Il 15 febbraio 2024 si è svolto l’instant seminar dedicato alla riflessione sui profili etici, scientifici e, in parte giuridici, del recentissimo caso di impianto, nel cervello umano, del dispositivo “Neuralink”, annunciato su X da Elon Musk. L’incontro è stata una iniziativa del Dipartimento di studi internazionali giuridici e storico-politici, in collaborazione con la Società italiana di neuroetica e filosofia delle neuroscienze (SINe) e con il coordinamento del neuroeticista Andrea Lavazza (Centro Universitario Internazionale, Arezzo). Con la moderazione di Lavazza sono intervenuti Maria Pia Abbracchio (Prorettrice vicaria alla Ricerca e Innovazione, Università di Milano), Michela Balconi (Università Cattolica di Milano), Vittorio A. Sironi (Università di Milano-Bicocca), Federico G. Pizzetti (Università di Milano) – che ha anche introdotto l’incontro -, Marta Sosa Navarro (Università di Milano-Bicocca), Francesco Samorè (Fondazione Giannino Bassetti), Massimo Reichlin (Università Vita-Salute San Raffaele), Francesca Minerva (Università degli Studi di Milano) e Marcello Ienca (Technical University do Munich).
In questa pagina rendiamo disponibili una sintesi, i podcast, la registrazione video dell’incontro e alcune fotografie.
CON LA FORZA DEL PENSIERO. IL CASO NEURALINK: UN’ANALISI TRA SCIENZA E NEUROETICA
Ogni volta che Elon Musk fa un annuncio, e di solito lo fa usando la ormai sua X, sembra che il mondo si prepari a ricevere il Verbo. Quando il 29 gennaio ha annunciato il primo uomo che aveva ricevuto un impianto Neuralink, persino per i media più autorevoli è stato difficile non cadere in quella trappola comunicatoria che facilitava l’equivoco tra “first human” a “first implant”… Non si spiegherebbe, altrimenti, il clamore da “rivoluzione tecnologica” per una pratica, quella di installare impianti neurali con lo scopo di recuperare deficit motori, di stimolare corticalmente pazienti con depressione resistenti ai trattamenti, o di avvisare dell’attacco imminente le persone affette da epilessia, che in 26 anni è ormai diventata di routine. Lo ricorda la prorettrice vicaria Maria Pia Abbracchio introducendo il seminario Con la forza del pensiero. Il caso Neuralink: un’analisi tra scienza e neuroetica ospitato dal Dipartimento di studi internazionali, giuridici e sociopolitici dell’Università degli Studi di Milano. La prima riflessione di questo incontro voluto dalla Società Italiana di Neuroetica e filosofie delle neuroscienze presieduta da Federico Gustavo Pizzetti e Andrea Lavazza, è quindi sulle conseguenze di una divulgazione, si direbbe poco attenta, della verità scientifica. «Solo nel 2023, anno che la rivista Nature ha battezzato anno della Brain-computer interface (BCI), sono stati comunicati i risultati di importanti trial clinici come lo SWITCH condotto da Synchron, che permette a persone affette da malattie neurodegenerative di tornare a comunicare, o il Wimagine di Clinatec, che migliora la qualità della vita dei soggetti tetraplegici», precisa Abbracchio.
Più tardi, sarà Marcello Ienca a ricordare gli straordinari risultati di Edward Chang a San Francisco con un impianto capace di far tornare la parola a persone afasiche, e di Grégoire Courtine, professore di neuroscienze alle svizzere EPFL e CHUV, che ha permesso a un paziente paralizzato, grazie a un’interfaccia wireless tra il cervello e il midollo spinale che trasforma il pensiero in azione, di riacquisire il controllo naturale sul movimento delle gambe. In Italia, c’è Corticale, startup dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, in cui lo svizzero Luca Berdondini, ha sviluppato un’interfaccia simile a quella di Neuralink. Che cosa c’è dunque di così “epocale” nell’annuncio di Musk? La risposta arriverà con il succedersi degli interventi, che si soffermeranno, nelle parole del neuroeticista Andrea Lavazza, anche sulla correlazione tra i limiti posti dalla rigida regolamentazione italiana, il freno politico e il livello insufficiente di educazione, come ostacolo a far crescere la consapevolezza della complessità del sapere scientifico. «La domanda su come si deve affrontare il fenomeno dell’innovazione, o il rapporto tra gli strumenti a nostra disposizione e quello che decidiamo di farne» sottolinea Francesco Samorè, segretario di Fondazione Giannino Bassetti, «assume sempre più senso. Ed è una riflessione che riguarda, non l’individuo o il ricercatore, ma l’intera collettività. Ecco perché in termini di RRI (Responsible Research Innovation), l’Europa ha diversi progetti, alcuni che coinvolgono direttamente la Fondazione, che parlano di momenti di deliberazione pubblica, consensus conference, citizen jury… tutti strumenti a favore di una partecipazione informata e che si rendono necessari in un’epoca in cui, accanto a un’evidente crisi dei saperi esperti, di caduta di fiducia persino nella scienza, si palesano imprenditori-influencer che scompaginano anche la legittimità, o meno, di chi promuove innovazione».
