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Questa è la sezione Argomenti: il nucleo del sito
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Tutti gli interventi di Febbraio 2004
(sotto questo elenco trovi anche gli ARCHIVI mensili)
Questi sono gli interventi del mese di Febbraio 2004
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INDICI Indici
di
TUTTI GLI ARGOMENTI
trattati da Aprile 2000 (avvio del sito) ad Agosto 2004

Gli indici coprono il periodo che va fino ad Agosto 2004, mentre da Settembre 2004 gli Argomenti possono essere seguiti, in progressione cronologica, accedendo agli ARCHIVI (mensili) che si trovano in questa pagina, sotto l'elenco degli interventi.
I BLOG
e i
CALL FOR COMMENTS
che orbitano attorno a questa sezione

DiaBloghi
Blog di dialoghi sull'innovazione "poiesis intensive"

[25 maggio 2005]
"Rinnovare, cambiare o innovare?" è la nuova domanda apparsa in DiaBloghi!


[17 giugno 2005]
Leggi il "commento" scritto da Aleph V° in relazione al dialogo Cosa vuol dire che una cosa vale, e che vale poco o tanto?

BIBLIOGRAFIE
presenti in questo sito

Gli aggiornamenti nei BLOG - BLOG Updates

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Updated "Bruno Latour in Milan"

( 28 Febbraio 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

The item "Bruno Latour in Milan and the connected Call for Comments in this site" has been updated with the translation in English of the interview with Bruno Latour by Margherita Fronte.

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I rischi di una medicina sempre più tecnicizzata

( 25 Febbraio 2004 )

( scritto da Leopoldo Sarli Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Ha colto nel segno Bertolini, quando ha posto l'attenzione sulla condizione di disagio che la carenza di un adeguato colloquio medico-paziente determina sia tra gli operatori sanitari che tra gli utenti del sistema sanitario pubblico. Ha colto nel segno, perché questo disagio che si autoalimenta, cresce in maniera esponenziale e rischia di vanificare i sacrifici, anche economici, che la società ha posto in essere per procurarsi gli indubbi progressi ben evidenziati nel saggio di De Filippis. Il medico non colloquia con il paziente ma con i suoi dati strumentali, il paziente si rivolge sempre più spesso alle medicine alternative. Il paziente avverte il disagio come "malasanità" e ne attribuisce la responsabilità all'operatore sanitario; quest'ultimo avverte il disagio come svalutazione del proprio ruolo professionale, come mancato riconoscimento del proprio impegno e ne attribuisce la responsabilità alle eccessive pretese dell'utenza.
Del rischio che una medicina sempre più tecnicizzata allontani il sistema sanitario pubblico dal suo compito di provvedere alle reali esigenze dell'intera popolazione si sta discutendo anche durante i lavori di un convegno in corso a Parma che ha per tema "salute e multiculturalità".
Importanti flussi migratori stanno rapidamente trasformando la composizione della società italiana, attribuendole una connotazione sempre più multietnica. Il mondo della sanità non è risparmiato dalle difficoltà dettate dall'incontro tra culture diverse in quanto gli operatori sanitari, che devono confrontarsi con questa nuova e disomogenea realtà, non trovano nel loro bagaglio formativo gli strumenti idonei ad affrontare in maniera adeguata il confronto interculturale. I concetti di salute, malattia, morte, dolore, sono interpretati in maniera differente nelle diverse culture, tuttavia il paziente immigrato non rappresenta il prototipo di una concezione specifica di salute-malattia dettata dalla sua cultura. Nel migrante infatti, che vive a cavallo tra due mondi ed è impegnato in una continua trasformazione della propria identità, convivono concezioni della medicina in uso nel paese d'origine, concezioni della medicina popolare rappresentata dall'insieme della autoterapie insegnate dalla tradizione e concezioni della medicina occidentale, quella che definiamo biomedicina, ormai diffusa in tutto il mondo. Da questo intreccio, peraltro, non è esente neanche la nostra società che sempre più spesso ricorre ai rimedi della medicina popolare e, come abbiamo visto, a quelli delle medicine alternative. Non esiste quindi un numero, sia pure elevato, ma comunque ben delimitabile, di concezioni della medicina da apprendere e comprendere. Si potrebbe affermare che le concezioni di medicina sono tante quanti sono gli esseri umani, influenzate dalla cultura di ognuno, ma soprattutto determinate dalla personale esperienza di vita.
Ed in questo scenario i dettami della medicina tecnicizzata conducono al fallimento dell'interazione sanitario-paziente. Come inserire nel puzzle della "evidence based medicine" i tasselli amorfi rappresentati da sintomi e segni che il paziente "diverso" avverte e sottopone all'attenzione del curante, ma che questi non sa interpretare perché non rientrano nel bagaglio della "sua" semeiotica? E come ottenere quei dati strumentali con i quali gli operatori sanitari sono soliti rapportarsi per verificare i risultati della cura o per prevenire la ripresa di malattia quando i concetti di malattia cronica o di prevenzione (invenzioni della società del benessere) non rientrano nel background culturale del paziente? La risposta, fornita durante i primi dei 10 incontri previsti dal corso in svolgimento a Parma, è apparentemente elementare, ma nello stesso tempo rivoluzionaria nel contesto del percorso evolutivo della medicina occidentale descritto da De Filippis. Occorre fare qualche passo indietro e tornare a porre il singolo uomo-paziente, e non l'indagine diagnostica strumentale, al centro dell'attenzione della professione medica. Occorre rivalutare la soggettività dell'arte medica a spese dell'obiettività della scienza medica. Occorre cioè reimparare ad ascoltare attentamente il paziente, reimparare ad indagare sulle descrizioni dei sintomi, reimparare a costruire una storia clinica. Capire il vissuto della persona consentirà di ricondurre i concetti soggettivi di malattia, mescolati ad emozioni e sentimenti, nel concetto obiettivo, così come è descritto nei nostri libri di medicina. Ed un esercizio di questo tipo, oltre ad attenuare le difficoltà del confronto interculturale, risulterebbe anche assai utile con il paziente italiano, consentendo il recupero di quel rapporto umano quasi del tutto perso nel nostro sistema sanitario pubblico, efficiente, ma sempre più depersonalizzato. Imparare a curare lo straniero, quindi, potrebbe interrompere la crescita esponenziale di quel disagio che aleggia nel nostro sistema di salute pubblica su cui Bertolini ha acutamente posto l'attenzione.

