Rassegna stampa del sito della Fondazione Bassetti  

ovvero: il blog di Vittorio Bertolini (pagina personale dell'autore)

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 Valutazione e percezione del rischio

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L'incidente al reattore nucleare giapponese di Mihama ha dato lo spunto a Massimo Piattelli Palmarini (principal research scientist al Centro di Scienze Cognitive del MIT e che in Italia ha insegnato alle università di Roma, Firenze e Bologna e alla SISSA di Trieste), per intervenire sul Corriere del 12 agosto con l'articolo I rischi reali e le emozioni.
Per Palmarini i rischi reali si basano:

«sul confronto approssimato tra due quozienti, cioè su quattro numeri giudiziosamente scelti e sui rapporti tra essi. Proviamo a farlo per l'incidente al reattore nucleare giapponese di Mihama. La prima cifra è, purtroppo, incontestabile: 4 morti e 5 feriti gravi. Per cosa dobbiamo dividerla? Il Giappone ha 52 centrali, che per ora avevano funzionato senza incidenti, alcune per decenni: 300 addetti per centrale è una buona stima, quindi circa 15 mila in tutto. Nove (il numero delle vittime tra morti e feriti gravi, due operai sono feriti in modo più leggero) su 15 mila (totale addetti) dà circa una probabilità su 6 mila, per i lavoratori del nucleare in Giappone (si badi bene, non per la popolazione in genere) di cadere vittima di un incidente nell'arco di circa venti anni. È molto, è poco?»
Nella parte successiva dell'articolo vengono citati alcuni esempi, dagli incidenti in agricoltura a quelli stradali che, secondo la teoria della probalilità basata sulla frequenza come rapporto di quozienti, danno risultati più rischiosi di quelli accertati nelle centrali nucleari.

«Ma [...] esiste anche un'altra valutazione del rischio, soggettiva, basata su un diverso metro di misura. Cinquant'anni fa, il grande logico, matematico e filosofo inglese Bertrand Russell definì questa valutazione emotiva "induzione popolare" e fece acutamente presente che essa si basa non sui numeri obiettivi, ma sull'impatto psicologico degli incidenti, soprattutto di quelli più recenti».
Di fronte al rischio probabilistico l'induzione popolare può sembrare irrazionale, ma è con quella che ci dobbiamo confrontare, e poi con quale autorità si può affermare che il comportamento di tante persone si possa ritenere sic et simpliciter come irrazionale?

«La lodevole missione di accrescere la razionalità comune non deve attrarci nel trabocchetto, altrettanto insidioso, di voler sapere meglio della gente che cosa è bene per la gente».
Sulla distizione fra rischio "oggettivo" (quello calcolato in sede scientifica con riferimento alla natura e alla società) e rischio "soggettivo" (quello percepito prendendo se stessi come riferimento) si veda su questo sito:

Inoltre, sul tema della percezione del rischio nella società contemporanea si legga



venerdì, agosto 27, 2004  

 L'urlo e l'angoscia del Novecento

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Nella Sezione Argomenti l'attuale "Immagine Periodica", intitolata "L'Urlo", mostra l'omonimo quadro di Munch, un dipinto che racchiude
«un'angoscia esistenziale che da esperienza privata diventa pubblica e universale».

