Questa pagina è stata pubblicata il 30 ottobre 2002 e appartiene dell'argomento "Post Human" (pagina 4 della sezione Argomenti)




11 CREATURE


 



Questa pagina è una panoramica sui termini, o piuttosto sulle creature, che normalmente vengono nominate
quando si parla dei confini dell'essere umano. Ci si muoverà tra l'oggetto essere e l'essere oggetto,
tra il costruire e il creare, tra il prevedibile e l'imprevedibile.
È un percorso per immagini attraverso alcune figure chiave, espressione del desiderio dell'uomo di mettere mano
alla propria evoluzione, di immergere le mani nel magma della vita e formare qualcosa di propria immaginazione.
Creazione Pro rel. 2.0
Inside Creazione Pro rel. 2.0
[7 dicembre 2002]
Quelle creature scaturite dalla necessità dell'uomo non tanto di rispecchiarsi quanto di proiettarsi
in qualcosa di esterno a se stesso, simile ma non uguale, mimetico nella forma del corpo o nel pensiero,
ma differente, che aiuti a capire qualcosa del sé o che aggiunga qualcosa.
Qualcosa di meglio, di più grande, più forte, più.

[10 dicembre 2002]
A commenti
da Massimo Bartoli:
" A proposito di '11 creature' "

 

 

 

 
1.
 
 
LA BAMBOLA
 
     
Una bambina di cinque anni gioca a fare la mamma della sua bambola. La tiene al suo fianco, in grembo, cerca d'educarla come può. Il fratello gliela ruba e la spoglia, le stacca una gamba e l'abbandona senza aver scoperto gran che.
Ma la bambola è un simulacro, una piccola statua che simula la realtà ma non vi corrisponde. Soprattutto non "risponde". Il gioco della bambina segue l'imitazione del quotidiano, l'esplorazione del bambino potrebbe essere il negativo dello stesso percorso.
     

 
MATERIALI
 
     
Alla pagina dell'International Doll Museum si trovano immagini e materiali su bambole provenienti da tutto il mondo, suddivise per paesi. Il sito dispone poi di numerosi link ad altre collezioni.
 
La Rocca Borromeo (Angera, Va) è la sede del Museo della bambola e della moda infantile.
     
 
 


 
2.
 
 
IL BURATTINO
 
     
Un burattinaio indossa il buratto e muove il burattino. Da sopra la propria testa proietta la parvenza di vita di un essere caricatura dell'uomo. Il pubblico sbanda, s'agita, reagisce alle parole che non escono da quella testa di legno ma dalla bocca allenata del suo animatore.
Il burattino non ha gambe, è macrocefalo, la sua spina dorsale è la mano che gli dà vita. La mano reagisce agli stimoli del burattinaio, alla voce, alla storia, e al pubblico.
Il racconto del burattinaio segue un testo o un canovaccio e modifica il tragitto per percorrerlo secondo gli stimoli provenienti dalla situazione. Il burattino non gli sfugge di mano, piuttosto può sfuggirgli il pubblico o il controllo di esso.
(Dire"viene mosso come una marionetta" non è così forte come dire "nelle sue mani è come un burattino").
     

 
MATERIALI
 
     
The Puppetry Home Page è un ottimo punto di partenza per navigare nel vasto mondo dei siti dedicati ai burattini, ai teatri di burattini, alle tecniche di costruzione.
 
Il castello dei burattini è il museo Giordano Ferrari che, all'interno dei Musei Civici di San Paolo di Parma, si propone come una delle principali esposizioni di burattini d'Italia.
 
Materiale storico e artistico riguardante il mondo dei burattini (ma non solo) è possibile trovarlo visitando il museo virtuale dei burattini della Famiglia Monticelli, storica compagnia di burattinai e marionettisti italiani.
     
 

La mano nel burattino
Teatrino di Carta, Bologna (foto  M. Golfieri)
La continuità tra burattino e burattinaio
 


 
3.
 
