Francesco Samorè cita Giuseppe Mazzotta e il suo Cosmopoiesis. Il progetto del Rinascimento (Sellerio, 2008) per introdurre i lavori pomeridiani del workshop internazionale curato da Riccardo Fedriga e Francesca Pola Shaping Visual Futures: Arts, Images and Artificial Intelligence e ospitato l’11 dicembre, a Palazzo Arese Borromeo di Cesano Maderno. La necessità di studiare quel periodo storico in termini di dialogo tra arte e scienza sottolinea infatti, e sono le parole del segretario di Fondazione: «Come la dimensione visuale possa consentire una nuova visione politica. Allora, l’idea progettuale della prospettiva investì tutti i campi del sapere e della scienza, legandosi a un’idea istituzionale di incivilimento. Oggi, possiamo ancora mettere le tecnoscienze, e in questo caso i paratesti visivi creati e indagati dall’intelligenza artificiale, al servizio della convivenza».

Il mondo moderno è frutto dell’arte e della volontà umane. In ogni caso, si tratta di un mondo creato dall’uomo e di cui l’opera d’arte è il simbolo
Giuseppe Mazzotta, CosmopoiesisChe queste tecnologie siano ormai pervasive anche nella nostra rappresentazione simbolica lo segnala Bianca De Peppo Cocco, dottoranda in Scienze del Patrimonio Culturale, Editoria e Innovazione, qui per presentare un progetto in collaborazione con il Gruppo Feltrinelli, ricordando la prima indagine sistematica italiana sull’uso dell’intelligenza artificiale nell’editoria libraria realizzata dall’Associazione italiana editori, e che rileva un 67 per cento delle case editrici che usano l’IA per paratesti e metadati, un 50 per copertine e illustrazioni, e un 49 per editing, revisioni e traduzioni. Ma è nell’intervento di Alessandro Adamou – Digital Humanities Scientist presso il DHLab della Bibliotheca Hertziana, che sviluppa nuovi metodi e sistemi all’interfaccia tra storia dell’arte e informatica e svolge attività di Open Science per la storia dell’arte, da Open Data alle pubblicazioni Open Access – che emergono con tutta evidenza le potenzialità delle applicazioni computazionali e cognitive alle materie umanistiche, nonché di un ripensamento su come interoperare con i cataloghi iconografici di archivi, biblioteche, raccolte fotografiche: «Molta rappresentazione semantica dei dati presenti va nella direzione di condividere un architettura di significati. E di dimostrare che forse è possibile anche per i dati della storia dell’arte essere “pronti” per l’intelligenza artificiale, che, per esempio, può allargare il campo di una ricerca oltre i metadati classici presenti e includere risultati derivati dalla “semplice” similarità visuale. Potremmo così risalire a iconografie di Ecce Homo non nel senso specifico di Ostentatio Christi, e convergere verso un metalinguaggio ibrido, testuale e visuale insieme, che in definitiva si avvicina maggiormente ai nostri costrutti linguistici comuni».
L’intervento di Dario Baldini, che sta svolgendo il Dottorato di Ricerca presso la nostra Fondazione si concentra invece sulla nuova sezione Topic Modelling del Centro di Documentazione di Fondazione Giannino Bassetti, che ha integrato un insieme di tecniche di machine learning non supervisionato per far emergere automaticamente pattern tematici latenti all’interno di collezioni di testi. Un risultato ottenuto tramite analisi di frequenza e co-occorrenze di termini singoli e di gruppi di parole che appaiono insieme, senza che gli stessi temi siano etichettati in anticipo. Si tratta di un’indagine archivistica che potenziail patrimonio di significati e progettualità conservato nelle carte di Piero Bassetti. Non a caso Baldini cita le teorie della filosofia del linguaggio, e il concetto di un significato che cresce nel contesto e che dipende non dalla parola in sé quanto dal suo utilizzo nelle pratiche linguistiche (QUI le slide dell’intervento).
A conferma della determinanza socioculturale della rappresentazione del mondo, l’intervento di Giorgia Gibertini di Triennale Milano mostra come ci sia stata un’evoluzione della percezione delle immagini che ha portato da una visione incarnata, in cui l’occhio umano interagiva con ciò che guardava, a una visione sempre più mediata, sia dagli schermi digitali, che dal flusso di dati percepito e oggi generato dall’intelligenza artificiale, che ha cancellato la corrispondenza tra vedere umano e vedere tecnico. Ed è in questa percezione visiva disincarnata che si diffonde quella che l’artista Hyto Steyerl definisce “l’immagine povera”, che altro non è che un’immagine carente di qualità e di informazioni, costruita su immensi data set accumulati senza alcuna responsabilità. «In questa visione automatizzata», dice Gibertini, «la diffusione di fake non può che aumentare, ma ci dice anche come le immagini , ormai diventate funzione invece che rappresentazione, non sono che condensazioni di forze sociali, mentre il lavoro di molti artisti su questi temi si configura sempre più come un agente critico».
Nelle conclusioni Riccardo Fedriga insiste sulla necessità di ibridare le ricerche portare avanti nei vari ambiti , ma anche della necessità di lavorare per la partecipazione, «poiché tutti collettivamente siamo chiamati a partecipare al modello proposto dalle macchine: «Ed è auspicabile che in un futuro vicino non dovremmo più parlare di Digital Humanities ma semplicemente di Humanities. Per farlo serve educazione, e un esempio è dato dal MetaLab di Harvard, e serve divulgazione, cosa che ci trascina in questioni che hanno a che fare con la responsabilità etica e politica».

Mon but est: représentation, avec un certain degré de précision. Il n’est pas explication. Ce ne sont pas des hypothèses sur l’essence des choses, mais une recherche fondée sur l’observation la plus directe, pour faire la carte du pays de l’esprit.
Paul Valéry, L’opera umana. Corso di poetica 1937-1945, Lezione al Collège de France, 3 gennaio 1941












