Rassegna stampa del sito della Fondazione Bassetti  

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 Creatività e innovazione [14/10/04]

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[14/10/04]
Aggiunto il testo della Relazione di Sylvie Coyaud.

Vedi in calce al presente item della Rassegna.

Innovazione fa rima con creazione. Ovviamente non intendo riferirmi all'uguaglianza dei caratteri che in due parole succedono all'accento tonico, quanto al fatto che in ogni processo innovativo è presente un momento creativo.

Il rapporto fra innovazione e creazione è stato discusso il 28 e il 29 settembre, a Firenze, nell'ambito del convegno "Il Nuovo e l'Utile": si veda, nel sito FGB, la relativa Segnalazione.

In questo item della Rassegna ho scelto di proporre gli stralci di due relazioni presentate al convegno, pubblicati su Il Sole 24 Ore di sabato 25 settembre: "La creatività rimodella le imprese" di Giangiacomo Nardozzi e "Neurobiologia del non finito" di Semir Zeki.

Nel suo articolo, Zeki affronta il problema della creatività essenzialmente per quanto riguarda la produzione artistica ed anche se non fa riferimento esplicito all'innovazione, dai personaggi citati --da Wincklemann a Michelangelo, da Cézanne e Wagner per finire a Dante-- è facile cogliere che si tratta di esempi di svolte significative nei rispettivi ambiti.
Per Zeki la creatività artistica, dal punto di vista delle conoscenze neurobiologiche, trova una corrispondenza nell'insoddisfazione dell'artista di fronte all'inadeguatezza del reale in rapporto al modello ideale costruito dalla mente.

«L'esperienza quotidiana di singoli oggetti o situazioni possono anche non soddisfare il concetto sintetico più globale e, per il cervello, ne consegue un'insoddisfazione permanente».
Da questa inadeguatezza consegue una certa incompiutezza dell'opera d'arte.

«Michelangelo [...] lasciò incompiuti tre quinti delle proprie opere. Il vantaggio, in questo caso, è che il cervello dell'osservatore può terminarla in svariate maniere. Schopenhauer scrisse una volta che bisogna lasciare qualche cosa da fare alla mente, meglio se l'ultima cosa, ed è per questo che ammiriamo le sculture incompiute di Michelangelo e tanti quadri di Cézanne».
L'articolo di Nardozzi, com'è facilmente desumibile dal titolo, è rivolto al tema del come la creatività dell'imprenditore sia il volano dell'innovazione nel campo della produzione dei beni. Però quando afferma che...

«L'imprenditore, per realizzare questa sua creatività, ha bisogno di grande energia per superare i dubbi che vengono dall'abbandono della consuetudine ma anche per vincere la reazione contro il cambiamento che viene dall'ambiente sociale»
... mostra che anche nell'impresa produttiva la creatività nasce dalla insoddisfazione verso l'attuale stato delle cose.
L'articolo di Nardozzi, prende le mosse dal concetto di imprenditorialità descritto da Schumpeter:

«Per Schumpeter, tra gli economisti uno dei pochi e certamente il più importante che teorizzò l'imprenditorialità, l'imprenditore è tale in quanto innovatore. Il suo atto creativo sta nell'introdurre il "nuovo" pensando a ciò che può essere "utile" sul mercato (il passaggio dall'invenzione all'innovazione). La creatività dell'imprenditore inizia dove finisce il calcolo di ciò che per lui è più vantaggioso fare nel campo del "consueto e del provato dall'esperienza"».
Passa poi ad analizzare il passaggio tra la creatività spontanea del piccolo imprenditore e la creatività gestita managerialmente, ritenuta impossibile da Schumpeter:

