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L'inevitabile e il desiderabile

( 26 Luglio 2004 )

( by Redazione FGB busta.gif (111 byte) )

Edward Munch, 'L'urlo'
(fai clic sull'immagine per leggere alcune informazioni su di essa)

Contributi, appunti e annotazioni dei lettori e della Redazione FGB
(inviati da Giugno a Dicembre 2004):
(cliccare sui link sottostanti)
Redazione FGB
   ( 4.10.04)
Cristiana Comparoni
   ( 1.10.04)
Gian Maria Borrello
   ( 9.09.04)
Saro Cola
   ( 6.09.04)
Gian Maria Borrello
   ( 3.09.04)
Saro Cola
   ( 2.09.04)
Vittorio Bertolini
   (30.08.04)

(continua dall'articolo precedente)

Ricapitoliamo.

«Abituati a vivere tra continue scoperte scientifiche ormai diventate di routine, ancora non siamo riusciti a venire a patti con il fatto che le più importanti tecnologie del XXI secolo - robotica, ingegneria genetica e nanotecnologia - pongono una minaccia diversa da quella rappresentata dalle precedenti tecnologie. In particolare, i robot, gli organismi transgenici e i nanobot hanno in comune un pericoloso fattore amplificante: sono in grado di autoreplicarsi
(Bill Joy, "Why the future doesn't need us", Wired, Aprile 2000)

Siamo partiti parlando di una visione particolarmente preoccupata riguardo al futuro di Ingegneria genetica, Nanotecnologie e Robotica ("GNR"): quella di Bill Joy. In particolare, abbiamo scelto di porre il punto d'inizio di questa serie di testi scritti in modo collaborativo (iniziativa che chiamiamo "Collaborate"), nel simposio che si tenne a Stanford nell'Aprile 2000 e nel contemporaneo articolo che Joy scrisse per Wired ("Why the future doesn't need us" qui il testo in italiano).

Seguendo la riflessione che Joy, con coloriture anche narrative e autobiografiche, svolgeva in tale articolo, abbiamo acceso --per così dire-- dei flash su alcuni concetti e "parole chiave" interni al suo tragitto argomentativo. Le tecnologie "GNR" sarebbero pericolose perché il mix di Genetica, Nanotecnologie e Robotica ha una caratteristica inedita: affinché da esse possano estrinsecarsi tutte le potenzialità occorre che si realizzi l'autoriproduzione di microrobot e la produzione di molecole in larga scala. Dovrebbero farlo quelli che, già oggi, vengono chiamati "robot assemblatori" (riguardo all'essenzialità dell'autoriproduzione, si veda, in senso opposto, Eric Drexler).
Caratteristiche come l'autoreplicazione e l'autopropagazione potrebbero avere effetti catastrofici (per l'uomo). A maggior ragione se abbinate a una buona dose di intelligenza (che significa "autonomia" e rende possibile la delega di attività decisionali dall'uomo alla macchina).

Nanofactory

Da qui, abbiamo preso in considerazione, per cenni e citazioni, alcuni scenari più o meno apocalittici: oltre a Joy, abbiamo citato lo scrittore di fantascienza (ma anche medico) Michael Crichton, il fisico premio Nobel Joseph Rotblat, Hans Moravec (che insegna al Robotics Institute della Carnegie Mellon University), Danny Hillis (che fondò la Thinking Machines, società all'avanguardia nel mondo nel calcolo in parallelo), l'astronomo Carl Sagan, il filosofo Umberto Galimberti, i nanotecnologi Eric Drexler (che ha fondato il Foresight Institute) e Ralph Merkle, Raymond Kurzweil (tecnologo e inventore di primo piano) e altri nomi famosi che sono raggiungibili navigando sia attraverso i link che, per ampliare e approfondire, abbiamo indicato negli articoli, sia attraverso i link che vengono segnalati da chi ci offre il proprio contributo intellettuale.

Parole chiave che abbiamo evidenziato sono:

autonomia dal controllo umano, estinzione del genere umano, responsabilità nel prevedere e responsabilità intesa come impegno personale, umiltà e lungimiranza, prudenza nei confronti della hybris, rinuncia consapevole, sorveglianza.

In questi articoli, dunque, è facile riscontrare come la tematica di base, quella del rischio e della responsabilità legati alle tecnologie "GNR", sia stata declinata proprio attraverso tali parole.

Ora, in questo articolo, facciamo qualche passo ulteriore.

