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 Ottobre 2002 
(pagina 4)
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l'  INDICE 

Contenuti
[Ottobre 2002]

 
Post Human
Tecnoscienza e Responsabilità
Responsabilità sociale dell'imprenditore

Post Human
[30 ottobre 2002]

Creazione Pro rel. 2.0v.gif (842 byte)_____11 creature_____
(Pagina di Tommaso Correale Santacroce)

Vedi anche

posthuman.jpg (4890 byte)right.gif (841 byte)L'item "Post Human"  nella pagina 1 degli Argomenti.

Tra l'oggetto "essere" e l' "essere oggetto", tra il costruire e il creare, tra il prevedibile e l'imprevedibile: un percorso per immagini attraverso alcune figure chiave, espressione del desiderio dell'uomo di mettere mano alla propria evoluzione, di immergere le mani nel magma della vita e formare qualcosa di propria immaginazione.

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(correlazione)correl-vert.gif (959 byte)(correlazione)

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v-mov.gif (1033 byte) Per intervenire in argomento:

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Tecnoscienza e Responsabilità
[12 ottobre 2002 ; agg : 30 ottobre 2002]

Da Homo Sapiens a Homo Technologicusv.gif (842 byte)_____Da Homo Sapiens a Homo Technologicus_____ [12 ottobre 2002]

Vedi anche

right.gif (841 byte)"Tecnoscienza e Responsabilità" nella pagina 1 degli Argomenti

L'ibridazione dell’uomo attraverso l’ingegneria genetica e le biotecnologie, nonché l'evoluzione culturale verso le dimensioni di un mondo tecnologizzato: Vittorio Bertolini, in una Rassegna stampa commentata, propone un percorso sulla tematica "uomo, tecnologie informatiche e ingegneria genetica" che sintetizzi il pensiero di Giuseppe O. Longo, il quale, per il quotidiano l'Avvenire, affronta spesso la questione di come l’innovazione tecnico-scientifica si debba rapportare a un concetto di responsabilità più ampio.

v.gif (842 byte)_____Concezioni etico-culturali e rapidità dello sviluppo tecnico-scientifico: le tesi dell' "adeguamento" e quelle del "rallentamento"_____ [12 ottobre 2002 ; agg : 30 ottobre 2002]

Federico Faggin, nell'intervista "Lo sviluppo scientifico responsabile è il futuro della società" (News Italia Press, 27 settembre 2002), sostiene che esiste un distacco tra scienza e società perché:

Federico Faggin

«(...) gli uomini non hanno saputo tenere il passo con lo sviluppo tecnologico. Il rischio è che la tecnologia sia più avanti. Ma, se ci sono persone e movimenti che ritengono che bisogna fermare la scienza, rallentarla, io non sono di questo parere: è l'uomo che si deve adeguare. Certo, il tutto deve avvenire in maniera responsabile e con un occhio alla trasformazione positiva della società.»

Faggin precisa che:

«Filosofia e scienza si intersecano nelle scelte che faccio, negli oggetti che faccio oggetto di studio. Ho bisogno di elementi che mi diano il giusto stimolo intellettuale. Inoltre, ho sempre cercato di svolgere gli studi su cose in cui credo e non perché possano essere sfruttati male. Non lavorerei mai, per esempio per la difesa. Tutto deve essere allineato con quello che penso, con i miei princìpi»

Giuseppe O. Longo sembra propendere, sia pur in un'ottica problematizzante, a favore della posizione che ritiene necessario un rallentamento della corsa tecnologica (si veda right.gif (841 byte)questo punto del suo saggio "Tecnoscienza e globalizzazione"). Nell’intervista che Margherita Fronte gli ha fatto per la Fondazione Bassetti, egli afferma che:

Giuseppe O. Longo

«(...) c’è una responsabilità di chi inventa e diffonde le innovazioni (per i possibili effetti che queste avranno su tutti), ma c’è anche una responsabilità di chi rifiuta le tecnologie, perché così facendo ostacola i progressi che potrebbero scaturirne. C'è però una dissimmetria: mentre l'adozione di una tecnica può avere conseguenze irreversibili, non adottarla oggi spesso consente di adottarla domani, quando ne siano più chiare le implicazioni»
(...)
Io auspico un rallentamento, che dovrebbe servire a capire in che direzione si sta muovendo il sistema globale, a dare un orientamento in un’epoca in cui domina un forte disorientamento»

