Una nuova educazione per il futuro della biosfera [26/08/05]

( 22 Ottobre 2004 )

( scritto da Vittorio Bertolini Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Aggiornato il 26 agosto 2005

Bocchi, Ceruti, 'Educazione e Globalizzazione' Il 24 luglio 1906 Luigi Einaudi scriveva a Giovanni Vailati «Cosa vuoi che dica intorno alla riforma della Scuola Media? Che perdete il vostro tempo e non caverete un ragno dal buco. Tanto gli studenti bisogna promuoverli lo stesso, sappiano o non sappiano, ed i diplomi non valgono un fico secco» (Giovanni Vailati, Epistolario 1891-1909, Einaudi 1972, pag.601). Lo scetticismo di Einaudi, come dimostra l'altra parte del carteggio, è rivolto all'educazione scolastica come sistema burocratico-amministrativo, ma non all'educazione culturale come mezzo per comprendere il mondo in cui viviamo.
Chi si accosta al libro di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti "Educazione e globalizzazione" (Raffaello Cortina Editore, 2004), non vi trova certo la diffidenza di Einaudi; se però si attende di trovare indicazioni operativamente utili, tipo le famose tre "i" (Impresa, Inglese, Informatica), per un ammodernamento del sistema scolastico, non può che restare deluso. E' necessario, infatti, fare una distinzione semantica. "Educazione" non è "formazione". La formazione è conseguenza di un progetto educativo che a sua volta dipende dall'approccio culturale con cui i problemi sono affrontati. L'ambizione del saggio di Bocchi e Ceruti è di fornire gli strumenti culturali per educare, sarebbe più corretto dire: per imparare ad imparare la complessità del mondo globale.

Ripercorrere le 220 pagine del libro non è lo scopo di questa recensione. Basti dire che i cinque capitoli attraverso cui si snoda l'esposizione sono una miniera d'informazioni e di considerazioni: dalla differenziazione degli organismi cellulari alla decifrazione del Dna, dalla rivisitazione delle teorie di Lamarck alla causalità genetica di Habermas. Occorre invece dire che la globalizzazione di cui parlano gli autori del libro ha un significato molto più dilatato di quello che quotidianamente ci viene trasmesso dalle cronache politiche e da quelle economiche. La globalizzazione è da intendersi come unità fisica, biologica e culturale della biosfera. E questa unità è il risultato di un lungo processo co-evolutivo che si è svolto attraverso l'interazione fra il mondo biologico, in cui, almeno negli ultimi cinque milioni di anni la specie uomo ha assunto un ruolo predominante, e l'ambiente che lo circonda. Si tratta di una storia in cui i momenti di continuità si alternano alle discontinuità (l'evoluzione punteggiata di Jay Gould) e in cui le tensioni fra locale e globale conducono a sempre nuovi equilibri. In questa prospettiva, svanisce ogni pretesa culturale basata sull'etnocentrismo. La centralità della specie uomo nell'universo non deriva da uno speciale statuto teleologico, ma dal lungo processo evolutivo che conducendolo da homo erectus a homo sapiens sapiens, lo ha posto nella condizione di determinare gli equilibri futuri della biosfera. Questa consapevolezza accentua la responsabilità umana (e il riferimento a Jonas è d'obbligo) nel senso di attenzione rivolta alle conseguenze che i nostri atti possono avere non solo verso il nostro prossimo, attuale o futuro, ma anche verso l'ambiente in cui ci muoviamo. Mentre nel passato della biosfera i grandi mutamenti, dalla catastrofe che 60 milioni di anni fa ha portato all'estinzione dei dinosauri fino all'ultima grande glaciazione durante la quale sono scomparsi i grandi mammiferi, sono ascrivibili a fattori naturali e/o artificiali, negli ultimi millenni, con accelerazione esponenziale, è stata la specie umana la maggior causa dei cambiamenti ed anche dei rischi che i mutamenti comportano.
L'affinamento delle tecniche di navigazione, incrementando gli scambi fra Oriente e Occidente, ha condotto alla diffusione delle grandi pandemie medievali; a sua volta la "svolta colombiana", (come nel libro viene definita la scoperta dell'America) ha portato, oltre ad uno scambio fra il nuovo mondo e il continente europeo di specie animali e vegetali (per esempio, il cavallo dall'Europa all'America e la patata in senso inverso) che ha avuto influenze positive in ambedue i continenti, anche alla diffusione di nuove malattie a cui i sistemi immunitari delle popolazioni erano impreparati. I conquistadores, mentre esportavano nelle Americhe il morbillo che decimava le popolazioni locali, diffondevano in Europa la sifilide.
Assieme all'incremento delle innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni, si è altresì concretizzata nell'uomo la consapevolezza che, pur se è vero l'aforisma di Heidegger che la tecnica è il nostro destino, non è affatto scontata l'ineluttabilità dell'inverno nucleare, o di un mondo dove biogenetica e nanotecnologie mutino radicalmente gli equilibri della biosfera.
Nel libro di Bocchi e Ceruti si fa molte volte riferimento al concetto di storia controfattuale. Non nel senso di ipotizzare quanto sarebbe accaduto "se" (il film della storia non è riavvolgibile), ma piuttosto nel senso che le svolte evolutive, se anche possono essere casuali, non è detto debbano rispondere sempre alla categoria della necessità. Di qui perciò l'importanza dell'educazione come sistema capace di superare la gerarchia delle discipline per porsi come interprete, responsabilizzante, dei mutamenti che l'azione della specie umana può determinare nella biosfera.
Data l'ampiezza dei riferimenti presenti nel saggio, sarebbe stato opportuno, se non un abstract dei singoli capitoli, almeno un indice dei nomi, per consentire in seconda lettura di orientarsi con più facilità.