 
LA MARIONETTA
 
     
Il marionettista si sporge dal suo ponte di manovra. Chino in avanti muove, due metri sotto di se, la marionetta. Pizzica i fili, li aggancia e li lascia senza abbandonarli, cerca d'imprimere il giusto movimento, il gesto. Ma la marionetta continua a seguire la propria forma: lo snodo della gamba, il vestito con lo sbuffo, la parrucca di capelli veri che frena il filo della bocca; segue i fili come fossero perentori suggerimenti, ordini, ma poi fa quel che può, quel che lo scultore, il costumista, l'attrezzista gli hanno permesso di permettersi. E lassù il marionettista si adatta al suo strumento, spera che la gamba destra segua in modo armonico il ritmo della sinistra e che il pubblico spalanchi la bocca per lo stupore di quelle figure di legno tanto simili a degli esseri umani.
Lo spettacolo segue un testo preciso, dei tempi stabiliti in precedenza, un nastro con incise le musiche e, spesso, le voci degli attori di legno.
Tra le quinte e in scena, l'imprevisto è per lo più tecnico: un filo che si rompe, qualcosa che si incastra. In quel frangente si apre un ampio varco per l'improvvisazione di una macchineria enorme: l'intero impianto scenico esce dai binari previsti e modifica se stesso per riprendere il ritmo e il percorso corretto. La marionetta infatti si muove all'interno di uno spettacolo i cui singoli elementi sono così interconnessi che non possono funzionare se non tutti insieme.
     

 
MATERIALI
 
     
Per avere una visione della complessità e meraviglia degli spettacoli di marionette conviene visitare il sito di una delle più antiche compagnie italiane: la Compagnia Marionettistica Carlo Colla e Figli (Milano).
 
Un sito interessante è quello del BUMA, Museo virtuale dei burattini e delle marionette, che raccoglie immagini e materiali dalla collezione della scuola Paolo Grassi di Milano.
 
Nella vasta bibliografia riguardante burattini, marionette e figure animate in genere, si segnala il catalogo della mostra Burattini Marionette Pupi edito da Silvana, Milano 1980.
     
 
 
Due immagini della Compagnia Caro Colla e figli: l'impianto scenico e una scena dello spettacolo "La Bella Addormentata"


 
4.
 
 
HOMUNCULUS
 
     
(dal "Faust" di Wolfgang Goethe)
Wagner, il vecchio allievo di Faust, è nel suo laboratorio "alla maniera del Medio Evo; apparecchi ingombranti e poco pratici, destinati agli scopi più fantastici". Sta cercando di creare artificialmente l'uomo. Inaspettato entra Mefistofele. Wagner dichiara: "Il procreare che fu già di moda, noi lo dichiariamo una vuota farsa. (...) Se le bestie continuano a provarvi piacere, l'uomo, con le sue grandi qualità, dovrà, in futuro, avere una più alta, una assai più alta origine."
Poi l'Homunculus nella fiala lampeggia, si coagula "il vetro tintinna per opera di una dolce violenza (…) Vedo un omettino ben garbato e graziosamente formato che gesticola. Che cosa vogliamo noi, che cosa vuole di più il mondo? Poiché il mistero è ormai svelato. Porgete orecchio a questo suono: esso si fa voce, si fa linguaggio." Poi Homunculus, che tutto ha meno che un vero corpo, comincia a parlare: "Ben, babbino, come va?".
Il capitolo della nascita di Homunculus (in realtà per opera di Mefistofele) è trattato da Goethe con molta ironia e freschezza. Homunculus è tutto proiettato all'azione; chiuso dentro la fiala, si farà un piccolo volo su Faust dormiente e ne svelerà i sogni nascosti. Poi avendo dimostrato di conoscere molte cose del mondo invisibile, si offrirà di accompagnare Faust e Mefistofele nel viaggio verso la Notte Classica di Valpurga: per lui sarà la ricerca di un modo per nascere davvero.
Al finire della Notte durante una scherzosa grande festa del Mare i demoni e le divinità primitive lo accolgono come uno di loro e si dissolve in una grande luminosità fiammeggiante.
Nell'opera di Goethe il suo "morire" (anche se non è mai nato del tutto) è principalmente un diventare, e per farlo il suo essere spirituale deve fondersi completamente nella realtà. La via alla vita è, anche per lo spirito degli uomini, un diffondersi nella realtà, l'incarnarsi.
     

 
MATERIALI
 
     
Homunculus appare per la prima volta nel Faust di Goethe, nella seconda scena del secondo libro scritta nel 1829. Segnaliamo l'edizione cartacea nella "Universale Economica. I Classici" Feltrinelli, Milano, 1991.
     
