilanci, e così spariva il fastidio. Questo esempio rende evidente il fatto che intorno ai temi della garanzia e della fiducia non ci sono soltanto problemi tecnici, ma ruotano anche problemi giuridici, garantisti e politici di enorme rilevanza.
Dopo gli esempio di innovazione del prodotto, che abbiamo sentito illustrare in quest'aula negli incontri precedenti, o di innovazione di servizi di mercato, come la cablatura portata avanti da Silvio Scaglia con Fastweb, oggi abbiamo sentito un attore di innovazione nella pubblica amministrazione. Non c'è solo bisogno di generazioni di giovani informatizzati, ma anche di una pubblica amministrazione tecnologicamente adeguata, cosa che in questo caso si è riusciti a fare, ma è un passaggio difficile. Ma la pubblica amministrazione non agisce come il mercato, offrendovi delle scelte. La scelta tra la banca dati di Pagine Gialle e quella di InfoCamere vi è offerta, come utenti, ma quando lo Stato dispone che non accetta documenti se non formulato in un certo modo, usa il potere per imporre l'innovazione. A seconda di come lo Stato innova, in modo cogente, tutti finiamo per pagarne le spese: se la firma digitale si rivelasse essere inutile, noi avremmo complicato la vita a una generazione di commercialisti e di contabili industriali per far loro fare un'operazione inutile e, per giunta, obbligatoria. La politica, quindi, entra nel business per tante porte. Per questo non si può dire, stando dietro alle scrivanie delle aziende, che lì non si parla di politica. Perché la politica vera è questa, non sono i dibattiti in politichese dietro le quinte. La politica vera è come il "Principe" usa il potere per facilitare o complicare la nostra vita. Quando si abolisce la leva, cambiano molto le condizioni dei giovani. Quando lo Stato fa la guerra, cambiano le condizioni. Quando abolisce un obbligo lo Stato cambia le condizioni di operare delle aziende, ma possono cambiare in bene come in male. Questo è un esempio importante del modo di innovare della pubblica amministrazione, che si serve dello ius cogendi come modalità abituale dell'operare. Non avremmo sondato un campo importante, nelle nostre lezioni, se non avessimo ascoltato una testimonianza in merito al modo in cui l'innovazione entra in quel fattore di produzione che è anche la pubblica amministrazione.

Prof. Alessandro Sinatra: L'esempio proposto oggi dimostra la profonda differenza di spessore tra l'innovazione di prodotto e l'innovazione all'interno della pubblica amministrazione. Quest'ultima si inserisce in un sistema complesso, che coinvolge molti più attori e implica obbligatoriamente un numero e un tipo di problemi diversi, di dimensione maggiore.
Una seconda caratteristica di questo tipo di innovazione è la coesistenza con le normative: l'innovazione del registro informatico passa attraverso delle modifiche di legge. Si tratta di una dimensione assai diversa da quella dell'innovazione commerciale.
L'impatto di questo tipo di innovazione sulla struttura amministrativa pubblica è altresì notevole: non è difficile immaginare che cosa implichi un cambiamento di questo tipo sulla macchina burocratica di un intero Paese. L'innovazione non riguarda soltanto l'azienda singola, ma il sistema amministrativo nel suo complesso.
Infine, è importante sottolineare il modo in cui l'innovazione si pone rispetto all'utente al quale essa è rivolta, ovvero come si configura la responsabilità degli utilizzatori, qual è l'impatto su di loro. Nel momento in cui si rende possibile una disintermediazione è l'utente a decidere se avvalersi di questa possibilità. Però bisogna poter decidere. Mi ha colpito, ad esempio, che in Sicilia gli agricoltori, i braccianti, si rivolgano a dei consulenti perché non riescono a fare la dichiarazione delle proprie ore di lavoro a causa della complessità dei moduli dell'Inps; questo implica, ovviamente, dei costi di intermediazione paurosi. In sostanza, gli attori sono due: da una parte chi impone la complessità della norma, dall'altra gli utenti, che decidono o no di utilizzare questo tipo di servizio.
L'intervento odierno, in definitiva, completa la riflessione sui problemi di innovazione. Noi siamo abituati, più sportivamente, a considerare esclusivamente la produttività o la qualità del prodotto; invece, come abbiamo visto, la questione è molto più articolata e profonda, e deve portarci a considerare in modo più attento ciò che possiamo prevedere in termini di successo o insuccesso dell'innovazione.

Domanda: Mi pare che uno dei problemi più importanti che le aziende non sono in grado di risolvere al loro interno sia quello della complessità del sistema di dichiarazioni, prima ancora di quello della difficoltà dell'uso delle innovazioni tecnologiche. Le aziende tendono a rivolgersi all'esterno innanzi tutto perché il commercialista ha le competenze, che a loro mancano, relative al contenuto delle dichiarazioni. Questo vantaggio mette il mediatore in grado di avvalersi anche delle innovazioni. Ma per migliorare nel complesso il sistema, a vantaggio delle imprese, il primo passo dovrebbe essere quello di mettere in grado le aziende di fare le proprie dichiarazioni al loro interno, semplificando il sistema o facendo dei corsi per il personale.