Il simposio di Stanford (da cui, come detto, abbiamo iniziato il nostro excursus), organizzato da Doulglas Hofstadter, era intitolato "Will Spiritual Robots Replace Humanity By 2100?" e fu seguito da un forum al quale parteciparono anche Bill Joy e Raymond Kurzweil.

In Italia, poco dopo, si tenne un convegno a Venezia, dedicato sin dal titolo al problema (e al fascino) della previsione: "Il futuro: previsione, pronostico e profezia" (Francesco Dalmas, su Avvenire).

«A lungo le conquiste della scienza hanno alimentato l'illusione della conoscenza totale e del controllo perfetto. Ma di recente - soprattutto grazie all'avvento degli strumenti informatici - ci si è resi conto che caso e incertezza sono elementi ineliminabili della conoscenza e dell'azione. Gli strumenti di previsione si sono evoluti meno degli strumenti d'intervento, quindi siamo costretti a prendere decisioni poco informate che possono trasformare l'uomo e il mondo in maniera irreversibile. La consapevolezza di ciò rende drammatica la nozione di responsabilità verso coloro che non prendono parte alle decisioni: le popolazioni del terzo mondo, gli ampi strati esclusi dei paesi progrediti, le generazioni future. La programmazione finalistica che anima lo sviluppo tecnico si scontra con la complessità ingovernabile del mondo, conferendo all'evoluzione biotecnologica una forte dose di aleatorietà. Di conseguenza siamo costretti a rinunciare ai metodi classici, globali e precisi, di progettazione e previsione per adottare i metodi più deboli e locali tipici del bricolage, ad esempio la simulazione e gli scenari.»
(Abstract della relazione presentata da Giuseppe O. Longo al convegno di Venezia)

Il testo integrale della relazione

Giuseppe O. LongoA quel convegno partecipò [ * ] anche Giuseppe O. Longo (che, detto qui per inciso, in questo sito viene citato di frequente e che per noi ha tenuto un Seminario in forma di Forum on line all'inizio del 2003 [ ** ]).
Una caratteristica peculiare di Longo è che nel proporre le sue riflessioni e le sue opinioni in merito ai rischi della tecno-scienza parla sì con la voce dello scienziato, ma anche con quella del filosofo e dell'artista. Oltre a insegnare "Teoria dell'informazione" all'Università di Trieste è infatti un narratore: scrive racconti, romanzi e sceneggiature (per il teatro e non solo). Sua, per esempio è quella intitolata "Il cervello nudo", su cui ci siamo soffermati nell'Aprile scorso [ *** ].

Tentiamo di riassumere il suo pensiero ai fini di senso del presente articolo: Longo, in ultima analisi, ci ricorda che l'essere umano è intriso di "leggi di natura" per via della sua costituzione biologica e vede con rammarico il progressivo depauperamento di forme espressive, rappresentative e...

... precognitive,

Edward Munch, 'L'urlo'quali quelle della poesia e, più in generale, dell'arte (che possono parlare direttamente alla nostra natura più intima). Un depauperamento della loro efficacia nel suscitare emozioni, moti d'animo, causato dalla pervasività della tecno-scienza, dal dominio che essa esercita non solo sulle nostre vite, ma anche sulla nostra intima natura (biologica e non --sempre che si assuma che in noi vi sia qualcosa di "non" biologico) e, quindi... sul nostro destino di esseri umani.

Umani...

E il simbionte?
Il simbionte è appunto la rappresentazione, l'icona di tale destino:

muro «Un essere umano (più donna che uomo) che porta sulla fronte il simbolo di una piastrina di silicio o la piastrina stessa impiantata: un simbionte, che con la parte umana, specie con gli occhi (invisibili o meglio inaccessibili) e con l'inclinazione del capo, esprime una grande cieca tristezza, confermata e accentuata dalla lacrima che sgorga e cola lungo la gota, lungo il bellissimo naso greco: gli (anzi le) manca la bocca e questa sua impossiblità di gridare il proprio dolore me la rende ancora più cara: sembra guardare in giù, ma gli inaccessibili occhi contemplano due panorami diversi, proibiti agli umani: forse l'occhio destro, chiuso, vede un paesaggio di devastazione interiore, mentre il sinistro, appena abbozzato, contempla un paesaggio esterno di torri e cuspidi smaglianti attraverso il prisma caleidoscopico e multicolore di quella lacrima suprema.»
(Giuseppe O. Longo)

... torri e cuspidi smaglianti...

