Lo scorso 18 dicembre 2023 abbiamo inaugurato il nostro trentesimo anno di attività con un incontro pubblico presso MEET Digital Culture Center di Milano. Mattinata entusiasmante per noi e per i tantissimi amici che hanno partecipato; documentata con video, podcast e immagini e restituita in queste pagine.
Chi c’era ha ricevuto una cartelletta contenente il discorso di Piero Bassetti e una cronistoria dei nostri momenti principali dal 1994 a oggi. Ora, con questo post, vogliamo rendere disponibili gli stessi documenti anche a chi non ha potuto presenziare il 18 dicembre.
QUI la versione impaginata del discorso, e QUI la cronistoria, ambedue nella pregevolissima grafica di MADI
Piero Bassetti
La responsabilità di disporre di un diverso sapere: l’Intelligenza Artificiale
- My dear friend, PI
Da qualche settimana comincio gli appuntamenti nel mio studio di via Barozzi proponendo agli ospiti di scambiare qualche parola in inglese con PI, l’intelligenza artificiale installata nel mio iPhone. Sono conversazioni istruttive, con sprazzi di ironia; al momento di interromperci, provo un sottile disagio nel congedare PI troppo bruscamente: allora pronuncio qualche saluto di circostanza. Come sempre quando un plus di sapere incontra un plus di potere attuativo, l’innovazione fa irruzione nella storia: si tratti del vertice di Bletchley Park promosso dal premier Sunak, dell’ AI Act europeo, dell’ordine esecutivo sull’intelligenza artificiale firmato da Biden o della Global AI Governance Initiative cinese, siamo ormai immersi fino al collo negli «automatismi irresponsabili».
- Realizzazione dell’improbabile
In Fondazione, trent’anni fa, abbiamo coniato l’espressione realizzazione dell’improbabile per definire l’innovazione, poiché essa è insieme rischio e opportunità: una coppia che conduce, attraverso il cambiamento, in direzioni imprevedibili, sia nell’ambito politico sociale, sia in quello tecnico economico. Ecco perché, consentiteci di dirlo, il diffuso discorso su questo cambiamento d’epoca e sull’intelligenza artificiale non ci ha colti del tutto alla sprovvista. Eppure, riferendosi a L’era dell’intelligenza artificiale, Kissinger, Schmidt e Huttenlocher scrivono: «questo sodalizio tra uomini e macchine segna un profondo distacco dalla nostra precedente esperienza». L’Intelligenza Artificiale non è un problema di più sapere, ma di diverso sapere. Considerato che la fisica quantistica ha già dimostrato che la «nostra» logica, basata sul principio di non contraddizione, non basta più a spiegare il mondo come lo conosciamo oggi, forse l’intelligenza dell’IA è in grado di intelligere cose che l’umanità non è in grado di comprendere. Allora la sfida non sta nel decidere o meno se usarla, perché è ovvio che non abbiamo scelta; bensì nel portare nell’intelligenza artificiale uno spazio valoriale, sul quale tornerò dopo. Soprattutto perché più intelligenza significa più potere; un potere condizionato dai valori che un giorno, ormai prossimo, anche l’intelligenza artificiale avrà.
C’era un tempo (forse era il mio tempo) in cui i valori, razionalizzati in un’ideologia, erano dati; oggi invece stiamo aprendo spazi a un potere senza ideologia. Abituata a decidere sulla base di dati certi, la politica, nel caso dell’innovazione, dovrebbe sapersi orientare anche sull’ignoto. Sembra pertanto che essa debba imparare a decidere conoscendo i soli valori a cui si ispira.