Piero Bassetti: Questa osservazione è molto importante. La tecnologia semplifica, ma se si complicano i fini perseguiti, la complicazione rientra dalla finestra, mentre era uscita dalla porta. Questo è verissimo. Ci sono cose, in una società, che solo la pubblica amministrazione può garantire. Per esempio: la sicurezza, la fiducia. La sicurezza non è soltanto quella, importante, di poter passeggiare da sole di notte; la sicurezza è anche quella di poter fare una operazione commerciale nella certezza che non avvengano malversazioni. E insieme alla sicurezza, deve esserci fiducia. Il dott. Schena ha detto, in precedenza, che gli inglesi hanno un registro molto semplice, mentre noi abbiamo i registri più perfetti. Ma la situazione è questa perché noi viviamo in un paese di scarsa fiducia tra noi. Quando c'è la fiducia sulla parola, la firma elettronica non è indispensabile. E' quando manca la fiducia sulla parola che si devono mettere in moto delle macchine infernali, dei sistemi molto complessi, come la nostra firma digitale. Noi abbiamo un sistema di rapporti con l'organizzazione pubblica che è tra i più complicati al mondo, perché siamo un paese che ha poca accountability. Cioè: ti fregano! Questo culto che noi abbiamo del fregare, alla fine frega anche te. Io ho partecipato all'elaborazione dell'informatizzazione di cui abbiamo parlato oggi. Ma tentare di risolvere il problema dalla parte dell'amministrazione anziché dalla parte dei cittadini è sempre sbagliato. Se non ci fossero quelli che pensano alla sottiletta, idea assai raffinata, o che pensano, in generale, ai modi di falsificare i bilanci, entro certi limiti, probabilmente si potrebbero avere dei registri, che sono strumenti di garanzia, decisamente più semplici. Da che parte si rompe questo cerchio, questo circolo vizioso? Questo è il vero dramma, oggi, del Paese. Siamo così perché siamo stati sempre fregati, oppure siamo stati fregati perché ci piace fregare?
La missione della Fondazione Bassetti è la responsabilità dell'innovazione. Come ha detto giustamente il professor Sinatra, quando il Principe introduce un'innovazione, e la introduce di forza, deve porsi il problema della sua responsabilità. Deve chiedersi in che direzione la sua azione cambia la società: verso il meglio o verso il peggio? Questo è il grande argomento su cui dobbiamo riflettere.


by Valentina Porcellana on 30.01.06 at 19:48 | Permalink |

29.01.06

Alberto Schena. Obiettivo: semplificare la vita alle imprese

Le innovazioni che io ho individuato in questa vicenda sono sostanzialmente tre. La prima intuizione fu quella di trasformare gli archivi in banche dati, cosa che ha avuto una serie importante di conseguenze. La seconda è stata quella di fare del registro delle imprese un registro informatico, decisione presa per legge, senza che si sapesse bene in che modo si sarebbe attuata questa innovazione. La terza innovazione è stata l'adozione massiccia della firma digitale.
Nella storia che lega queste tre innovazioni è intervenuta una serie di variabili che hanno modificato i disegni originari. Una delle variabili che si è rivelata assai significativa è stata la creazione di internet.

Alla fine degli anni Ottanta e nei primi anni Novanta, quando iniziammo a impostare il registro informatico, le reti informatiche erano attive soltanto presso pochi istituti di ricerca, alcune università e presso le grandi aziende (una singola linea costava allora circa 25 milioni all'anno, traffico escluso). La legge che ha dato avvio al registro informatico è stata formulata prima di internet, e soltanto grazie a internet abbiamo dato al servizio la sua forma attuale. Le cose sarebbero potute andare diversamente, con variabili diverse. Allo stesso modo, la firma digitale è stata una variabile. Basata su un algoritmo inventato da alcuni matematici a metà anni Settanta, senza di essa non avremmo potuto fare quel che abbiamo fatto, oppure l'avremmo dovuto fare diversamente. Questo soltanto per dimostrare che l'innovazione si fa con quello che c'è! A volte riesce, a volte no, e spesso si sviluppa in modo diverso da come si era previsto.

Il professor Volpato è riuscito bene nell'intento di mettere in piedi una società che si autofinanziasse con i proventi delle banche dati, le quali prima non c'erano, dato che erano semplicemente dei fogli di carta. La società ha prosperato per tanti anni, al punto di doversi poi scindere perché era diventata troppo ingombrante, viste le sue caratteristiche. Si è poi scissa una seconda volta quando si è arrivati alla seconda innovazione, quella del registro informatico. Così la Cerved ha proseguito in modo indipendente e tuttora vive e prospera, essendo la più grossa impresa di formazione economica in Italia, ed è ormai di proprietà delle banche.

Infocamere ha invece proseguito sviluppando il tema del registro informatico, e lo ha fatto adottando questa nuova innovazione, la firma digitale, che non era stata prevista quando si decise di creare il registro informatico. La firma digitale ha una storia breve, ma travagliata. Ci sono voluti dieci anni per introdurla nel registro. E' da tre anni che è diventata obbligatoria, ma è stato un obbligo all'italiana: sarebbe dovuto essere obbligatoria fin dal primo anno, ma già si sapeva che non tutti ce l'avrebbero fatta. E' stato "sempre più obbligatorio", fino ad arrivare finalmente alla stabilizzazione attuale: la carta ora non viene più utilizzata.

Negli anni in cui i bilanci dovevano essere depositati in tribunale era necessario persino l'intervento delle forze dell'ordine per far mantenere la calma nelle code che, a volte, duravano giorni. I commercialisti assoldavano abitualmente dei "codisti", in grado di sopportare lunghe attese, per andare a depositare fisicamente i bilanci in tribunale. L'operazione durava una quindicina di giorni. I bilanci venivano pubblicati e diventavano disponibili un anno, un anno e mezzo dopo. Oggi i bilanci del 2004, cioè gli ultimi depositati, sono già in linea. Sono stati depositati in luglio, naturalmente all'ultimo momento: molti aspettano gli ultimi giorni, quando vengono effettuati attraverso le nostre linee dai 100 ai 150 mila depositi al giorno. E bisogna sapere che certi bilanci, specialmente quelli delle aziende più grandi, pesano anche centinaia di megabyte. Grazie alla firma digitale noi siamo in grado di gestire questa mole di dati in pochi giorni e di metterli tutti in linea nel giro di alcune settimane. L'innovazione ha ottenuto così un notevole vantaggio sia per chi ha bisogno di consultare i bilanci, sia per chi deve depositarli.

