30.11.05

Ottavio Missoni: un cinquantennio di vita a zig-zag

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Vi racconto la mia storia, ma da dove devo incominciare? A raccontare di se stessi ci sono sempre pudori, io preferirei raccontare la storia di altri!

Tanto per iniziare devo dire che non ho nessuna parentela né con il mondo dell'industria né con quello della moda, nel senso che non ho fatto studi specifici, anzi, per la verità io di studi non ne ho fatto nessuno! E' vero! Anche perché mia mamma a scuola non mi mandava, perché lei era convinta che a svegliarmi così presto alla mattina sarei diventato nervoso.
E mia moglie mi dice "Ma a tua mamma non le è riuscito tanto bene!" e io le rispondo "Non sai quanto più nervoso sarei potuto essere se mi fossi alzato presto al mattino!".
Così nasce questa favola della mia pigrizia e del mio dormire sempre. E io pigro - questo devo confessarlo - sono sempre stato, anche perché nasco sulla Costa dalmata e da quelle parti era un fatto naturale per tutti.

Mia mamma mi lasciava dormire, è vero, però - da sveglio - sono arrivato alle Olimpiadi di Londra! Gran parte della mia giovinezza l'ho dedicata allo sport: da ragazzo ero svelto a correre. Chi arrivava primo? Arrivavo sempre io! A 16 anni, nel 1937, all'Arena di Milano io ho battuto gli Americani facendo un tempo di 48 secondi e 8 decimi sui 400 metri piani: non si può parlare di primato, ma si può dire che ancora oggi è la migliore prestazione italiana per un sedicenne.
Sempre nello stesso anno, a Parigi, ho battuto i Francesi. E anche lì ho vestito la maglia azzurra e a tutt'oggi sarei la più giovane maglia azzurra di atletica. Sono sul Guinness dei Primati insieme a un giapponese che ha mangiato 50 cocomeri!
Nel 1939, ero già più anziano, avevo 18 anni, ho vinto il titolo mondiale studentesco.
Poi c'è stata la guerra che io ho combattuto - combattuto si fa per dire - sul fronte di El Alamein e gli inglesi mi hanno fatto prigioniero: 4 anni in Egitto. E io amo dire che sono stato ospite di Sua Maestà Britannica.
Mi chiedono spesso com'era la prigionia: tutto sommato non era male, gli inglesi erano abbastanza corretti, ma quattro anni non sono pochi. Ma essendo i miei passatempi preferiti il dormire - come sapete! - e la lettura io là avevo tutto il tempo da dedicare ai miei passatempi, soprattutto alla lettura.
E la lettura ve la raccomando. Io ho sempre pensato alla lettura come un fatto miracoloso, non solo durante la prigionia, ma in qualunque momento. Con pochi euro posso passare una serata - dico un nome a caso, ma mica tanto a caso - con il signor Voltaire. Io trovo che sia miracoloso!
Anche la prigionia di per sé può essere maestra di vita, tutto si somma alle esperienze. E devo dire che è un'esperienza particolare soprattutto per il rapporto con il prossimo: nella prigionia non ci sono trucchi, quattro anni gomito a gomito con gli altri, non ci possono essere trucchi...

Io torno in Italia alla fine del 1946. Il nostro campo era il 305 ed era il campo dei co-belligeranti e fu l'ultimo ad essere smobilitato. La guerra era già finita da tempo, ma all'epoca non c'erano le crociere Costa, man mano gli inglesi ci imbarcavano dall'Australia, dal Sudafrica, dall'India. A noi per ultimi.
Ma cosa vuol dire che eravamo co-belligeranti? In Italia all'epoca succedevano tante cose e noi eravamo prigionieri, ma le notizie arrivavano e si sapeva che avevamo cambiato alleato, come spesso accade nella storia. Un giorno che come al solito eravamo sotto la tenda a dormire arriva uno che ci dà l'annuncio: "I nostri avanzano" e il mio amico Archetti che dormiva vicino a me si alza e fa: "Chi sono i nostri"? Hai capito? Io devo confessare una cosa: questo accadeva nel 1943-44, ma io ancora oggi non ho capito bene chi sono i nostri!
Comunque ci arriva un invito del signor Badoglio e lui ci invita a co-belligerare: eravamo allora nel campo 309 ed eravamo circa 10 mila, 550 non hanno firmato e fra quei 500 c'ero anch'io. Un tenente mi chiamò per sapere il motivo per cui non avevo firmato: lui era maltese e parlava molto bene italiano. Io gli ho detto "Senti, l'invito è di Badoglio, ma la firma è per Sua Maestà Britannica e io voglio sapere prima di firmare che vantaggio ne avrò". E lui mi ha risposto: "Potrai lavorare!". Ed è lì che ha sbagliato! E io gli avrei risposto - ma la risposta buona viene in mente sempre mezz'ora dopo -: "Ci vuole ben altro che Sua Maestà Britannica per farmi lavorare!". Questa storia del lavoro l'ho trovata tante volte nella mia vita!