 

Mefistofele appare a Faust (Delacroix 1828)

Goethe in Italia (J.H.W.Tischbein, 1786)
 


 
5.
 
 
IL GOLEM
 
     
Gustav Meyrink, che ha dato il via alla grande diffusone del mito del Golem, sceglie un burattinaio per raccontare al personaggio principale del suo romanzo le origini della leggenda. Zwakh: "…Si vuole che un rabbino avesse costruito, secondo certe istruzioni della Cabala andate perdute, un uomo artificiale - il cosiddetto Golem - perché lo aiutasse a suonar le campane della sinagoga e facesse ogni sorta di lavori pesanti. Non ne sarebbe uscito un uomo davvero, ma solo un essere animato da un'oscura e semicosciente vita vegetale, e anche questo soltanto durante il giorno e in virtù di un magico bigliettino che gli veniva messo tra i denti, onde si alimentasse alle spontanee energie sideree dell'universo."
Una sera il rabbino si dimenticò di togliere il bigliettino e quel corpo rozzo fatto d'argilla cominciò a vagare nella notte distruggendo ogni cosa, incontrollabile e inarrestabile.
La vera magia del Golem, proveniva da tanti elementi: l'uso dell'argilla, i rituali in cerchio fatti più volte e in direzioni differenti, gesti e formule magiche legate al numero sette… ma il tutto poteva poi funzionare solo grazie alla completezza di una parola. Scritta sulla fronte o tracciata su un fogliettino per dare la vita e cancellata per rendere inattiva la creatura, la parola poteva essere il Nome Divino oppure la parola Emet (verità). Dalla parola (in ebraico) Emet, bastava un'operazione enigmistica come cancellare la prima lettera (Alef), perché rimanesse la parola "met" (morto), perché il Golem tornasse una massa d'argilla inanimata.
La parola "Golem" appare nella Bibbia (solo una volta, nel salmo CXXXIX, 16) e nel Talmud babilonese (Sanhedrin, 65, b), mentre la tradizione moderna ha inizio con Elijah di Chelm verso la metà del XVI secolo, che narra della creazione di un essere artificiale con l'aiuto del Nome Divino.
Secondo la tradizione più radicata, il creatore del Golem sarebbe un rabbino (Rabbi Löw, Leone Ben Bezabel, Rabbi Leib) e la motivazione della sua messa in vita, la necessità di proteggere la comunità ebraica dai suoi nemici. Nel testo di Isaac Bashevis Singer il Golem non risponde più agli ordini dal momento in cui gli viene impartito un erdine errato, la richiesta di fare una cosa per cui non era stato creato.
     

 
MATERIALI
 
     
Per avere una panoramica su versioni, simbologie, nuove interpretazioni della figura del Golem, conviene far partire la ricerca dal sito della RAI Radio1 relativo alla loro trasmissione intitolata e dedicata appunto al Golem.
 
Per l'edizione cartacea si può far riferimento a Gustav Meyrink "Il golem", Tascabili Bompiani, Milano, 1966. Una versione semplice e piacevole è quella per bambini scritta da Isaac B. Singer "The Golem" trad. it. di Cin Balabi "Il Golem" Gli Istrici Salani, Firenze, 1990.
     

Immagini dal film "Der Golem, wie er in die Welt kam", P.Wegener e C. Boese, 1920


 
6.
 
 
FRANKENSTEIN
 
     
Frankenstein non si chiama così, anzi, non ha nome. Intendo dire: quando si nomina Frankenstein non si pensa subito allo scienziato che ha costruito la creatura, ma si pensa alla creatura stessa da lui realizzata. In realtà Mary Shelley nel suo romanzo, ad essa non dà nome: "demonio" è il termine che più spesso utilizza per indicarla.
Ma l'identificazione creatore-creatura non avviene solo per la difficoltà di nominare velocemente qualcosa che non ha nome.
Il giovane Frankenstein sta assistendo ad una lezione di chimica del signor Waldmann e le sensazioni che prova e descrive rimandano all'immaginario di un corpo meccanico: "Mentre lui proseguiva io provavo la sensazione che la mia anima stesse lottando contro un nemico in carne ed ossa. Uno dopo l'altro venivano toccati i meccanismi che formavano il mio essere, tutte le corde della mia mente vibravano e presto in me non ci fu che un pensiero, un'idea, uno scopo."
Dopo una strenua lotta con se stesso Frankenstein decide di "esplorare forze sconosciute e svelare al mondo i misteri insondabili della creazione".
Certo, spesso si dà al figlio il nome del padre, ma proprio sul rifiuto della paternità sembra costruito il malessere che affligge la creatura: l'orrore che emana più che scaturire dalla sua figura mostruosa, deriva dal fatto che si muove di vita propria. Egli emana orrore e fugge, così come fugge il suo creatore.
La furia della creatura deriva non da un errore nella costruzione, ma dal contesto in cui si sveglia: orribile e gigantesco in un mondo che lo fugge e lo caccia. Il suo dolore interiore completa il mostro istigando le sue azioni delittuose.
Scomparirà con un gesto suicida nel ghiaccio del Polo Nord dopo la scoperta della morte del suo creatore.
     