Ci sono voluti dieci anni per mettere in piedi il sistema che è pienamente attivo dal 2003. Ma in questi dieci anni l'obiettivo della legge che ha imposto il registro informatico è stato raggiunto? La risposta non è così semplice.
L'obiettivo era quello di semplificare la vita alle imprese. Certamente l'abbiamo semplificata sul lato dell'accesso ai registri, della loro consultazione. Tuttavia questa opportunità è ancora poco conosciuta, a paragone con le Pagine Gialle, ad esempio, la cui base dati è molto più limitata. Ma le Pagine Gialle ci sono da una vita, mentre il registro pubblico è disponibile in modo accessibile soltanto da quando c'è internet. Inoltre InfoImprese non è mai stata oggetto di una specifica promozione. Senza far nulla, comunque, il numero degli utenti e delle visite continua a crescere costantemente. Temiamo ancora che a usarlo siano i professionisti, più che le imprese. Ma prima o poi anche le imprese si accorgeranno dell'opportunità di usare questo strumento.
Dal punto di vista della consultazione, quindi, si può dire che l'obiettivo di migliorare la vita delle imprese è stato raggiunto. Sul versante della creazione e dell'aggiornamento del registro, del deposito degli atti, le cose vanno diversamente. Da parte nostra, ovviamente, adottammo rapidamente quell'altro tipo di innovazione che consisteva, brutalmente, nello spostare il lavoro dall'ufficio all'utente: invece di far lavorare l'ufficio per caricare i dati nel registro, faccio lavorare l'utente, gli faccio compilare direttamente i moduli informatici. E' un'innovazione che applicano tutte le aziende: le banche, ad esempio, cercano di scaricare sull'utente il lavoro dello sportello. Voi operate sul vostro conto da casa e le banche risparmiano delle grosse somme (voi forse no, perché le banche vi fanno pagare le spese come prima). Allo stesso modo, i primi a risparmiare con l'innovazione del registro informatico, in termini di lavoro risparmiato, siamo stati noi, sono state le camere di commercio.

Tornando alla domanda: abbiamo fatto risparmiare le imprese? Abbiamo semplificato loro la vita? Francamente, ci abbiamo provato, ma temo che non ci siamo riusciti. E la prova qual è? Queste firme digitali ultra-sicure, di cui noi deteniamo il primato mondiale, chi le usa?
Il deposito degli atti deve essere fatto obbligatoriamente dal notaio, e quindi la firma ce la mette il notaio. Certo, il notaio, se è particolarmente tecnologico, può anche far firmare digitalmente il Consiglio d'Amministrazione che deposita un verbale, oppure il rappresentante legale che deposita una modifica. Ma normalmente il notaio fa firmare tutto su carta, scannerizza il tutto e poi firma digitalmente un file pdf. E a noi arriva questo. Questo semplifica la vita al notaio, certamente, ma semplifica poco la vita ai clienti del notaio. Se poi il notaio si faccia pagare di meno... ne dubito. Questo per quanto riguarda gli atti delle società.
I bilanci, dal canto loro, sono faccende complicate che le imprese fanno fare ai commercialisti. I quali, nel caso delle piccole imprese, spesso tengono tutta la contabilità e fanno il bilancio. Per poter ottenere che i bilanci fossero presentati con la firma digitale, alla fine si è dovuto accettare che bastasse la firma del commercialista, insieme alla firma del titolare dell'impresa. Ma ciò che si pensava dovesse compiersi era la seguente trafila: il commercialista fa il bilancio, lo manda per e-mail all'impresa, il cui delegato lo firma, lo rimanda per e-mail, e infine il commercialista controfirma il bilancio e lo deposita attraverso con una procedura simile a quella necessaria a voi per comprare un libro su Amazon o Ibs. In realtà le cose, spesso, non vanno così. Ci siamo accorti che spesso i titolari delle imprese consegnano la propria smart-card personale al commercialista affinché sbrighi tutte le pratiche e apponga autonomamente le firme digitali necessarie. Questo è proibito dalla legge, però, di fatto, succede.

Ciò dimostra che questo sistema è un marchingegno ancora troppo complicato. Le procedure sono troppo complesse per le imprese, che delegano i commercialisti. Abbiamo semplificato la vita ai commercialisti, più che alle imprese. Anche in questo caso, dubito che la semplificazione del lavoro dei commercialisti si sia tradotta in una riduzione delle spese per le aziende.
Insomma, gli effetti di questa innovazione sono stati catturati dagli intermediari. Sono pochissime le imprese che fanno direttamente le loro pratiche. Naturalmente parliamo delle pratiche che possono fare, perché per alcune pratiche la legge impone l'intervento dei notai, che non possono essere elusi se non cambia la legge.