Tornato in Italia nel settembre del 1946 ripresi piano piano l'attività sportiva e sorprendentemente dopo 5 anni di inattività agonistica nel 1948 ero finalista all'olimpiadi di Londra nella 400 metri ad ostacoli.
In Italia ritrovai la mia famiglia a Trieste: io ero uno dei 460 mila profughi o esuli in patria della Venezia Giulia e della Dalmazia, uno dei 16 mila di Zara. Non erano tempi facili quelli dopo la guerra: le lire proprio non c'erano, non si vedevano mai. Ogni tanto ci si informava "Ma le lire ci sono?". "Sì, ci sono!". "Ma tu le hai viste?". "No", ma c'era qualcuno con un amico che le aveva viste!
In quel periodo trovo un mio amico di Zara che era all'Ufficio Emigrazione e mi chiede che cosa faccio: "Eh, che cosa faccio... Son tornato un mese fa dall'Egitto" e lui mi dice: "Dato che sei esule e ex prigioniero, io ti posso mettere nelle liste preferenziali e tu entro tre mesi puoi partire". "E dove vado?". "Puoi scegliere: Canada o Australia".
Io il Canada per il freddo l'ho cancellato subito, l'Australia non era male come idea: bel paese, belle spiagge, belle ragazze, sole anche d'inverno, l'Australia poteva anche andare. E gli chiedo: "Ma in Australia che cosa vado a fare?". Lo sapete che cosa mi ha risposto? "Vai a lavorare!".
Ma come, voleva farmi fare miglia e miglia per mandarmi a lavorare! Beh, allora ho preferito stare qua, anche perché stavo in una bella zona: allora facevo la spola tra Milano e Trieste, che secondo me sono i 450 km più belli in assoluto del mondo. E non mi preoccupavo perché mi ero documentato e storicamente non risultava che in quest'area c'era mai stato un morto di fame. E allora mi sono detto "Non sarò mica il primo mona che morirà di fame!", poi mi è venuto un sospetto perché ho sentito di qualche ammalato di pellagra nel rovighese, però morti di fame niente! Così mi sono tranquillizzato e sono rimasto qua!

Poi mi sono improvvisato - e si fa per dire - notissimo stilista del mondo della moda!
Qualcuno si stupisce che si possa essere bravi in due settori così diversi, ma dal mondo dello sport ho ereditato due cose: il rispetto dell'avversario e poi quella molla agonistica che scatta al momento della partenza.
Ma come vi ho detto sono pigro: e allora dov'è questa spinta agonistica? Non lo so, ma al momento della partenza, al colpo di pistola avveniva in me il prodigio del risveglio e ho avuto il sospetto che la stessa cosa accadesse più tardi nel mio lavoro. E sono abbastanza presuntuoso da dirvi che se invece di fare maglie il mio destino mi avesse portato ad allevare polli, avrei portato sul mercato le uova migliori e i polli sarebbero stati tutti colorati da fare invidia ai pappagalli!