 
MATERIALI
 
     
L'edizione definitiva del romanzo di Mary Shelley è del 1831. Tradotto ed edito in Italia da diverse case editrici, segnaliamo: Mary Shelley, "Frankenstein. Ovvero il moderno Prometeo", Garzanti, Milano, 1991. La versione del 1831 si può trovare anche on-line senza però l'introduzione dell'autrice.
 
Un sito a cura della U.S. National Library of Medicine, (Rockville Pike, Bethesda, MD) approfondisce le tematiche scientifiche di Frankenstein. Nello stesso sito segnaliamo un'altra "esposizione on line" sull'anatomia reale e immaginaria.
     
 

Boris Karloff al trucco e due immagini del film "Frankenstein", J. Whale, 1931
  
 
 

Mary Shelley (1797-1851)
 


 
7.
 
 
L'AUTOMA
 
     
I. Un bambino ha uno stupendo robot spaziale a pile che cammina, "spara raggi laser", e compie una giravolta su se stesso. Ma la stanza è piccola, una volta inciampa sul tappeto e cade faccia a terra, un'altra volta si blocca contro la gamba del tavolo, la terza volta le pile sono scariche. Che frustrazione non riuscire mai a vedere l'intero ciclo di movimenti del robot. È che, una volta messo in azione non vale deviarne con la mano la direzione per correggerla, lui va per il percorso predefinito, senza possibilità di scampo.

II. Nel 1778, Wolfgang von Kempelen presenta il suo automa che gioca a scacchi. Egli mostra la sua opera, un turco seduto davanti ad una scrivania con cassetti e sportelli, ne apre i vani mostrando gli ingranaggi, i fili e le rotelle, poi sfida qualcuno dei presenti a giocare contro l'automa…
Il pubblico era già a conoscenza di prodigi simili; erano già famosi gli automi della bottega degli orologiai svizzeri Pierre Jaquet- Droz e figlio (oggi visibili al Musée d'Histoire di Neuchatel): tre personaggi, due bambini e una giovane donna, costruiti fra il 1768 e il 1774. Uno dei due bambini poteva scrivere messaggi fino a quaranta lettere, andare a capo e intingere la penna d'oca nel calamaio, l'altro poteva fare quattro disegni differenti (un cane, due ritratti e una figura con una farfalla); la donna poteva eseguire cinque melodie in un organetto a canne, seguire con lo sguardo la tastiera e "respirare".
Ma la fama del turco di Kempelen fece subito il giro di mezzo mondo perché non solo muoveva gli scacchi, ma pure vinceva contro ogni sfidante!
Peccato che, una volta venduto a caro prezzo a Federico II di Prussia, si scoprì che ingranaggi, fili e rotelle venivano mossi dall'interno da un nano, provetto giocatore di scacchi.
     

 
MATERIALI
 
     

Anche se "datati", due saggi sulla storia e i miti degli automi e dei robot forniscono una panoramica chiara e piena di informazioni:
John Cohen "Human Robots in Mith and Science", George Allen & Unwin, 1966; trad. it. "I robot nel mito e nella scienza", introduzione di Raffaele Rinaldi, De Donato, Bari, 1981; e Gian Paolo Cesarini, "Gli automi. Storia e Mito", (edizione riveduta e ampliata) Laterza, 1983.

 
Sono molti i siti che si occupano di automi e robot. Segnaliamo quello dell'Associazione europea dell'automa e della scultura animata al cui interno si possono reperire maggiori informazioni sugli automi di Jaquet-Droz; il sito del The Kyoto Arshiyama Orgel Museum con numerosi esempi di carillon e automi meccanici; le pagine della BBC UK intitolate al Robot Word.
 