Il rischio è quello di estremizzare i rischi delle applicazioni tecnologiche. Se Michela Balconi, docente di Psicofisiologia e Neuroscienze Cognitive dell’Università Cattolica di Milano, richiama l’attenzione sulle ipotetiche conseguenze di simili interfacce nel processo di costruzione delle nostre conoscenze, di astrazione e nelle rappresentazioni del mondo, fino alla possibile perdita di dimensione sociale, identitaria, attivazione empatica, causate dall’opportunità di controllare artificialmente la decodifica di intenzione motoria, ovvero quell’informazione che parte dai neuroni legati al controllo del movimento, Federico Pizzetti, professore di Istituzioni di diritto pubblico all’Università degli Studi di Milano, conducla discussione sul tema dei neurodiritti. Neurodiritti che, come dice Pizzetti «Investono tutti i diritti costituzionali, dalla libertà all’autonomia fisica, dall’integrità psicofisica alla libertà cognitiva, memoria e senso del sé comprese, e che si ampliano in considerazione di nuova autonomia dispositiva negoziale se, per esempio, anche l’atto puramente cerebrale, e quindi non motorio o verbale, rientrerà nelle nostre capacità e possibilità decisionali. D’altra parte, anche il superamento di una disabilità è un diritto che non può essere limitato da un’innovazione interpretata come un’interferenza di stimoli biochimici, considerando che gli stessi psicofarmaci sono strumenti che modificano chimica cerebrale. Abbiamo quindi davvero bisogno di nuovi diritti? Questa è la domanda. Nel campo di bioetica e genetica si sono subito attivati degli istituti regolatori, questo non sta avvenendo con le neuroscienze, forse perché si pensa che l’impatto sia circoscritto all’individuo, ma la stessa vicenda di Musk e del suo strapotere dovrebbe far pensare il contrario».
Il dato di fatto resta comunque che, come rileva Marta Maria Sosa Navarro, esperta di diritto internazionale dell’università Milano Bicocca: «Queste innovazioni si inseriscono in un vuoto normativo. E se in Europa gli impianti neurali sono considerati dispositivi medici, in Usa non sono che un prodotto di consumo, mentre, preoccupati esclusivamente per rischi di salute e sicurezza, i diritti umani rimangono ignorati». E chissà se anche essere informati correttamente, come auspicato da Papa Francesco, rientra in questi diritti. «Ci troviamo di fronte a una straordinaria strategia di marketing» conclude Marcello Ienca. «Dovremmo considerare questa una data spartiacque, non per l’innovazione tecnologica – ricordo che su dieci trial clinici nove falliscono e per Neuralink siamo solo all’inizio – ma per l’etica della ricerca. Mai nella storia, su un tema tanto sensibile, c’è stata una comunicazione così grossolana e antiscientifica. Non una riga di dati scientifici è stata pubblicata, ed è la prima volta che un trial clinico sia stato annunciato senza essere registrato come richiesto dalla Dichiarazione di Helsinki della World Medical Association. E anche se la legge degli Stati Uniti e la FDA lo permettono, si tratta di una cattiva prassi. La notizia buona è che questo clamore mediatico, quasi interamente legato alla figura di Musk, potrebbe dirottare il flusso di investimenti, finora limitati, verso la ricerca sulle interfacce neurali. Inoltre, portando la discussione anche tra i non addetti ai lavori, la consapevolezza sui temi di neuroetica potrà beneficiarne. La notizia meno buona è invece che, un’azienda che si muove in questo spazio in barba a ogni linea guida è un pericolo per tutti: un suo passo falso impatterebbe sull’interno settore minandone la credibilità quando da anni si stanno conseguendo risultati importanti. Una conferma che un vuoto etico comporta rallentamenti per la ricerca e per l’innovazione e non il suo contrario».