29.11.05

Introduzione al corso, presentazione della FGB e della sua mission a cura di Piero Bassetti

Sono particolarmente contento di essere qui in rappresentanza della Fondazione Bassetti, poiché la Fondazione Giannino Bassetti si pone come mission la sensibilizzazione degli imprenditori e di chi prosegue la loro opera nelle generazioni a seguire.

All'articolo 2 dello Statuto della Fondazione infatti si legge: "La Fondazione ha per scopo lo studio dell'innovazione nell'attività imprenditoriale, con particolare attenzione all'influenza dei nuovi modi di produrre sulle condizioni sociali ed economiche, etiche e politiche della convivenza umana".

Inoltre, la Fondazione si rivolge anche a comunicatori, ed enti culturali e di ricerca e policy-makers, sensibilizzarli rispetto ai temi dell'innovazione e della sua responsabilità, e per incentivare una politica culturale dell'innovazione responsabile.
In sintesi, la Fondazione si propone di promuovere la sensibilità sull'innovazione e sulla sua responsabilità, sia come osservatorio, sia come struttura di riflessione, e, in questo contesto formativo, come matrice e deposito di un "saputo" su innovazione e responsabilità.

Se c'è un problema riconosciuto del nostro Paese oggi è quello dell'innovazione. La FGB ha cominciato a occuparsi di innovazione dieci anni fa, quando nessuno la tematizzava. Partendo dalla volontà di un imprenditore dell'alto milanese, mio zio Giannino, la cui biografia è in bibliografia d'esame, in un momento in cui non c'era questa sensibilità. Partendo dal testamento morale di Giannino Bassetti, noi tematizziamo non solo la creatività nell'innovazione, ma anche e soprattutto la dimensione della sua responsabilità.

Ora la vostra Università, fondata nel 1991, è l'emblema vivente della sua connessione con i distretti industriali dell'Alto Milanese e del Varesotto: la sede occupa l'antico cotonificio Cantoni (proprietà del gruppo Montedison) combinando memoria storica e archeologia industriale. Riteniamo che l'Università sia un luogo adatto per affrontare questi temi, in particolare nel contesto di Castellanza, la cui popolazione universitaria è in stretto contatto con l'imprenditorialità locale.

Castellanza è storicamente legata a una presenza industriale diffusa e massiccia, non sempre esempio di responsabilità nell'innovazione, né di uno sforzo creativo che favorisse l'innovazione poiesis intensive su quella science intensive (su questi due termini mi soffermerò a lungo oggi). Per anticipare un esempio, a Castellanza si colloca già negli anni Venti la Chimica Ligure, con la sua produzione di acido solforico, acido cianidrico e bachelite, poi la Montecatini e, a partire dal 1952, un primo piccolo gruppo di ricerca che produce le prime resine poliestere d'Europa, con cui si facevano le carenature della Lambretta, le barche, pezzi di case prefabbricate, poi le prime Roulottes. Si tratta di una produzione sicuramente innovativa ma certo senza riflessione sugli aspetti di responsabilità, in primis rispetto alla salute degli operai, che infatti a partire dagli anni Cinquanta e fino agli smantellamenti della Montedison negli anni Ottanta organizzano Gruppi di studio, scioperi, Consigli di Fabbrica, pubblicazioni e ricerche di medicina del lavoro (la rivista Sapere, Medicina Democratica, arrivando anche a interessarsi di documentare il vicino caso di Seveso). Castellanza è stata a lungo associata, negli anni, a questo conflitto sociale, che sfocia nei primi anni Settanta nella bonifica della fabbrica Montedison e nell'incappucciamento dei suoi camini che non inquinano più il territorio.

Di contro a questo tipo di vicende dividenti, il connubio tra noi e la LIUC deriva dalla preoccupazione di questa Università di valorizzare la funzione imprenditoriale innovativa, in special modo della piccola e media impresa che sia capace di mantenere il territorio vitale e vivibile.

Sia alla FGB che alla LIUC preme di far comprendere ai giovani imprenditori e agli eredi delle piccole e medie imprese locali il valore della funzione imprenditoriale innovativa e responsabile, e responsabile grazie anche al fatto di essere creativa, perché non la abbandonino a favore di altre forme di investimento meno sostenibile e più lontano dal territorio. Come FGB noi crediamo nell'innovazione e nel fatto che la funzione innovativa venga esercitata responsabilmente. Per questo investiamo sulla sensibilizzazione all'innovazione come valore.


Ora, se vi chiedessi cos'è l'innovazione, cosa rispondereste? In particolare, cosa ha a che fare con la creatività e che senso ha interrogarsi sulla sua responsabilità?