Visitando il sito del Laboratorio di Robotica del Politecnico di Milano ci si può fare una idea dello stato delle ricerche e delle applicazioni in Italia.
     
 

Due robot giocattolo

Il turco giocatore di scacchi
in una immagine dell'epoca
 
      
 

"Fronte e retro" della suonatrice d'organetto di Jaquet- Droz

Manichino robotizzato per
simulare le cardiopatologie
(Politecnico di Milano)
 


Dal profondo, superata la fascinazione della precisione dei movimenti ripetuti o del precorso reiterato, cresce
l'insoddisfazione, il desiderio di vedere una variazione: su, fai di più.
Oppure, quando ciò che è meccanico si sposta deciso da un radiocomando o da leve mosse da un uomo, la meraviglia cessa
e l'attenzione si sposta su un altro piano: lo sguardo s'appoggia sui meccanismi,
la mente pensa a chi li muove e perché li muove.
Qui la macchina non compie errori, gli errori sono compiuti da chi la costruisce, la muove,
la programma oppure da chi la osserva.


 
8.
 
 
IL ROBOT
 
     
I. La parola robot nasce dalla fantasia dello scrittore ceco K. Capek, che, partendo dalla parola ròbota "lavoro", chiamò robot gli automi di una sua opera teatrale (1921).

II. Isaac Asimov nell'esplorare il mondo possibile dei robot, capì che più immaginava delle macchine capaci di decidere e compiere azioni complesse, più si elevava la concorrenzialità con l'uomo. Risolse il problema alla base: se i robot sono costruiti dagli uomini, gli uomini dovranno porre delle leggi che i robot stessi non potranno violare essendo programmati a non farlo.
Queste le famose leggi enunciate da Asimov in "I, robot" (1950)
1. Un robot non può danneggiare un essere umano o, evitando di agire, permettere che l'integrità di un essere umano sia offesa
2. Un robot obbedisce agli ordini impartiti dagli esseri umani, fatto salvo che essi non violino la Prima Legge.
3. Un robot protegge la propria esistenza a ogni costo, se non nel momento in cui essa entra in conflitto con la Prima e la Seconda Legge.
In seguito aggiunse una quarta legge, chiamata legge "zero" (nel romanzo "Robots and Empire", 1985):
0. Un robot non può fare del male all'umanità o, tramite l'inazione, permettere che l'umanità ne tragga danno.

Nel 1977 venne pubblicato un breve scritto di Asimov dove si enunciavano le "tre leggi della futurica".
1. "Quello che succede continuerà a succedere"
2. "Rifletti sull'ovvio perché pochi lo vedono".
3. "Rifletti sulle conseguenze".
     

 
MATERIALI
 
     
L'automa e il robot, che si potrebbero considerare la stessa cosa, sono state considerate due "creature" differenti un po' per la connotazione fortemente fantascientifica del robot rispetto all'automa e un po' per dare risalto alle famose "leggi" di Asimov.
 

Come già indicato le prime tre leggi della robotica si trovano enunciate nel romanzo "I, Robot", 1950; tradotto in italiano negli Oscar (434) Mondadori: "Io robot" Mondadori, Milano, 1963. La legge numero 0 invece è in "Robots and Empire", 1985; tradotto in italiano "I robot e l'impero", Altri Mondi 1, Mondadori, 1986.
Le leggi della futurica invece si possono trovare in un piccolo saggio pubblicato nella raccolta The Magazine of Fantasy and Science Fiction, October 1974 a cura di Edward L. Ferman con il titolo "Oh, Keen-Eyed Peerer into the Future". Tradotto in italiano con il titolo "Le tre leggi della futurica" è stato pubblicato come appendice al libro "Molto dopo mezzanotte" (Long After Midnight, 1975) di Ray Bradbury, edito da Urania (732), Mondadori, Milano, 1977.

     
 

Isaac Asimov (1920-1992)

  
 


 
9.
 
