31.01.06

Dibattito: innovazione, responsabilità e comunicazione

Piero Bassetti: durante questi sei incontri vi è stato posto un grosso problema: il problema dell'innovazione, della sua natura, di che cos'è, della sua fenomenologia, cioè di come si presenta, di che aspetti ha, dei suoi problemi, che sono diversi a seconda della sua fenomenologia, a seconda se è legata alla creatività, ai metodi o al potere. Noi qui abbiamo avuto testimonials intrisi di creatività, basta pensare ad un testimonial come Missoni; un altro tipo di testimonianza è venuta da Scaglia, con un tipo di innovazione sistematica, sistemica; il ruolo del potere nel fare innovazione è invece emerso dall'intervento di Schena, cosa che è possibile quando l'innovazione ha per suo teatro non il mercato, ma la società e quindi anche la società politica.

Abbiamo parlato dei problemi che l'innovare crea e solleva e abbiamo anche parlato, direttamente o indirettamente, dei suoi attori, di cui abbiamo avuto qui un paradigma. Avendo qui gli attori, ho notato, anche dai vostri interventi, che il tema delle motivazioni dell'innovatore è indubbiamente interessante. Sentendo parlare di innovazione ci si chiede subito qual è il senso, quali sono le motivazioni che portano a innovare e quindi, di conseguenza, in che modo l'innovatore si pone il problema dell'innovare. Perché si innova? Come? In vista di che cosa? E qui scatta anche l'altro grande tema di cui si occupa la Fondazione Bassetti: quello della responsabilità nell'innovazione.

Voi avete notato come siano diversi i tipi di responsabilità e l'attenzione che i vari testimonials attribuiscono alla responsabilità: si è andati da un tipo di responsabilità come quella di Pedrollo, che carica in modo esplicito il suo lavoro di quella che si può avvicinare alla cosiddetta responsabilità sociale dell'impresa, a un tipo di responsabilità legata invece al bello, al saper vivere, come quella di Missoni, un tipo di responsabilità eudemonistca, di felicità, che pure è una cosa a cui la classe dirigente dovrebbe contribuire; nell'intervento di Schena abbiamo sentito invece parlare di una responsabilità funzionale: perché le cose vadano bene è anche necessario mettere la norma impositiva.
Quello che non è emerso, ed è giusto che non emergesse, è non tanto la responsabilità dell'innovazione quanto la responsabilità delle conseguenze sul mondo, e non sull'azienda, delle scelte di innovazione.
Quando, come Fondazione Bassetti, parliamo di responsabilità nell'innovazione ci sforziamo di non avere solo una visione micro e di non pensare che a cambiare il mondo siano solo le grandi innovazioni, come la bomba atomica, il missile o le innovazioni tecnologiche. Le innovazioni che cambiano il mondo non sono solo quelle technology intensive, ma altrettanto efficaci sono quelle di poiesis intensive e quindi il tipo di responsabilità politica che l'innovatore si assume è diverso.

Abbiamo avuto sei testimonials, ma io richiamo alla vostra attenzione un settimo testimonial che è Giannino Bassetti, di cui potete leggere la biografia. Giannino Bassetti fa un'innovazione pù simile a quelle di Schena e di Scaglia che non a quella di Missoni, pur essendo un industriale tessile: la sua innovazione è stata di tipo organizzativo-sociale con il superamento dei grossisti, con l'organizzazione di una rete di venditori al dettaglio in un mondo, quello del tessile, che era assolutamente dominato dall'idea del grossista. Questi spostamenti di ruoli sociali sono delle innovazioni sulle quali vale la pena riflettere. Io credo, quindi, che al termine di questi interventi voi vi siate accorti della rilevanza del problema nella nostra società. Io penso che il problema sia molto importante.

Assodato che il problema è rilevante, ci chiediamo per chi è rilevante? Certamente per l'impresa, perché l'impresa che non innova non ha grossi successi ed è importante per gli innovatori. Tutti quelli che sono stati qui sono degli innovatori e tutti hanno fatto un sacco di soldi grazie all'innovazione. Credo però che si possa dire che l'innovazione è importante per l'intersa società: forse si può discutere sull'importanza di un golf colorato bene, ma certamente è importante la cablatura, così come una pompa per il Bangladesh. L'importanza dell'innovazione per la società è quindi indiscutibile, perché cambia i modi di vita. E l'innovazione è importante anche per la nazione: la forza degli Stati Uniti, per esempio, si basa sulla sua capacità di innovazione in campo economico e scientifico. La competitività di una nazione si avvale moltissimo della capacità di innovazione.