Su questo tema la Fondazione Bassetti ha molto lavorato. E la conclusione a cui siamo giunti è che la più corretta definizione di innovazione è la realizzazione dell'improbabile. L'innovazione è cioè quell'accadimento nel quale un fatto improbabile viene reso reale dall'incontro di un nuovo sapere con un potere capace di realizzarlo.

L'innovazione è allo stesso tempo rischio e opportunità, qualcosa che cambia il mondo che ci circonda, ma lo cambia in direzioni intrinsecamente imprevedibili. E l'imprevedibile può realizzarsi sia sul piano politico-sociale (nuove istituzioni, nuovi modalità di relazioni, di produzione, di guerra, nuovi poteri), sia su quello tecnico-economico (nuovi materiali, nuove energie, nuovi strumenti, nuove categorie di beni), sia su quello estetico culturale (nuovi stili, mode, gusti, atteggiamenti).

Un aspetto importante dell'innovazione per come la intendiamo noi è il fatto che essa è distinta dalla scoperta e dall'invenzione. L'innovazione non è solo legata ai risultati della ricerca scientifica, ma anche alla creatività estetica e pratica e alla capacità di combinare, in modo nuovo e accettato dal mercato, elementi in larga parte già esistenti, ma incrementati nei contenuti di funzionalità ed estetica. In altre parole, l'innovazione non è solo scienza ma anche creatività, non solo nanotecnologia, OGM o microchips ma anche minigonne, piumoni, capi colorati.

La creatività è un nuovo modo di comporre i gusti, le leggi del piacere e del gradimento. Purtroppo questa dote non viene apprezzata e valorizzata nel sapere diffuso, che preferisce il sapere dei premi Nobel, e rispetta di più uno scienziato di un imprenditore innovativo.

In questo corso vi presenteremo persone in carne ed ossa che porteranno la loro testimonianza di imprenditori innovativi, da Missoni, che ha inventato la fusione dei colori nei capi di vestiario, a Gismondi le cui lampade sono un incrocio di gusto e tecnologia, a imprenditori che eccellono nella cosiddetta creatività strumentale (Messina, Pedrollo), sapendo incrociare efficienza, economicità, funzionalità e sostenibilità. Con Fastweb poi vedremo in atto un nuovo modo di porre i rapporti comunitari attraverso la cablatura delle città.
Sono tutto esempi di innovazione che sanno conciliare l'anima razionale con l'anima emozionale (vedi Stefania Saviolo- Salvo Testa, Le imprese del sistema moda:il management al servizio della creatività, ed. ETAS, 2000)

Questo tipo di innovazione si sviluppa, più spesso che non, al di fuori di procedure ad alta intensità di scienza e capitale (science and capital intensive) e fa invece riferimento a caratteristiche individuali quali l'intuito, il gusto, la forza personale di trascinamento e di persuasione dell'imprenditore coinvolto (poiesis intensive). Là dove l'innovazione agisce non solo a livello materiale ed economico ma anche, anzi più, sulla percezione della realtà, allora si può parlare di innovazione poiesis intensive, o poiesis driven.
Poieo è il verbo del fare e poiesis è "cosa fatta" o il "frutto del fare". I filosofi contemporanei collegano la parola al concetto del fare, del realizzare, e anche del produrre, con una stretta connessione al realizzare creativo.

Dunque, un apporto innovativo non è solo quello, per esempio, dei fisici quantisti, dei nanotecnologi o degli inventori di espedienti tecnologici, ma è anche il sapere di un designer che introduce elementi di estetica in prodotti che altrimenti ne sarebbero stati privi; cioè di tutto quel mondo della creazione poietica (dal verbo greco da cui deriva poesia) nel quale, appunto, l'aggiunta di un nuovo contenuto poietico si rivela fonte di innovazione. Una innovazione della quale, del resto, vive gran parte del Made in Italy.

Se io chiedessi a voi: secondo voi l'impresa è responsabile dell'evoluzione del mondo? Quale risposta dareste?

A differenza della scoperta, che è "disvelamento", "rinvenimento", l'innovazione è sempre un "accadimento": chi innova "fa accadere", fa succedere dei fatti, e i fatti mutano la realtà.

La portata dell'innovazione si misura quindi per la sua diffusione nella società e il suo impatto con la vita quotidiana, implicando quindi la responsabilità dell'operato. Ogni qualvolta una nuova conoscenza, sia essa una formula scientifica o pittorica, si incontra con la sua realizzazione, cioè la sua incarnazione nella storia, allora lì c'è una innovazione. C'è, cioè, un cambiamento della storia frutto dell'uso congiunto della conoscenza e del potere di inverarla. Non c'è infatti crescita di innovazione quando c'è solo una scoperta.