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Interventi conclusivi del Call for Comments bibliografico

( 21 Febbraio 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )
'Book Stack with Buildings' disegno di Theo Rudnak tratto da Corbis - www.corbis.com

"Book Stack with Buildings" - disegno di Theo Rudnak tratto da Corbis - www.corbis.com

Daniele Navarra ha scritto oggi un intervento conclusivo in inglese, che fa seguito a quello di Vittorio Bertolini, del Call for Comments sulla Bibliografia, realizzata da Leone Montagnini, su "Innovazione e Responsabilità nella Information Society".

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Due parole sulla Evidence based medicine [16/02/04]

( 13 Febbraio 2004 )

( scritto da Margherita Fronte Cliccare sul link per scrivere all'autore )
[16/02/04]

Il numero della rivista "Keiron" qui citato
(gli articoli, in formato PDF, sono tutti scaricabili)

Il sito di Farmindustria

La rivista "Keiron" diretta da Ivan Cavicchi

"Gli Scopi della Medicina": tavola rotonda virtuale con riferimento al documento "Gli scopi della medicina: nuove priorità", Rapporto dello Hastings Center Pubblicato su Politeia, 13, 1997 (la tavola rotonda è ospitata nel sito www.qlmed.org , realizzato dallo staff dell'Unità Operativa di Psicologia Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori di Milano)

Una Rassegna, curata da Vittorio Bertolini (pubblicata nel Sito Web Italiano per la Filosofia), degli articoli di giornale che citano Cavicchi e che parlano di argomenti affrontati anche nel corrente dialogo on line in questo sito.
Sulla Evidence based medicine vorrei segnalare un dibattito che Tempo Medico ha pubblicato tre anni fa. Il dibattito partiva da un editoriale di Marco Geddes (del Servizio di epidemiologia dell'Istituto nazionale dei tumori di Genova) in riposta alle posizioni espresse da Ivan Cavicchi, direttore di Farmindustria, su Keiron, la rivista da lui diretta. Credo che una lettura attenta possa essere utile per tutti coloro che stanno partecipando a questo dibattito. Da parte mia, non ho capito il nesso fra la medicina molecolare e la evidence based medicine. E' del tutto evidente che le biotecnologie non hanno finora portato alla medicina i frutti promessi. Gli unici avanzamenti concreti (applicabili su vasta scala ai pazienti) si registrano nel campo della diagnosi. Ma, come sottolineava un intervento precedente, il miglioramento delle tecniche diagnostiche ha poco senso, per il malato, se poi non c'è la cura. Ma questo che c'entra con la medicina basata sulle prove? Potrà essermi sfuggito qualcosa, ma non mi pare che gli studi della Cochrane Collaboration si concentrino sulla medicina molecolare. Valutano invece le tecniche e le medicine in uso, con l'obiettivo di stabilire su basi scientifiche quali sono quelle efficaci. Queste valutazioni sono uno strumento di lavoro indispensabile per il medico. E' vero che la medicina ha perso la sua dimensione umana, ma non mi pare che il recupero di questa possa passare attraverso la negazione del metodo scientifico con cui si valutano le terapie.
Logo di Farmindustria