- Il sofferto rapporto tra sapere e potere
Quando nel 1959 scrissi Le redini del potere, ma anche quando nel 1994 abbiamo creato Fondazione Bassetti, la preoccupazione principale cadeva, appunto, sul potere. Ma è stato il nesso con le evoluzioni del sapere che ha richiesto tempo per essere recepito. E’ come se le persone soffrissero di una “presunzione di stabilità” circa il patrimonio di sapere di cui il genere umano dispone; cui si aggiunge un’altra presunzione: l’idea che questo ammontare di sapere si traduca automaticamente in una dotazione aggiuntiva del potere. Invece no, un plus di sapere è una sofferenza per qualunque forma di potere, tanto più se il potere è istituito. Per semplificare: se Stato è il participio passato di stare, non è riempiendo lo stesso contenitore di un più raffinato sapere che lo indurrà a “muoversi”. In questo senso, ripeto, l’intelligenza artificiale pone un problema di qualità nuova, ma la cui sostanza riteniamo, con Fondazione Bassetti, di aver colto per tempo. Perché siamo andati convincendoci, e forse convincendo alcuni altri, che la politica non può non seguire sempre il travaglio del sapere e dell’intelligenza.
- La mela o il serpente?
Allora il problema, con l’intelligenza artificiale, non è averne di più, oppure non averne, per paura. In quale quadro di visione dell’uomo la collocheremo? Se la affrontassimo dal versante delle mere razionalità tecnologiche, non porremmo limite alla ricerca del più, del meglio, della performance. Invece se l’interrogativo ruota intorno al valido, al giusto, al responsabile, allora tutto cambia: potrebbero essere le premesse non tanto per regolare, ma per impedire, per proibire. Insomma, l’intelligenza artificiale è la famosa, biblica, mela? E pensare che in Fondazione Bassetti, evocando lo stesso giardino, abbiamo spesso esclamato «ha vinto il serpente!» …
- Oltre lo specchio di Alice
Spacchiamola in due, questa mela: il tema dell’intelligenza artificiale si sta biforcando: c’è chi continua a considerarlo un tema tecnico, cioè uno strumento, sia pure molto raffinato, come tale capace di un rinculo che può determinare effetti politici, ma sostanzialmente solo un rinculo; evocare da parte dell’uomo: oltre il famoso specchio di Alice. Anche se quest’ultimo passaggio è ancora ‘non vissuto’, secondo me cominciamo ad accettare che l’intelligenza artificiale abbia un livello di intelligenza maggiore del nostro, e quanto meno ci obblighi a capire quello che lei capisce; ci chieda di essere capaci di seguirla. Agli uomini possiamo sempre ricordare che «con la prassi non pensata non si va da nessuna parte o si va ai disastri», perché l’uso congiunto della conoscenza e del potere di inverarla cambia la storia. E quando gli uomini sanno e possono di più, subito si scatena la lotta per stabilire verso quali fini il supplemento di potere così acquisito debba essere utilizzato. Ma quando a sapere di più non sono più gli uomini, chi – o cosa – dobbiamo responsabilizzare?
- Un nuovo noi
In un certo senso, quindi, scatta un problema di rivelazione perché dalla superiore intelligenza (artificiale) potrebbero scaturire affermazioni problematiche, realmente altre da noi. Laddove riconosciuto, questo discorso delinea una frontiera sul crinale tra verità e potere, totalmente nuova: la frontiera del nuovo noi. Abbiamo sempre considerato il potere come prodotto dall’uomo, mentre ora il potere coinciderebbe con le istruzioni che l’intelligenza artificiale impartisce all’uomo. Certo, il secondo discorso appartiene più al profeta che non all’intellettuale come l’abbiamo conosciuto e contiene tutti i drammi conseguenti. Mi vengono in mente due amici che un po’ di profetismo me l’hanno attribuito: non so, per esempio, cosa ne avrebbe pensato Peter Nichols, corrispondente italiano del «Times», il quale nel 1978 mi definiva Planetarist, sostenendo che «Bassetti è del tutto immune dal fatalismo, e questa è una delle ragioni per cui i suoi punti di vista appaiono così nuovi e stimolanti. Guardare in prospettiva non significa tuttavia, per lui, distaccarsi dei fatti reali». Quindi mi assolveva! Più recentemente, (ma pur sempre trent’anni fa, nel 1993) Salvatore Carrubba mi ha domandato, per un suo libro, se la passione per le traiettorie di lungo periodo mi facesse sentire solo: rispondevo che non essere soli significa vedere attuate, magari con qualche ritardo, le parti valide di una proposta, perché allora ci sarà stato seguito: «Certo, il problema è proprio quello del lag, nel senso che passa sempre del tempo tra quando una classe dirigente, un leader, emettono un messaggio e quando questo obiettivo viene realizzato. Ora, la mia impressione è che ipotizzare tempi rapidi per processi di massa sia un grande errore». I due discorsi forse si collegano nell’idea del pianeta e nell’idea del profeta; soprattutto perché, in fondo, abbiamo sempre concepito l’intelligenza come uno strumento di potere terreno legato al sapere altrettanto terreno. L’idea di una intelligenza che ci trascende, se abbinata ad un potere che ci trascende, implica effettivamente un cambio di paradigma.