Vittorio Possenti tocca la tematica del rapporto tra scienza, etica e tecnica recensendo per l'Avvenire ("Un po' Jekyll e un po' Hyde: ecco gli scienziati del 2000", 17 settembre 2002) il volume "Biologia domani: Dr Jekyll o Mr Hyde?":

Vittorio Possenti

«Il curatore Jader Jacobelli, ha invitato una ventina di scienziati, giornalisti, filosofi, medici a dare una risposta alla domanda se sia moralmente lecito compiere tutto ciò che si può tecnicamente fare". Non diminuisce il rilievo della questione l'evento per cui essa è risuonata numerose altre volte. Alcuni scienziati si mostrano responsabili, altri direbbero volentieri: "Dateci fondi per ricercare e lasciateci lavorare in pace".
(...)
Il fatto è che gli scienziati sono portatori di un bene di grande valore: la conoscenza, che è sempre un fine buono e legittimo. Allora bisogna in tutto e per tutto fidarsi degli scienziati?
(...)
L'etica della conoscenza non basta se ad essa non si coordina un'etica ancor più fondamentale, che concerne l'uomo e la vita umana. Chiariamo: se ogni conoscenza è sempre buona, non è vero che ogni sua applicazione lo sia parimenti. E' bene conoscere le grandi risorse energetiche racchiuse nell'atomo, non certo sganciare una bomba atomica su cittadini innocenti. Qui è l'impiego tecnico di una conoscenza, raggiunta in maniera irreprensibile, ad essere immorale.»

Carlo Alberto Redi riflette sui nodi della scienza e dell'avanzamento del sapere in un articolo scritto per La provincia pavese ("La ricetta di Redi: lasciamo vivere la vita", 23 ottobre 2002):

Carlo Alberto Redi

«In un'epoca in cui tutti i valori sono omologati e gli aspetti del vivere quotidiano sono visti attraverso il filtro dell'economia di mercato, un aspetto che i più vecchi di noi dimenticano e i più giovani non considerano è che due sono i pilastri su cui si regge uno stato etico-sociale (non importa come governato): la ricerca --e la condivisione dei suoi risultati e cioè la formazione culturale dei cittadini-- e la salute.
La promozione di questi due valori non può essere omologata, cioè riducibile da vincoli economici allo stesso livello assegnato dalle logiche di mercato ad altri valori, pena il declassamento complessivo di una società e l'impoverimento della qualità della vita. Cittadini in buona salute e culturalmente preparati possono, ovviamente, meglio agire e meglio vivere in un mondo che si fa sempre più complesso, più inquinato e meno ricco di risorse naturali. L'uomo (alcuni uomini), oggi è in grado di manipolare l'esistente e l'etica che governa tali azioni non può più essere quella della negazione, non basta più; è necessaria un'etica della responsabilità, che impone di investire nella ricerca scientifica.
(...)
Il ritardo dell'azione educativa ed informativa, l'analfabetismo scientifico, le tragedie ambientali e sanitarie causate dall'inefficienza, le dichiarazioni sul disinvolto impiego di alcune tecniche (la clonazione umana), tutti questi fatti certamente concorrono a far prevalere nel dibattito pubblico delle problematizzazioni di tipo etico, sociale e legale delle implicazioni delle ricerche.
E così, un poco per ignoranza, un poco per rassicurare, a volte per non dispiacere al Vaticano, i decisori politici tendono ad assumere posizioni di chiusura danneggiando la ricerca.
(...)
Il caso clonazione mette in luce anche altri limiti della nostra società: i preconcetti e pregiudizi ideologici. Si è sentito di tutto, decisori politici che disquisiscono sulla natura dell'embrione, proposte strampalate (adozione degli embrioni criopreservati) ed altre ancora, ma mai un barlume di approccio razionalistico al problema, con l'umiltà necessaria di dare ascolto in primo luogo al ricercatore, allo scienziato.
Mai un tentativo di mettere in campo una chiara informazione scientifica, per permettere ai cittadini di esprimersi liberamente sui vincoli, sulle limitazioni o sulle possibilità applicative ritenute lecite. Così, mentre fecondatori assistiti con pochi scrupoli ottengono le prime serate Tv, i cittadini vengono male informati e spaventati di ciò che gli scienziati pazzi vorrebbero fare. La conseguenza è un ritardo incredibile su possibili applicazioni terapeutiche (Parkinson, distrofie, diabete giovanile, ed altre patologie).»