 
L'ANDROIDE (E L'ANDREIDE)
 
     
I. Nel racconto "L'uomo della sabbia" di Hoffmann, Nathaniel ad una festa, s'innamora della festeggiata. Quel che sulle prime lo lascia interdetto e poi lo rende intrattabile è il fatto che nessuno dei suoi amici noti la dolcezza, l'armoniosità, l'amore che scaturisce da Olimpia, figlia del professore di fisica Spallanzani. Mentre lui passa ore a guardarla seduta immobile alla finestra e legge sensibili esclamazioni nelle sue uniche parole "Ah… ah…", tutti gli altri osservano come sia sgradevole quel suo passo misurato, quel suo cantare e ballare preciso e perfettamente a tempo, quel vitino fin troppo stretto nel busto e quello sguardo troppo fisso per essere sostenuto. Quando poi un giorno, andando a casa di lei per chiedergli la mano sentì "…uno strano rumore: pareva venisse dallo studio di Spallanzani. Un battere… un urtare… un tintinnare… e colpi contro la porta e bestemmie e maledizioni (…) Nathaniel entrò di corsa preso da una angoscia indicibile. Il professore aveva preso una donna per le spalle, Coppola (un misterioso orologiaio) per i piedi e tiravano e strappavano, lottando furiosi per possederla…" Quando, poi, Coppola si rivela l'acerrimo nemico Coppelius e riesce ad impadronirsi del corpo conteso, Spallanzani a terra fra vetri rotti e gli occhi di lei, grida a Nathaniel: "… mi ha rubato l'automa migliore… venti anni di lavoro… ci ho messo corpo e anima…l'orologeria… la parola… i passi…tutto mio… gli occhi… gli occhi rubati a te…"

II. Se Olimpia era riuscita a irretire un uomo solo tra tutti, l'automa sosia della bella operaia nel film "Metropolis" (Fritz Lang, 1927) riesce ad ingannare tutti tranne uno. L'ambiente è una città del futuro la cui forma sopravvive ancora nell'immaginario comune e ne modella le proiezioni. L'automa, creato per sobillare una rivolta contro il potere, si mischia tra gli operai grazie all'aspetto tratto, trasferito (clonato?) da una di loro. Inutile dire che l'innamorato dell'originale svela la copia e conquista il lieto fine.

III. Nel 1968 Philip K. Dick pubblica "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?" (cui si ispirò Ridley Scott per il film "Blade Runner") in cui il personaggio principale, Rick, come mestiere fa il "ritiratore" (cacciatore di taglie) di umanoidi irregolari.
Gli umanoidi sono robot così sofisticati, sia nei materiali che nelle possibilità del loro cervello, che risultano, oltre che completamente identici all'essere umano, addirittura superiori come forza fisica e intelligenza. Nel romanzo, ambientato nel 1992, sulla terra contaminata rimangono ben pochi uomini, e questi sopravvivono col sogno di possedere un cucciolo, un animale, un qualsiasi essere vivente "vero": possiedono pecore, cavalli, cani finti praticamente identici agli animali organici, ma il solo fatto che siano artificiali svilisce il godimento di possederli. Rick possiede una pecora artificiale e ne sogna una vera, ma il suo mestiere lo porta a sempre maggiori difficoltà nel riconoscere la differenza tra gli umanoidi a cui dà la caccia e i veri esseri umani, tra la donna che utilizza macchine per provare emozioni e l'androide così sviluppato che ne sviluppa di sue, inattese e originali.

IV. Nel libro di Dick l'unico test valido per riconoscere gli androidi si chiama "test di Voigt-Kampf" e misura il "livello di appiattimento dell'affetto", ovvero la capacità di empatia con altri esseri umani: l'androide non proverebbe grandi emozioni per la scomparsa di un suo simile.
Alan M. Turing nel 1950, nel pieno dei suoi studi sull'intelligenza artificiale, inventò un test per rispondere alla domanda: "una macchina può pensare?". Il test risulta essere una specie di gioco dell'imitazione. Vi sono tre partecipanti: l'esaminatore, un uomo e la macchina. L'uomo e la macchina vengono chiusi in due stanze differenti e l'esaminatore dall'esterno e senza conoscere in quale stanza è l'uomo e in quale è la macchina, pone delle domande tramite telescrivente con la mira di scoprire in quale stanza è l'uno e in quale l'altra. Le risposte dell'uomo mireranno a spingere l'esaminatore a riconoscerlo, mentre le risposte della macchina punteranno a confondere l'esaminatore rispondendo come se lei fosse l'uomo. Se la macchina riuscisse a ingannare l'esaminatore si potrebbe dire che pensa?
     