Siamo riusciti a diffondere circa centomila collegamenti Telemaco. Con questo tipo di collegamento, che costa 50 euro di traffico prepagato, senza costi di collegamento, l'impresa è in grado di fare direttamente tutto ciò che la legge consente, senza muoversi dalla propria sede. Su centomila collegamenti, le aziende che fanno davvero direttamente le proprie pratiche sono soltanto alcune migliaia. Questo avviene perché le pratiche sono ancora troppo complicate: ci vuole un professionista. In questo caso non è tanto un problema di tecnologia, quanto di organizzazione della pubblica amministrazione.
Tre sono state, riepilogando, le innovazioni che abbiamo individuato: la banca dati, il registro telematico, la firma digitale (che è l'unico modo per abolire la carta). Alcune teorie, sempre più diffuse, annunciano la prossima scomparsa delle banche dati. Le banche dati, si dice, sono troppo complicate: bisogna conoscere il sito giusto, avere la password per accedere ai dati, sapere come è strutturato l'archivio e come va consultato. Ora si va verso il superamento di questa fruizione dei dati: la banca dati rimarrà, sì, ma come sistema non visibile a chi la consulta. Non sarà più necessario conoscere il nome o il numero di registro imprese di una impresa, per trovare i suoi dati; basterà compilare un documento che faccia riferimento a una certa impresa perché quel documento faccia automaticamente dei check per verificare se alcuni campi di quel documento sono certificati oppure no. E', grossomodo, ciò che accade con il programma i-Tunes: quando inserite un disco di musica nel lettore del computer, il sistema consulta una banca dati e in un attimo vi dà la lista dei brani e il titolo dell'album. Stiamo lavorando su una analoga semplificazione: la nostra speranza è di arrivare presto a fare una nuova scissione per gestire questa innovazione.


by Valentina Porcellana on 29.01.06 at 23:14 | Permalink |

15.01.06

Claudio Carlone: riflessione sui diversi tipi di imprenditorialità responsabile

L'ultima lezione del modulo "Innovazione e creatività" è dedicata alla riflessione sui diversi tipi di imprenditorialità responsabile incarnati nei testimonial che la Fondazione Bassetti ha invitato all'Università Carlo Cattaneo-LIUC.

Piero Bassetti chiederà inoltre a Claudio Carlone, Presidente di Hypothesis, società di comunicazione specializzata in consulenza strategica, progetti speciali, corporate image, relazioni pubbliche e istituzionali, di analizzare come il concetto di responsabilità è utilizzato dai media.

Claudio Carlone interverrà alle ore 10.00 in aula C1.12.

CLAUDIO CARLONE

1952
Nasce a Roma. Oggi vive e lavora a Milano.

1977
Compie gli studi d'ingegneria e biologia presso l'Università "la Sapienza", svolgendo negli anni successivi attività di ricerca nel settore delle biotecnologie presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

1982
Avvia la professione giornalistica e di comunicazione dedicandosi ai temi legati al rapporto fra impresa e società, al ruolo delle nuove tecnologie, alle problematiche dello sviluppo e della creazione di valore.

1989
Fonda Hypothesis, nel cui ambito sviluppa l'attuale esperienza di relazioni pubbliche e istituzionali.

1992
Inizia l'attività di consulenza strategica nei settori dell'hi-tech e della finanza innovativa. In tale veste è consulente e Consigliere di amministrazione di società quotate. È inoltre partner del Nuovo Mercato di Borsa Italiana a partire dalla sua costituzione.

A livello istituzionale, fra gli altri incarichi, è coordinatore del Comitato di eccellenza della Camera di Commercio di Milano per la realizzazione di un Innovation Centre; è stato segretario della Commissione di studio per la trasformazione delle aree ex-Falck di Sesto San Giovanni; ha coordinato la Commissione di Alta consulenza (Cast) del Comune di Milano.

Ha presieduto o partecipato in qualità di relatore a numerosi convegni e conferenze a livello italiano e internazionale.

Nell'ambito dell'impegno associativo, è socio del Rotary Club Milano-Ovest, membro del Consiglio direttivo dell'APE - Associazione per il progresso economico - e della Società del Giardino di Milano.


by Valentina Porcellana on 15.01.06 at 23:35 | Permalink |

13.01.06

Alberto Schena e la concezione evoluzionistica dell'innovazione

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Nell'esercitazione che ho proposto in vista dell'incontro, vi suggerivo di provare a cercare sia su Pagine Gialle sia su Infoimprese un'impresa (panettieri, parrucchieri o qualsiasi altro servizio) nella zona in cui abitate: facendo la prova per la zona in cui abito, se cerco i panettieri su Pagine Gialle ne trovo quattro o cinque, mentre su InfoImprese ne trovo una trentina. InfoImprese è basato sul Registro delle imprese, che è l'anagrafe di tutte le imprese italiane. Se le imprese non sono iscritte al Registro non esistono, sono delle truffe nei confronti del fisco e spesso anche nei confronti dei cittadini. InfoImprese scarta soltanto le imprese che non sono in regola, che hanno delle procedure concorsuali in corso, cioè sono in via di fallimento.

Se voi andate sul sito www.ebr.infocamere.it fino al 31 gennaio 2006 e compilate una mascherina, avete l'accesso gratuito a quella che è la sommatoria di quattordici registri europei delle imprese consultabili on line. E' possibile quindi fare una ricerca su un'impresa e su una persona contemporaneamente su tutti i registri europei.
Questo vuol dire che potete verificare l'affidabilità di un partner, di una persona, e capire se quella persona ha i poteri che dice di avere in un'azienda straniera. In base al nome della persona o a quello dell'azienda siete in grado di andare a controllare sul Registro pubblico, e quindi avere una dimostrazione oggettiva, se questa persona è chi dice di essere, se quell'azienda è quella che dice di essere, se il bilancio è in attivo, dato che in molti casi è possibile visionare anche quello, o da quanto tempo è in attivo, dato che potete avere anche una serie di bilanci, fusioni, vicende varie che hanno coinvolto l'azienda. E questo lo potete fare per quattordici registri contemporaneamente.