Tra la conoscenza pura e l'innovazione c'è sempre di mezzo il rapporto con il potere. In altri termini perché gli uomini possano di più, non basta che sappiano di più. In altri termini, quando si parla di innovazioni produttive, siano esse industriali, commerciali, di servizi, ciò che alla fine conta e decide è il capitale. Solo con qualcuno che ha il potere e cioè i soldi, una nuova scoperta, o anche solo una nuova tecnologia, possono essere inverate.

Se, come dicevamo, l'innovazione, intesa nel suo preciso significato, è qualcosa che si ha solo quando all'accrescimento di sapere si aggiunge e si combina una aggiunta di tecnologia e del potere attuativo proprio del capitale, o del potere politico, allora diventa chiaro che i meriti, ma anche le responsabilità, non sono tanto dei ricercatori quanto dell'imprenditore o del politico, cioè di coloro che concretamente dispongono la combinazione dei fattori coinvolti e che dovrebbero sapere quello che stanno facendo con le relative conseguenze. Dovremmo quindi ripensare l'innovazione come esercizio di responsabilità che fa dell'imprenditore un soggetto storico e politico.

Con questo corso ci si propone di sviluppare in voi giovani che vi accingete ad assumere un ruolo di futura classe dirigente nell'industria, nei servizi e nelle libere professioni, una nuova consapevolezza della propria responsabilità di imprenditori-innovatori, anche come irripetibile opportunità per sviluppare le vostre idee e la vostra personalità, incidendo sulla realtà che vi circonda.

Chiediamoci quindi: chi indirizza l'innovazione? Chi la gestisce? Chi ne ha la responsabilità?

Abbiamo detto che l'innovazione è realizzazione dell'improbabile, dunque sapere ex ante quali saranno le conseguenze delle scelte fatte è spesso tutt'altro che facile: dove c'è l'improbabile lì c'è sempre incertezza e quindi rischio. E poche cose sono più difficili da finalizzare e gestire, del rischio.

La responsabilità dei nuovi accadimenti non può essere attribuita al Mercato, che non è in grado di esercitare un controllo politicamente responsabile, ma non mi sentirei ancora di dire che è stata attribuita ufficialmente ai manager. Infatti ai manager viene invece chiesto di operare all'interno di un calcolo dentro il quale la responsabilità, in un certo senso, sparisce.

Noi oggi chiediamo che nella nostra civiltà la mediazione storico-culturale sia fatta dai manager e questo, secondo me, è un fatto importante, perché fino a poco tempo fa era fatta dai Principi. Ciò significa che la responsabilità del fare accadere le trasformazioni - che non è solo affidata ai geni, ma è affidata soprattutto al nostro libero arbitrio - oggi è affidata ai manager. E di questo, secondo me, i manager non sono sempre consapevoli.

D'altro canto l'opinione diffusa in materia va anche più in là: per il grande pubblico e sopratutto fra i politici, è radicata la convinzione che non sia affatto bene che tra i compiti e le responsabilità dell'impresa si includa la partecipazione nel definire le direzioni evolutive di una determinata società, ritenendosi tale compito di competenza delle istituzioni politiche.
C'è infatti oggi una crescente tendenza cultural-politica - confusamente connessa agli incipienti problemi della globalizzazione - che, proponendosi di sostituire quanto più possibile la governance al government dei fatti economici, punta a legare il comportamento dell'impresa alle regole di un mercato i cui parametri specifici devono essere calcolati rigorosamente all'interno dell'ambito economico. E' chiaro che per chi ragiona così, considerazioni "finalistiche", e quindi indirettamente politiche, non debbono far parte del calcolo di impresa, per restare competenza del Principe.

In definitiva, abbiamo costruito un sistema quasi perfetto di de-responsabilizzazione. Non si è avuto il coraggio di teorizzare che il concetto di responsabilità - concetto che le società come modo di organizzazione del potere avevano sempre rivendicato - è stato sostanzialmente abolito. Noi ci siamo infatti abituati a vivere in un mondo di soggetti economici e istituzionali tra i quali sono state portate avanti con successo due operazioni culturali fortemente riduzioniste in termini di responsabilità e che hanno prodotto questi importanti risultati:
1) due soggetti economici - quello micro (l'impresa) e quello macro (il mercato) - sono stati deresponsabilizzati trasformandoli da soggetti, in qualche modo politici, in meccanismi come tali apolitici;
2) i parametri di valore assunti per entrambi i contesti sono stati sempre più allontanati da quelli che incorporavano sensibilità meta-economiche o ecologiche.

Il sistema ha creato un filtro di irresponsabilità. Si dice abitualmente che è il Mercato a essere responsabile, perché è sul Mercato che si misura il consenso rispetto a un'innovazione.
Ma la proposta dell'innovazione non è fatta dal Mercato; il Mercato giudica solo il gradimento di un'innovazione. Se voi considerate ogni innovazione che abbia un certo rilievo, la vera responsabilità storico-culturale è presa da chi la propone. In altre parole, nell'introduzione di novità (di modelli, processi produttivi, strategie di marketing) io introduco l'elemento di responsabilità.