Tavola rotonda virtuale

La rivista 'Keiron'

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La medicina 'amministrata' [16/02/04]

( 11 Febbraio 2004 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Ivan Cavicchi
Il sito "POL.it (Psychiatry on line)" ha pubblicato tempo fa un'intervista fatta nel dicembre 2001 da Cristina Bandinelli a Ivan Cavicchi [ * ], docente di sociologia e organizzazione sanitaria all'università di Roma "La Sapienza" ed ex direttore generale di Farmindustria [16/02/04]. Questi è stato già più volte citato all'interno del dialogo on line avviato col post Innovazione in campo sanitario e responsabilità politiche e, nell'intervista, esprime la posizione ribadita in un articolo di Marina Corradi su Avvenire del 15 febbraio 2002.

Gli interventi precedenti (in ordine cronologico) che, sino ad oggi, hanno alimentato questo dialogo on line:

Innovazione in campo sanitario e responsabilità politiche (G.M. Borrello)

La Fabbrica della Salute - Introduzione (M. De Filippis)

Innovazione in campo sanitario e responsabilità politiche (2) (G.M. Borrello)

Il feedback negativo dell'innovazione tecnica in medicina (V. Bertolini)

La Fabbrica della Salute (2) (M. De Filippis)

Innovazione tecnologica in campo sanitario (G. Belleri)

Innovazione in medicina (G. Buzzi)

La flebo e il bicchier d'acqua (L. Montagnini)

Ho scelto di segnalare l'intervista perché alcuni suoi brani possono essere messi in relazione con due domande che ritengo cruciali e alle quali ciascuno dei partecipanti a questo dialogo ha dato una risposta con stile personale:

  • esiste un rischio tecnocratico in ambito sanitario?

  • e il ricorso massiccio alla tecnologia quali conseguenze comporta sotto il profilo del diritto di accesso alla cura/terapia?
Tali domande riassumono anche le questioni su cui verteva la citazione delle parole di Cavicchi (nel blog delle Segnalazioni e richiamata nel primo intervento di questo dialogo) dalle quali il nostro dialogo aveva preso il via.

«[...]
Bandinelli: Dalla lettura dei suoi scritti, mi sembra che le critiche che lei solleva alla EBM [ndr: "evidence based medicine"] si collochino nella più generale cornice del rapporto fra sanità e medicina, che lei vede attualmente concretizzato in modo "lineare", cioè a senso unico, fino a farla parlare di "medicina amministrata": il potere tecnocratico degli amministratori della sanità esercitato sulla medicina. La EBM in questo contesto non sarebbe uno strumento fra gli altri, ma "lo" strumento utilizzato per avallare, dare scientificità a questa politica.

Cavicchi: [...] La medicina amministrata è una medicina vittima dell'economicismo, dei problemi finanziari della sanità, vittima dei limiti economici. L'economicismo non è l'economia. L'economia è una disciplina scientifica molto rispettabile, l'economicismo è un'ideologia che non antepone niente al limite economico, neanche i diritti dell'uomo: un'ideologia pericolosa. La medicina amministrata nasce nel momento in cui si toglie al medico e alla medicina la titolarità della valutazione sulla necessità clinica.
Oggi è già difficile decidere su cosa è necessario, clinicamente parlando. Pensi alla discussione sui Livelli Essenziali di Assistenza, pensi ai farmaci che a fasi alterne erano essenziali o non essenziali a seconda di come girava il bilancio: cosa vuole dire essenziale è, in medicina, un problema enorme.
Il punto, poi, è chi decide cosa è necessario. Nell'occidente, per ragioni economicistiche, la decisione su cosa è necessario si sta spostando sempre più su soggetti amministrativi, non su soggetti clinici. Si può fare in tanti modi: con le Linee Guida, coi DRG, con gli Standard, con i Livelli Essenziali di Assistenza. In tanti modi. Dietro c'è un ideale pericoloso: quello di eteroguidare l'atto medico, eteroguidare la scelta clinica. [...]

