Rassegna stampa del sito della Fondazione Bassetti  

ovvero: il blog di Vittorio Bertolini (pagina personale dell'autore)

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 Ray Kurzweil: tecnosviluppo esponenziale

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Sul sito "Entropico" è possibile leggere una lunga intervista a Ray Kurzweil a proposito del suo ultimo libro "Quando la singolarità è vicina".
La tesi portante del libro di Kurzweil è che il progresso tecnologico è vicino ad una svolta significativa che arriverà a trascendere i limiti del biologico:
«Nei prossimi 25 anni, l'intelligenza non-biologica eguaglierà la ricchezza e la raffinatezza dell'intelligenza umana per poi superarla abbondantemente grazie a due fattori: la continua accelerazione del progresso dell'informatica e la capacità [delle intelligenze non-biologiche - NdT] di condividere rapidamente il proprio sapere. Integreremo nanorobot intelligenti nel nostro corpo, nei nostri cervelli e nell'ambiente, risolvendo così problemi come l'inquinamento e la povertà, aumentando significativamente la nostra longevità, permettendo realtà virtuali che comprendano tutti i sensi (come in "The Matrix") e la "trasmissione di esperienze" (come in "Essere John Malkovich"), nonchè un notevole incremento dell'intelligenza umana. Il risultato sarà la fusione della specie creatrice di tecnologie con il processo evolutivo-tecnologico a cui essa ha dato vita».
Sullo stesso argomento vedi "Il futurologo Kurzweil racconta i cambiamenti dei prossimi 10 anni", nel sito BusinessOnline.it, e, su Wikipedia, "Singolarità tecnologica".

Le tesi di Kurzweil vengono, però, criticate da Roberto Vacca nell'articolo apparso su Nòva, l'inserto del Sole 24 Ore, il 6 febbraio 2006 "I limiti del tecnosviluppo".
«Kurzweil dà per scontato che i processi di crescita tecnologica del passato sono tutti espo­nenziali. Quando la crescita rallenta, si presenta sempre un nuovo paradigma che la fa riprendere. Ad esempio: i circuiti dei computer prima realizzati con relè, sono passati a tubi elettronici, poi ai transistor, ai circuiti integrati e sono avviati a usare nanoelementi o perfino singoli atomi (come intuito da Richard Feyn­man nel 1959 e meglio nel 1985)».
In particolare, Vacca contesta che lo sviluppo possa crescere esponenzialmente:
«È curioso che Kurzweil, alto tecnologo e matematico, usi tante analogie e metafore. Traccia un parallelo plausibile, ma solo qualitativo, fra l'accelerazione dell'evoluzione biologica e quella dell'ICT [NdR: "Information Communication Technology"]. La prima impiegò miliardi, poi milioni di anni, millenni e decenni per produrre vertebrati, primati, homo sapiens. La seconda prima in decenni, poi in anni o mesi è passata dai telefoni, alla radio, alla tv, ai pc, al web. È vero che il progresso accelera. Gordon Moore propose negli anni 70 la sua legge: la densità di transistor per chip, la velocità dei computer, le dimensioni della memoria raddoppiano ogni 12-18 mesi. Dopo 30 anni questa legge funziona ancora: Kurzweil ne deduce che anche oggi hardware, software e scienze dei computer e del cervello crescono esponenzialmente. Non ci sarebbero limiti. Qui osservo che è sempre stato smentito chi ha creduto di aver individuato processi esponenziali».
Ma al di là delle argomentazioni logico-matematche, anche se senz'altro degne di nota, nell'articolo di Vacca è da sottolineare il rischio implicato da un tecnosviluppo incontrollato:
«Nel nuovo mondo, dopo la singolarità, sarebbero indistinguibili uomini da macchine, realtà virtuale da quella fisica. Potremmo assumere corpi e personalità diverse. Elimineremmo vecchiaia, malattie, povertà fame e inquinamento. Questa visione fantascientifica mostra che anche gli esperti sono talora ingenui. Infatti la complessità estrema implica problemi critici. L'impiego di software difettoso può causare disastri. La complessità che si riproduce da sola può condurre a errori imprevedibili».
Un rischio che trascenderebbe la pura condizione materiale, e che potrebbe coinvolgere le stesse strutture della società così come è attualmente ordinata.
«Inoltre la progettazione e la gestione dei sistemi di ultracomputer intelligenti sarebbero in mano a un'elite di geek - iper-tecnologi. Fra i tanti vantaggi tecnici ed economici, le iperintelligenze ibride uomo-computer ci darebbero anche una longevità estrema. Se non fosse riservata ai cittadini di prima classe, tornerebbe la preoccupazione dell'esplosione demografica. Molti sarebbero esclusi per inadeguatezza o per motivi sociali. Fra i tanti tagliati fuori sorgerebbero numerosi i luddisti, gli eco­terroristi, i verdi estremisti. Il controllo sociale delle innovazioni, già arduo, lo diverrebbe ancor più. I problemi socio-economici richiedono studio e integrazione. Non si può sperare che la tecnologia risolva tutto. Non dà segno di rallentare, ma nemmeno di crescere istantaneamente oltre ogni limite».
Il tema trattato nell'articolo, ma ancor più le considerazioni svolte da Roberto Vacca, ci riportano a quanto, altre volte, dibattuto in questo sito: in particolare, nell'articolo "The Ultimate Danger: apocalittici e integrati" del 2 Luglio 2004, le posizioni di Kurzweil vengono confrontate con quelle di Bill Joy, il quale di fronte al rischio di uno slittamento transumano della ricerca, associa la categoria della responsabilità a quella dell'umiltà. Sulle differenze di opinione fra Joy e Kurzweil si veda anche "La questione della responsabilità secondo Joy e secondo Kurzweil" del 12 Luglio 2004, mentre in "Al di là della mancanza di consenso sui valori", del 27 Settembre 2004, si parla appunto della teoria del progresso esponenziale.