 
MATERIALI
 
     
Ernst Theodor Amadeus Hoffmann "Der Sandmann"; trad.it. "L'uomo della sabbia e altri racconti", Rizzoli, Milano, 1950
 
Il sito di un vero appassionato del film "Metropolis" di Fritz Lang può essere un buon punto di partenza per vedere numerose immagini e sapere tutto quel che si potrebbe sapere, sia per il materiale interno al sito che per il link raccolti.
 
Attualmente in Italia di Phlip K. Dick sono stati ristampati quasi tutti i titoli, così non è difficile poter trovare "Do Androids Dream of Electric Sheep?" (Baror International, New York, 1968; trad. it. "Ma gli androidi sognano pecore elettriche?", Fanucci Editore, Roma, 2000). Il film Blade Runner è ugualmente celebrato on line da numerosi siti, ma possiee una sua home page in cui si trovano molti materiali iconografici e critici.
 
Il sito di riferimento da visitare per avere una panoramica dello stato delle ricerche sugli androidi è l'osservatorio "androidworld". Ma se si vuole veramente capire la complessità di questi progetti conviene almeno scorrere qualche pagina di (relativamente semplici) istruzioni tecniche.
 
Il Test di Turing viene formulato in "Computing Machinery and Intelligence" (in Mind, 59, 236, 1950) inserito con il titolo "Calcolatori e intelligenza" in "L'io della mente" di Douglas R. Hofstadter e Daniel C. Dennett, Adelphi, Milano, 1985 ("The Mind's I. Fantasies and Reflections on Self and Soul", Basic Books, 1981).
Al Test è dedicato un intero sito con articoli e interviste anche dello stesso Alan M. Turing, e navigando è possibile imbattersi anche con chi sta tentando di sviluppare un programma (è possibile scaricarne il download) che realizzi il test e risponda alla domanda iniziale posta nell'articolo sopracitato ("la macchina può pensare?").
     

Valerie, un androide domestico
reperibile al sito di androidworld

Immagine da "Metropolis",
Fritz Lang, 1927

Immagine dal film "Blade Runner",
Ridley Scott, 1982


 
10.
 
 
IL CYBORG
 
     
I. Un poliziotto viene ferito gravemente da una banda criminale. I medici riescono a mantenere di lui solo il cervello e il braccio destro e li innestano in un corpo meccanico. Il risultato è Robocop, del film di Paul Verhoeven (1987), che continuerà a battersi per la giustizia.

II. Ma l'incrocio tra parti meccaniche e parti organiche composte attorno ad un cervello (il materiale di cui si compongono i personaggi della cultura cyberpunk) porta direttamente anche ad un fondersi degli spazi reale e virtuale entro cui queste creature vivono.
Si può dire quindi che l'evoluzione dell'opera di creatura oltre che allargare le possibilità sul corpo da inventare amplia anche l'ambiente in cui vive.
Bruce Sterling, considerato l'ideologo della cultura cyberpunk, ipotizza un futuro diviso in due categorie: i Meccanisti, esperti o sostenitori di una modalità di creazione per protesi artificiali e i Plasmatori, cultori delle linee genetiche e costruttori per bio-ingegneria.
La moglie di Nikolai è una meccanista, lui è un plasmatore:
"C'è qualcosa che ti preoccupa", gli disse sua moglie. Nikolai scosse la testa. "Si. È così", insistette lei. "Sei sconvolto per via di quell'accordo che ho stretto con i contrabbandieri. Sei infelice perché la nostra corporazione trae profitto dagli attacchi fatti contro la tua stessa gente". Nikolai sorrise afflitto. "Immagino che tu abbia ragione. Non ho mai conosciuto nessuno che comprendesse i miei sentimenti più riposti così come fai tu". La guardò con affetto. "Come fai?". "Ho scansori ad infrarossi", disse lei. "Leggo gli schemi di flusso sanguigno dalla tua faccia".
     

 
MATERIALI
 
     
Dalla scheda della Optimus Film su Paul Verhoeven si può accedere alle pagine dedicate a Robocop (1987).
 
Un manifesto Cyborg.
 
Il sito sulla biotecnologia del Center for the Study of Technology and Society dove sono presenti numerosi dibattiti e link ad articoli e altri siti.
 
