Reinventing learning and research? (part 2)
by Redazione FGB [1], 15 June 2007
The call has so far attracted 11 comments [3], all of very high and relevant standard. Nevertheless, many aspects of the manifesto still need to be evaluated and clarified. To our question of giving examples of "entrepreneurial universities" prof. Carayannis replied mentioning Harvard, the MIT and Stanford amongst others. I wonder how much their capacity for renewal, for attracting endowments through alumni associations etc. actually depends from being the very models of "elite universities" that the manifesto would like to oppose to small-scale, glocal, diffused and territorial "entrepreneurial universities".
Beyond this there are many other questions that touch upon the very heart of the philosophy of this Foundation: such as, shall we promote innovation for the sake of innovation, or shall we try to promote models of responsible innovation only? Gathering case studies and examples of good practices, also and especially beyond the cases of Business Studies Schools, would, as Jeff Ubois suggests, ground the discussion in more concrete terms.
I think that contributions from young international scholars who are expecting and looking forward to a research career as well as from senior people already in a position of responsibility and management in institutions of learning would be very helpful in this respect. Hoping to attract them, I therefore propose to keep the call open until July 10th.
With many thanks for your opinions.
Cristina Grasseni
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- 3] /en/cfc/2007/05/reinventing_learning_and_resea_2.html#commenti
Comments: 4
"Previous Comment"
Piero Bassetti
Alessandro Sinatra
Piero Formica
Sheridan Tatsuno
Elias G. Carayannis
Thomas Andersson
Libor Friedel
Jeff Ubois
Chiara Brambilla
Hiba Mhamedi
Hicham Guennoun
Franco Simeoni
My comments are particularly focused on "the idea of investing on an "entrepreneurial academy" and on an "academic firm " in order to build a knowledge based society and economy".
I believe that the golden rule that entities should focus on their mission and what they can do best, should also apply to universities and firms .Which means that universitites should focus on their core business:research and teaching and firms on producing products and services.In fact the quality of consulting provided by universitites and the academic content of firms is often very poor. However I agree that there is an issue on the decrease of quality generally affecting universities and firms , and that in the knowledge economy new pipelines/ connections have to be built to empower the creation of knowledge and to foster innovation.I suggest to modify the model to include a third player :the "management consultants" to act as facilitator, go-between universities and firms.Universities and firms should focus on their core business and strive for efficiency while the area of coopetition/innovation should be operated separately on different principles ( redundancy vs efficiency - creativity vs hierarchy
etc.)and possibly managed by consultants by creating distinctive organizations.
To make this work the governance model of universities should be changed and firms ,and not governments ,should pay the cost against the increase of value (economic and human capital) created.
Franco Simeoni
Pasquale Persico
La difficoltà di cucire un vestito-sistema aziendale come vestito di riferimento capace di valutare e riorganizzare un sistema complesso ed aperto come l'università appare un'operazione necessaria ma sul piano teorico transitoria.
La sistemazione teorica del contesto di riferimento, la specificazione del modello organizzativo, la ricerca dei valori e dei fattori caratterizzanti l'organizzazione che verrà, la nuova organizzazione possibile, sono temi affascinanti e meritano una riflessione alla luce dell'ipotesi base di reinventare la didattica e la ricerca da fare nell'università.
L'ipotesi forte, ben chiara e sentita, riguarda la possibilità di uscire lavorare dal modello burocratico esistente e inventare un nuovo modello, l'università imprenditoriale, in termini di potenziale.
Non è poco, perché il potenziale apre l'ipotesi di raggiungere gradi di accontability, li fa interpretare dalle strutture esistenti che a loro volta si incamminano verso nuovi parametri di efficacia, efficienza, e funzionalità; si creano nuovi percorsi di responsabilità e questa ridefinisce nuovamente il potenziale possibile.
Lo sforzo teorico, in questo senso, non riguarda soltanto il perché sia necessario ripensare all'università come organizzazione complessa da ristrutturare e posizionare ma ha la pretesa di considerare problemi estesi ad altri settori anch'essi necessariamente protesi a cambiare il modello gestionale di riferimento.
Ma proprio per il settore della ricerca e dell'università si evidenzia che l'aver forzato i "limiti" teorici dell'applicazione dei caratteri di Azienda ad una struttura territoriale in evoluzione complessa, pone il problema del dopo, in termini teorici. L'università, infatti, per sua natura opera anche in spazi di non mercato (alla Coase), con organizzazioni a-specifiche, per le quali è difficile determinare anche i costi irrecuperabili.