Gli articoli citati fanno parte dell'iniziativa "Collaborate", svoltasi fra Giugno e Dicembre 2004 e costituita da testi composti in tempo reale mano a mano che venivano inviati nuovi contributi da parte del pubblico e da parte della Redazione FGB. Collaborate ha riguardato le tecnologie GNR (Ingegneria Genetica, Nanotecnologie e Robotica), i meccanismi autoevolventi, l'autopropagazione, l'autoriproduzione a partire dalle riflessioni di Bill Joy.


martedì, febbraio 21, 2006  

 Se la scienza fa politica

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In un articolo di Sylvie Coyaud, apparso su Il Sole 24 Ore di domenica 27 novembre 2005, veniva annunciata una serie di tre lezioni, organizzate dalla Fondazione Sigma-Tau all'Università statale di Milano, di Roger A. Pielke Jr., che insegna all'Università del Colorado e studia come i dati prodotti dai ricercatori vengano incorporati nelle decisioni politiche (vedi il programma nel sito della Sigma-Tau). In calce all'articolo è stata riportata l'Introduzione "Scienza nell'uragano politico" del libro di Pielke Scienza e politica. La lotta per il consenso, edito da Laterza.

Nella sezione "Argomenti" di questo sito è riportato l'indice del libro: articolo "Roger A. Pielke Jr.: Scienza e Politica: la lotta per il consenso". Vediamone qui alcuni brani che, a mio giudizio, sintetizzano adeguatamente le tesi sostenute.

* In primo luogo, lo slittamento della scienza da ricerca della conoscenza a strumento di lotta politica:
«Scienziati e politici ormai vedono la scienza esclusivamente al servizio della politica. In altre parole, la scienza è diventata sempre più uno strumento per rafforzare, nei diversi gruppi sociali, la capacità di contrattare, negoziare e concludere un compromesso, nel perseguimento dei propri interessi specifici. Quindi, se ciascuno dei gruppi di interesse in conflitto cerca nella scienza un mezzo per migliorare il proprio status politico, ne consegue che l'azione politica si blocca e la scienza viene ridotta a strumento delle scelte politiche. Ciò crea particolari problemi nelle situazioni in cui l'informazione fornita dalla scienza abbia un peso sostanziale sulla decisione.»
* In secondo luogo, come le ragioni della scienza vengono asservite alle decisioni politiche:
«Se vogliamo dare un senso alla correlazione fra la scienza, la politica (politics) e l'azione concreta (policy), dobbiamo anzitutto accordarci sul significato dei tre termini in questione. Per "scienza" intendiamo il sistematico perseguimento della conoscenza; la stessa parola ha un significato tanto vasto da presentare notevoli analogie con altre aree della conoscenza, quali, ad esempio, la raccolta, l'interpretazione e la diffusione di informazioni militari (come nel caso delle armi di distruzione di massa e dell'Iraq). Con il termine "policy" si intende la scelta di una determinata azione in un campo specifico, con "politica" (politics), invece, indichiamo quel processo di trattativa, negoziazione e compromesso che determina "chi ottiene che cosa, quando e come". Quindi si tratta di chiarire quali ruoli svolge il sistematico perseguimento della conoscenza per a) compiere la scelta di determinate azioni e b) concordare, negoziare e raggiungere un compromesso, con particolare attenzione al ruolo degli scienziati in questo complesso contesto.»
* Infine, come la trasformazione della scienza in ancilla della politica comporti un rischio per la democrazia:
«La scienza non va a considerata come un'attività distinta sia dalla policy sia dalla politica, bensì come uno strumento-chiave per semplificare le complesse decisioni che riguardano interessi in conflitto nella società. Per rafforzare il contributo della scienza alla democrazia è essenziale distinguere il ruolo della scienza nella politica dal suo ruolo nella policy. Se non si opera questa distinzione, si rischia di perdere una buona occasione per agire meglio che in passato e di mettere in pericolo tanto la scienza quanto la democrazia».