Il dialogo citato tra Nikolai plasmatore e sua moglie meccanista è tratta da Bruce Sterling "Life in the Mechanist/Shaper Era: 20 Evocations", Interzone n.7, 1984, trad. it. di Daniele Brolli per la raccolta "Cavalieri elettrici", edizioni Theoria, Roma-Napoli, 1994.
 
La rivista Le scienze ha pubblicato uno speciale intitolato "Futuro bionico" (Dossier n.4 estate 2000)
 
Vincenzo Tarasco, docente di Bioingegneria all'Università di Genova, ha pubblicato il "Dizionario degli esseri umani fantastici e artificiali" organizzandolo in due parti principali: Parte prima. Tassonomia relativa a esseri contenenti parti biologiche o materia in grado di auto-organizzarsi e Parte seconda. Tassonomia degli esseri non contenenti parti biologiche (Oscar Mondadori, 1999).
     
 

Immagine da "Robocop", P. Verhoeven, 1987

  
 


 
11.
 
 
(L'IO) LA SCOMPOSIZIONE DELL'ANIMA
 
     
La speculazione sui possibili intrecci e confronti tra androide (una macchina che riesce a pensare come un uomo) e cyborg (un uomo con un corpo macchina) ha portato a ripensare l'Io come qualcosa di avulso dalla materia naturale.
"Dove sono?" è il racconto di Daniel C. Dennett, filosofo, in cui l'autore immagina che il suo cervello venga estratto dal suo corpo e possa, grazie a modernissime tecnologie, continuare a governarlo da lontano. Dopo una doverosa riflessione su dove si trovasse il suo io (se nel cervello o nel corpo), arriva alla proposizione che Dennett si trova ovunque pensi di trovarsi. Ma poi il suo corpo si perde in un incidente. Dopo un periodo di angosciosa certezza di essere vivo ma senza corpo, il protagonista si ritrova in un altro, in un "donatore", mosso dal suo cervello sempre a distanza. Non solo, scopre che della sua mente è stata fatta una copia artificiale. Il problema dell'io si complica definitivamente quando il suo cervello originale e la sua copia elettronica, che normalmente si spartiscono il controllo del corpo come se fossero la stessa mente, iniziano ad avere uno scarto di velocità. Improvvisamente diventano due Dennett con un corpo solo, due Io bisognosi ambedue di averne l'esclusivo controllo.
"Dov'ero?" è una continuazione scritta dal filosofo David H. Sanford, dove il cervello non viene separato dal corpo naturale (che viene messo in stato "vegetativo"), ma controlla un automa. Questo automa viene poi moltiplicato in varie copie che, mosse a turno dal cervello in luoghi differenti, sono di volta in volta le sedi dell'io di Sanford.
"Dov'ero?" si conclude con il protagonista che, credendo di essere in stato vegetativo in una stanza e di muovere il proprio io innestato in un automa, scopre che gli scienziati che guidano il progetto, hanno inserito il suo corpo naturale all'interno del robot stesso facendo in modo che movendosi pensasse di non essere lì ma di sentirsi lì.
Justin Leiber in "Un problema di rigetto" prosegue la speculazione fantascientifica esplorando le difficoltà che potrebbero nascere dall'innesto di un cervello all'interno di un altro corpo naturale.
     

 
MATERIALI
 
     
Si è voluto aggiungere questa "'creatura" tra parentesi. In quanto si intende che il cambiamento culturale porti con sé profonde mutazioni nella considerazione dell'Io. Le speculazioni derivate da alcuni racconti di innesti cervello umano-macchina, fanno pensare all'Io come una ulteriore creatura semi artificiale.
 
"Dove sono?" ("Where Am I?", da "Brainstorms: Philosophical Essay on Mind and Psycology", 1978) di Daniel C. Dennett, "Dov'ero?" di David Hawley Sanford e "Un problema di Rigetto" ("Beyond Rejection", 1980) di Justin Lieber, sono stati inseriti in "L'io della mente" di Douglas R. Hofstadter e Daniel C. Dennett (già citato tra i materiali relativi agli androidi).
 
Navigando si può trovare una pagina dedicata a Daniel C. Dennett. Da lì si può andare al sito del suo Center for Cognitive Studies.
     
 

Il cervello e il corpo

Due particolari di opere di Fritz Kahn (1888-1968)
 


Pagina a cura di Tommaso Correale Santacroce (Ottobre 2002)

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