In chiusura del call...

( 3 March 2005 )
( posted by Cristina Grasseni )

Accingendomi a chiudere questo call for comments, e ringraziando tutti coloro che vi hanno partecipato, penso che il contributo più utile che potrei portare sia, non certo quello di una risoluzione del dibattito, ma quello di un tentativo di chiarificare le categorie utilizzate nella discussione, per poter chiudere almeno "virtualmente" lo scambio di idee e commenti con l'impressione di aver almeno fatto qualche progresso nel raffinarne la semantica.
La riflessione di Callahan, infatti, si muove nel suo insieme almeno su due binari:
- una riflessione sugli scopi della medicina, che come rileva Roberto Panzarani ci rimanda all'importante riflessione di Foucault sulla biopolitica;
- una proposta politica su come gestire delle risorse economiche che si considerano limitate.
Di conseguenza, il tema della sostenibilità della medicina è stato interpretato e affrontato qui sotto diversi punti di vista: quello dell'etica della ricerca medico-scientifica e quello della politica dell'assistenza sanitaria, dando risposte che riguardano in realtà gli orientamenti della ricerca medica, da un lato, e dell'erogazione dell'assistenza sanitaria, dall'altro.

Per quanto riguarda il primo aspetto, nel caso specifico del settore sanitario la distinzione logica tra "libera ricerca" e "applicazione tecnologica" ci permette in realtà di apprezzarne i complessi meccanismi di feedback reciproco. Infatti allo stato attuale delle cose gli incentivi alla ricerca vengono dalle prospettive di mercato delle sue applicazioni. Ciò significa, come sottolinea Marcello Cini, una ridotta ricerca sulle malattie (per esempio tropicali) che affliggono fasce enormi della popolazione mondiale, le quali non sono in grado, per la loro povertà, di creare "domanda" sul mercato farmaceutico. Un controllo politico dell'innovazione quindi, intesa qui come applicazione socialmente fruibile di una scoperta scientifica, si riverberebbe anche a monte, sui processi di incentivazione della ricerca scientifica (in un modo analogo a quello indicato da Alphonse Vajo, a proposito della ricerca nel settore aerospaziale).

Per quanto riguarda il secondo aspetto, la maggior parte degli intervenuti ha tenuto a ragionare e presentare dati che possono essere utili per riflettere sul problema della governance dell'assistenza sanitaria. Limitandomi a richiamare solo alcuni degli ultimi interventi, è emersa la disponibilità e l'interesse ad approfondire "il ruolo che nella prevenzione ha e può avere il volontariato", per esempio nell'effettuare "screening di massa" (Flaminio Musa), così come a "guardare con maggiore attenzione ai meccanismi di interazione tra pubblico e privato" (Mario Castellaneta), ma con un'attenzione particolare ai modi in cui attori economicamente forti possono esercitare "un'azione di vendita aggressiva" o creare "bisogni indotti" che, gonfiando i costi, vanno a scapito di un'azione di salvaguardia dell'accesso per tutti a un'assistenza sanitaria di qualità.
La domanda chiave tuttavia, implicita nella maggior parte dei casi, mi sembra quella di chiarificare il quadro di riferimento legislativo, sociale, politologico ed anche antropologico-filosofico entro cui si vuole sviluppare questa riflessione. Per esempio, il diritto alla salute, a differenza che in altri Paesi, è da noi sancito costituzionalmente. È questo progetto di società democratica a fissare gli obiettivi della sanità pubblica, come ricorda Cini. Entro questo quadro ha sicuramente importanza l'incidenza di quelle politiche sociali che indirettamente contribuiscono alla salute pubblica: come sottolinea Michele Castelli, infatti, "nei paesi dove vi sono maggiori tutele ambientali ed un livello di istruzione elevato i dati sullo stato di salute della popolazione sono sensibilmente migliori". In particolare, riguardo alla sostenibilità della medicina, mi sembra fondamentale il richiamo di Cini ad effettuare un'analisi critica di quei meccanismi economici e giuridici che di fatto costituiscono il contesto entro cui i "costi" della medicina vengono poi calcolati: brevetti in primis.
Mi sembra in ogni caso che abbia fondamentale importanza distinguere il ruolo del paziente da quello di un astratto "fruitore di servizi", vuoi per via di quella "asimmetria informativa tra chi eroga e chi riceve le prestazioni" (Castelli), vuoi perché il paziente si misura con un quadro istituzionale e con condizioni sociali di partenza che non sono quelle, astratte, della libera scelta di prodotti sul mercato. In altre parole, come ha rilevato Piero Bassetti durante la discussione seminariale tenutasi presso la Fondazione Giannino Bassetti il 21 febbraio 2005 con Daniel Callahan, "the patient is not a consumer".

Per concludere, mi sembra quindi che uno dei punti principali emersi sia quello della "indispensabile interazione tra scienza e politica" (Castellaneta), e sicuramente anche le riflessioni future sulla responsabilità nell'innovazione non potranno prescindere da questo aspetto.