«L'innovazione perde così il suo carattere di creatività spontanea, diventa di "routine" e viene "comandata" dalla pianificazione strategica d'impresa.
[...] Il capitalismo concorrenziale non è stato soppiantato da quello oligopolistico e quest'ultimo non ha prodotto grandi corporations incapaci di innovare. Dalla moltitudine degli imprenditori che operano nel primo continua a venire spontaneamente quella creatività che produce la gran parte delle idee più
rivoluzionarie, mentre nelle grandi aziende che formano il secondo si concentra la spesa, di ricerca e sviluppo, per l'innovazione sistematica, che spesso raccoglie quelle idee, le perfeziona adattandole alle esigenze dei mercato».
Richiami, nel sito FGB, al concetto di innovazione di Schumpeter:
Infine, per la sua attinenza col tema, va ricordato un articolo di Francesco Alberoni, "L'imprenditore, come l'artista, riesce se esprime se stesso" (Corriere della Sera, 2 ottobre 2000), che, in questo sito, diede il via, quattro anni fa, al Percorso sulla "Responsabilità sociale dell'imprenditore":
«Da un articolo di Alberoni a un'intervista a Sen (entrambi presenti in questo itinerario di lettura): l'imprenditore non può sfuggire a sistemi valoriali dai quali dipende il suo rapporto col mondo e con la società.
[...]»
[continua nel Percorso]

Aggiornamento del 14 ottobre 2004

Al convegno "Il nuovo e l'utile" ha partecipato anche la giornalista scientifica Sylvie Coyaud, con l'intervento "La colla delle cozze e altre fiabe biotech", del quale l'autrice ci ha gentilmente fornito il testo e le immagini (che hanno un ruolo sostanziale). La Coyaud fa riferimento ad alcune applicazioni delle biotecnologie per mostrare come la creatività e l'innovazione non sorgano improvvisamente e casualmente dalla testa di Minerva, ma procedano sulla spinta di esigenze contingenti. E in questo processo ha una funzione essenziale l'osservazione dei processi naturali. Per gli antichi, l'arte, che è il processo creativo per eccellenza, imitava la natura e, pur con tutte le cautele del caso, possiamo affermare la medesima cosa per molte applizazioni della tecnologia.
A proposito di creatività: sul Corriere della Sera del 29 settembre è apparso l'articolo di Stefano Bucci "Il creativo Sordi batte Volta e Van Gogh" dove vengono riassunti i dati di una ricerca Eurisko sull'opinione pubblica del nostro Paese riguardo alla creatività.


giovedì, settembre 30, 2004  

 "Quei sovversivi di genio che hanno cambiato il mondo"

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Esiste un luogo comune che pone le verità scientifiche al di fuori della storia.
Giulio Giorello, filosofo della scienza dell'Università di Milano, sul Corriere della Sera del 28 agosto, nell'editoriale "Quei sovversivi di genio che hanno cambiato il mondo", descrive l'illusione che la scienza non avrebbe storia con le seguenti parole:
«Le leggi della matematica o delle scienze naturali sembrano non dipendere dalle vicende personali di coloro che le scoprono. E tanto meno essere sfiorate dal groviglio delle passioni che agitano i protagonisti delle vicende storiche».
La parte successiva dello scritto di Giorello, attraverso diversi riferimenti che vanno da Archimede a Galileo e Newton, da Lavoisier e Darwin ad Albert Einstein, mostra come l'impresa scientifica sia sempre avvenuta all'interno di un contesto storico e con questo abbia sempre interagito.
Giorello cita anche il grandissimo matematico italiano Federigo Enriques (giova ricordare che all'inizio del Novecento ebbe a scontrarsi con Benedetto Croce):
«Non stupitevi - confidava ai colleghi - se mi vedete occuparmi di storia e magari di filosofia: questa non è che l'altra faccia dell'onesto lavoro dello scienziato»
Giorello, implicitamente, sottolinea come la responsabilità, morale e civile, dello scienziato gli impone di non chiudersi all'interno delle accademie e dei laboratori, ma di misurare i risultati delle proprie ricerche con i problemi del suo tempo.
«Le idee hanno talora più forza delle cose. E nella scienza esse sanno incarnarsi in congegni materiali, perché qui la conoscenza non è solo teoria, ma anche tecnologia, non solo comprensione della natura, ma anche intervento nel mondo. Lo hanno capito coloro che sulla scia di Fermi hanno collaborato al "progetto Manhattan". Robert Oppenheimer disse, dopo il primo test atomico a Los Alamos, che la scienza aveva perso la sua innocenza. In realtà, l'aveva persa ben prima - almeno (si fa per dire) dal tempo degli specchi di Archimede usati per bruciare le navi romane».