Esseri umani?«Gli antichi meccanismi del corpo (fisiopsicologici) soffrono per il contatto, anzi l'invasione, della tecnologia: la tecnologia è sempre un filtro, nel senso che potenzia (o addirittura rivela) certe capacità, ma ne indebolisce o sopprime altre, che magari sentiamo intimamente nostre e indispensabili.»
(Giuseppe O. Longo)

 

 

Hans Moravec and robotsUna reazione all'ibridazione uomo-silicio, di tipo un po' particolare, è quella di Hans Moravec, guru della robotica e amico di Joy, che vede (pre-vede...) come inevitabile la graduale trasformazione della razza umana in forme di vita robotiche, e che considera tale evento come una fase naturale del processo di evoluzione (nel secondo articolo di questa serie lo abbiamo collocato infatti fra gli "integrati"). Moravec ritiene che l'allarme lanciato da Joy sia fondamentalmente inutile: «Diventeremo tutti robot --sostiene-- e questo è allo stesso tempo inevitabile e desiderabile».
La sua è una tesi che poteva essere alquanto originale qualche anno fa, ma ora non più (anzi, oggi è piuttosto inflazionata): vede in modo del tutto positivo la sostituzione degli umani biologici da parte di macchine più intelligenti e capaci di un migliore sviluppo culturale:

è la logica dell'evoluzione...

no?

Libro di Hans Moravec

... CONTINUA...

__________________________

[*]
Il convegno che si tenne a Venezia nel 2000, intitolato "Il futuro: previsione, pronostico e profezia": ecco un estratto di quella che, allora, era la pagina d'ingresso al sito della Fondazione Bassetti (il punto in cui viene citato Longo è stato evidenziato in rosso)

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[**]
La pagina degli Argomenti dell'inizio del 2003 in cui si trova la Presentazione del Seminario e dalla quale si può accedere a tutti i testi che lo compongono e che sono ad esso collegati.

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[***]
"Il cervello nudo" è oggi pubblicato, insieme ad altri tre drammi di Longo, in un libro edito da Nicolodi.

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Contributi, appunti e annotazioni dei lettori e della Redazione FGB


Contributo di Vittorio Bertolini, scritto Lunedì 30 Agosto 2004 alle 18:03

Dal grido di trionfo all'urlo d'angoscia.

Dal preumano che, nella sequenza iniziale di 2001 Odissea nello spazio ( http://digilander.libero.it/stanleykubrick/2001/2001.htm ) grida il suo trionfo per la scoperta della tecnica con cui riesce a distruggere i suoi avversari, fino a "L'urlo" di Munch, dal quale emerge tutta l'angoscia dell'uomo del '900 che si accorge di tutta la potenza distruttiva di cui è capace la propria tecnica.
Il quadro di Munch è del 1893, un periodo a cavallo fra la fine della guerra franco prussiana, un conflitto dove è stata determinante l'influenza della nuova industria tedesca, e l'inzio del primo conflitto mondiale, in cui per la prima volta la tecnica (l'yprite, la Grande Bertha, mitragliatrici a tiro rapido, tanks ed aerei) è utilizzata in modo massiccio per la macchina militare. Nell'Urlo di Munch, con quella preveggenza che solo la grande arte sa dare, si anticipa la disperazione che due decenni dopo salirà dalle trincee di Verdun e della Marna.
Ma si ha quasi l'impressione che l'urlo dell'uomo che attraversa un ponte (elemento simbolico... significativamente Munch si muoveva nell'ambito della corrente pittorica "Die Brucke") sia un urlo silenzioso. Come se di fronte all'immensità del male la voce si strozzasse e non restasse che il silenzio e del parlare solo il gesto.
Questa è la chiave di lettura con cui nella Rassegna Stampa ho letto l'articolo di Umberto Galimberti "Quel 'grido' che racconta l'angoscia del '900" ( https://www.fondazionebassetti.org/06/bertolini/2004_08_01_archive.htm#109335888095256726 ) apparso su Repubblica dopo il furto del dipinto di Munch.
Questa chiave, improntata all'angoscia che suscita l'uso sconsiderato della tecnica, rappresenta solo un aspetto parziale di ciò che un'opera universale come "L'Urlo" può simboleggiare. Dal pessimismo cosmico leopardiano, e non a caso Galimberti cita "Il canto di un pastore errante", alla filosofia dell'angoscia che ha le sue radici nell'opera del pensatore scandinavo di Soren Kierkegaard.
Mi auguro che altri, più competente nel cogliere i mille risvolti insiti in un'opera d'arte possa portare ulteriori contributi.

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Contributo di Saro Cola, scritto Giovedì 2 Settembre 2004 alle 23:08

Mah.... !