Anche questa nel suo piccolo, nel suo genere, è un'innovazione. Sono dieci anni che ci stiamo lavorando: abbiamo iniziato con una prima sperimentazione nel 1994-95 con un progetto finanziato dall'Unione Europea. Internet non aveva ancora la diffusione che ha oggi, per cui facevamo degli esperimenti con delle reti proprietarie costosissime. L'idea è stato facile averla, dato che noi avevamo informatizzato il nostro Registro e la stessa cosa avveniva nei paesi esteri. Ci siamo chiesti: perché non mettere insieme tutto? Provate però a mettere d'accordo una quindicina di paesi con sistemi giuridici diversi, con partner diversi. Nel nostro caso erano le Camere di Commercio con una SpA a gestire il Registro, ma in molti altri casi erano i Ministeri di Giustizia o i Ministeri dell'Industria, quindi ci sono voluti dieci anni per ottenere questo risultato.
Questo servizio è fondamentale per un'impresa che vuol conoscere i suoi partner, in particolare per ottenere quelle informazioni che non è sempre facile sapere con il contatto diretto, ma che sono per legge pubbliche. Questi registri sono quindi tutti su internet, facilmente accessibili. L'Italia in questo caso è stata all'avanguardia, tanto che tutti i Paesi che sono entrati con l'ultima tornata nell'Unione Europea e quelli che stanno per entrare sono venuti da noi per vedere il Registro italiano. Una delle condizioni per entrare nell'Unione Europea era proprio la garanzia dell'esistenza di un sistema di pubblicità legale, a garanzia delle altre imprese europee che potessero conoscere le imprese dei paesi entranti. Il Registro italiano è tra quelli più ricchi di informazioni. Il Registro inglese è il più povero di informazioni, ma questo è anche legato alle diverse storie del diritto.

Questo è il risultato di un processo molto lungo, legato a tre tappe diverse di innovazione. Io credo che non esista una scienza dell'innovazione, una teoria forse sì, ma una scienza, conoscendo la quale si fanno innovazioni, non credo esista. Le innovazioni hanno questo di buffo: ci si accorge di esse solo dopo che sono avvenute. In qualche caso ci si mette d'impegno per fare un'innovazione, però anche in questo caso si può riuscire o no. La storia è piena di invenzioni che sembravano poter cambiare il mondo e che invece non sono riuscite. Le innovazioni quindi sono dei successi, sono dei cambiamenti che riescono e che durano nel tempo, tanto o poco a seconda delle circostanze.

La storia che vi racconto, è la storia di una società che ha avuto momenti di grossa innovazione e dei periodi dedicati a consolidare, a combattere per affermare quell'innovazione e poi a riposarsi e a godere dei vantaggi di quell'innovazione. E questa è anche la teoria economica standard.
Io ho una concezione ormai abbastanza darwinista, evoluzionistica dell'innovazione: le innovazioni sono come le mutazioni genetiche, accadono per tanti motivi e tra questi anche che ci sia uno con la "testa dura" che vuole fare a tutti i costi un'innovazione e a volte riesce. In altri casi non si sa le innovazioni da dove vengano e a volte interferiscono con i programmi delle "teste dure" che stanno perseguendo una certa strada e la fanno cambiare. Ad un certo punto, però, si configura un modo di lavorare, un prodotto, un servizio, un'attività che prima non c'era e guardandosi indietro si vede l'innovazione. Chi l'ha fatta? Spesso non si sa neanche bene a chi dare il merito o la colpa di un'innovazione. In un'azienda bisogna cercare di inventarne tante, bisogna tentarne tante.

La Cerved è nata alla fine del 1974 in modo abbastanza casuale. Alla fine degli anni Settanta, un professore di matematica applicata, Mario Volpato, viene nominato presidente della Camere di Commercio di Padova. All'epoca le Camere di Commercio erano in via di estinzione, erano degli enti che non avevano più una funzione precisa, non si sapeva più bene che cosa fossero, tanto che il dott. Bassetti, in qualità di Presidente della Regione Lombardia e poi di Deputato al Parlamento, ne propose anche l'abolizione.
Il professor Volpato era un personaggio singolare, del tutto autodidatta, di una ricca famiglia veneta, che non aveva mai messo piede a scuola, ma aveva sempre studiato privatamente e aveva un genio della matematica e degli affari. Diventato Presidente della Camere di Commercio, gli venne questa buffa idea: siccome stava iniziando ad occuparsi di calcolatori, quei grandi calcolatori che c'erano all'epoca, vedendo che in Camere di Commercio c'erano degli archivi di carta che contenevano informazioni sulle imprese e i bollettini dei protesti, cioè gli assegni non pagati, pensò di creare delle banche dati.
I bollettini venivano comprati dalle banche per tenere sotto controllo le persone poco affidabili e da pochi altri, qualche agenzia di informazione commerciale che cercava di dare un minimo di informazione sull'affidabilità delle aziende e delle persone. Le Camere di Commercio avevano anche archivi di bilanci che le aziende dovevano obbligatoriamente depositare secondo una delle prime direttive dell'allora Mercato Comune. I bilanci venivano stampati per obbligo di legge, ma alla rinfusa, neanche in ordine alfabetico, in grossi bollettini inconsultabili.
Il professor Volpato si accorse di queste cose e gli venne l'idea di mettere tutti i dati degli archivi sul calcolatore, creando così una banca dati. Questa è stata l'idea: siamo negli anni 1972-73, poi ci sono voluti almeno dieci anni per vedere i primi frutti di questo lavoro.

