Commento di Vittorio Bertolini [ * ]
a recenti articoli e saggi sulla comunicazione scientifica

30 aprile 2002

«Non c'è problema scientifico, per complesso che sia, che non possa essere spiegato nei suoi termini essenziali alla gente», così, l’esponente dei verdi Gianni Mattioli, chiude un articolo de il manifesto dello scorso 8 dicembre.

Il problema della comunicazione scientifica è pure al centro di un capitolo non secondario del libro di Massimiano Bucchi "Scienza e società", tanto che Piero Bianucci ne fa il punto centrale della sua recensione su La Stampa del 27 marzo: «esemplare il capitolo che schematizza i due principali modelli della divulgazione scientifica: quello più ingenuo della "traduzione" da un linguaggio specialistico a un linguaggio popolare e quello di un "continuum" che va dai "paper" intraspecialistici degli addetti ai lavori, alle riviste interspecialistiche ("Nature", "Science"), al livello pedagogico dei manuali, fino livello popolare dei giornali e dei settimanali d´informazione generalista».

Sul problema della comunicazione scientifica e del «complicato rapporto tra il grande pubblico e la scienza» si sofferma Franco Voltaggio nell’articolo su il manifesto del 20 aprile "Geni e caratteri. Di stampa" in cui recensisce uno dei saggi del volume "Cellule e genomi", a cura di Carlo Bernasconi e Gianna Milano (Ibis, Pavia, pp. 82, 9,50 euro).

Quasi a complemento della proposizione con cui Mattioli chiude il suo articolo, Voltaggio inizia il suo con una citazione di Thomas Jefferson: «Non conosco alcun depositario certo dei poteri ultimi della società che non sia il popolo stesso, e se noi non lo crediamo sufficientemente illuminato da esercitare questo controllo con salutare giudizio, il rimedio non consiste nel rimuovere l'esercizio di quel potere, ma nell'informare meglio il suo giudizio».

Se l’importanza del rapporto tra informazione e ricerca scientifica è stato messo in luce, direttamente e indirettamente, nel sondaggio promosso dalla Fondazione Giannino Bassetti su Opinione pubblica, biotecnologie e "società del rischio" (infatti da un lato di fronte a domande dirette concernenti alcune precise conoscenze scientifiche è emerso un livello di conoscenza che «resta a livelli modesti, per non dire preoccupanti», dall’altro, in modo indiretto, gli intervistati hanno dimostrato una scarsa fiducia nel ruolo dei comunicatori professionali), quello che rimane in sospeso è come l’informazione scientifica riesca a superare il gap fra complessità dei problemi e l’essenzialità della comprensione. Scrive ancora Voltaggio nell’articolo de il Manifesto «Non c'è il minimo dubbio che quanti, fuori degli "addetti ai lavori", discutano dei progressi e delle novità delle diverse scienze, non dispongono per solito di una formazione culturale adeguata a comprendere il lessico e i concetti della scienza». Ed anche se poi Voltaggio aggiunge: «pretendere che il cosiddetto "uomo della strada" rinunci ad esprimere il proprio parere su contenuti che investono la sua stessa vita e il destino delle future generazioni è non meno futile che antidemocratico», si torna alla questione che per sfuggire alla Cariddi di un «problematico governo degli esperti», si ricade nella Scilla della «teorica impossibilità del progetto divulgativo», come scrive Pino Donghi nel saggio "Linguaggi e generi della comunicazione scientifica" del libro citato.

Ma questa «teorica impossibilità» non è dovuta solo al fatto che anche l’uomo di scienza, quando esce dal proprio ambito specialistico si trova molte volte di fronte a conoscenze inaccessibili, ma soprattutto al fatto che la comunicazione scientifica il più delle volte non ha, o non ha solo lo scopo di fare divulgazione, ma bensì, come ricorda Bucchi in "Scienza e società", anche quello di influenzare l’opinione pubblica e i policy maker nella direzione di alcuni filoni di ricerca rispetto ad altri. Scrive Donghi nel saggio citato: «L’annuncio di una scoperta scientifica può determinare fluttuazioni nel mercato borsistico, sollecitare prese di posizione politiche...».

«L'intenzione sarebbe dimostrare che l'ideologia capitalista all'interno della quale avvengono i progressi della genetica produce una sistematica falsificazione degli obiettivi e delle possibilità effettivamente consentite dalle conoscenze e dalle tecniche», si legge nella recensione al pamphlet di Jordan "Gli impostori della genetica" di Gilberto Corbellini su Il Sole 24 Ore del 21 aprile.

Se poi leggiamo l’intervista di Margherita Fronte a Vandana Shiva su L’Unità del 24 aprile "Gli Ogm? I cowboy del terzo millennio", constatiamo che accanto ad osservazioni sui rischi connessi all’introduzione del cotone transgenico in India la Shiva sviluppa un suo discorso sul rischio di inquinamento politico dovuto ad azioni lobbistiche della Monsanto.

Questa bivalenza della comunicazione scientifica, dove la funzione di marketing o di critica socio-politica molte volte è prevalente rispetto a quella dell’informazione non può che aumentare la sfiducia nella comunicazione scientifica. Su il manifesto del 20 aprile viene riportata l’informazione (ma cfr. anche Il Sole 24 Ore del 17 febbraio) che la rivista Nature ha scritto: «l'allarme, lanciato lo scorso novembre dai ricercatori dell'università della California a Berkeley da Ignacio Chapela e David Quist sul possibile inquinamento da Ogm del mais messicano sarebbe infondato». La "prestigiosa" rivista americana si è inoltre «scusata con i suoi lettori dicendo che non avrebbe mai dovuto pubblicare il lavoro originario di Chapela e Quist». Non è questa la sede per entrare nel merito della questione, però non si può non sottolineare che mentre nell’articolo de Il Sole 24 Ore Corbellini parla di Figuraccia di Nature e aggiunge che i «dati pubblicati da "Nature" sono risultati degli artefatti di laboratorio», nell’articolo de il Manifesto si scrive che «gli ambientalisti accusano Nature di cedere alle lusinghe della lobby del biotech». Se a tutto ciò aggiungiamo il conflitto di interessi nella scienza (cfr. l’omonimo Percorsonodo.gif (891 byte)), non è difficile comprendere la "precauzione" con cui l’opinione pubblica si avvicina alla comunicazione scientifica.

A conclusione conviene citare un articolo de La Repubblica dell’11 aprile ove viene commentato uno studio dell'Osservatorio di Pavia su «quasi quattrocento articoli di quotidiani e più di cento servizi televisivi prodotti nel 2001 sulle agrobiotecnologie». L’articolo in questione inzia con: «Organismi geneticamente modificati o organismi «giornalisticamente» modificati?».

(30 aprile 2002)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti

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