Repubblica 12 agosto 2004
ETICA MODERNA
di UMBERTO GALIMBERTI
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Ci risiamo con i progressi della scienza e l'impaccio dell'etica che,
nell'età della tecnica, diventa pat-etica, perché si trova ad
affrontare i problemi che i suoi princìpi, formulati in epoca pre-
tecnologica, non avevano assolutamente previsto.  Mi riferisco alla
clonazione umana a fini terapeutici, oggi autorizzata in Gran
Bretagna.

"Clonazione umana", nel caso in questione, non significa creare un
individuo con lo stesso patrimonio genetico di un altro, come nel caso
della pecora Dolly.

Ma significa ottenere, tramite clonazione, embrioni umani da cui ricavare
cellule staminali per la cura di malattie come il Parkinson o il
diabete, per riparare tessuti danneggiati. Gli embrioni clonati
verranno poi distrutti prima che raggiungano i 14 giorni di vita.

E qui il mondo si divide non solo fra laici e cattolici, ma,
oltrepassando questa ormai nota ma anche arcaica divisione, tra quanti
ritengono, come il laico Kant, che nessun essere umano può essere
trattato come un "mezzo" e quindi essere concepito in modo strumentale
allo scopo di farne l'uso voluto, e poi buttarlo via come una cosa.

Se ci rifacciamo ai "principi", come suole fare l'etica tradizionale,
il problema è irrisolvibile perché, stando ai principi, non si può
negare che un embrione è "in potenza" essere umano. Ma i principi
forti in epoca pretecnologica sono all'altezza dei problemi posti
nelll'età della tecnica?  Qui, prima di dare una risposta, occorre
porre una questione di metodo. Una discussione sul problema etico
posto dalle biotecnologie è possibile solo se non si incomincia a
discutere a partire dai "princìpi" (termine dietro cui si celano molto
spesso solo proprie credenze personali), perché basta una differenza
di "princìpi" perché le posizioni restino inconciliabili. Dai
princìpi, infatti, tutto discende per semplice deduzione e il
confronto tra gli uomini risulta inutile. E' sufficiente chiamare un
professore di logica che dai "principi" ricaverà subito le
"conclusioni".

A questa semplice e ovvia considerazione, si aggiunga che i principi
dell'etica occidentale affondano nella filosofia greca e nella
tradizione giudaico-cristiana, che si sono espresse quando il potere
dell'uomo sulla natura era praticamente nullo, mentre oggi ci troviamo
a operare in un contesto dove la natura non è più l'immutabile, perché
è modificabile dall'intervento umano.

Non va poi dimenticato che Tommaso D'Aquino (1225-1214), su cui si
fondano la teologia e l'etica cristiana, sostiene la tesi
dell'"animazione ritardata", secondo cui l'anima non può essere infusa
al momento della fecondazione perché la materia (il corpo) non è
adeguatamente preparata a ricevere la forma (l'anima) che dunque è da
pensare infusa "dopo un certo tempo".

Qui i cattolici devono mettersi d'accordo con se stessi, e se Tommaso
D'Aquino sembra loro troppo lontano nel tempo possono far riferimento
a Jacques Maritain (da molti considerato il più grande filosofo
cattolico del nostro secolo, particolarmente ascoltato da papa Paolo
VI) il quale, ben conoscendo le nuove frontiere della biologia dopo la
scoperta del DNA e del corredo cromosomico, ha dichiarato
«Un'assurdità filosofica» credere che al concepimento ci sia l'anima
spirituale.

Ma anche prescindendo da Tommaso D'Aquino e da Maritain, se non
vogliamo cadere nell'"abbietto materialismo", come vuole l'espressione
di Marx riferita ai biologi del suo tempo, nella difesa della
"sacralità della vita" dobbiamo evitare di ridurre, e quindi di
abbassare il concetto di "vita" fino a quell'infimo livello che è la
semplice "animazione della materia", come nel caso dell'embrione nei
primi giorni della sua costituzione.

Se della vita abbiamo un concetto meno materialistico e se vogliamo
adottare il principio aristotelico della "saggezza", come mi pare sia
il caso in cui l'etica deve di volta in volta prendere posizione di
fronte alle scoperte "impreviste" delle biotecnologie, mi sembra più
"saggio" (in senso aristotelico):

1) Consegnare gli embrioni soprannumerari alla ricerca scientifica
piuttosto che alla spazzatura in cui inevitabilmente finirebbero.

2) Consentire il Trasferimento nucleare di cellule staminali autologhe
(Tnsa). "Autologhe" sono le cellule staminali prodotte da un ovocita
che, come l'uovo della gallina non fecondato, non porta all'embrione.
Trasferito nell'ovocita il nucleo di una cellula adulta, l'ovocita è
in grado di generare cellule sterminali capaci di diventare qualsiasi
tessuto, che ha le stesse caratteristiche genetiche del paziente che
di quel tessuto ha bisogno. Questa compatibilità evita il rigetto
dell'organo quindi tutte le terapie immunosoppressive alle quali
devono sottoporsì cronicamente i trapiantati da donatore esterno.

Queste due cose i cattolici, e quanti, cattolici e non cattolici, non
vogliono strumentalizzare una vita in potenza a esclusivo favore di
una vita in atto, potrebbero concederle perché l'ovocita non è un
embrione, e un embrione in sovrannumero è meglio sia donato alla
ricerca scientifica piuttosto che gettato in spazzatura come
inevitabilmente avviene dopo un certo tempo.

Aristotele dice che la "phronesis" (che traduciamo con "saggezza") di
fronte alla scarsa applicabilità dei princìpi generali alle situazioni
particolari, consente di prendere decisioni "caso per caso". Una sorta
di "etica del viandante" che, non disponendo di mappe, affronta le
difficoltà del percorso di volta in volta, a seconda di come esse si
presentano e con i mezzi al momento a disposizione. Questo è il nostro
limite e in questo limite dobbiamo decidere.

Per quanto drammatica possa sembrare la scelta, non dimentichiamo che
la decisione etica è una decisione che fonda, che pone fondamenti,
molto spesso in assenza di princìpi, quindi senza possedere altro
fondamento al di fuori di sé. In questo senso è evento assoluto e
quindi realtà tragica.

"Etica dei princìpi" o "etica del viandante"? Questo è il dilemma di
fronte al quale ci pone l'età della tecnica che ha tagliato senza
esitazione le radici che affondavano l'etica nel terreno stabile
dell'eterno, e successivamente in quello meno stabile, anche se più
responsabile, della previsione futura. Ciò ha costretto l'etica a
inseguire errabonda le novità del tempo, dove però l'estensione
smisurata del "potere" aveva già eroso le possibilità del "dovere" su
cui l'etica da sempre aveva edificato se stessa.

Senza meta e senza punti di partenza e di arrivo che non siano punti
occasionali, l'etica del viandante, che non conosce il suo avvenire,
può essere il punto di riferimento di un'umanità a cui la tecnica ha
consegnato un futuro imprevedibile, e che quindi non può riferirsi
alle etiche antiche, la cui normatività guardava al futuro come a una
impresa del passato, perché il tempo era iscritto nella stabilità
dell'ordine naturale.