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Contributo di Gian Maria Borrello, scritto Venerdì 3 Settembre 2004 alle 08:41

Saro Cola ha scritto:
>Mah.... !

? Cioè ?

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Contributo di Saro Cola, scritto Lunedì 6 Settembre 2004 alle 21:44

Mi riferivo alla parte finale della spiegazione [NdR: clic sull'immagine attualmente visibile nella sezione Argomenti, colonna di destra, link diretto: https://www.fondazionebassetti.org/06/argomenti/immagineperiodica/000296.htm ] dei motivi del richiamo al quadro di Munch:

-- la visione del nulla a cui (ci) porta la tecno-scienza? L'incubo di una (nostra) dis-umanizzazione? La sofferenza atroce, anche fisica, conseguente alla consapevolezza di ciò che la tecno-scienza (ci) sta facendo? --

Esiste una diffusa mania di attribuire agli autori di opere d'arte messaggi che essi non hanno mai neppure lontanamente concepito.

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Contributo di Gian Maria Borrello, scritto Giovedì 9 Settembre 2004 alle 09:29

Condivido la Sua critica rispetto all'attribuire alle opere d'arte dei significati che l'autore può darsi non avesse minimamente inteso trasfondere in esse. Ma aggiungo anche che questo mi sembra sia il destino dell'arte: l'opera trascende il suo autore, da manifestazione di un'esperienza privata diviene espressione di un sentire condiviso.

Quindi non giudico per forza negativamente interpretazioni eterodosse, o associazioni mentali, quando queste siano consapevoli della genesi dell'opera a cui si riferiscono.

Nella spiegazione ( https://www.fondazionebassetti.org/06/argomenti/immagineperiodica/000296.htm ) a cui Lei fa riferimento i punti interrogativi hanno il significato di mantenere allo stato di proposta, fatta al lettore, la specifica riflessione implicita nelle domande. Inoltre (e soprattutto) ho precisato l'ispirazione autobiografica del quadro:
«Camminavo lungo la strada con due amici
quando il sole tramontò
il cielo si tinse all'improvviso di rosso sangue
mi fermai, mi appoggiai stanco morto a un recinto
sul fiordo nerazzurro e sulla città c'erano sangue e lingue di fuoco
i miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura
e sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura.»

La ringrazio delle Sue osservazioni, a maggior ragione perché in chiave critica.

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Contributo di Cristiana Comparoni , scritto Venerdì 1 Ottobre 2004 alle 23:45

Penso e ritengo che la posizione di uno storico dell'arte in merito allo spinoso e multiforme problema dell'identificazione prima e dell'analisi di un'opera d'arte poi sia quanto mai difficile e complessa.
La componente irrazionale, emotiva e di gusto che a ragione caratterizza e diversifica il singolo al momento del giudizio, nel caso del malcapitato"intenditore"alle prese con l'opera è obbligata a cedere il posto a quella professionalmente razionale e neutra -parrebbe l'unica a lui richiesta- della filologia(verifica dei fatti e dei documenti esterni all'opera e solo successivamente dell'opera in sè secondo l'iter"factum">"certum">"verum"attraverso il dato visivo>interpretazione).
Concordo con quella parte di critica che sostiene che accanto al tipo di arte di comunicazione immediata perchè universalmente comprensibile(le forti radici italiane di stampo figurativo-classico di retaggio rinascimentale e romantico ci portano ad estasi emotive di fronte ad un comprensibilissimo(?)e perfetto Raffaello o ad una Pietà michelangiolesca..) ce ne sia un altro più difficile e complesso che necessita di strumenti più sottili, "specialistici" e di mediatori (critici e storici)affinchè il linguaggio espressivo ne risulti semplificato e chiarito.
Il rischio nel quale però "l'intelligentia tecnica" incorre quando si tratta di tradurre opere di "rottura", rivoluzionarie di un gusto comune e acquisito, nonchè dalle forti connotazioni simboliche o psicanalitiche, è quello di lasciarsi andare creando "letterature"sull'opera d'arte in analisi: la"meta-arte" costruita dal "meta poeta"intesa come virtus intellettuale è lodevole, ma contrasta e si sovrappone spesso indebitamente al linguaggio comunicativo dell'opera d'arte stessa, al suo "in sè".
Ritengo sia importante che il giudizio parta dall'opera e non verta sulle interpretazioni fuorvianti che vedono nella biografia dell'artista le ragioni e le spiegazioni alla stessa:tentare di capire,spiegare e giudicare semplicemente attraverso l'emozione e quindi, seppur in buona fede,autorizzarsi ad universalizzare e poetizzare concetti di cui a volte non si ha nemmeno riscontro biografico non porta al "verum" ma alla costruzione di un discorso ALTRO.
L'opera d'arte ha una sua identità, una sua natura, vive di un percorso che prende vita da quel "quid"che è l'intuizione dell'artista, che si suffraga e cresce grazie ad un percorso formativo, conoscitivo, esperienziale dell'uomo-artista("genius"a parte, un'opera è sempre parte di un discorso e nello specifico lo stesso "Grido" non sarebbe stato se prima non ci fossero state altre opere di passaggio, altre esperienze formali di stampo naturalista e impressionista).