Voi sapete la frase di Edison che dice "Innovation is 1% inspiration and 99% transpiration": il nostro 1% era quello, l'idea di mettere i dati sul computer, il 99% è stato tutto il resto.
Mario Volpato ha iniziato a girare per le Camere di Commercio del Veneto per convincere le altre Camere a fare la stessa cosa, poi ha incominciato a girare l'Italia e soprattutto ha cercato di convincere il Ministro dell'Industria ad appoggiare quest'iniziativa, in qualche modo forzando le Camere di Commercio ad aderire.
Nel 1974 viene quindi creata una SpA per la gestione degli archivi informatici delle Camere di Commercio. Gli archivi non avevano valore legale, anche se erano frutto di adempimenti obbligatori. Erano diversi l'uno dall'altro, ogni Camere se li organizzava come meglio credeva, anche se le informazioni di base erano più o meno le stesse. C'è voluto del tempo per convincere un numero adeguato di Camere a entrare in questo sistema, a finanziare l'azienda e a far sì che questa andasse in attivo. Nei primi anni Ottanta la società era già in attivo e da allora l'attivo continua a crescere, anche in maniera molto sostanziosa.

L'azienda, però, ha vissuto alcune variazioni/innovazioni: la prima avvenne una decina di anni dopo, come conseguenza dello svilupparsi del mercato. Chi aveva creato questo primo impianto, questa banca dati, era un gruppo che comprendeva personaggi reclutati da multinazionali dell'informatica - all'epoca si lavorava solo sui mainframe - e un gruppetto di universitari dell'Università di Padova che lavoravano molto bene, producendo un data base molto efficiente che riscosse subito l'interesse delle banche, che già prima erano gli acquirenti dei bollettini.
Questi informatici erano talmente bravi che, andando a proporre alle banche l'acquisto dei dati, avevano invece richiesta di sviluppo di altre applicazioni, ricevendo quindi delle commesse di engineering. Dato che in tutta questa attività c'era una radice di business, nacque Cerved Engineering che crebbe e si sviluppò molto rapidamente, tanto che incominciò a dare fastidio il fatto che ci fosse sul mercato un ente un po' strano, che apparteneva alle Camere di Commercio, e che faceva concorrenza alle aziende private.
La prima cesura quindi fu quella di stralciare l'attività di engineering dal Cerved. L'autore di questa cesura è Piero Bassetti, allora Presidente di Cerved. Nacque così Engineering. Ingegneria Informatica Spa che oggi è la più quotata azienda di engineering in Italia. Gli attuali proprietari di Engineering sono i vecchi fondatori di Cerved.

Dopo dieci anni dalla fondazione di Cerved, quindi, lo sviluppo delle competenze interne a questa società, che era nata per creare i data base delle Camere di Commercio, diede vita ad un'altra società. E' un'innovazione questa? Forse non è un'innovazione vere e propria, ma è la dimostrazione del successo di una certa idea. Quell'idea ha creato un mercato, quello dell'informazione economica. Tutto il patrimonio che stava negli archivi delle diverse Camere di Commercio ed era consultabile solo localmente divenne disponibile in rete a livello nazionale. I clienti di questo nuovo mercato erano principalmente le banche e i soggetti intermediari di queste informazioni, che facevano contratti on line con Cerved, acquistando le informazioni e rivendendole.

A questo punto eravamo nella fase in cui l'innovazione era riuscita, con la creazione dei data base e di un mercato. A questa fase seguì un periodo di riposo per godersi la buona riuscita dell'operazione. Cerved fu però svegliata bruscamente dal ricorso fatto dai distributori all'Antitrust, l'autorità di garanzia del mercato. Fu una della prime cause di cui si occupò l'Antitrust che era appena stato istituito. Cerved era accusata di trattare in maniera troppo diversa i clienti. La capacità di Cermed di organizzare il mercato in modo trasparente in quel primo periodo non fu molto brillante.
Intanto l'efficienza degli archivi delle Camere di Commercio divenne di pubblico dominio tra gli addetti ai lavori. Nello stesso periodo, all'inizio degli anni '90, esplose invece il problema della totale inefficienza delle Cancellerie Commerciali dei Tribunali. Siamo a cavallo di Tangentopoli e si incominciava a lavorare per rendere possibile il trasferimento alle Camere di Commercio di un Registro molto più importante di quello delle Camere di Commercio stesse, ovvero il vecchio Registro delle società, tenuto malissimo dai Tribunali.
Questo Registro era totalmente cartaceo e in balìa delle Cancellerie; i tenutari degli archivi erano spesso implicati in questioni illegali.

Da qualche tempo intanto si stava pensando ad una legge di riforma delle Camere di Commercio: nel 1993, nonostante tutte le resistenze dei Tribunali e soprattutto delle Cancellerie che si vedevano insidiare una fonte di potere anche economico molto importante, dopo un ennesimo scandalo di mafia legato a imprese illegali, il Governo Ciampi decise che il Registro delle imprese doveva passare alle Camere di Commercio.

Legge 29-12-1993 n. 580
Riordinamento delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura

Questo fu un altro momento topico, di innovazione, nella breve storia della nostra azienda. Nella legge di riforma delle Camere di Commercio era scritto che il Registro delle imprese doveva essere informatico. Sembrava che la cosa fosse già fatta, visto che i dati erano informatizzati.
In realtà, tutta la parte più importante, quella di creazione del Registro era ancora cartacea e gli atti "veri" del Registro rimanevano cartacei. Quello che il Cermed aveva fatto era di fare un duplicato informatico dei documenti vendibile e distribuibile in rete, ma il Registro "vero" restava quello di carta.
Ciò che diceva la legge riguardo al Registro compilato e gestito "secondo tecniche informatiche" era uno di quei casi in cui si fa l'innovazione senza rendersene conto. Non ci si rendeva conto di che cosa fosse davvero un Registro informatico, tant'è vero che ci sono voluti altri dieci anni per arrivare davvero al Registro informatico.

