La Repubblica, 9 Gennaio 2001

New economy più ricchi e più schiavi 

dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI 

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SAN FRANCISCO - Robert Reich era all'apice del successo: economista
celebre, autore di best-seller, ministro del Lavoro di Clinton. Ma
una sera il grido di dolore di suo figlio Sam (otto anni) - triste di
non vedere il papà sempre assorbito dalla Casa Bianca - lo spinse a
dimettersi. "Lasciai così - confessa - il più bel lavoro della mia
vita". Partendo da quell'episodio personale Reich ha elaborato
un'acuta analisi degli effetti sociali della New Economy ("The Future
of Success") che esce proprio mentre l'allarme-recessione fa
vacillare alcune sicurezze degli americani. Il suo libro è già un
"caso" politico anche perché sulla poltrona che fu di Reich, Bush
vuol nominare una donna di estrema destra, Linda Chavez, contraria
perfino al salario minimo.
Reich parte da una constatazione paradossale: "Molti di noi
guadagnano di più e hanno un benessere superiore a quello che noi
stessi (o i nostri genitori) avevamo 25 anni fa, quando nacquero
alcune tecnologie che poi diedero vita alla New Economy. Perciò
dovrebbe essere più facile oggi dedicarci alla parte non lavorativa
della nostra vita. E invece lavoriamo più a lungo di prima; il tempo
per le nostre vite non lavorative si riduce". 

SMENTENDO i guru che annunciavano la "fine del lavoro" (come Jeremy
Rifkin) l'americano medio oggi lavora 1.976 ore all'anno, 33 in più
di dieci anni fa, quando iniziò il boom economico dell'èra Clinton.
Con un tasso di disoccupazione crollato ai minimi storici, non si può
certo dire che l'allungamento delle ore sia subìto sotto il ricatto
del licenziamento. Al contrario, solo l'8% degli americani
preferirebbe guadagnare un po' meno e lavorare meno, contro il 38%
dei tedeschi. Inoltre, scrive Reich, "oggi più sei ricco più crescono
le tue ore di lavoro". E' anche una conseguenza delle nuove
tecnologie: tra telefonino, e- mail e computer portatile, manager o
liberi professionisti non hanno privacy. E' il volto
democratico-meritocratico della New Economy: chi ha potere e denaro
si legittima lavorando più degli altri. In questo il capitalismo
americano è di certo eticamente migliore delle società del passato
dominate da opulenti "rentiers" dediti alla caccia alla volpe.
Il costo sociale di questa attività frenetica pesa molto sulla
famiglia. "Diciamo di attribuirle un grande valore, ma la nostra
famiglia si rimpicciolisce e si frantuma. Meno figli o nessun figlio,
meno matrimoni, più divorzi. Un numero sempre maggiore di funzioni
familiari (cibarsi, accudire i figli o farli divertire, sostenersi e
assistersi psicologicamente) viene subappaltato dietro compenso a
fornitori esterni. Molti americani vorrebbero avere vite più
equilibrate, ma la logica economica privilegia il lavoro retribuito".
Reich non è un estremista e la sua analisi non è distruttiva.
La sua credibilità è maggiore perchè non si mescola alla schiera
degli apocalittici che respingono la New Economy o la
globalizzazione, i nostalgici di qualche improbabile età dell'oro.
Al contrario, l'ex ministro di Clinton è entusiasta delle nuove
tecnologie. Nella società di Internet - ama ripetere - il consumatore
non è più vittima di monopoli costosi e inefficienti.
Che voglia viaggiare in aereo, scegliere un'università o un fondo
pensione, Internet lo rende più libero e autonomo. "Le nuove
tecnologie rendono facile per ciascuno avere il meglio spendendo il
meno possibile. Le aziende sono costrette a progredire di continuo:
tagliare i costi, aggiungere valore e qualità, innovare".
Se la New Economy è la nostra vittoria da consumatori, quale prezzo
paghiamo nell'altra dimensione della nostra vita, il lavoro? Anche
qui Reich evita ogni demagogia: "Non c'è un complotto capitalista
contro di noi. Semplicemente se vogliamo il massimo come consumatori,
come produttori dobbiamo spremerci per conservare ogni nostro
cliente, cogliere ogni opportunità, conquistare ogni contratto. Più
l'economia cambia al ritmo dell'innovazione, più le vite
professionali diventano imprevedibili". Polemista brillante, Reich
mette alla berlina i neo-luddisti e le loro profezie di un
impoverimento di massa, sferza gli isolazionisti che vorrebbero
chiudere le frontiere contro la globalizzazione (e l'immigrazione).
"I prezzi che stiamo pagando sono solo l'altra faccia dei nostri
guadagni".
"The Future of Success" è anche un serio programma riformista. Il
saggio affronta un tema che Reich lanciò per primo più di dieci anni
fa: nella New Economy le diseguaglianze sono sempre più legate a
disparità di accesso al sapere, quindi è questo il terreno della
nuova battaglia per una società più giusta.
L'economista americano propone che lo Stato offra 60.000 dollari a
ogni giovane, da investire negli studi: un'idea che difficilmente
avrà ascolto da parte dell'amministrazione repubblicana. Proprio in
questi giorni George Bush sta affrontando un fuoco di sbarramento
dell'opposizione contro il suo candidato al dicastero del Lavoro.
Ufficialmente i democratici stanno cercando di silurare Linda Chavez
per averla "pizzicata" su una vicenda di evasione contributiva
(avrebbe impiegato una immigrante clandestina). In realtà la ragione
della battaglia sta nelle opinioni reazionarie e anti-sindacali della
Chavez sui temi del lavoro.
Reich invece non è molto lontano dalle idee di Bush sulla necessità
di mettere in concorrenza scuola pubblica e privata per renderle più
efficienti, dando la scelta alle famiglie. Però vorrebbe farlo in
un'ottica redistributiva, offrendo buoni-scuola proporzionalmente
maggiori alle famiglie meno abbienti.

L'aspetto più interessante del caso-Reich è la sua capacità di
interpretare un disagio attuale, un'insoddisfazione che diventa
visibile in questi mesi nella società americana, in coincidenza con
la fine del boom economico decennale. "La nuova forma del capitalismo
americano - scrive - è senz'altro superiore ad ogni altra. Di tutti i
sistemi economici è il più efficiente nel dare al consumatore e al
risparmiatore ciò che vogliono, quando vogliono. Ma gli esseri umani
non sono solo consumatori e investitori. Il giusto equilibrio deve
essere indubbiamente il frutto di una decisione sociale".
Reich apre così una riflessione collettiva sulle risposte politiche e
sociali che bisogna dare alla rivoluzione tecnologica che viviamo.
Non è la prima volta che l'evoluzione materiale del capitalismo fa un
balzo in avanti, e la politica stenta a seguirne la corsa. Nei primi
decenni del Novecento la diffusione in tempi ravvicinati di ondate di
innovazioni come l'automobile, la radio e il telefono, portarono a
cambiamenti profondi nella vita familiare e sociale, e infine nel
modo di organizzare la partecipazione politica dei cittadini. Reich
intuisce che siamo ormai giunti ad un passaggio molto simile.