Il libro di Pielke è stato poi recensito su Il Riformista del 1° dicembre 2005 nell'articolo "La formula Pielke contro il rischio di politicizzare la scienza", di Anna Meldolesi. Al centro della lettura di Pielke da parte della Meldolesi, che concorda con il ricercatore americano sulla non neutralità della scienza, o almeno dei suoi esponenti, vi è che:
«Le citazioni selettive sono un espediente che funziona sempre [...], e a forza di mettere dati contro dati ipotesi contro ipotesi, alla fine la scienza si elide. La figura dello scienziato come "onesto mediatore" si eclissa e prende sempre più peso quella dei gruppi di pressione»
«Pielke è convinto che sia controproducente ostinarsi a invocare un modello lineare che faccia discendere le scelte politiche direttamente dalle informazioni disponibili, soprattutto per temi in cui entrano in campo dei conflitti di valori. Non perché la scienza non abbia indicazioni rilevanti da dare, ma perché si rischia di ottenere il risultato contrario a quello desiderato: invece di rendere le policies più scientifiche, si finisce quasi sempre per politicizzare la scienza, senza pervenire a decisioni razionali né condivise».
«Deve essere la politica ad assumersi la responsabilità di una decisione, che non può essere quella di nascondersi dietro alle incertezze vere o presunte della scienza per motivare o rimandare scelte su cui pesano ben altri fattori».
Da rilevare inoltre che, lo scorso 22 dicembre, su "Nova", il supplemento che Il Sole 24 Ore dedica settimanalmente a scienza, tecnologia, innovazione, è stata pubblicata con il titolo "Il rovescio della scienza" una conversazione di Paolo Conti con Roger Pielke. Spiega Pielke:
«Da molti anni ormai un numero crescente di scienziati sta abbandonando il ruolo originario di onesto mediatore, per sposare una causa specifica e diventarne un sostenitore attivo. Molti dei dibattiti in atto in Occidente vertono su temi nei quali la scienza gioca un ruolo importante. Così gruppi di pressione di ogni tipo, organizzazioni non governative, partiti politici e perfino governi fanno a gara per portare dalla propria parte il maggior numero possibile di scienziati. Il loro obiettivo è facile da comprendere: vogliono avvalorare la propria posizione specifica e acquisire autorevolezza. Ma per i ricercatori aderire a una posizione significa, fare una scelta precisa, che comporta conseguenze importanti e spesso negative per la società in cui vivono».
Commenta Conti:
«L'onesto mediatore rappresenta, secondo Pielke, lo scienziato del passato, quello che si limitava a sottoporre alla società un ventaglio di opzioni praticabili, lasciando ai politici la responsabilità di definire le policy, ovvero le azioni concrete per migliorare la vita dei cittadini».
La sempre più stretta commistione tra attività scientifica e applicazioni militari ha fatto sì che lo scienziato abbandonasse il ruolo di "onesto mediatore" per assumere quello dell'attivista.
«Ma così facendo hanno finito paradossalmente per ridurre l'impatto della propria attività di ricerca sulla società. Si sono trasformati in advocate, in scienziati militanti».
Per questo, secondo Pielke, è necessario che gli scienziati facciano un passo indietro non confondendo le responsabilità della scienza con quelle della politica.
«Ogni scienziato è anche un cittadino e può naturalmente scegliere se e con chi schierarsi. Ma sono le organizzazioni che governano la comunità scientifica a doversi interrogare con attenzione sul proprio ruolo nella società. Ci sono dibattiti dove la scienza ha ben poco da offrire e sono proprio queste organizzazioni che dovrebbero spingere i propri membri a fare un passo indietro, tornando a interpretare con orgoglio il vecchio ruolo dell'"onesto mediatore". Troppi scienziati confondono ormai la policy con la politica, trascurando la prima in favore della seconda. Essi dovrebbero approfondire meglio la differenza fra le due, interrogandosi a fondo sull'importanza del loro ruolo. Non sarà facile, ma è importante per il futuro di tutti noi».
Si vedano anche le precedenti Rassegne citate nell'articolo "Governance dell'innovazione scientifica e tecnologica: il coinvolgimento degli esperti scientifici nelle decisioni politiche" pubblicato nella sezione "Argomenti" di questo sito nell'Agosto 2005.


sabato, febbraio 04, 2006  
Fondazione Bassetti -- Informazioni e contatti Questa Rassegna stampa appartiene al sito della Fondazione Giannino Bassetti: <www.fondazionebassetti.org>

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