Abitudini, leggi di mercato, retaggi culturali e una buona dose di inerzia tendono a far rimanere il design un mondo riservato alla (presunta) maggioranza degli utenti. Quella che acquista, quella che non ha esigenze fuori dallo standard, quella che fa la voce grossa. Prevale il concetto di “normalità” che tranquillizza alcuni e terrorizza molti, me compresa, e che spesso ancora impera quando si tratta di creare nuovi prodotti di arredo da zero.
A chi vuole rompere le righe e la tradizione, non basta la volontà. In un mondo a tre dimensioni, servono anche spazi, macchine e strumenti per fare innovazione coraggiosa, arrivando a produrre davvero l’idea disruptive che si ha in mente. “Senza tutto ciò, non si ha meritocrazia e non si riesce a ricavare spazio nel mercato. In questo settore le tecnologie 3D sono troppo costose e sofisticate per una startup. E anche ingombranti! Ma è proprio da queste nuove realtà che spesso provengono idee innovative” spiega infatti Ivan Tallarico che, non volendosi fermare al solo constatare questa situazione, ha deciso di creare assieme agli altri quattro co-fondatori (Emil Abirascid, Alessandro de Cillis, Domenico Greco e Patrizia Vavassori) una cofactory per contribuire al cambiamento. Si chiama DesignTech, è a Milano, nel Certosa District, e non è un “affitta macchine” per design, ma un ampio capannone-ecosistema.
DESIGN FOR ALL
“Cerchiamo di spingere verso un design più inclusivo, connettendo chi lo vuole realizzare con partner grandi e attenti. Riteniamo essenziale impegnarci in questa direzione in modo proattivo, cercando di incoraggiare l’ideazione e la produzione di prodotti non solo adeguati a persone con disabilità ma anche ‘sexy’ ”. Per Tallarico, infatti, includere non significa solo tener conto delle esigenze di tutti ma anche di garantire pari dignità, evitare prodotti sacrificati e sacrificanti creati per una nicchia, “senza troppi sforzi per renderli attraenti e belli – spiega – Non farebbero che sottolineare il concetto di diversità in senso non inclusivo”.
Per mettere a terra queste belle intenzioni, DesignTech ha lanciato una challenge alla propria community attualmente composta da oltre 60 startup internazionali e più di 50 aziende, per far immaginare prodotti con forme distintive e target corretto, ma che non siano da malati. “Attualmente si sta facendo qualcosa di interessante nel settore delle protesi, ma quello dei mobili è ancora molto indietro, tranne qualche eccezione – spiega – è necessario lavorare sui limiti di serialità che questi prodotti possono avere e che blocca. Il nostro ecosistema li minimizza e favorisce la customizzazione, permettendo di cambiare mindset”.
La vera sfida non è semplicemente quella del design for all (già tutt’altro che semplice), ma quella del sexy for all e, secondo Tallarico, si può vincere solo se si promuove l’innovazione dal basso, “mettendo a disposizione tecnologie, consulenze e contatti – precisa – esistono da tempo tutte le tecnologie necessarie per sviluppare e lanciare anche prodotti con mercato non ampio. Oggi sono nativi digitali, la personalizzazione non è un costo aggiuntivo”.
La vera sfida non è semplicemente quella del 'design for all', ma quella del 'sexy for all' e si può vincere solo se si promuove l’innovazione dal basso
LA LONGEVITÀ DEL DESIGN OVER XX
Uno dei nemici più insidiosi dell’inclusione autentica è la generalizzazione, soprattutto quando esiste un mercato predominante desideroso di individuare pattern, trend e schemi che permettano di produrre in serie. Design for all, invece, significa prestare attenzione alle esigenze di ciascuno, e non dividere il mondo in normali e diversi, dedicando a questa seconda categoria prodotti nuovamente tutti uguali. Un esempio piuttosto immediato da comprendere da tutti è quello delle persone anziane. “Per sviluppare tecnologie adeguate a questa condizione è fondamentale rendersi conto e tener conto che hanno bisogni diversi dalle persone con disabilità. Una disabilità può essere anche temporanea e/o non degenerare – spiega infatti Tallarico – la vecchiaia invece evolve e spesso anche i suoi effetti sul corpo. Servono quindi oggetti che ‘seguano’ il soggetto negli anni in modo dinamico, continuando a essere in grado di rispondere ai suoi bisogni”. Una sfida ancora più complessa, forse, ma centrale per poter parlare di vera inclusione, ancora più centrale da vincere in un Paese che oggi occupa il secondo posto nella classifica globale dei più anziani.