Gian Maria Borrello ne ha quindi fatto l'icona di un articolo, scritto in modo collaborativo (iniziativa "Collaborate") e intitolato "L'inevitabile e il desiderabile", che intende evidenziare in che senso l'espressione artistica sia in grado affrontare alcune questioni radicali nel rapporto tra l'uomo, la scienza e la tecnologia:
«la visione del nulla a cui (ci) porta la tecno-scienza? L'incubo di una (nostra) dis-umanizzazione? La sofferenza atroce, anche fisica, conseguente alla consapevolezza di ciò che la tecno-scienza (ci) sta facendo?»
Il furto del quadro dal museo di Oslo ha motivato Umberto Galimberti a scrivere su Repubblica del 23 agosto l'articolo "Quel "grido" che racconta l'angoscia del '900" che presenta un'attinenza particolare col tema della preveggenza, di cui all'articolo "L'inevitabile e il desiderabile".
Scrive infatti Galimberti:
«Munch [...] aveva anticipato in quel grido tutta l'angoscia del Novecento, un secolo che ha raggiunto una distruttività che, nelle sue proporzioni, nessun altro secolo ha mai conosciuto».
Il pensiero di Galimberti sulla tecno-scienza che si è sottratta al controllo dell'uomo per muoversi secondo una propria logica è noto.
Si veda, in proposito, il richiamo a Galimberti in un altro articolo, anche questo parte dell'iniziativa "Collaborate": "The Ultimate Danger: apocalittici e integrati".
Nell'articolo di Repubblica, pur non facendo un riferimento esplicito alla tecno-scienza, Galimberti associa il grido di angoscia di Munch alla disarticolazione che la cultura del '900, di cui la tecno-scienza è parte integrante, ha indotto nell'uomo. Galimberti cita Sofocle, ma si può andare anche più in là: l'Ecclesiaste e Gilgamesh. E se è vero che
«l'uomo prese a scavare se stesso e a scoprire che la distruttività lo abitava nel profondo, come mala radice inestirpabile»
è altrettanto vero che le culture del passato hanno saputo trasformare il grido in canto:
«Canto ritmato, ritmo di gioia e di sfrenata esultanza, ritmo di lamento per inconsolabili perdite, non lenite da cieche speranze. Ed è in questa incerta quiete, cadenzata dalla gioia e dal dolore, che l'uomo riesce a fare storia e opere di civiltà.
Ma quando l'incerta quiete improvvisamente si incrina e i fantasmi del terrore fuori di noi e dentro di noi prendono ad agitarsi e a reclamare il loro diritto alla vita e all'espressione, allora il canto si strozza, sia il canto della gioia sia il canto del lamento. E quel che resta al vocalizzo umano non è più la parola, ma il grido inarticolato che, con la sua disperazione, fende l'atmosfera trasognata degli inganni e delle illusioni necessarie per vivere.»
Per Galimberti il '900 ha introdotto la perdita di senso della storia e perciò la
«disarticolazione di tutti i canti e di tutti i ritmi. La storia crolla nell'insignificanza, dove ogni senso si inabissa, perché nella sua trama irrompe quell'attimo di verità che grida l'insensatezza dell'esistere.»
Lo stesso modo in cui si è attuato il furto è un paradigma del distacco dell'uomo dal senso della sua esistenza:
«Ma se "il grido" di Munch era appeso a una cordicella, in una stanza senza metal detector, vicino all'uscita, per cui sono bastati quaranta secondi per portarlo via, allora c'è solo da sperare che l'incuria con cui era custodito il quadro, non sia la stessa incuria che riserviamo agli aspetti più drammatici, più densi, più tragici, più inesprimibili della nostra esistenza.»


mercoledì, agosto 25, 2004  

 Perché l'opinione pubblica diffida degli OGM

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La Fondazione Giannino Bassetti è fra i pochi istituti italiani che abbiano dedicato un'attenzione sistematica al tema dell'orientamento dell'opinione pubblica riguardo alle applicazioni della tecno-scienza.
Segnaliamo l'indagine condotta, per conto della FGB dalla società di ricerca Poster "Biotecnologie fra innovazione e responsabilità" e la successiva, condotta sempre per la FGB, da Observa (nuova denominazione di Poster) "Biotecnologie: Democrazia e Governo dell'Innovazione".
Queste indagini hanno dato lo spunto, e fornito i dati necessari, ai proff. Bucchi e Neresini, responsabili scientifici di Poster-Observa per un primo articolo, apparso il 21 marzo 2002 su Nature, "Biotech remains unloved by the more informed", ed ora per un articolo apparso sulla rivista Science del 18 giugno: "Why Are People Hostile to Biotechnologies" [sul sito di Observa].
Per Bucchi e Neresini lo scetticismo nei confronti delle biotecnologie, in particolare di quelle dell'area agroalimentare, non dipende unicamente dalla disinformazione del pubblico, né da un'ostilità preconcetta nei confronti della scienza. Il nodo cruciale è da ricercare nella percezione dei rapporti tra expertise scientifico, decisione politica e rappresentanza dei cittadini. Di fronte all'emergere di nuovi temi ad elevata complessità come le biotecnologie, i tradizionali meccanismi di rappresentanza democratica e di decisione politica appaiono ai cittadini inadeguati, poco trasparenti e soprattutto incapaci di gestire una scienza che ai loro occhi ha perso le caratteristiche di indipendenza, imparzialità e coesione interna.

Il tema della compatibilità fra decisioni degli esperti e procedure decisionali della democrazia, è stato sviluppato in precedenti item di questa Rassegna Stampa: da ultimo quello intitolato "Che cos'e' la 'democrazia deliberativa'" che contiene, in calce, i riferimenti a tutti gli altri.
Si veda anche, nella sezione Argomenti, l'articolo dell'11 dicembre 2003: "Democrazia deliberativa e procedure".


lunedì, agosto 09, 2004  
Fondazione Bassetti -- Informazioni e contatti Questa Rassegna stampa appartiene al sito della Fondazione Giannino Bassetti: <www.fondazionebassetti.org>

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