Per fare il punto della situazione...

( 18 February 2005 )
( posted by Cristina Grasseni )

Desidero ringraziare coloro che finora hanno risposto al call for comments, cercando di fare il punto della situazione e di individuare i risultati della discussione, ancorché parziali, a partire da alcune considerazioni sugli interventi finora pubblicati.

Un primo punto di riflessione è stata la necessità di trovare una "perspicuità dell'impostazione del dibattito" (Magda Nirenstein). Come infatti nota Giovanni Felice Azzone nella sua recensione de La medicina impossibile, "Quale medicina e quale assistenza sanitaria?" l'operazione intellettuale di porre i problemi dell'organizzazione sanitaria nei termini di "scopi e natura della medicina" non è né neutra né esente da critiche.
Callahan cerca di coniugare un ripensamento antropologico della gestione della malattia nelle società industrializzate con considerazioni pragmatiche sulla gestione dell'assistenza sanitaria. Sicuramente ciò si ricollega alla necessità di un più ampio "cambiamento culturale, umanistico, storico e pedagogico sullo sviluppo delle scienze della vita" che richiede anche "un superamento cognitivo delle logiche meccaniche della scienza più proprie della società industriale" (Paolo Manzelli). Inoltre, come ci insegna l'antropologia medica, le culture della malattia e della salute sono plurali e variegatamente legate al tessuto socio-culturale che le esprimono. Il lavoro di Callahan si pone quindi in una dimensione fortemente educativa del cittadino/paziente, che riscatti tra l'altro l'attuale "prevalere della tecnica sugli aspetti antropologici della cura" (Maurizio de Filippis).
Tuttavia il fatto di concepire dei "limiti" alla medicina tout court ha sollevato qualche perplessità, nella misura in cui il fatto di porre dei "limiti" possa dare "spazio all'imposizione" (Nirenstein), o condurre a "rinunce troppo dolorose" (come denuncerebbe il caso citato da Marlene di Costanzo, della malattia rara, "incurabile" solo per la sconvenienza economica della produzione del farmaco e non per l'assenza di soluzioni tecnico-scientifiche), o lasciare di fatto che "certe soluzioni divengano appannaggio solo di ceti privilegiati" (Mario Castellaneta).
Nel momento in cui si passa infatti dalla riflessione bioetica alla tematizzazione della pratica sanitaria si pongono questioni politiche e di governance. Per esempio, potremmo soffermarci analiticamente su una delle domande sollevate da Alessandra Grazia: "come, e in che misura ci appartiene il potere di scegliere, decidere?" Chi decide? Chi approva i criteri sulla base di cui si decide? Come si coinvolge la cittadinanza in un dibattito approfondito e soddisfacente su come si decide? Come si coinvolge la comunità medica? Come si coinvolgono gli operatori socio-sanitari?
Più di un commento fa riferimento alla questione della "allocazione delle risorse" (Nirenstein) con riferimento al tema della sostenibilità economica dell'assistenza medica. Per esempio Edoardo Jacucci si chiede quale ruolo possono giocare le tecnologie informatiche e di comunicazione (ICT) nella gestione efficiente dell'assistenza sanitaria - in particolare nel suo processo di industrializzazione: razionalizzazione, automazione etc. (Daniele Navarra nota poi come questo aspetto si colleghi strettamente a un ripensamento legislativo che coinvolge gli aspetti della regolazione, del finanziamento e dell'erogazione dell'assistenza sanitaria). La questione fondamentale che sottosta a questi dibattiti è se non vi siano in realtà dei margini per incrementare la soglia di "sostenibilità" (per lo meno economica) dell'assistenza sanitaria, per esempio studiando nuovi criteri per allocare, distribuire ed eventualmente incrementare le risorse attribuite a questo settore. A questo proposito Maurizio de Filippis nota la necessità di "armonizzare l'odierno processo di aziendalizzazione ospedaliera monitorando le criticità di un sistema sanitario pubblico, ricco di contraddizioni ma anche di energie inespresse" adottando "politiche di tutela della salute che mettano in rilievo, accanto alle irrinunciabili logiche economiche, un'equa distribuzione delle possibilità di cura".
