Internet come innovazione nodo.gif (891 byte)

(Percorso iniziato in Luglio 2000 - aggiornato da ultimo in Gennaio 2001
con le parti dedicate a New Economy, Net Economy e Net Slaves - infine, Revisionato e Chiuso in Maggio 2001)

Il 28 aprile 2000 Enrico Ferrari iniziava, nel nostro forum, alcune riflessioni su Internet raggruppabili attorno al seguente nucleo di interrogativi:

A queste domande rispondeva Borrello con l'intervento del 30 aprile, aggiungendo la seguente: perché, nel campo delle tecnologie dell'informazione, Internet andrebbe considerata quale innovazione epocale? Dove ci sta portando questa rivoluzione o presunta tale? Da chi dipende la sua evoluzione? Il che lo portava a virare in senso politico la questione («da chi dipende l'evoluzione di Internet: non certo dai semplici utilizzatori, anche se ne sono attori tra i tanti. Forse, allora, dai Governi che intendono favorirne lo sviluppo con delle "policy"? Dai giganti delle varie "industry"? Oppure, ancora, la Rete stessa è ormai un sistema, un unico complesso meccanismo, autoevolvente?») e a concludere che le tecnologie di controllo della conoscenza che prosperano e si autoalimentano attraverso Internet sono un fattore di rischio.

cover8_04.gif (1967 byte)    Wired 8.04 - Apr 2000

Queste riflessioni possono presentare dei nessi con le tesi più critiche sullo sviluppo della Rete. Si veda, ad esempio, "Why the future doesn't need us" di Bill Joy (Capo Ricerca di Sun Microsystems) (Wired, aprile 2000), ripreso da Luca De Biase (La Stampa, 11 aprile 2000) in "Homo insipiens: la fede in internet genera mostri"articolo.gif (899 byte) e da Roberto Giovannini (L'Unità, 7 aprile 2000) in "'Attenti, ora serve una scienza etica'"Documento.

Su questa linea proseguiva Davide Fasolo il 2 maggio 2000, insistendo sull'incertezza del futuro di Internet. Ferrari replicava soffermandosi sull'aspetto della dipendenza dell'uomo dalla tecnologia: «Facciamo un paradosso: l'uomo è così intelligente da creare innovazioni stupefacenti. Queste, per qualche ragione storicamente mai provata, sono così stupefacenti che sfuggono al suo controllo. Ammettiamo pure questo paradosso, ma perchè se l'uomo è riuscito a creare tecnologie così stupefacenti tanto da ridurlo in schiavitù non potrebbe essere in grado di crearne di nuove, ancora più stupefacenti, in grado di liberarlo dalla schiavitù da lui stessa creata?». Borrello ha poi insistito sulla considerazione che «la questione non è tanto quella del controllo, della tecnologia che "sfugge al controllo"» quanto «quella della consapevolezza delle conseguenze derivanti dall' "appoggiarsi" a una tecnologia, del rischio di perdita di senso critico, ironia, distacco, insito nel "credere" in una tecnologia».

Dopo una serie di interventi dedicati al fenomeno "Napster" (right-sfondochiaro.gif (838 byte)si veda la sequenza di interventi di settembre e ottobre 2000 iniziata da Davide Fasolo con "Dove sta andando l' Internet guidata da Napster e soci ?" [22 settembre 2000]), nel gennaio 2001 sono stati segnalati i seguenti articoli e libri dedicati alla crisi della Net Economy.

 New Economy, Net Economy e Net... Slaves: riferimenti 

Articoli:

Il libro "NetSlaves", recensito da Ernesto Assante su La Repubblica del 14 gennaio 2001 può «suggerire degli spunti interessanti in relazione al concetto di "***responsabilità sociale*** derivante da un'innovazione", che abbiamo discusso in questo Forum, anche in Novembre, con riferimento all'attività imprenditoriale» (G.M. Borrello, intervento nel Forum del 25 gennaio 2001); si vedano, a riguardo, anche i due Percorsinodo.gif (891 byte) dedicati alla "Responsabilità sociale dell'imprenditore").