Oggi però ho invitato il dott. Claudio Carlone per porre l'accento su un argomento problematico: se il tema dell'innovazione è importante, perché se ne sente parlare così poco? Per esempio, come mai, se il tema è così rilevante, nessun medium nazionale ha parlato dei nostri incontri con importanti imprenditori intervenuti in ambito universitario? Se avessimo portato qui due veline e qualche calciatore avremmo avuto quattro colonne di cronaca.
Delle novità si parla tanto, ma dell'innovazione come l'abbiamo discussa qui, che non è la novità, ma è l'effetto, il mutamento che la novità unita al capitale e unita al potere introduce nella storia, nella vita sociale, non si parla. Perché di questo tema che ci cambia davvero la vita e dei suoi meccanismi non si parla?

Oggi noi molto problematicamente vogliamo parlare di questo.

Io penso che noi abbiamo un sistema di informazione, ma anche un sistema di gerarchie sociali, che va dietro alla visibilità, piuttosto che - addirittura - al profitto e alla ricchezza. La fama e la visibilità che dà la televisione è quasi preferito al conto in banca.
Qual è la remunerazione che la capacità di innovare dà? Senz'altro è un misto di queste cose, ma certo in primo luogo non c'è la visibilità, anche perché spiegare alla gente il senso dell'innovazione non è così facile, tanto che noi ci abbiamo messo sei incontri per cercare di spiegarlo. Il tema ha un suo grado di complessità che comprende che cos'è l'innovazione, come si fa, i giudizi che si danno. L'impegno innovativo, buono o cattivo che sia, ha una scarsa visibilità in quanto tale.
Per fare un esempio, l'inventore del talidomide è noto non perché ha inventato il farmaco, ma per i danni tremendi che ha causato, altrimenti non avremmo mai saputo chi avesse inventato quel farmaco. E casi di questo genere ce ne sono molti. Chi ha introdotto, per esempio, l'amianto nelle costruzioni?
Se pure il tema della responsabilità è centrale, il dibattito su questo non è così diffuso. La missione della Fondazione Bassetti è promuovere una riflessione sui temi della responsabiltà dell'innovazione, ma certo è difficile discuterne i lati positivi e negativi se il tema è poco noto. Nella nostra società dell'informazioni siamo informati su tante cose e questa è certamente una delle cose su cui dovremmo essere informati, perché quello della responsabilità dell'innovazione è un tema che ha diritto ad essere importante. Come mai, però, la discussione non si accende? Perché? E' un dubbio che non risolviamo certo questa mattina, anzi è una domanda su cui vi lascio riflettere, oggi come per tutta la vita, perché l'innovazione è un tema che tocca la vita di tutti, che fa il futuro di tutti e cambia anche il nostro presente. Perché il sistema dei media sorvola su questo problema? Perché è difficile? Perché non interessa? Perché non si sa come affrontarlo?

Studente A: Io cerco di dare una riposta all'ultima domanda che ci ha posto. Secondo me i media hanno un'utenza di cultura medio-bassa, per cui temi come l'innovazione e la creatività possono destare interesse in un pubblico di cultura più elevata. Questa è secondo me la ragione principale.

Studentessa B: Il tema dell'innovazione è trattato dai media in generale, ma in modo sbagliato. Per esempio c'è lo stereotipo della moda italiana come innovativa, quando invece è ferma; l'Italia in questo momento non ha quel qualcosa in più rispetto agli altri e nonostante questo si parla del Made in Italy come del meglio che si possa avere e molti imprenditori sono convinti di innovare, ma non lo stanno facendo.

PB: E quindi l'informazione, secondo lei, non dà un contributo critico?

Studentessa B: Sono gli imprenditori stessi a non essere critici con se stessi.

PB: Perché quindi i media non stanano questo fatto? Per esempio, quando la categoria sociale dei politici fa qualcosa che non va, i media lo sottolineano.

Studentessa B: Perché sono tutti convinti che stando fermi si possa andare avanti, quando in realtà non è così.

Studente C: Secondo me il tema non è trattato dai media perché la classe politica italiana lo ritiene un argomento scomodo, anche perché l'innovazione porta grandi investimenti e poca visibilità, con risultati che non sono immediatamente tangibili. I politici preferiscono avere qualcosa di controllabile e che possa portare subito consenso, non qualcosa che possa portare magari a riscuotere il merito nella legislazione successiva.

PB: Quindi è implicito c'è che i media seguono i desiderata della politica?

Studente C: I media alla fine devono avere anche loro un profitto, quindi puntano su quegli argomenti che possano suscitare interesse nel pubblico; l'innovazione in Italia non crea questo interesse.

