OGM: gli europei non si fidano dei decisori
di Margherita Fronte [ * ]


Riferimenti

right.gif (841 byte)Il sito internet del PABE www.pabe.net sul quale è possibile leggere anche il comunicato stampa, la sintesi dei risultati e il report finale. [in English]

right.gif (841 byte)L’Istituto di sociologia internazionale di Gorizia: www.isig.it

Falsi miti e luoghi comuni rendono poco aderente alla realtà il quadro che gli addetti ai lavori si sono fatti sulla percezione, da parte del pubblico, dell’ingegneria genetica applicata all’agricoltura. Lo rivelano i risultati dello studio PABE (Public Perceptions of Agricultural Biotechnologies in Europe), voluto dalla Commissione europea, e condotto in cinque stati dell’unione: Gran Bretagna, Spagna, Italia, Francia e Germania. In ciascun paese, un team di ricercatori ha valutato l’attitudine dei consumatori nei confronti degli OGM attraverso 11 focus group, condotti nel periodo compreso fra il settembre del 1998 e l’ottobre dell’anno seguente. Una serie di interviste ha invece permesso di sondare le idee che politici, scienziati, industriali e, più in generale, coloro che prendono parte attiva al dibattito hanno su come i cittadini europei considerano le biotecnologie applicate all’agricoltura. A condurre lo studio per l’Italia è stato il gruppo dell’Istituto di sociologia internazionale di Gorizia, coordinato da Bruna De Marchi.

I risultati sfatano molti pregiudizi che riguardano sia gli aspetti legati alla percezione pubblica delle biotecnologie, sia i motivi per cui gli europei guardano con sospetto i cibi prodotti a partire da OGM. «Nella cerchia degli addetti ai lavori è diffusa l’idea che le reazioni del pubblico agli OGM siano dovute alla mancanza di conoscenza scientifica, e che siano contraddistinte da argomentazioni di natura etica e non scientifica. Questo studio mostra però che questa caratterizzazione dominante --e le politiche che da essa derivano-- non catturano a pieno la natura del problema, e non riconoscono i fattori sociali, culturali e istituzionali delle preoccupazioni espresse dal pubblico» si legge nel rapporto PABE.

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Così, «anche se i cittadini comuni non sono al corrente dei tecnicismi della scienza delle manipolazioni genetiche, né degli sviluppi della ricerca, dei regolamenti e della commercializzazione degli OGM, questa mancanza di conoscenza non è sufficiente a spiegare il loro atteggiamento dei confronti delle biotecnologie». Infatti, «le preoccupazioni espresse dai partecipanti dei focus group non erano basate su convinzioni erronee circa gli OGM». I cittadini si chiedono se ci sia davvero bisogno degli OGM e chi trarrà vantaggio dalla loro commercializzazione; sono preoccupati di come saranno prese le decisioni e di come saranno valutati i rischi derivati dall’introduzione della tecnologia. Chiedono alle istituzioni di essere trasparenti sui processi decisionali, e di fissare regole precise che prevedano punizioni per i trasgressori. Per porre queste domande, più che legittime per chi vive in un paese democratico, non c’è bisogno di conoscere in che modo i biotecnologi modificano il DNA. «Il tipo di conoscenze cui fa riferimento il pubblico per valutare gli OGM è molto diverso da quello ritenuto importante dagli scienziati e da chi promuove gli OGM. Gli scienziati e i decisori politici pensano che i cittadini abbiano bisogno di una conoscenza specialistica circa le tecniche che si usano per modificare il genoma e che questo sia necessario affinché si formino un’idea razionale sugli OGM. Ma a sostegno delle loro posizioni, i partecipanti ai focus group hanno portato altri tipi di conoscenze» scrivono gli autori dello studio. Conoscenze basate sul buon senso, che portano a interrogativi cui la scienza del DNA non sa rispondere. I partecipanti, per esempio, si sono chiesti se il processo di impollinazione degli insetti, («le api volano di fiore in fiore», hanno detto alcuni) non renda problematico controllare la diffusione delle piante modificate geneticamente. Ma soprattutto, si sono mostrati diffidenti circa la volontà e la capacità delle istituzioni di prendere decisioni che abbiano come obiettivo il bene pubblico. In questo contesto, il caso della mucca pazza --con le pesanti responsabilità delle autorità nel determinare la diffusione dell’epidemia fra i bovini e la malattia nell’uomo-- non è stato considerato un’eccezione quanto, piuttosto, un caso esemplare del comportamento delle istituzioni. E se l’opinione comune nella cerchia degli addetti ai lavori è che i cittadini chiedano che le tecnologie introdotte siano a rischio zero, dai focus group emerge al contrario che gli europei sono ben consci che ciascuna tecnica comporta un margine di rischio. La diffidenza verso gli OGM deriva piuttosto dalla sfiducia verso chi ha il potere di decidere e di influenzare il dibattito, e dalla sensazione (peraltro corrispondente al vero) che i rischi delle coltivazioni biotech non siano stati ancora valutati a sufficienza. Le biotecnologie applicate alla medicina vengono invece considerate più accettabili perché le procedure di valutazione dei rischi e dei benefici sono ormai consolidate e giudicate soddisfacenti. Sono infine parsi ingannevoli i tentativi che le industrie biotech hanno effettuato per far credere che la tecnologia genetica risolverà il problema della fame nel mondo.

E’ interessante notare come le posizioni espresse da chi ha partecipato agli incontri siano molto simili in tutti e cinque i paesi coinvolti, e che non sono cambiate da un anno all’altro, nonostante il fatto che in alcuni stati (soprattutto Regno Unito e Francia) l’intensità del dibattito sugli OGM sia cresciuta molto dal 1998 al 1999.

Riguardo all’introduzione delle biotecnologie in agricoltura, e alla messa in commercio di cibi a base di organismi geneticamente modificati, gli europei si interrogano quindi sul senso di responsabilità di chi deve decidere anche per loro. E giudicano un requisito minimo l’etichettatura dei prodotti alimentari che contengono OGM.

All’inizio di luglio il Parlamento europeo ha votato per l’obbligo di etichettatura di tutti i cibi che contengano almeno lo 0,5 per cento di OGM autorizzati. Secondo Bruna De Marchi, «non c'è un legame diretto fra i risultati del nostro studio e la decisione, anche se i dati parziali del PABE erano circolati a lungo e ampiamente nel Regno Unito e in Francia». Tuttavia il risultato della votazione sembra accogliere le raccomandazioni che gli autori dello studio fanno alle istituzioni che dovranno decidere in Europa sulla messa in commercio degli OGM. Secondo i ricercatori, per recuperare la fiducia dei cittadini occorre che le autorità ammettano gli errori passati e che siano trasparenti nei processi decisionali; che spieghino come sono stati valutati i rischi e i benefici e quali sono i margini di incertezza della tecnologia. Più in generale, si chiede che chi prende le decisioni tenga in considerazione le istanze che arrivano dalla popolazione, e non soltanto i dati che escono dai laboratori di ricerca.

(26 luglio 2002)

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[*] Margherita Fronte (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Pagina personale) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti
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