Dall'articolo di Assante "Gli schiavi di Internet" (La Repubblica, 14 gennaio 2001):
«Nel 1998 due giornalisti, esperti di tecnologie e "netheads" della prima ora, decisero di aprire un sito per raccontare finalmente la "verità" sulla Grande Rete, quello che loro in molti anni di lavoro in società come Prodigy, Time Warner o ZiffDavies avevano scoperto, ovvero che nel mondo di Internet «per ogni post adolescente che fa centro al primo colpo con l’azienda fondata nella stanza del college, sono migliaia quelli che falliscono miseramente». Decisero di chiamare il loro sito "Netslaves.com", schiavi del net, forzati della rete, un sito destinato a raccontare, come dice il sottotitolo, "horror stories working the web", storie orribili e tremende di lavoro in rete. Il sito, manco a dirlo, raccolse un successo immediato, e solo un anno dopo Steve Baldwin e Bill Lessard, i due autori, decisero di fare un passo in più e di realizzare un vero e proprio studio, scrivendo un libro. Quel libro, NetSlaves, i forzati della rete, approda dopo qualche anno sugli scaffali delle librerie italiane, in una interessante traduzione per i tipi della Fazi Editore (pagg. 382). Ed arriva in un momento in cui, tra i crolli del Nasdaq e il mito della new economy, l’argomento è particolarmente attuale.
(...)
Gli autori sono certamente riusciti a raggiungere l’obiettivo di non essere pedanti e predicatori, dimostrando di mettere bene insieme il loro "odio" per lo sfruttamento del lavoro nella net economy, quanto la loro passione per le nuove tecnologie e la nuova frontiera di Internet, come spiegano bene nelle quattro pagine finali del libro: "Per quanto possa essere comodo scaricare l’onere della Netschiavitù sulle spalle degli stupidi colletti bianchi che dirigono la Net Economy, i Net Slaves sono in parte responsabili dell’inferno in cui si sono andati a cacciare (…). Se possiamo azzardare un pronostico in questa nostra raffazzonata conclusione è che se i weblavoratori non si daranno una calmata, se continueranno a credere alla favola del programmatore di genio di 22 anni che va avanti a pizza e Coca Cola e lavora per 36 ore filate, ci sarà un sacco di gente malata nei prossimi anni, per giunta senza assistenza sanitaria. La buona notizia, invece, è che se i NetSlaves decideranno di investire nelle loro carriere, se si faranno assumere da aziende con un minimo di stabilità e di rispetto per i dipendenti, se avranno attese realistiche riguardo ai frutti del loro investimento, allora potranno sperare per il meglio"».

 New Economy, Net Economy e Net Slaves: riferimenti 

Articoli:

Degli effetti sociali della New Economy si è occupato anche Federico Rampini nel suo libro "New Economy: una rivoluzione in corso" (Laterza)

• Da "La frenata della net economy angoscia gli Stati Uniti" (Federico Rampini, Repubblica.it - Economia del 6 gennaio 2001)articolo.gif (899 byte):
«A Palo Alto, epicentro della Silicon Valley californiana, accorrono in massa "avvocati-avvoltoi" specializzati nell'assistere gli imprenditori sui licenziamenti collettivi: troppo giovani, molte Net-aziende hanno solo esperienza di assunzioni, per gli esuberi non sanno come si fa. Nella Baia di San Francisco - nove milioni di abitanti concentrati sulla zona più ricca e tecnologicamente avanzata del pianeta - si prevedono 23.000 licenziamenti nei prossimi due anni.
(...)
A qualcuno toccherà sperimentare le asprezze sociali della crisi, in un'America che Bill Clinton lascia più ricca ma meno socialmente protetta di dieci anni fa.
Come disse il presidente Harry Truman: "La Recessione è quando il tuo vicino perde il lavoro. La Depressione è quando lo perdi tu".»
• Da "New economy: più ricchi e più schiavi" (Federico Rampini, La Repubblica del 9 gennaio 2001)articolo.gif (899 byte)
Robert Reich, economista celebre, autore di best-seller, ministro del Lavoro di Clinton, ha elaborato un'acuta analisi degli effetti sociali della New Economy ("The Future of Success") che esce proprio mentre l'allarme-recessione fa vacillare alcune sicurezze degli americani. "The Future of Success" è anche un serio programma riformista: il saggio affronta un tema che Reich lanciò per primo più di dieci anni fa: nella New Economy le diseguaglianze sono sempre più legate a disparità di accesso al sapere, quindi è questo il terreno della nuova battaglia per una società più giusta.
«Se la New Economy è la nostra vittoria da consumatori, quale prezzo paghiamo nell'altra dimensione della nostra vita, il lavoro? (...) Più l'economia cambia al ritmo dell'innovazione, più le vite professionali diventano imprevedibili.»
Scrive Reich: "I prezzi che stiamo pagando sono solo l'altra faccia dei nostri guadagni" (...) "La nuova forma del capitalismo americano è senz'altro superiore ad ogni altra. Di tutti i sistemi economici è il più efficiente nel dare al consumatore e al risparmiatore ciò che vogliono, quando vogliono. Ma gli esseri umani non sono solo consumatori e investitori. Il giusto equilibrio deve essere indubbiamente il frutto di una decisione sociale".
«Reich apre così una riflessione collettiva sulle risposte politiche e sociali che bisogna dare alla rivoluzione tecnologica che viviamo. Non è la prima volta che l'evoluzione materiale del capitalismo fa un balzo in avanti, e la politica stenta a seguirne la corsa. Nei primi decenni del Novecento la diffusione in tempi ravvicinati di ondate di innovazioni come l'automobile, la radio e il telefono, portarono a cambiamenti profondi nella vita familiare e sociale, e infine nel modo di organizzare la partecipazione politica dei cittadini. Reich intuisce che siamo ormai giunti ad un passaggio molto simile.»