ABBRACCIARE IL MONDO
Esplorando assieme a Tallarico tutte le sfumature del meraviglioso concetto di inclusione, si superano i confini italiani e un iniziale senso di impotenza, per guardare alle innovazioni che spuntano in altre parti del mondo. Alcune sono una bozza di idea, con un potere rivoluzionario su scala locale, ma senza alcun peso di mercato su quella locale.
Apparentemente destinate a restare “un’idea carina per quella zona”, alcuni di questi prodotti potrebbero essere scalabili e replicabili in altre aree con simili esigenze. Certo, molto probabilmente non diventerebbero mai trend mondiali, ma potrebbero cambiare la vita a chi finora poco è stato aiutato dal mondo del design. Questa riflessione apparentemente campata in aria, d’un tratto prende la forma di una tanica a ruota per trasportare acqua. Tallarico la cita come esempio, spiegando che, “decentralizzandone la produzione si potrebbero amplificarne gli impatti. Ci sono tante idee semplici ma utili che hanno bisogno di un ecosistema perché non hanno in sé un peso commerciale globale. Una community come la nostra, permetterebbe loro di trovare ragioni di mercato. Sono ragioni umane e noi siamo a disposizione per creare opportunità di connessione e visibilità”.
Ci sono tante idee semplici ma utili che hanno bisogno di un ecosistema perché non hanno in sé un peso commerciale globale
DESIGN FOR EVERY BUDGET
Un’altra barriera da non ignorare nel mondo del design, e non solo, è quella dei costi. Alcuni prodotti sembrano destinati solamente a chi si può permettere di spendere in bello, oltre che in utile. Ma il destino si può cambiare, anche quando si è una startup, anzi, a volte questo status regala quell’agilità fondamentale per fare irruzione in un mercato abitudinario, fatto a silos, e mescolarne le carte.
Nella cofactory di DesignTech c’è n’è una che ci sta riuscendo, si chiama Deesup ed è nata per dare una seconda vita agli arredi iconici di alta gamma. L’interpretabile espressione “democratizzare il design” in questo caso si traduce nell’accompagnare questo settore con regole ancora molto rigide nella direzione dell’economia circolare, sposando la logica e i principi del mercato second hand. In molti altri Paesi è da tempo diffuso, in Italia sta cominciando ad essere socialmente accettato da poco, soprattutto grazie alle nuove generazioni che non associamo in automatico il concetto di usato alla bassa qualità.
Con Deesup, per esempio, questo paradigma di mercato diventa un canale alternativo alla fast furniture, per proteggere l’ambiente e per regalare a più persone la possibilità di godere di un prodotto bello. Per ottimizzare questa stessa ottica, rendendo gli stessi oggetti vintage più longevi, al di là del fatto che passino di mano in mano, si sta cercando anche di “utilizzare la tecnologia per renderli in grado di svolgere nuove funzioni, oltre che per durare più a lungo – spiega Tallarico – si può aggiungere nuovo valore o restaurare oggetti di design, offrendo a brand noti una piattaforma di resell-as-a-service”. Un’idea che sposa la sostenibilità sia ambientale che economica, democratizza il design di valore ed minimizza sprechi e costi legati all’invenduto.
In DesignTech, stanno prendendo piede anche altre iniziative legate alla sostenibilità, come quella che vede protagonista il settore tessile. Consapevoli di produrre tanti scarti, alcune realtà si stanno ingegnando per trasformarli in pellet per la stampa 3D. La speranza è quella di aprire un nuovo percorso di economia circolare che ne coinvolga sempre di più e che renda questa idea un’abitudine.
“Qualcuno deve pur cominciare” sembra pensare Tallarico, non lo dice esplicitamente, ma lo fa, lo sta facendo anche con l’energia. Di recente DesignTech si è infatti reso promotore della prima comunità energetica di Certosa District. Sia singoli cittadini che aziende potranno aderire, sperimentando una piattaforma che Tallarico e il team hanno selezionato accuratamente perché in linea con i valori con cui stanno costruendo il loro ecosistema. “Ci hanno proposto un sistema ingegnerizzato che ci ha convinto, perché il 45% dell’incentivo viene distribuito come offerta ad attività a scopo sociale e il 55% tra tutti i prosumer. È importante per noi che ci sia anche un impatto sociale e che riguardi tutti – spiega – ed è anche semplice da utilizzare, è un’app con wallet incorporata su blockchain che permette massima trasparenza e favorisce l’ottimizzazione dei consumi anche dei singoli”. Per assicurarsi che l’impatto di questa scelta sia massimo, e inclusivo, DesignTech istituirà un infopoint al suo interno, sempre accessibile, perché lo sia anche la comunità energetica che ha desiderato condividere con il quartiere in cui è nato e sta crescendo, accogliendo.