Ma torniamo alla maglia: tutto nasce a Trieste con un incontro puramente casuale con una macchina di maglieria. Ho un amico che si chiama Giorgio Oberweger, il nostro commissario tecnico, che aveva a Trieste una mamma e una zia e proprio questa zia aveva una macchina da maglieria. Io ho visto questa macchina a mano che mi ha affascinato e abbiamo comprato un'altro paio di macchine da maglieria e abbiamo fatto società con Giorgio. Eravamo due presidenti e la zia, ma il problema era: chi lavorava? Allora abbiamo assunto suo cugino per farlo lavorare.
All'epoca facevamo indumenti sportivi e le tute che erano belle, innovative anche funzionali e avevamo vestito le nazionali di calcio, pallacanestro e atletica leggera per l'Olimpiade di Londra. Una l'ho indossata anch'io.

A Londra ho conosciuto la mia attuale sposa, la Rosita, che aveva 16 anni. Mi ha visto correre la finale e ci siamo sposati nel 1953.
Siccome a Trieste all'epoca era più facile varare una nave che fare una maglia e mia moglie è di queste parti, di Golasecca, mi sono trasferito a Gallarate per fare le maglie. Insomma, ho fatto società con la Rosita, ma per me non è cambiato niente: io sempre presidente e la Rosita che lavorava!

Nel 1953 nasce quella che tuttora è la nostra attività e dico "nostra" perché anche in seguito si parlerà sempre de "I Missoni".
A Gallarate, sopra si abitava e sotto si lavorava con una ventina di dipendenti. Non è facile adesso ricostruire i fattori che hanno portato al successo, anche perché questo successo non ha mia avuto un programma, non è mai stato preventivato.
Ci siamo trovati casualmente questo mestiere tra le mani, un mestiere che ci siamo inventati giorno per giorno. Un mestiere che tra l'altro non saprei neanche definire: ci sono tante componenti, artigiani che lavorano la maglia, creatori di moda, sono tante cose insieme...di certo un mestiere che abbiamo creato noi ogni giorno.
Parlando col senno del poi, forse alla base del successo c'era una disponibilità totale ad affrontare i problemi, qualcosa che rompeva con quelli che erano gli schemi codificati, tradizionali, una libertà mentale, forse anche un po' anarcoide, contro le regole.
Ci siamo avvicinati al problema moda semplicemente con la mente sgombra di pregiudizi, avvicinandosi all'abito come a un oggetto qualsiasi, prescindendo dalla moda e partendo, come si fa per ogni altro oggetto industriale, dalla ricerca sulla materia e, nel nostro caso, anche sul colore.
Chiaramente la maglia esiste da sempre, noi semplicemente abbiamo rotto certi schemi, l'abbiamo un po' stravolta e come ha scritto qualcuno "ne abbiamo fatto di tutti i colori"!

L'arte del tessere è antichissima e sono sempre stato affascinato da queste arti primitive e popolari. E a questo proposito vi racconto un piccola storiella: una volta ero a Venezia con un gruppo di architetti e c'era anche Marco Zanuso che mi passa una penna perché dovevo prendere degli appunti e io riconosco che questa penna era disegnata da lui e gli faccio i complimenti. E lui mi dice "Guarda, questa penna l'ho disegnata vent'anni fa e me l'hanno copiata tutti". E io gli ho riposto: "Ma lo dici a me che è da tremila anni che sulla fascia delle Ande mi copiano!".

All'inizio eravamo diventati famosi per le righe e con le righe abbiamo fatto tutte le acrobazie possibili: la verità è che in quel periodo avevamo delle macchine molto semplici che potevano fare solo righe, poi naturalmente le righe potevano essere verticali, orizzontali, abbiamo tirato anche la riga in diagonale. Poi avevamo delle macchine che potevano fare lo zig-zag, allora siamo stati quelli dello zig-zag, poi ci sono state macchine che potevano fare contemporaneamente righe orizzontali e verticali e così abbiamo fatto lo scozzese.
Poi, parecchi anni dopo, abbiamo messo insieme tutto, righe diagonali, orizzontali, verticali, scozzese, qualche stampato, tutto insieme e abbiamo presentato una collezione a Firenze di grandissimo successo. Era una nuova interpretazione grafica di vestire la donna e l'uomo, ma devo dire che me la ricordo ancora, era proprio bella. I modelli formavano un mosaico di multipli pezzi che si accavallavano, nei multipli colori e nelle multipli lavorazioni. Gli Americani l'hanno battezzato il "put together", il "metti insieme".
E' stato un fatto di moda, un momento di rottura degli schemi tradizionali. Ma anche il "put together" era una pratica antichissima, basti pensare ai giapponesi che si vestono con una grafica precisa, con intonazioni raffinatissime, disegni diversissimi, ed era un genere adottato da sempre dai pastori praticamente in tutto il mondo e devo dire con grandi risultati estetici.
Però in tempi recenti siamo stati i primi a codificare questo modo di vestire ed è in quel periodo che si concretizza quella che potremmo chiamare la filosofia del nostro lavoro: proporre un tipo di abbigliamento fuori da certe regole e consuetudini, qualcosa di meno legato a canoni precisi, qualcosa che potesse lasciare spazio alla fantasia. Questo succedeva nella primavera del 1970.