E' evidente che attraverso la creazione di una mentalità imprenditoriale e l'uso abbondante delle nuove tecnologie si possono mobilitare risorse potenziali per accumularli in cluster di conoscenza ma... (continua in "Argomenti" - clicca qui)
Lorenzo Ornaghi
Commento di
Lorenzo Ornaghi
Professore ordinario di Scienza politica
Rettore dell'Università Cattolica del Sacro Cuore
Il manifesto di Piero Formica ed Elias Carayannis pone al centro del dibattito una questione cruciale per il ripensamento del ruolo dell'università e della ricerca nella società della conoscenza. In particolare, il manifesto, mentre critica "la strategia di concentrazione del denaro pubblico sulle ‘cittadelle' di alcune, selezionate, istituzioni accademiche con il doppio scopo dell'educazione e della ricerca", invita a riflettere sul nesso fra istruzione e ricerca in un contesto peculiare come quello europeo. In effetti, ciò cui siamo di fronte in questi anni, e che il manifesto di Formica e Carayannis si propone di affrontare da un'ottica peculiare, è il definitivo tramonto del modello universitario humboldtiano (e delle sue molteplici configurazioni nazionali). Le cause di un simile tramonto ovviamente prendono le mosse da molto lontano: innanzitutto, dal processo di specializzazione delle scienze e di settorializzazione disciplinare all'interno dei singoli ambiti di ricerca, ma, in modo ancor più radicale, dalla fine dell'ottocentesca unità del sapere, su cui risultava costruita la stessa immagine dell'università. La crisi questo modello è, in misura rilevante, il prodotto delle dinamiche di mutamento geopolitico e di quei processi - economici, sociali, culturali - che vengono identificati con l'etichetta di ‘globalizzazione'. Ma un altro aspetto importante - al tempo stesso effetto e causa - di questo tramonto è soprattutto una crescente lacerazione fra l'attività di trasmissione del sapere, svolta da istituzioni riconosciute e secondo procedure più o meno formalizzate, e l'attività di ricerca scientifica, più o meno collegata ad attività economiche di sviluppo e innovazione.
E' proprio una divaricazione di questo tipo quella che oggi si riflette nell'alternativa netta fra due opzioni nel modo di concepire la funzione dell'università: la prima di tali opzioni consiste nell'assegnare all'università, in via esclusiva o prevalente, un ruolo di formazione alle professionalità richieste dal mercato; la seconda, al contrario, individua nell'istituzione universitaria la sede in cui vengono prodotte soprattutto conoscenze e innovazioni dirette al sistema globale. Si tratta di soluzioni che si escludono a vicenda? O possono convivere l'una accanto all'altra? E, soprattutto, quali effetti potrebbe avere l'eventuale separazione degli istituti che si specializzano in attività ricerca da quelli che operano nel campo della formazione? Che si tratti di un nodo intricato è quasi scontato, ma Formica e Carayannis hanno sicuramente il merito di mettere in guardia sulle possibili conseguenze di politiche che perseguono la strada della biforcazione tra formazione e ricerca. E, proprio per questo, appare molto interessante l'ipotesi - al centro del manifesto - di "reti di innovazione e conoscenza" che coinvolgano università, istituzioni universitarie e aziende. Perché, in effetti, all'interno di un simile assetto reticolare si possono trovare le condizioni per contemperare le esigenze di flessibilità e specializzazione di ciascuna realtà con le necessità di circolazione delle conoscenze.
La proposta avanzata da Formica e Carayannis sembra così molto utile per proseguire la discussione che si è aperta sugli esiti finora raggiunti dal processo di Bologna. Oltre alla strutturazione su due livelli della formazione, che è forse l'elemento ancora oggi più evidente del processo, c'è un'ulteriore componente che non è stata sufficientemente rafforzata: il "terzo livello" di approfondimento della formazione, ossia quell'"alta formazione", finalizzata in modo specifico e originale alla ricerca e all'innovazione, in cui vanno ricompresi i master e i dottorati. Dal successo del "terzo livello" dipende in effetti la formazione di una più ristretta cerchia di intelligenze e competenze, investite di quella che potremmo spingerci a definire come la ‘missione' dell'innovazione della nostra società. L'innovazione, infatti, sia essa scientifico-tecnologica, economica, politico-istituzionale, culturale, se è un processo dinamico, è anche uno stabile e coerente sistema, composto da più dimensioni e attori: un sistema costruito su alcuni elementi fondamentali, di cui il principale è certamente l'avanzamento, mediante una specifica preparazione, della conoscenza scientifica.
Oggi è sempre più frequente descrivere la nostra società come una "società della conoscenza": questa formula, però, per non diventare uno slogan o un'espressione veramente retorica, deve esplicitarsi in una tangibile corrispondenza tra la ricerca dell'innovazione e la vita delle persone. Nessuna conoscenza può esaurirsi nel chiuso di un laboratorio, né la sua utilità può essere misurata soltanto dai criteri del mercato.
In questa prospettiva, le università devono effettivamente rafforzare il più possibile i loro reciproci rapporti, grazie alla promozione di scambi di studenti e soprattutto di docenti. Al tempo stesso, ogni università deve sapere e potere (cioè essere realmente nelle condizioni di) investire nell'alta formazione e nella ricerca per l'innovazione.
Un'esperienza assai significativa, benché ancora modesta, che vorrei ricordare in questa direzione, è la scelta dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di dotarsi di cinque Alte Scuole (Alta Scuola in Economia e Relazioni Internazionali, in Media, Comunicazione e Spettacolo, in Psicologia, in Impresa e Società e in Economia Agro-alimentare), e quattro Centri di Ateneo (Studi e ricerche sulla famiglia, Bioetica, Dottrina Sociale della Chiesa, Solidarietà Internazionale). Perché se certo è tramontato il modello humboldtiano di università, non è affatto tramontata la necessità di mettere i differenti settori disciplinari in dialogo fra loro e con il mondo delle imprese, consentendo la miglior cooperazione possibile tra le molte specializzazioni prodotte dall'avanzamento scientifico.