L'intervista prosegue toccando due punti nodali: quello del rapporto tra etica, scienza, economia e il welfare del Servizio Sanitario Nazionale.

Cavicchi sostiene che occorre... [grassetti miei]

«Ripensare il diritto: tutta la nostra storia di welfare, che comprende la legge 180, le leggi sulla donna, sul materno infantile, è impregnata di giusnaturalismo. Si fa riferimento ad un diritto naturale. Nel codice deontologico dell'Ordine dei Medici c'è scritto che la salute "va conservata": lei nasce con una cosa dentro che si chiama salute, una specie di dote, che la medicina deve conservare (certo, le malattie genetiche sono un po' una frode sulla dote.).
Io sostengo invece che il diritto naturale è anacronistico. La salute per me non è un diritto naturale, ma un diritto civico, quindi un diritto politico, e in quanto tale non è blasfemo supporre diritti diversi, perché le persone, i contesti lo sono. Sempre evitando la confusione con la disparità.
Se penso ad un diritto nuovo, devo ripensare la teoria che ha ispirato la legislazione sanitaria degli ultimi trenta anni, la teoria della salute tutelata. Tutelare: cosa vuol dire? Tutelare gli interessi, l'ambiente, un minore. significa difendere, proteggere qualcuno che non è in grado di farlo da solo. Se è vera la mia analisi sul paziente che diventa esigente, sulle trasformazioni della società legate alle conquiste scientifiche, il discorso della tutela e di un cittadino da tutelare vale sempre meno. E' sempre più presente un cittadino che si vuole autodeterminare attraverso la medicina, la scienza.

Verso la conclusione dell'intervista c'è un'affermazione che penso sia da mettere in rilievo: Cavicchi parla di una vera e propria "premessa ontologica" dell'attività del medico.

«Mi sto battendo per introdurre una cosa che non ho paura di chiamare Filosofia della Medicina. [...]
Se varia la premessa ontologica, varia anche il ragionamento scientifico. La premessa è dunque importante quanto il ragionamento scientifico. Se lei mi vede come una lavatrice, ragionerà su di me come se io lo fossi. Se lei mi vede come una persona, ragionerà su di me come tale. La differenza è nella premessa ontologica. In una mi vede ontologicamente come una macchina, nell'altra come una persona.»

[*]
Ivan Cavicchi è stato Direttore Generale di Farmindustria [16/02/04] e Responsabile Nazionale del Dipartimento della Sanità della CGIL. Laureato ad honorem in Medicina, insegna Sociologia Sanitaria presso l'Università di Roma "La Sapienza". Ha fondato e dirige la rivista Keiron ed è autore di diversi libri, fra i quali: "Il malato inguaribile. Il significato della medicina" (Editori Riuniti, 1998), "Il rimedio e la cura" (Editori Riuniti, 1999), "La medicina della scelta" (Bollati Boringhieri, 2000) e "Salute e federalismo. Forma e contenuti dell'emancipazione" (Bollati Boringhieri, 2001).
L'intervista, lunga e articolata, si è svolta il 3 dicembre 2001 nei locali di Farmindustria a Roma.

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Tutto ciò di cui hai bisogno è cliccare, cliccare, cliccare...

( 9 Febbraio 2004 )

( scritto da Gian Maria Borrello Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Sherry Turkle
«Dobbiamo stare attenti all'impatto sociale e psicologico della tecnologia che ti incoraggia a pensare che tutto ciò di cui hai bisogno di fare è cliccare, cliccare...»