Abbiamo iniziato nel 1953, ora siamo nel 2005, è una storia abbastanza lunga che io amo definire un "cinquantenario di vita a zig-zag".


by Valentina Porcellana on 30.11.05 at 19:13 | Permalink |

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by Nicola Prinetti on 02.12.05 at 18:59

Propongo a chi è interessato la seguente bibliografia inerente ai temi trattati durante l'incontro con Ottavio Missoni.

ABRUZZESE A.- BARILE N., (a cura di), Communifashion, Sossella, 2001
BARILE N., Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda - Volume II, Moda e stili, Meltemi, 2005
BATAZZI M., Quale innovazione nel settore pelle : un'indagine sulla domanda d'innovazione nelle imprese del settore pelletteria dell'area fiorentina, Franco Angeli, 2005
BUCCI A., L'impresa guidata dalle idee, Domus Academy, 1992
CALANCA D.,Storia sociale della moda, Mondadori, 2002
CANTONI L., Fashion on-line. Come utilizzare il web per dare valore aggiunto alle aziende della moda Fanco Angeli, 2003
CODELUPPI V., Che cos'è la moda, Carocci, 2002
CORBELLINI E.- SAVIOLO S., La scommessa del made in Italy e il futuro della moda italiana, Etas Libri, 2005
CRANE D., Questioni di moda. Classe, genere e identità nell'abbigliamento, Franco Angeli, 2004
FOGLIO A., Il marketing della moda. Politiche e strategie di fashion marketing, Franco Angeli, 2002
ENTWISTLE J., The fashioned Body. Fashion, dress and modern social theory, Polity Press, 2000
FORTUNATI L.- DANESE E., Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Volume III. Il made in Italy, Meltemi, 2005
GNOLI S., Un secolo di moda italiana, Meltemi, 2005
LA ROCCA S. - MAZZOLA P., Le imprese basate sulla creatività artistica, Franco Angeli, 1992
MAIZZA A., Marca e comunicazione nella gestione delle imprese dell'abbigliamento, Cacucci, 2002
MAYNARD M., Dress and Globalisation, Manchester University Press, 2004
MARCHETTI M.C., Manuale di comunicazione, sociologia e cultura della moda, Meltemi, 2005
NENCINI C., Moda e innovazione tecnologica. Nuove strategie di marketing: dall'idea allo sviluppo di prodotti innovativi attraverso cinque case history di successo, Franco Angeli, 2002
RUGGERONE L., (a cura di), Al di là della moda. Oggetti, storie, significati, Franco Angeli, 2001
SAVIOLO S.- TESTA S., Le imprese del sistema moda, Il management al servizio della creatività, Etas Libri, 2000
SAVIOLO S.- TESTA S., Strategic Management in the Fashion Companies, Etas, 2002
SEELING C., Moda. Il secolo degli stilisti 1900-1999 Konemann, 1999
SEGRE REINACH S., La moda. Un'introduzione, Laterza, 2005
SORCINELLI P., Studiare la moda. Corpi, vestiti, strategie, Mondadori, 2003
SORCINELLI P.- PRONI G.- MALFITANO A., (a cura di), Studiare la moda, Mondadori, 2002
SQUICCIARINO N., Il vestito parla. Considerazioni sociopsicologiche sull'abbigliamento, Armando, 1990
STEELE V., 50 Years of Fashion, Yale University Press, 1997
VOLLI U., Block Modes. Il linguaggio del corpo e della moda, Edo Lupetti, 1998
WHITE N., Reconstructing Italian Fashion, Berg, 2000
WILSON E., Adorned in dreams, Fashion and modernity, I.B. Tauris, 2003


