Il nuovo libro di Stefano Epifani Il Teatro delle Macchine Pensanti. 10 falsi miti sull’intelligenza artificiale e come superarli è stata l’occasione per un dialogo ospitato da Fondazione Bassetti il 30 ottobre 2025 tra il presidente della Fondazione per la Sostenibilità Digitale e autore del saggio, il Chief Sales Enablement & Operations Microsoft Italia Matteo Mille, e il segretario generale di Fondazione Francesco Samorè. Di seguito, una sintesi e video dell’evento.
Da sempre, in Fondazione Bassetti, l’innovazione è considerata un fatto storico, che non solo trasforma la nostra azione sul mondo, ma che riconfigura anche le nostre istituzioni, i nostri modi di vivere e porci in relazione. L’innovazione genera nuovi mondi e, poiché abitiamo le forme fisiche quanto quelle simboliche, anche nuove rappresentazioni. «Il problema è proprio quello di comprendere come il concetto di responsabilità nell’innovazione si agganci al modo in cui l’innovazione viene narrata, e come questa narrazione agisca sulla società, sull’economia e sulle persone», dice Epifani iniziando il suo intervento. E di fatto il suo saggio si pone come un argine critico alla rappresentazione drammatica dell’intelligenza artificiale, a una teatralizzazione distonica o addirittura distopica, con macchine definite pensanti e talvolta sapienti, e una serie di falsi miti che, dice l’autore: «confondono la complessità con la complicazione, danno risposte semplicistiche invece che semplici, creando simulacri».
Nel libro, i falsi miti vengono divisi in cinque tipologie: dalla supposta intelligenza dell’intelligenza artificiale all’analogia tra reti neurali artificiali e reti neurali biologiche; dal sogno dell’onniscienza al processo di antropomorfizzazione delle macchine che genera una delega cognitiva; fino alla possibilità di una reale consistenza di un’etica dell’intelligenza artificiale, «come se noi potessimo ridefinire un modello etico insito in una macchina, quando invece dovremmo parlare di un’etica sociale che cambia in un momento in cui uno strumento come l’intelligenza artificiale ridefinisce il lavoro, la società, o l’economia», dice Epifani. Ma come tornare a governare responsabilmente la rappresentazione di questa innovazione? «È importante non accordare ai soli tecnici, ai nerd, la costruzione della rappresentazione simbolica dell’intelligenza artificiale: sarebbe come consentire un nuovo colonialismo, che ancora una volta usa il linguaggio per esercitare un controllo culturale e sociale sulla visione e interpretazione del mondo», dice Matteo Mille. «È fondamentale sviluppare quel processo di rimodulazione cognitiva agito dall’intelligenza artificiale tra chi produce la conoscenza e chi ne fruisce su regole chiare e trasparenti come quelle proposte dai modelli di eXplainable AI (qui intervista a Fosca Giannotti sul tema) che ci consentono di capire come siamo entrati in contatto con quell’informazione», dice Epifani.
Piero Bassetti, dal canto suo, orienta la riflessione su un altro piano. «La distinzione di fondo è quella tra intelligenza e sapere. Quando in Fondazione abbiamo tentato di avvicinare il concetto di innovazione al concetto di responsabilità, avevamo intuito che il problema del sapere non è il problema dell’informazione; si può infatti sapere una cosa ma non “intelligerla”, che è una cosa completamente diversa. Chi, quindi, volesse criticare il cultore dell’intelligenza artificiale, dovrebbe partire dal costruire il significato di intelligenza. E l’intelligenza è creazione di sapere, non distribuzione di informazione. Questo è il punto fondamentale. L’intelligenza artificiale indubbiamente esercita un processo quantitativo sul sapere, ma il genio è quello che crea il sapere. Credo che a questo punto sarebbe utile stabilire una distinzione tra genio e intelligenza, anche perché un intelligente non è necessariamente un geniale. Il pregio del genio, infatti, non è quello di avere una maggiore informazione, bensì quello di avere una maggiore percezione che fatti non connessi prima possono essere connessi ex novo. E poi, una provocazione: «Potremmo anche analizzare la santità: un Santo non è un sapiente. Mi pare che, da questa prospettiva, il tema possa essere molto più interessante e complesso: in che misura un apparato elettronico può essere geniale? L’aspetto interessante della nostra epoca è in fondo il fatto che l’umanità oggi è sfidata a capire cosa è il suo genio, non la sua intelligenza. Ho sempre avuto chiarissima la percezione che l’innovazione è una dimensione che appartiene non al potere ma al sacro, dove per sacro non si intende il religioso ma la qualità ontologica; appartiene al genio, che percepisce l’esistenza di una verità che sfugge ad altri, e non al sapiente. Per paradosso, se accettassimo il principio dell’intelligenza dell’IA, dovremmo dire che Leonardo, il genio universale, è un cretino. La sua intelligenza infatti non è industrializzabile, né riproducibile. Forse, se mettessimo in evidenza che la genialità che ha fatto la storia dell’umanità non è compresa in quel principio di intelligenza, avremmo dato una risposta a tutte le domande di questa sera».
«È sbagliato associare la capacità della macchina di generare del contenuto alla possibilità, impossibile, di intuire la soluzione», conferma Mille. Eppure, è quello che la rappresentazione dell’intelligenza artificiale induce a pensare. Nonostante, come afferma Epifani: «Come scrivo nel libro, il concetto stesso di intelligenza è diverso se visto da diversi punti di vista: della logica, della linguistica, della neurologia e della filosofia… Esiste l’intelligenza umana ed esiste anche chi ne critica l’antropocentrismo nella definizione. Tuttavia, è indubbio che l’intelligenza è la capacità di comprendere, ragionare e risolvere problemi, ma anche e soprattutto di attribuire significato all’esperienza. Non è solo calcolo, ma costruzione di senso, non è solo risposta, ma relazione tra soggetto e mondo. L’intelligenza è il processo attraverso cui l’essere umano riconosce le connessioni, interpreta i contesti, genera conoscenza, a partire dal significato, non dalla sola informazione. Ed è proprio sulla base di questa definizione che possiamo dire che l’intelligenza artificiale non è intelligente. Appare intelligente, perché – come nel caso dell’intelligenza artificiale generativa – è pensata per costruire dei dialoghi, ma non è intelligente».