L'approdo al simbolismo di cui il "Grido"nella sua estrema violenza è emblema, è per Munch prima di tutto un nuova, intuitiva esigenza di stampo formale.
I presupposti di stampo gauguiniano e fauvista che sceglie e che si fondano sulla continuità della linea, sulla rinuncia al frazionamento impressionista della pennellata,sulla tensione bidimensionale con campiture piatte di colore rappresentano per l'artista una base pittorica idonea su cui operare:Munch ne arricchisce poi la texture complicando la lettura con suggestioni contenutistiche personali di derivazione filosofica e letteraria(Kierkegaard>l'arte nasce necessariamente dalle esperienze personali;Hans Jaeger>autoconfessione;Ibsen>conflitti psicologici e sociali,percezione di forze misteriose che agitano l'animo umano)palesa nell'opera inserzioni biografiche da lui stesso espresse ed indicate nei suoi diari (l'incidenza sulla sua educazione personale e poetica della morte reiterata fino al completo disfacimento della famiglia,l'alcolismo,la paura-bisogno della follia..)fino al completo rovesciamento contenutistico a partire dalla forma stessa.

Colori, linee, prospettiva vengono usati quali estrinsecazione di una visione completamente interiore che va sovrapponendosi e sostituendosi alla realtà esterna:il contenuto prevarica la forma.
Penso che sia il rispetto della volontà dell'artista nell'indirizzare la comprensione della sua opera - di cui peraltro Munch dà prova evidente lasciando alla lettura moltissimo materiale privato(annotazioni, lettere, diari, schizzi..)-ad autorizzare quell'interpretazione ALTRA da parte del critico e poter parlare quindi nello specifico di Munch di un'arte esistenziale da lui stesso definita"sangue del cuore umano".

La modernità del "Grido", la sua contemporaneità straziante, lucida e precisa è evidente in quelle mani che si perdono nelle linea di definizione della testa mettendo in risalto occhi vuoti e terrorizzati in preda ad attacchi terroristici ed atomic; nella spazialità invadente, compressa,sottovuoto delle moderne città industriali,nel risucchio dell'individuo nel vortice dei falsi miti delle aurore boreali e dello stridore coloristico della pubblicità in cui l'anima non vale se non per l'involucro che la annida; nel disequilibrio assoluto della mente in preda alle allucinazioni del condizionamento consumistico.Tutto è psicadelico.Anima,corpo, morte e vita giocano a rincorrerso senza mai trovarsi.
A quest'uomo,ingabbiato o forse inconsapevole della differenza tra corpo e spirito, i perenne conflitto con se stesso e con la sordità della società, non resta che un grido.
Profondo e universale.

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Contributo di Redazione FGB, scritto Lunedì 4 Ottobre 2004 alle 16:04

A proposito dell' "inevitabile" e del "desiderabile" (v. titolo di questo articolo)

Brano tratto dal libro "Educazione e globalizzazione", di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (Raffaello Cortina Editore, 2004), pp. 133-134, evidenziazioni nostre:

«Non sempre la probabilità è l'anticamera della realtà. Non sempre la realtà è un dispiegamento della probabilità. Può perfino darsi il caso che, soprattutto per certi scenari che concernono il benessere o la sopravvivenza della specie umana, la ***"desiderabilità" etica*** assuma più importanza della "probabilità" cognitiva, e ***che la nostra stessa decisione di privilegiare la "desiderabilità" retroagisca positivamente sulla "probabilità"***. Se, per esempio, una serie di scenari per il futuro desunti dai processi di distruzione ecologica oggi in atto (riduzione della foresta tropicale, estinzione delle specie animali, effetto serra e così via) indicassero l'improbabilità che la specie umana sopravviva di qui a un tempo più o meno lontano, ***la nostra stessa costruzione e comunicazione di questi scenari altererebbe immediatamente questa probabilità***, e continuerebbe ad alterarla in ogni istante.»

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