Paul Virilio, in "L'incidente del futuro", libro recensito da  Lelio De Michelis per La Stampa ("Tecnica gigante uomo nano", 19 ottobre 2002), sostiene che:

Paul Virilio

«(...) ci aspetta un futuro senza "avvenire", svuotato di "senso", privato di "direzione", spogliato di ciò che è semplicemente umano perché ormai conquistato dalla tecnoscienza. Un futuro guidato dalla logica unilaterale e insieme universale di una tecnica indifferente all'etica, alla politica, alla stessa volontà dei cittadini che, essendo appunto educati e organizzati dalla tecnica per la tecnica, pensano ormai in modo "naturalmente" conforme alla tecnica stessa.»

right.gif (841 byte)La Rassegna stampa commentata "Concezioni etico-culturali e rapidità dello sviluppo tecnico-scientifico", a cura di Vittorio Bertolini, è dedicata ad alcuni degli articoli sopra citati.

Alcuni commenti a partire dall'intervista a Faggin sopra citata

v-mov.gif (1033 byte) Per intervenire in argomento:

scriveteci busta.gif (111 byte)

busta.gif (111 byte)Margherita Fronte:
«Non credo che la questione possa essere lasciata alla buona volontà dei singoli. Penso invece che occorra stabilire regole condivise. Le fughe in avanti saranno comunque possibili, le "regole condivise" non impediscono a nessuno di compiere esperimenti nella pratica, quando la tecnologia ha messo a disposizione gli strumenti. Tuttavia le regole servono a collocare al di fuori della comunità scientifica i "cani sciolti". Quando lo scorso agosto Rafael Valdés, medico messicano, ha annunciato al convegno internazionale di trapiantologia di aver eseguito xenotrapianti di cellule prelevate dalle isole pancreatiche di maiali in bambini, la comunità scientifica ha reagito indignandosi e sottolineando che quella di Valdés è un'iniziativa "al di fuori delle regole". In medicina esistono i comitati etici che devono approvare le sperimentazioni (oltre a una serie di leggi). Perché un sistema analogo non potrebbe essere applicato anche ad altri settori?»

busta.gif (111 byte)Corrado Del Bò:
«A me sembra che, in questo discorso di Faggin, si dia un'omologazione concettuale tra scienza e tecnologia. I due concetti sono, invece, distinti: un conto è la ricerca scientifica, un altro lo sfruttamento tecnologico dei suoi esiti. Che sia difficile tenere distinti i due piani è un fatto, ma questo non implica che tale distinzione venga meno anche sul piano logico. Si tratta di una distinzione che mi sembra rilevante, dal momento che essa impedisce che la tesi sulla necessità del rallentamento dell'applicazione tecnologia venga fatta coincidere con la tesi sulla necessità del rallentamento della scienza, e che le persone che la sostengono vengano liquidate come oscurantiste.»

busta.gif (111 byte)Vittorio Bertolini:
«Credo che Faggin voglia dire che i paradigmi etici sono rimasti fermi (o si muovono molto più lentamente) rispetto a come si sviluppano le applicazioni della tecnoscienza. Fino a Los Alamos lo scienziato scaricava sui tecnologi la responsabilità delle applicazioni. Ora che la distinzione fra scienza e tecnica è molto più sfumata, il tecnoscienziato non può più sfuggire a questa responsabilità. E infatti Faggin afferma "Non lavorerei mai, per esempio per la difesa»

busta.gif (111 byte)Corrado Del Bò:
«Anche fosse vera la tesi sulla discrasia tra paradigmi etici e applicazione tecnologica, resta, a mio parere, non chiaro nell'intervista a Faggin perché debbono essere i primi (e non la seconda) a funzionare da variabile dipendente. Inoltre, il punto non è tanto quello che farebbe o no Faggin (lavorare per la difesa oppure no), quanto piuttosto le regole che debbono governare l'applicazione tecnologica; semplificando, non l'etica individuale, ma l'etica pubblica.»

busta.gif (111 byte)Vittorio Bertolini:
«Quando Faggin afferma che non collaborerebbe a progetti di riarmo, si riferisce a se stesso ma, secondo me, pone una questione di etica pubblica. L'etica pubblica riguarda sempre comportamenti individuali che però hanno una rilevanza pubblica.
La discrasia fra paradigmi etici e applicazioni della tecnoscienza (la distinzione fra tecnica e scienza penso sia più di carattere storico-semantico che logico) appartiene al modo in cui ambedue si modificano. La tecnoscienza opera nel contesto etico corrente, produce però modificazioni nel modo di vivere che a sua volta modifica il contesto etico. E' stata la scoperta degli antibiotici a liberalizzare i costumi sessuali e non l'inverso.»