domenica, settembre 26, 2004  

 Governance della ricerca scientifica: "inserire nella procedura le preoccupazioni del pubblico"

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In un recente articolo della Sezione Argomenti, "Chi ha paura delle nanotecnologie?", mi sono soffermato sul fatto che il crescente impiego delle nanotecnologie comincia a far discutere gli esperti sui possibili rischi. Il tema è stato ripreso (anche se in una dimensione più ampia, che riguarda i rapporto fra opinione pubblico e ricerca scientifica) in un articolo apparso il 9 settembre scorso nel portale Marketpress: "Chiesto un maggiore impegno del pubblico nelle scienze al "Festival of science" britannico" ".

Premesso che:

«Scienziati, mondo industriale e responsabili politici dovrebbero impegnarsi maggiormente col pubblico sul problema delle scienze e delle tecnologie emergenti»
da parte del ministro britannico per la Scienza e l'innovazione Lord Sainsbury è stato sottolineato che se:

«la scienza è cruciale per creare prosperità e nuove tecnologie a beneficio dell'intera società»
non bisogna, altresì, dimenticare che:
«tali tecnologie sollevano anche nuove preoccupazioni sull'etica, la sicurezza, la salute e l'ambiente, e che dovrebbero quindi essere approfonditamente discusse prima di essere immesse sui mercati. Le nuove tecnologie creano nuove eccitanti opportunità, ma possono anche suscitare dubbi e timori»
Il professor Dame Julia Higgins, presidente della "British association for the advancement of science" (Ba), ha posto l'accento sulla necessità di individuare nuove vie, nel momento in cui si avviano nuovi progetti di ricerca, che tengano conto delle preoccupazioni dell'opinione pubblica.

«Rischio e controllo non sono sullo stesso piano, e se dobbiamo credere agli articoli che appaiono in questi ultimi tempi nei media il pubblico sta diventando sempre più scontento della situazione. Non possiamo lanciare un referendum per ogni nuovo progetto di ricerca da finanziare, [ma] mi sembra che dobbiamo comunque trovare nuove strade per inserire nella procedura le preoccupazioni del pubblico e incoraggiare dibattiti seri su problemi scientifici seri, in modo che il suo punto di vista possa essere tenuto in conto nelle decisioni - sia politiche che commerciali - approvate in suo nome.»
Sul problema delle nanotecnogie, la Higgins ha poi affermato:
«Mi ero detta che si trattava di progressi chimici nei materiali inerti: che pericoli potevano esserci? E non avevo riflettuto un solo istante sul fatto che stiano parlando di microparticelle, molto più piccole di quelle usualmente rilasciate nell'atmosfera. [...] E allora domandatevi: non dovremmo pensare ai possibili problemi prima che divengano tali, e di sicuro prima che qualcun altro li sollevi? Vale la pena di discuterne quanto prima possibile. Solo dando vita a un vero dialogo che riconosca i rischi e sottolinei i potenziali benefici della nuova conoscenza potremo conservare il rispetto e la fiducia della società, e recuperarla quando sia stata offuscata.»