Subito dopo la legge, infatti, tutto rimase uguale, tutti i documenti delle imprese continuarono a essere su modulistica cartacea che veniva poi digitalizzata, riversata nel computer e distribuita, ma quel che faceva fede rimaneva la carta.
La legge diceva che il Registro doveva essere informatico, ma non diceva come ci si doveva arrivare, si dava per scontato che in qualche modo ci si sarebbe arrivati.

Fino al 1996 il processo rimase immutato, tanto che fu creata anche una società per lo smaltimento della carta. Anche perché alle carte delle Camere di Commercio si erano sommate quelle arrivate dai Tribunali.

Un altro passaggio epocale per l'azienda fu al momento del passaggio del Registro delle imprese alle Camere di Commercio: sembrava infatti strano che il Cerved, una società per azioni, gestisse il Registro, così ci fu un'altra scissione, dopo quella di dieci anni prima con Engineering, e nacque InfoCamere.
Cerved all'epoca aveva circa 800 dipendenti: una parte, circa un centinaio di persone, rimase a gestire le banche dati, le rimanenti confluirono in InfoCamere, società consortile che gestisce il Registro delle imprese. InfoCamere quindi si trovò investita del compito di rendere informatico il Registro delle imprese e per renderlo completamente informatico era necessario abolire la carta, ma non alla fine del processo smaltendola, ma abolendola del tutto.

Quando la legge entrò in vigore, internet non è ancora diffuso come oggi. Internet esplose tra il 1995 e il 1997. Noi chiedevamo ai recalcitranti commercialisti e notai di scrivere i dati all'interno di maschere che avevamo predisposto e di mandarci dei dischetti o di mandarli on line, ma i collegamenti erano molto costosi. Dovevano però mandarci anche la carta, perché il problema delle firme, che dovevano essere in originale, non era ancora stato risolto.
Quando nel 1993 uscì la legge, sulla firma digitale non sapeva niente nessuno. Dal 1994 si iniziarono, anche a livello europeo, le sperimentazioni sulla firma digitale. Nel momento in cui InfoCamere si prese l'impegno di trasformare il Registro delle imprese in registro informatico e quindi di creare una Certification Authority abilitata a emettere le firme digitali, ci sembrò davvero un salto nel vuoto, ma ci lanciammo.
Ci vollero alcuni anni perché la legge divenisse operativa (DPR del 14.12.1999 n. 558 e la Legge n. 340 del 09.12.2000). Anni di sofferenze per noi che ci eravamo buttati nell'impresa.
Oggi siamo il leader mondiale nella diffusione delle firme digitali con circa 2 milioni di firme digitali distribuite. E utilizziamo anche le firme più sicure, così come deciso dalla legge italiana. Abbiamo anche la carta elettronica con la banda ottica più sicura, "blindata" e costosa al mondo che può supportare anche la firma digitale.

La firma digitale è una chiave pubblica, un dispositivo con cui si blocca un documento. Chi ha firmato, sotto la garanzia di una Authority, ha la certezza che il documento non può essere modificato. Tutto il Registro oggi funziona così, obbligatoriamente per le società. Tutte le società italiane depositano i loro atti nel Registro delle imprese con firma digitale. E questo l'abbiamo solo noi: tutti gli altri registri europei continuano ad essere parzialmente cartacei.

Questa è stata per noi un'innovazione forzosa, nel senso che è stata imposta per legge: per ottenere lo scopo di semplificare al massimo tutte le operazioni di registrazione per le imprese, sono state tutte obbligate a utilizzare una tecnologia molto avanzata, tanto avanzata che non la sta utilizzando nessuno al di fuori di qua. E questo è un po' preoccupante, francamente. Perché il mercato è andato un po' da un'altra parte e non perché le firme digitali non siano importanti, anche perché sono ovunque su internet, ma le nostre sono depositate su un microchip che deve essere per legge sotto il controllo di chi ne è possessore, non può essere su un pc, ma deve stare su un dispositivo di firma che sia in pieno controllo del titolare.
Nel 2000, quando ci siamo imbarcati in questa avventura, non era ancora scoppiata la bolla di internet e quindi pensavamo di utilizzare la firma digitale per il commercio elettronico e si fantasticava su tutti gli usi che si sarebbero potuti fare della firma elettronica per i contratti elettronici, per certificare la merce, per i pagamenti. Si parlava con molta tranquillità del portafoglio elettronico. Con il crollo di internet, i pagamenti elettronici non funzionano, le banche non si fidano e quindi rimane soltanto la firma digitale. E rimaniamo solo noi, perché tutti gli altri che hanno una Certification Authority in Italia si sono trovati senza un servizio che avesse bisogno della firma digitale, mentre noi abbiamo il Registro delle imprese che necessita di documenti firmati elettronicamente.

Un altro grosso ostacolo che trovammo nel momento di lanciare quest'iniziativa furono i notai, che notoriamente non sono dei grandi innovatori. I notai dovevano decidersi a depositare i documenti con firma digitale e non su carta. Quando si sono decisi, hanno creato una loro Certification Authority che fa solo 4500 certificati, tanti quanti sono i notai. Oggi i notai sono i maggiori utilizzatori di firme digitali con i commercialisti.


by Valentina Porcellana on 13.01.06 at 23:55 | Permalink |

09.01.06

Alberto Schena: rassegna stampa

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InfoCamere è la società che ha realizzato e gestisce il sistema telematico nazionale che collega tra loro, attraverso una rete ad alta velocità e ad elevato standard di sicurezza, le 103 Camere di Commercio e le 300 sedi distaccate. L'efficienza di questo sistema garantisce agli utenti - amministrazioni, imprese e singoli cittadini - l'accesso immediato ai documenti e ai dati, sia a carattere informativo che con valore legale, contenuti negli archivi camerali.
Uno dei risultati più significativi di InfoCamere è la realizzazione del Registro delle Imprese, istituito nel 1993 (legge n.580/93), per espressa volontà del legislatore, in modalità informatica: sua caratteristica peculiare, che ha costituito una novità assoluta in campo europeo.
Dall'aprile 2000 InfoCamere è Ente Certificatore per la firma digitale, iscritto nell'Elenco Pubblico previsto dalla legge.