- Nondimanco
Paradossalmente, la storia sta ponendo a chi ha il potere questa alternativa: scrivere una storia che fa seguito a quella che abbiamo gestito fin qui oppure farne un’altra, tenendo presente tanto il dilemma tra Galileo e il Cardinale Bellarmino, quanto il machiavellico Nondimanco. Non è un caso se quelle storie si collocano nei dintorni del Rinascimento. Mi spiego meglio. Secondo me noi abbiamo due intelligenze: una viene prevalentemente dalla ragione, che come ho già ricordato si regge su un principio di non contraddizione messo in dubbio dalla fisica quantistica; l’altra, pure estremamente importante, è il controllo delle sensazioni. Perché non viviamo solo di ragione ma anche di impulsi. Essi non si trasmettono, malgrado l’innovazione, dentro il dominio fisico dove regna la ragione. Ecco perché affermo che qualcosa del genere è già successo nel Rinascimento. Proprio noi italiani abbiamo proposto un nuovo ordine, traendolo da qualcosa a cavallo tra il sapere e l’arte, e cioè la prospettiva: sull’innovazione – anche politica – del concetto di prospettiva si rilegga un bellissimo libretto, intitolato appunto Cosmopoiesis, il progetto del Rinascimento. Torna poi utile una frase dell’amico Massimiano Bucchi: «L’innovazione condivide con la politica – e per certi versi con l’arte – una capacità di disegnare un mondo che può andare al di là della mera rappresentazione dell’esistente che il mercato e la competizione elettorale consentono». Mi è capitato di dire proprio qui a MEET, prima dell’estate, che l’arte potrebbe fornire la strumentazione necessaria per mantenere il controllo su un potere della ragione che ci sta scappando, che sta andando in mano a un’altra dimensione – noi la chiamiamo “intelligenza artificiale” – ma in realtà è, appunto, un’altra dimensione. Non è vero che potremo difenderci dall’intelligenza artificiale staccando la spina alle macchine: è la grande illusione dominante. Potremo invece farlo forse sulla strada di una maggiore sensibilità, che è sintesi: è una sintesi l’essenza dell’arte. Non come un gioco intellettualistico, bensì come una delle strade di sopravvivenza nel controllo del pianeta. Galileo abiurò e, proprio per questo, la sua figura può ispirarci un nuovo noi: essendo cioè sostanzialmente consapevoli che cambia tutto, decidiamo di cambiare quello che si può. L’intelligenza artificiale altro non è che il cannocchiale, essendo chiaro che il cannocchiale ci obbliga a fare il discorso sulla luna e – solo se guardata dalla luna – il discorso sulla Terra. Dal 1994, la Fondazione, «si propone di promuovere l’esercizio responsabile dell’innovazione, in ambito nazionale ed internazionale, assistendo i soggetti istituzionali, privati e associativi a orientarne i fini e considerarla fattore di incivilimento per l’intera società». Così è scritto nel nostro trentennale statuto. La nostra missione è quindi oggi, insieme, tutta da scrivere eppure più attuale di allora.