v-mov.gif (1033 byte) Per intervenire in argomento:

scriveteci busta.gif (111 byte)

busta.gif (111 byte)Corrado Del Bò:
> Quando Faggin afferma che non collaborerebbe a progetti di riarmo, si
> riferisce a se stesso ma, secondo me, pone una questione di etica
> pubblica. L'etica pubblica riguarda sempre comportamenti individuali
> che però hanno una rilevanza pubblica.

Io penso piuttosto all'etica pubblica nei termini posti da Sebastiano Maffettone (Etica pubblica, Milano, Il Saggiatore, 2001, p. 25), e cioè come un "repertorio di argomenti che, sulla base di alcune premesse metafisiche e politiche, fornisce un insieme di giudizi valutativi di tipo filosofico sulla natura e gli scopi delle istituzioni sociali". Riguarda più le regole, per così dire, che gli individui. Dal mio punto di vista, ovviamente.
> La discrasia fra paradigmi
> etici e applicazioni della tecnoscienza (la distinzione fra tecnica
> scienza penso sia più di carattere storico- semantico che logico)
> appartiene al modo in cui ambedue si modificano.

Qui si apre un ginepraio di questioni... io credo che la distinzione "tecnologia / scienza" sia una distinzione tra due concetti diversi, per quanto interrelati (direi contingentemente interrelati), quindi una distinzione logica. L'unione di tecnologia e scienza è un passaggio ulteriore, necessitato verosimilmente da interessi socioeconomici, ma contingente. Penso, inoltre, che entrambe incidano sui paradigmi etici, ma penso che vadano sottoposte a diversa valutazione le incidenze della tecnologia e quelle della scienza.
Sono troppo ingenuo :-)?»

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Responsabilità sociale dell'imprenditore
[12 ottobre 2002]

binari.jpg (22033 byte)v.gif (842 byte)_____Quale impresa per la sfida evoluzionista?_____
      (Redazionale)
      [segue dalla pagina degli Argomenti precedente]

Vedi anche

right.gif (841 byte)Bibliografia sulla Responsabilità e l'Innovazione,
di Corrado Del Bò

Domenico Lanfranchi, nel suo Commento a un brano di "Quale impresa per la sfida evoluzionista?", riprende il mito platonico del Protagora per ribadire l’attualità di un problema vecchio come il pensiero occidentale: quali rapporti debbono intercorrere tra la tecnica e la politica? Secondo Lanfranchi, il punto è che "a fronte di un progresso tecnico scientifico che procede ad un ritmo sempre più incalzante, usiamo ancora forme e strutture politiche sostanzialmente vecchie di due secoli". Ora, i tentativi di innovazione effettuati nel XX secolo a livello politico, conclusisi nelle tragedie dei lager e dei gulag, hanno fatto sì che la democrazia sia in larga misura considerata un'istanza irrinunciabile, ma non per questo si sono chiariti i modi attraverso i quali la si può garantire di fronte alle altre istanze autonome (mercato e burocrazia) che cooperano alla governance del mondo. Si chiede, allora, Lanfranchi: è opportuno che l'impresa si assuma responsabilità politiche dirette, portando a compimento quello che, implicitamente, le imprese più grosse fanno da tempo? Lanfranchi sembra assumere una posizione scettica: «sempre più spesso i processi decisionali nelle imprese sembrano obbedire a criteri di carattere meramente finanziario, più che ad una vera propria logica d'impresa: si è verificata una sorta di capovolgimento dialettico per cui quello che in origine era solo uno strumento per procacciare all'impresa le risorse necessarie alla sua attività, domina oggi tutte le attività economiche e le imprese divengono meri strumenti asserviti all'attività finanziaria. Non di rado è accaduto che attività produttive floride e sane finissero sacrificate da spericolate operazioni finanziarie». Per questo, secondo Lanfranchi, come sarebbe un errore trarre spunto da episodi di questo tipo per demonizzare il mondo imprenditoriale tout court, sarebbe ugualmente un errore delegare alle imprese compiti e funzioni politiche senza inserirle in un adeguato sistema di controlli e contrappesi.
(12 ottobre 2002)

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