Connecting science with people: the Ba Festival of Science




martedì, settembre 14, 2004  

 Dai princìpi forti all'etica del viandante

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Su Repubblica del 12 agosto, a seguito della notizia che in Gran Bretatagna è stata approvata la clonazione di embrioni ai fini della ricerca con cellule staminali, sono stati pubblicati due articoli, l'uno di Umberto Veronesi "Il conflitto società-scienza", l'altro di Umberto Galimberti "Etica moderna".
L'articolo di Veronesi è incentrato sui lavori della Commissione Dulbecco (si veda sul sito della FGB il relativo Percorso). Veronesi lamenta che siano state disattese le indicazioni innovative proposte dalla Commissione riguardo il "trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe" (Tnsa):
«I risultati della commissione furono accolti con favore sia dal mondo politico sia dagli ambienti scientifici, ma quel documento è rimasto una carta teorica, nulla è stato fatto sul piano concreto e attuativo. Quattro anni dopo il mondo discute e si divide, come è giusto e inevitabile che sia in questi casi, su una scelta presa da un altro paese. E' come se avessimo subìto un sorpasso sulla linea del traguardo, uno smacco che rappresenta per chi, come me, fa della ricerca una ragione di vita, una grande amarezza, una frustrazione. C'è da augurarsi che l'importante decisione di Londra riapra anche da noi un confronto serio sui limiti dell'intervento della scienza nella vita dell'uomo, per curare le sue malattie e la sua sofferenza. Con serenità e senza scientismi, ma al di là delle ideologie e di chiusure che rischiano di farci precipitare in un nuovo oscurantismo».
Occorre precisare che il Tnsa:
«consiste nel privare del nucleo un ovocita umano non fecondato e nel trasferire al suo interno il nucleo prelevato da cellule di un malato.»
E, a giudizio di Veronesi:
«in questo modo si evita la necessità di produrre un embrione con i problemi etici e scientifici che questo comporta. Si tratta d'una proposta tecnicamente molto avanzata, eticamente equilibrata e con altissime probabilità di efficacia terapeutica per malattie altrimenti incurabili».

L'articolo di Galimberti, al di là di considerazioni analoghe sul Tnsa, pone il problema dell'attualità dei princìpi etici che governano la nostra società e, in particolare, la ricerca scientifica.
«Ma i princìpi forti in epoca pre-tecnologica sono all'altezza dei problemi posti all'età della tecnica? Qui, prima di dare una risposta, occorre porre una questione di metodo. Una discussione sul problema etico posto dalle biotecnologie è possibile solo se non si incomincia a discutere a partire dai "princìpi" (termine dietro cui si celano molto spesso solo proprie credenze personali), perché basta una differenza di "prìncipi" perché le posizioni restino inconciliabili. Dai princìpi, infatti, tutto discende per semplice deduzione e il confronto tra gli uomini risulta inutile. E' sufficiente chiamare un professore di logica che dai "princìpi" ricaverà subito le "conclusioni"».
Tra l'altro, per Galimberti, è necessario ricordare che:
«i princìpi dell'etica occidentale affondano nella filosofia greca e nella tradizione giudaico-cristiana, che si sono espresse quando il potere dell'uomo sulla natura era praticamente nullo, mentre oggi ci troviamo a operare in un contesto dove la natura non è più l'immutabile, perché è modificabile dall'intervento umano».
Ma se l'etica, oggi, non può più trovare una propria giustificazione nei princìpi forti del passato è necessario indiduare delle nuove ragioni per il nostro agire:
«adottare il principio aristotelico della "saggezza", come mi pare sia il caso in cui l'etica deve di volta in volta prendere posizione di fronte alle scoperte "impreviste" delle biotecnologie»

«Aristotele dice che la phronesis (che traduciamo con "saggezza") di fronte alla scarsa applicabilità dei princìpi generali alle situazioni particolari, consente di prendere decisioni "caso per caso". Una sorta di "etica del viandante" che, non disponendo di mappe, affronta le difficoltà del percorso di volta in volta, a seconda di come esse si presentano e con i mezzi al momento a disposizione. Questo è il nostro limite e in questo limite dobbiamo decidere».


venerdì, settembre 03, 2004  
Fondazione Bassetti -- Informazioni e contatti Questa Rassegna stampa appartiene al sito della Fondazione Giannino Bassetti: <www.fondazionebassetti.org>

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