 New Economy, Net Economy e Net Slaves: riferimenti 

Articoli:

  • Elenco di tutti gli articoli pubblicati nella rubrica "L'Antitaliano" (sul sito de L'Espresso), molti dei quali riguardano, direttamente o indirettamente, la grande Rete (cliccando sui titoli si raggiunge il testo integrale degli articoli).
  • "Prigionieri degli omini"articolo.gif (899 byte) (L'Espresso - 2 novembre 2000):  La new economy vista con gli occhi di un grande vecchio del giornalismo italiano

Giorgio Bocca, dalla sua rubrica su L'Espresso intitolata "L'Antitaliano", ha condotto una campagna contro i feticci della New Economy (nel suo ultimo libro, "Pandemonio", paragona a Eichmann il guru americano Jeremy Rifkin [sul quale v. il relativo Percorsonodo.gif (891 byte) in questo sito]):

"Diffidate del nuovo! O almeno non fatevi incantare. Il mondo, l'ordine nuovo con il loro seguito di fallimenti e stragi. E ora anche il pensiero unico del neoliberismo, che però è quello antichissimo del "prendi i soldi e scappa". L'antichissima irresponsabilità del capitale, di quel migliaio di aziende che oggi si arricchiscono sulla testa dei sei miliardi di uomini che abitano il pianeta.Tra i fanatici della new economy e gli altri c'è un comune denominatore: nessuno ha la minima idea di che ne sarà del genere umano. L'angoscia dell'ignoto coperta da una frenesia del guadagno rapido e facile, della ricchezza a portata di tutti. "Anche un camionista" dicono "può sognare di comperarsi un'isola". Anche un camionista licenziato dal progresso tecnologico?La ragione per cui la new economy con il suo esercito di computer, telefonini e Internet resta senza un vangelo comprensibile da tutti, senza una buona novella, è che dai tempi remoti dei raccoglitori di bacche, dall'epoca delle caverne, ci siamo abituati a considerare l'uomo la misura di tutte le cose. Ma se ora al suo posto ci mettono i soldi e le macchine c'è qualcosa che non torna. C'è qualcosa di storto in un mercato che giudica di maggior valore Tiscali della Fiat, cioè un'azienda che dà lavoro ad alcune centinaia di persone rispetto a una che in modo diretto o indiretto resta una struttura portante dell'economia. Il modello tecnologico e consumista è ferino. L'impresa capitalista ha un solo dio: il denaro. Il profitto sostituisce le antiche sublimazioni umane della gloria e del sacrificio. Ma cosa significa allora essere ottimisti o pessimisti, in un'economia che procede senza progetto, senza responsabilità? E' come una grande ubriacatura dalla quale prima o poi dovremo uscire."