NdR: in precedenza, in questo sito il libro è stato citato nell'item "Storicizzare la scienza" di questa sezione e in un contributo all'articolo "L'inevitabile e il desiderabile" (quarto articolo dell'iniziativa Collaborate)

[26 agosto 2005] NdR: si veda anche la recensione di Claudio Tugnoli [ * ], già pubblicata nel sito dell'IPRASE del Trentino (sotto il menu "Prodotti" -> "Materiali di lavoro" -> "Intercultura")

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Storicizzare la scienza

( 26 Settembre 2004 )

( scritto da Redazione FGB Cliccare sul link per scrivere all'autore )

Dal libro "Educazione e globalizzazione", di Gianluca Bocchi e Mauro Ceruti (Raffaello Cortina Editore, 2004), pp. 24-26, grassetti nostri:

Fino a tempi assai recenti, era luogo comune considerare inerenti al discorso tecnologico e al discorso scientifico soltanto i modelli, le teorie o i contenuti in sé e per sé --quali risultati da mettere alla prova, da scartare, da adottare o da perfezionare-- e non già gli intinerari seguiti per arrivare a tali risultati. Questo atteggiamento svalutava, metteva fra parentesi, la vita e i conflitti delle idee: il ruolo degli individui, con i loro corpi, le loro convinzioni, i loro pregiudizi, le loro ossessioni, le loro identità politiche, etniche, culturali, le loro relazioni, le vicende grandi e piccole delle loro esistenze. Del tecnologo e dello scienziato emergeva soltanto un ruolo astratto, disincarnato, sterilizzato, avvolto dal camice bianco. L'attuale rovesciamento di prospettiva è quanto mai spettacolare. Sempre di più, emerge come decisiva per tutte le innovazioni scientifiche e tecnologiche la capacità di un individuo o di un gruppo di contaminare i propri campi di ricerca e i propri interrogativi con temi, stili, prospettive eterogenei provenienti da campi di tutt'altro genere, anche psicologici, immaginativi, estetici, artistici, "metafisici".
[...]
Le idee nascono, si sviluppano, si trasformano, cambiano di significato, vanno alla deriva, si biforcano, si degradano, muoiono, rinascono, in una storia fatta di individui, di gruppi, di collettività, di relazioni e di tensioni fra individui, gruppi, collettività (e anche dentro gli individui stessi).
Certamente, in questi nuovi atteggiamenti nei confronti della scienza c'è una componente di disillusione. La scienza non solo si è dimostrata (almeno fino a oggi) incapace di affrontare i peggiori mali del mondo, ma talvolta è stata essa stessa all'origine di nuovi pericoli. Di contro, in questi stessi atteggiamenti c'è anche una forte componente costruttiva, che considera l'esperienza umana un'unità nella pluralità, e che trova nella varietà e nella polifonia dei linguaggi e delle conoscenze una via più adeguata per abitare il mondo.
In questo modo, la scoperta e l'approfondimento delle radici storiche e culturali delle teorie scientifiche sono oggi considerati precondizioni indispensabili per la comprensione dei loro sviluppi presenti e futuri. Sempre di meno il progresso scientifico appare lineare, univoco e irrevocabile. Sempre di meno le teorie e le narrazioni scientifiche sono considerate definitivamente acquisite.
[...]
In gran parte dell'organizzazione e della trasmissione dei saperi scolastici e universitari, questa problematicità del pensiero scientifico è stata messa fra parentesi. Per converso, questa problematicità e complessità è stata dissolta nella struttura atemporale dei manuali, attraverso i quali è veicolata l'idea che le "verità" scientifiche, una volta acquisite, siano indipendenti dalla storia che le ha prodotte. Ciò porta a nascondere tutto l'intreccio delle controversie e delle problematizzazioni di cui la scienza si alimenta in quanto processo creativo. Storicizzare la scienza è una via importante per far sì che le conoscenze siano comprese come processi in divenire.
Nell'item "'Quei sovversivi di genio che hanno cambiato il mondo'" della Rassegna Stampa viene ripreso un articolo di Giulio Giorello, apparso sul Corriere della Sera del 28 agosto, dove viene mostrato, con riferimento a fatti della storia della scienza, che il ricercatore vive le tensioni del proprio tempo e con esse deve misurarsi.

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Argomento:
Educazione e globalizzazione: comprendere la biosfera e la traiettoria dell'evoluzione
(Indice da Settembre 2004 ad Agosto 2005)