Questa è un'affermazione di Sherry Turkle (intervista rilasciata a Technology Review, v. [*], più sotto) che conduce alla questione dei modelli di simulazione. Perché "questione"? Scopritelo leggendo gli ultimi due post in "Tout se tient":

 

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La flebo e il bicchier d'acqua

( 1 Febbraio 2004 )

( scritto da Leone Montagnini Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Una donna anziana viene ricoverata per disidratazione. È confusa, è un effetto piuttosto tipico della disidratazione, perciò viene sistemata in un letto con le sbarre laterali. Le viene praticata una terapia reidratante mediante fleboclisi, soluzione glucosata (cioè acqua e zucchero) e soluzione fisiologica (cioè acqua e sale). Come per incanto, la signora comincia a riacquistare completa lucidità. Viene sospesa la somministrazione endovenosa. La signora mi chiama. Come sta bene, mi sembra un miracolo! Cosa vuole signora? Un bicchiere d'acqua per favore!

Sospese le flebo, nessuno ha pensato che era altrettanto necessario portarle l'acqua al capezzale. Le flebo sono mediche, il premoderno bicchiere d'acqua glielo diano i familiari. Ma la signora è sola. All'ingresso del reparto è anche stato scritto: è vietato ai visitatori dare cibo ai pazienti. Vale pure per l'acqua? Non lo so. Chiamo l'infermiera. Sì sì veniamo subito.

Raccontando l'episodio ad un medico anziano, mi disse qualcosa come: "in fondo la fleboclisi si è imposta un po' ovunque da pochi anni, dopo un periodo di transizione con la dolorosa e poco utile ipodermoclisi. E' una forma di somministrazione terapeutica semplice che ha prodotto una grande rivoluzione. Quello che mi dice mi rattrista."

C'è da riflettere molto su questa storia. L'ospedale ed in generale la medicina, sono figlie del nostro tempo. La nostra è una cultura futuristica. Nel senso che ciò che è vecchio è brutto e ciò che è nuovo è bello. E' una cultura che ama ciò che è tecnologicamente complesso. Quello che è semplice, anche se tecnologicamente efficace, ha difficoltà ad affermarsi.

«(...) e introducendo la minigonna si cambia comunque il modo di vivere e di fare tante altre cose...»
("Estratti dall'intervento di Piero Bassetti al seminario ISVOR Knowledge System di Luigi Luca Cavalli Sforza...")

«(...) Penso ad esempio alla minigonna il trionfo della quale e il mutamento di costume conseguito non sono stati certo decisi da qualche organo politico, né dalla stessa Mary Quant...»
("Innovazione, rischio sociale e responsabilità politica" --Lezione svolta alla London School of Economics, 14 maggio 2003)

Intervento del 19 settembre 2003 di Leone Montagnini al Call for Comments "Partecipazione pubblica e governance dell'innovazione" (pagina principale del Call for Comments)

Mi viene in mente un passo di un bell'intervento di Piero Bassetti sulla minigonna come innovazione semplice e geniale, oppure alcune mie osservazioni in un precedente call for comments su penne e matite spaziali.

In fondo, se ci si riflette bene, la fleboclisi in quanto innovazione occupa più il lato delle minigonne, matite, libri di carta che quello ad alto contenuto tecnologico costituito dai computer, dalle risonanze magnetiche nucleari, dalle TAC ecc. La flebo se ha vinto è perché aveva i vantaggi della bicicletta, della penna biro e delle barzellette: semplice ed efficace non aveva bisogno che nessuno la promuovesse per imporsi, tanto era utile. Fu così che è stata istituzionalizzata. Da allora ha messo il camice, è diventata medica, non più qualcosa di quotidiano, passatista, semplice come uno squallido e banale bicchiere d'acqua o come un familiare che ti viene a trovare. Altre terapie, come il voltare periodicamente il paziente a letto per evitare la polmonite da stasi e il decubito, come i massaggi contro il decubito o come il materassino ad aria con compressore, non sono mai riuscite a fare il gran salto. Si tratta di una mentalità che conosce bene il fisiologo o lo psicoterapeuta, cioè quelli che sono convinti che si possa guarire una persona con la ginnastica e con le parole. Ma quali parole? Fatti non parole ci vogliono signori. Anzi macchine, scintillanti macchine che vibrano e percuotono. E poi le chiacchiere?! Ma quali chiacchiere? Pillole servono, tante pillole e poi scosse, scosse elettriche, e magari un bella, materiale e risolvente lobotomia! Il massimo sarebbe un bombardamento mirato e, naturalmente, chirurgico!

Per la cronaca: tolte le sbarre, la signora cominciò ad andare da sola a riempirsi il bicchiere d'acqua.

Un bicchiere d'acqua

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