Rassegna stampa
commentata da Vittorio Bertolini [ * ]

Ottobre 2002 - Secondo numero

   _____Concezioni etico-culturali e rapidità dello sviluppo tecnico-scientifico_____

Da Homo Sapiens a Homo Technologicus

«Changeux pensa che la scienza non abbia la filosofia che merita»

Questa affermazione è tratta dall’articolo "Di che materia siamo fatti" (Il Sole 24 Ore, 22 settembre), in cui Gilberto Corbellini recensisce il libro di Jean Pierre Changeux, «L'homme de vérité», éditions Odile Jacob, Paris 2002.

A sua volta, Armando Massarrenti recensendo il libro di Richard Feynman "Il piacere di scoprire", Adelphi, Milano 2002 ( "Lottiamo per continuare a dubitare", Il Sole 24 Ore, 6 ottobre) scrive che:

«Feynman (…) spesso mostra di odiare la filosofia, considerandola puerile rispetto alla maturità raggiunta dalla scienza».

Di fronte al gap fra strumenti di previsione e strumenti di intervento, da un lato si accentua la necessità di un’etica della responsabilità in direzione precauzionale, dall’altro la responsabilità dello scienziato è in primo luogo rivolta verso il "valore della scienza". Per esempio, è opinione di Giuseppe O. Longo che «gli strumenti di previsione si sono evoluti meno degli strumenti di intervento» (si veda "Ma il futuro non è di maghi e di computer", di Francesco Dalmas, Avvenire, 19 ottobre 2000).

Giuseppe O. Longo nell’intervista che Margherita Fronte gli ha fatto per la Fondazione Bassetti dichiara:

«(...) mentre l'adozione di una tecnica può avere conseguenze irreversibili, non adottarla oggi spesso consente di adottarla domani, quando ne siano più chiare le implicazioni.
(...)
Io auspico un rallentamento, che dovrebbe servire a capire in che direzione si sta muovendo il sistema globale, a dare un orientamento in un’epoca in cui domina un forte disorientamento».

Feyman, come riportato nell’articolo sopra citato, scrive:

«Lo scienziato convive quotidianamente con l'ignoranza, il dubbio e l'incertezza... Noi scienziati ci siamo abituati e diamo per scontato che sia perfettamente coerente non essere sicuri, che si possa vivere e non sapere. Ma non so se tutti se ne rendono conto. La nostra libertà di dubitare è nata da una lotta contro l'autorità, agli albori della scienza. Una lotta dura e difficile per conquistarsi il diritto di metter le cose in discussione, di non accettare certezze, di dubitare. Non dovremmo dimenticarcene o rischieremo di perdere quello che abbiamo conquistato. La nostra responsabilità nella società consiste in questo».

A sua volta Corbellini chiude la sua recensione del libro di Changeux con:

«In tempi di isteria tecnofobica, leggere pagine che, a partire da una prospettiva filosofica tutt'altro che ingenua, difendono con forza la tesi che solo nell'ambito di un approccio scientifico si possono dare le condizioni di libertà in grado di consentire una verifica della validità delle nuove conoscenze e delle nuove tecniche biogenetiche».

Vexata quaestio: lo scienziato visto come "apprendista stregone" o come protagonista delle "magnifiche sorti e progressive".

Di tecnica sempre più autonoma rispetto all’uomo (una tecnica indifferente all'etica, alla politica, alla stessa volontà dei cittadini») parla  Paul Virilio nel libro "L'incidente del futuro" (Cortina, pp. 96). Cfr. di Lelio Demichelis, La Stampa 24 ottobre "Tecnica gigante, uomo nano":

«Negli ultimi anni però la tecnica ha completato il suo mutamento: non più strumento ma sempre più soggetto che in (crescente) autonomia e automaticità decide del cambiamento e del futuro, dell'organizzazione della società e dei suoi valori».

Alla responsabilità dello scienziato, ma prima ancora alle capacità della ricerca scientifica di superare le proprie incertezze e alla necessità «di mettere in campo una chiara informazione scientifica, per permettere ai cittadini di esprimersi liberamente sui vincoli, sulle limitazioni o sulle possibilità applicative ritenute lecite» si rifa Carlo Albero Redi, direttore del Laboratorio di genetica dello sviluppo dell'Università di Pavia, che su La provincia pavese del 23 ottobre ("La ricetta di Redi: lasciamo vivere la vita. Il biologo dello sviluppo riflette sui nodi della scienza e dell'avanzamento del sapere") scrive:

«L'uomo (alcuni uomini), oggi è in grado di manipolare l'esistente e l'etica che governa tali azioni non può più essere quella della negazione, non basta più; è necessaria un'etica della responsabilità, che impone di investire nella ricerca scientifica».

Su Il Corriere della Sera del 26 ottobre è apparso un articolo del premio Nobel per la fisica del 1991 Pierre Gilles de Gennes "Scienziati, il nostro onore è scoprire".

De Gennes facendo propria la formula di Feynman "Theory is the best guess", riporta il problema della responsabilità rispetto alle conseguenze delle applicazioni della scienza nell’ambito della "politica". Scrive infatti de Gennes:

«Ogni fisico è considerato corresponsabile dei morti di Hiroshima. Eppure, Fermi e Wigner non avevano mancato all'onore spiegando al presidente Roosevelt il potere delle armi nucleari. Quella di fabbricarle fu una decisione presa dal popolo americano tramite il suo presidente eletto.
[…..]
La prospettiva che ho appena abbozzato non è quella del pubblico: ai nostri giorni, i ricercatori sono considerati responsabili in un senso molto ampio; responsabili delle armi, dell'inquinamento o dei dilemmi biologici del futuro.
Tuttavia, nei fatti, gli scienziati hanno scarso peso al momento delle grandi decisioni attinenti, per esempio, alla difesa, all'energia o agli investimenti industriali. E neppure hanno completa libertà d'espressione»

(30 ottobre 2002)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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