24 novembre 2005
IL NUOVO SERVIZIO EBR
Grazie a EBR - European Business Register - viaggeranno online le informazioni economiche e i documenti ufficiali sulle imprese di 14 Paesi europei.
Il servizio è consultabile gratuitamente fino al 31 gennaio 2006 sul sito www.ebr.infocamere.it

8 luglio 2005
INTERNET: DAL VENETO PARTE LA CERTIFICAZIONE DEI SITI
Presentato dal Consiglio nazionale dottori commercialisti e da InfoCamere un progetto internazionale di un sistema di certificazione dei siti.

31 maggio 2005
SUCCESSO DEL DEPOSITO TELEMATICO DEI BILANCI
Superati nel mese di maggio i 500.000 bilanci inviati contro i 345.000 del 2004.

16 maggio 2005
"LEGALMAIL" GRATIS PER LE IMPRESE
La posta elettronica con valore legale a 1.800.000 imprese.
Un ulteriore contributo delle Camere di Commercio alla realizzazione dell'e-government.

14 marzo 2005
CONVEGNO SU FIRMA DIGITALE E DOCUMENTO INFORMATICO
La tavola rotonda, tenuta a Roma presso l'auditorium della Cassa Nazionale di previdenza ed assistenza forense, è stata l'occasione per far emergere i vari pareri presenti in dottrina sul tema della firma digitale e del documento informatico.

22 marzo 2004
FIRMA DIGITALE: STANCA CONSEGNA LA MILIONESIMA SMART CARD INFOCAMERE

15 gennaio 2004
2003, L'ANNO DEL REGISTRO TELEMATICO DELLE IMPRESE

11 dicembre 2003
DINERS SIGNATURE: LA PRIMA CARTA DI CREDITO A MICROCHIP PER LA FIRMA DIGITALE

28 maggio 2002
POSTA ELETTRONICA SICURA E CERTIFICATA CON "LEGALMAIL"


by Valentina Porcellana on 09.01.06 at 20:15 | Permalink |

05.01.06

Alberto Schena. Un caso di eccellenza nella PA italiana: la smaterializzazione del Registro delle Imprese



Alberto Schena, Direttore Strategie e Attività estere di Infocamere, invita a visitare alcuni siti in preparazione dell'incontro del 9 gennaio, ore 11.00 in aula C.1.12.

Il processo di automazione del sistema di pubblicità legale delle imprese italiane, iniziato più di dieci anni fa, si è basato sull'adozione tempestiva - e a volte anche anticipata rispetto al mercato - delle tecnologie informatiche più avanzate.
Il processo si è completato solo da un anno con l'avvento e la diffusione massiccia (unica in Europa e tra le pochissime nel mondo) di sistemi di firma digitale avanzata.

Alberto Schena ha seguito l'evoluzione del sistema curandone gli aspetti di cooperazione tecnologica e organizzativa con le omologhe istituzioni internazionali: da un lato i registri commerciali dei principali paesi europei e dall'altro i sistemi di certificazione digitale che con diversa fortuna si sono sviluppati negli ultimi anni.

L'evoluzione più recente dei sistemi di pubblicità legale e di reporting finanziario vede l'affermarsi dei linguaggi derivati dallo standard XML, presupposto necessario per il passaggio all'erogazione delle informazioni mediante web service.

www.infocamere.it
è il sito istituzionale di InfoCamere, la società che gestisce il registro italiano
per conto delle Camere di Commercio. Vi si trova la descrizione sommaria del registro e dei servizi connessi.

www.cnipa.gov.it
è il sito ufficiale che contiene l'elenco dei certificatori accreditati per il rilascio di firme digitali e di posta elettronica certificata, nonché la normativa tecnica di riferimento.

www.card.infocamere.it
è il sito di InfoCamere dedicato alla firma digitale. Contiene dei
dimostrativi, ma per usare il software è necessaria la smart card rilasciata dalle Camere di Commercio.

www.infoimprese.it
è un database informativo gratuito ricavato direttamente dal Registro ufficiale.
Provare a cercare attività inconsuete (la fantasia delle imprese italiane è grande), oppure cercate quante panetterie ci sono nel vostro comune o quartiere (CAP) e fate un confronto con le Pagine Gialle, o con la vostra conoscenza diretta: come si chiama il vostro bar preferito?

www.ebr.infocamere.it
sul sito è possibile ottenere gratuitamente, fino al 31 gennaio 2006, una
password di accesso a 13 registri ufficiali europei. Le maschere di accesso sono in italiano, ma i documenti sono nelle lingue originali. Trovate qualcosa di diverso da Nokia in Finlandia, da Volvo in Svezia, da Renault in Francia... altrimenti la risposta sarà "troppe ricorrenze".

www.legalmail.it
sul sito è presentata la nuova posta elettronica equiparata alla raccomandata con avviso di ricevimento: se avete un'impresa in famiglia, è possibile attivare una casella gratuita entro il 31 dicembre (ma fate attenzione, si tratta di un atto "ufficiale"). Provate a inviare una mail e vedete cosa succede.


by Valentina Porcellana on 05.01.06 at 11:50 | Permalink |