Anche rispetto a questo aspetto non mi pare che il problema possa essere risolto in maniera riduzionista, poichè il problema stesso dell'orgine dei vincoli di tipo economico è politico, e rimanda non solo a questioni di efficienza amministrativa (quanto si usano i costosissimi macchinari diagnostici elettromedicali?), ma anche al dibattito sulla proprietà intellettuale dei farmaci, sulla durata ammissibile dei brevetti, per fare solo un esempio (vedi l'articolo di Marcello Cini "Vite a rischio nell'era dei brevetti", Il Manifesto 28/08/01" citato su questo sito nel Percorso sul Principio di precauzione). Inoltre, anche se si volesse fare riferimento unicamente al mercato dei prezzi come modello regolatore del sistema sanitario, occorre pur ricordare che questo modello comprende una figura chiave di mediatore - quella del medico - che autorizza/consiglia autorevolmente il paziente a consumare determinati farmaci e servizi, con lo strumento della ricetta.
In generale, porre la questione della sostenibilità dell'assistenza sanitaria in termini di efficienza, o anche di "etica dell'amministrazione pubblica" (Nirenstein), in realtà ci rimanda a quale concezione politica e filosofica si ha della solidarietà sociale, a quale modello di cittadinanza si fa riferimento, a quale piano di analisi si considera risolutivo (efficienza economica, dignità della vita, pace sociale.) per impostare una certa concezione dell'assistenza sanitaria.
Occorre anche considerare quali interventi si renderebbero necessari nei vari ambiti delle attività quotidiane, professionali e produttive, perchè una medicina meno "interventista" potesse essere effettivamente controbilanciata da efficaci pratiche sociali di igiene e di tutela della salute pubblica. Si tratta infatti di politiche sociali di lunghissimo periodo, che richiedono ingenti sforzi, se non altro culturali, di pianificazione e implementazione (pensiamo alle politiche rieducative sull'alimentazione), e che, consumando poco, sono poco appetibili per l'industria farmaceutica. Questo tipo di medicina preventiva, quindi, potrebbe essere solo implementata all'interno di un modello universalista della sanità pubblica, mentre sarebbe poco appetibile per l'industria sanitaria.
In altre parole, se da un lato è condivisibile la tesi che occorre evitare di "medicalizzare" quelli che sono in realtà problemi sociali, dall'altro occorrerà investire delle opportune responsabilità le agenzie che debbono affrontare quei problemi sociali. Per esempio, per incrementare "una medicina preventiva rispetto a una curativa" (Giuseppe Lanzavecchia) occorre intervenire diffusamente sui fattori ambientali delle malattie. Ciò significa impegnarsi seriamente e capillarmente, sia per incidere sui fattori globali (per esempio l'inquinamento dell'aria, in questi ultimi giorni alla ribalta della cronaca ma mai tematizzato come priorità sociale e sanitaria, bisognosa di coraggiose scelte innovative), sia per considerare quelli che incidono localmente, interessando gruppi specifici di persone (penso ai lavoratori attivi in reparti industriali e attività "a rischio"). Una scelta di policy che riducesse gli interventi calmierati sulle malattie statisticamente rare ma che colpiscono specifici settori della popolazione, come nel caso delle malattie professionali, dovrebbe essere controbilanciata da una virtuosa impostazione della tutela della salute sul posto di lavoro.
Vi è poi il dibattito, per molti versi distinto, sulla sostenibilità "etica" della medicina (e non della sostenibilità "economica" dell'assistenza sanitaria"). Su questo aspetto le voci sono state diverse, e discordanti. Da un lato c'è chi non accetta una "resa dell'etica al potere del mercato" (Giorgio Buzzi), che grazie a una potenzialmente infinita capacità di domanda e "all'ipertrofia delle aspettative di efficacia della medicina" (Giuseppe Belleri) è di fatto già capace di offrire farmaci ad hoc, non solo per la cura delle malattie ma per il miglioramento delle prestazioni dei sani (Buzzi). Dall'altro Lanzavecchia non disdegna la prospettiva "transumanista" - criticata recentemente da Francis Fukuyama dalle pagine del Corriere della Sera (10/02/05) - e incita ad abbracciare "decisioni nuove e coraggiose che tagliano i ponti con i piccoli preconcetti del passato, ignorando qualsiasi cosiddetto principio precauzionale". Di contro, si segnala con preoccupazione l'alleanza tra "la faccia nascosta e implicita dell'ipertrofia delle aspettative sociali" e l'eccessivo ottimismo associato a determinati settori della ricerca scientifica (Giuseppe Belleri).
Di certo molti spunti di dibattito sono stati avanzati, che speriamo possano essere affrontati nell'intervento e nella discussione della Lecture di Callahan del 21 febbraio invitata dalla Fondazione Bassetti - e ormai imminente. Il Call rimarrà aperto ancora per qualche giorno dopo la Lecture, per permettere a chi volesse di aggiungere un proprio commento o rejoinder a quanto verrà detto allora.