by Francesca Caccia on 09.01.06 at 19:52

Missoni,una casa di moda ormai affermata nel mondo del Fashion eppure il fondatore racconta la sua storia come se tutto fosse nato per gioco,per un puro incontro con una macchina per maglieria.
Si scopre che dietro le righe, i zig-zag,che contraddistinguono questa marca non c'è nulla di pianificato ma bensì tutto era collegato a delle semplici macchine che potevano solo fare quella tipologia di disegno.
E' bello incontrare persone come Missoni,che nonostante il grande successo riscosso racconta tranquillamente la sua vita senza nascondere ne le debolezze,la sua pigrizia, ne le gioie.


by Antonia Palumbo on 15.01.06 at 17:51

Un imprenditore attento e coraggioso:queste sono le parole che meglio possono descrivere lo stilista Missoni.
Le sue esperienze di vita sono state alla base della sua attività imprenditoriale, che lo ha portato a creare Innovazione "senza saperlo".
L'innovazione creativa, come già sottolineato dal dott.Bassetti, parte dall'unione di creatività,lavoro e tecnologia:l'imprenditore Missoni è riuscito a fondere la creatività "delimitata" dalle capacità delle tecnologie utilizzate con un duro lavoro di esperimenti,ricerca e recupero delle tradizioni. In sintesi, si può ritenere che il successo "Missoni" è dovuto alle sperimentazioni di materiali, fantasie e colori che hanno reso grande il nome di questo stilista nel mondo.


by simone padrin on 16.01.06 at 11:57

Ottavio Missoni presenta la sua innovazione creativa come disponibilità totale ad affrontare i problemi del day by day. Secondo Missoni infatti, giorno dopo giorno, nasce il prodotto.
Definisce la moda, il suo settore, come un settore dove l'abito rappresenta un oggetto qualsiasi. La ricetta del prodotto infatti si sviluppava attorno a due semplici elementi: la materia ed il colore. Nasce la codifica missoni del put together.
Definisce la sua attività fatta di poco lavoro ma contemporaneamente di tanto mestiere, cuore e passione, in un settore dove la moda in continua evoluzione si differenzia dal costume.
Distingue due tipologie di innovazione: la prima di tipo competitivo dalla quale si dissocia dove il vincitore propone al consumatore un prodotto ad 1 lira in meno; la seconda, dove l'imprenditore offre un prodotto diverso a una lira in più.
L'innovazione infine secondo Missoni non può essere solo artistica e prescindere dalla componente tecnica-qualitativa del prodotto. Missoni si definisce artista e meccanico contemporaneamente.


by Lorenzo Fossi on 26.01.06 at 20:19

Ottavio Missoni secondo me è la rappresentazione di come l'intuizione, la spontaneità, la semlicità,la cretività e il divertimento nell'approccio al lavoro possono diventare un fattore critico di successo. L'innovazione che il marchio Missoni è riuscito a portare all'interno dell'alta moda è formata da molti componenti che derivano non solo da una spiccata propensione all'imprenditorialità (non al lavoro)ma anche e soprattutto, dal riuscire a prendere spunto dalle molteplici esperienze della vita, sia belle che brutte, e da tutto ciò che al mondo può essere d'ispirazione alla creatività come l'arte e la letteratura.


by Simone Renna on 30.01.06 at 02:12

L'innovazione che porta Missoni nella moda è un innovazione di gusto, di stile, di capacità superiore nel utilizzare i macchinari e selezionare materiali.
Missoni non inventa un prodotto che prima non esisteva ma ne migliora uno antichissimo modellandolo a suo gusto, portando i colori a fondersi uno con l'altro in righe e zig zag.
Penso che la sua innovazione stia nel fatto che un capo Missoni si distingue da qualsiasi altro capo.