Come muoversi dunque concretamente?

Chiedere all'impresa comportamenti più in linea con le preoccupazioni che ci stanno a cuore è possibile solo alla precisa condizione che non si pensi di staccarla dal contesto delle sue possibilità e convenienze. L'impresa non può, infatti, prescindere dall'ambito del perseguimento di un profitto. Il mercato non potrà mai mutare i suoi meccanismi e veder mutare i calcoli di chi in esso opera domandando, senza che nello stesso tempo mutino comportamenti e calcolo di chi in esso opera offrendo.

Né può un'impresa, grande o piccola che sia, diventare parte organica di un mondo che si avvia a diventare diverso - che va, cioè, verso un evoluzione compatibile con l'etica della sopravvivenza - senza, in pari tempo, modificare il proprio sistema di motivazioni, il proprio modo di rapportarsi con quelle degli altri, l'intero sistema di rapporti che la legano ai soggetti con i quali vuole essere collegata, appunto organicamente.

Almeno tre sono le grandi famiglie di operatori - i sottosistemi - i cui comportamenti, sotto la sfida planetaria, dovranno mutare, e mutare in stretto rapporto fra loro: insieme ai consumatori e ai produttori, i governanti.
Il punto di intersezione tra questi tre agenti è l'innovazione. L'innovazione come processo imprenditoriale nel corso del quale, nel crogiuolo dell'impresa, si combinano gli apporti dei nuovi saperi - in primo luogo quello scientifico e tecnologico - con il capitale e il lavoro, ponendo in atto nuove tecniche di trasformazione della natura, ma anche nuovi fini e nuovi modi di vita.

Certo un'innovazione, così assunta, postula consapevolezze e responsabilità alquanto diverse da quelle tradizionalmente presenti nella diffusa cultura d'impresa. Chi gestisce l'impresa è chiamato a prendere coscienza della duplicità nella quale, già oggi, è immersa l'impresa innovativa. Una duplicità che spesso essa non sfrutta. Questa duplicità le consente potenzialmente di essere sia soggetto economico, nei confronti del mercato, sia soggetto politico. L'impresa esercita un potere politico ogni volta che opera nel campo dell'innovazione, anziché limitarsi a combinare fattori produttivi secondo le regole economiche di un calcolo di mercato staticamente inteso.
L'imprenditore moderno, anche piccolo, per ottimizzare il risultato di valore o di profitto, non organizza solo fattori di produzione esistenti, entro i parametri già dati dal mercato ma, praticando l'innovazione, li cambia e li modifica. Proprio qui si esercita la sua responsabilità politica.


In conclusione, se siamo d'accordo che l'impresa ha un ruolo storico e politico, l'obiettivo delle nostre sessioni è di sollecitarvi a chiedervi: ne siete coscienti? Vi rendete conto del valore dell'innovazione? Del fatto che è un valore non solo economicistico, ma politico, storico, e morale? Che riguarda le finalità e il futuro di tutta la società?

Ne deriva che anche sul terreno delle soluzioni innovative, e delle relative dinamiche, mercato e policy makers dovranno essere organicamente coinvolti se vogliamo che la sfida della responsabilità dell'innovazione possa essere raccolta. Una impresa più adatta a innovare e a farlo con consapevolezza e responsabilità ha più capacità e probabilità di scegliere di fare la sua parte politica nella società, nella convinzione che le conviene; perché non crede di truffare gli azionisti o gli altri suoi stake holders se affida la sue decisioni innovative a una persona o un gruppo direttivo capace di concepire l'impresa come un soggetto responsabile e non più come un meccanismo alienato; che non coltiva propensioni ecologiche solo nella vita privata dei suoi manager ritenendosi invece autorizzata a inquinare quando imposta un piano di produzione; che cerca invece di essere ecologicamente responsabile per guadagnare di più.

E' ovvio che l'assunzione di responsabilità non può limitarsi alla sola impresa. Ma se riguarderà anche altri soggetti li riguarderà in modo assai diverso: c'è nell'innovazione, per l'impresa innovativa, un ruolo specifico che la deve configurare in un modo nuovo. Ma soprattutto questa nuova impresa avrà saputo coniugare, al suo interno, il calcolo della convenienza aziendale con le dinamiche in cui è immersa. Avrà cioè saputo accettare la sfida a modificare, nel concreto, il suo quadro informativo e culturale, sviluppando un'attenzione prima non richiesta su temi che, proprio per essere legati al mutamento, fatalmente incroceranno le grandi dinamiche delle trasformazioni globali, intervenendo a livello locale.


by Valentina Porcellana on 29.11.05 at 19:15 | Permalink |