Studentessa D: Anch'io sono molto d'accordo con l'ultimo intervento: per i media conta quello che dicono i politici. Secondo me, però, i media non sono rivolti in generale ad un pubblico di livello medio-basso: farei una distinzione tra televisione e giornali. I giornali non si leggono e non si comprano perché la gente non li sa leggere, il quotidiano riscuote sempre minore successo. L'opposizione al Governo tratta molto il tema dell'innovazione, sottolineando la necessità di innovare in contrapposizione all'attuale Governo, perché porterà dei risultati nel lungo termine. Chi deve evidenziare i propri risultati parla di cose più concerete, fatte nel breve, di cifre attuali, di politica fiscale, di spesa pubblica. L'innovazione comunque, secondo me, è trattata dai giornali, soprattutto dalle maggiori testate quotidiane e i quotidiani non sono riviste specializzate. Io leggo i giornali e secondo me non è un tema così escluso come dalla televisione che non ne parla, ma la televisione non parla di niente di serio secondo me.

Studente E: Secondo me invece si deve partire dall'inizio: siamo sicuri che gli imprenditori abbiano capito che cosa vuol dire innovare? Magari un imprenditore pensa che bisogna fare qualche cosa che cambia la vita, invece dalla testimonianza di Pedrollo abbiamo sentito che dalle pompe grosse, macchinose, difficili, ha costruito un prodotto semplicissimo, funzionale e ha fatto la sua innovazione. Quindi oggi l'imprenditore a cosa sta pensando: a complicare una cosa semplice o magari l'innovazione sarebbe semplificare una cosa complessa? Questa magari potrebbe essere la chiave. Anche perché quando si pensa all'innovazione tecnologica, la si pensa come qualcosa di sempre più complesso, perché non pensare invece a qualcosa di più semplice, che magari costa anche meno?

PB: Quindi i media dovrebbero almeno accorgersi delle innovazioni che semplificano.

Studente F: Se si riuscisse a far associare l'innovazione con qualcosa che costa meno, secondo me funzionerebbe di più che cercare di spiegare l'innovazione con parole difficili che non tutti riescono a capire. Potrebbe essere un'idea di partenza per coinvolgere più persone sull'argomento. Qualcosa che costa di meno e fa star meglio.

Studente E: Perché fare qualche cosa di speciale, quando posso fare una cosa semplice e abbassare il costo? Alla fine funziona lo stesso.

PB: Il suo ragionamento è giustissimo. Perché però non lo leggiamo sui giornali e non lo vediamo da nessuna parte in televisione? Sarà d'accordo con me che non sentiamo tutti i giorni un ragionamento come il suo.

Studente E: Sono io il primo a cascare nel gioco delle novità, come il telefonino: abbiamo quello come mille funzioni e lo usiamo solo per telefonare. Ho letto che si sta pensando proprio ad un nuovo telefonino senza alcuna funzione se non quella di telefonare.

Studentessa B: Secondo me è vero che l'imprenditore non ha ben chiaro che cosa voglia dire innovazione e la nozione di innovazione non gira perché non è ben chiaro che cosa voglia dire.

Studente G: Bisogna anche tenere conto della realtà imprenditoriale italiana. Per esempio dove abito io, in Brianza, i piccoli imprenditori hanno tra loro un legame molto diretto, veicolato dal dialetto. E questo può essere positivo e creare un polo, però porta anche delle limitazioni all'apertura verso l'esterno, quindi anche verso l'innovazione.

Studente H: Ho letto che il 60% delle imprese nate nel 2005 sono state impiantate da persone senza scolarizzazione, mentre gli studenti e i laureati tendono a cercare un posto fisso, non riescono a vedere oltre, a guardarsi intorno e a vedere le opportunità imprenditoriali. E questo credo sia un problema. Inoltre in Italia non vengono agevolati gli start up, non viene agevolato chi ha un'idea imprenditoriale, magari anche innovativa, ma solo chi ha già i soldi per farlo.

PB: C'è qualcuno di voi che ha in testa di fare l'imprenditore? Due persone. Ma volete fare solo gli imprenditori o intendete anche essere innovativi?

Studentessa D: Io sento il peso dell'innovazione, ma credo che la classe impenditoriale che oggi è sul mercato è per lo più fatta di persone che si sono improvvisate e che magari hanno approfittato di un momento favorevole dell'economia e che oggi sono ricchi imprenditori. Oggi però avvertono gli scossoni perché, appunto, non si sono mai posti il problema di innovare. Io penso che la nostra classe imprenditoriale sarà più consapevole e non dormirà sugli allori e investirà sull'innovazione.

Studente I: Secondo me per innovare non è il caso di fare grandi stravolgimenti. L'innovazione si fa nel quotidiano, con piccoli accorgimenti mirati a più settori della propria impresa, dalla logistica ai rapporti con i fornitori, piccole sfumature, ma che possono creare un'impresa innovativa.


by Valentina Porcellana on 31.01.06 at 09:30 | Permalink |