Credibilità dell'informazione scientifica e conflitto d'interessi

di Vittorio Bertolini ( * )

Sull’Unità del 3 maggio è uscito un articolo dal titolo Chi ti paga scienziato chiacchierone nel quale Pietro Greco ripropone il difficile (e per certi versi irresolubile) problema della credibilità dell’informazione scientifica. «La trasparenza stenta ad affermarsi persino nelle riviste più avvertite. Nel febbraio di due anni fa il New England Journal of Medicine, con un'indagine interna, scoprì che ben 19 dei 40 articoli di review su terapie farmacologiche pubblicate erano stati proposti da scienziati con un conflitto di interesse non esplicitato». Questo esempio, ed altri simili, che rimandano tutti al conflitto di interessi hanno posto la rivista scientifica più famosa al mondo, Nature, nella condizione di chiedersi: "Possiamo credere a ciò che leggiamo?"».

Poco più di un anno fa, su Il Messaggero del 13 aprile 2001, è stato pubblicato, a firma Carla Massi, l’articolo E nel laboratorio, sotto la scoperta niente che in sostanza riporta casi analoghi a quelli che hanno dato lo spunto all’articolo di Greco. Cioè annunci clamorosi che poi si rivelano, è proprio il caso di dire, una bolla di sapone. Al centro dell’articolo di Carla Massi è la vicenda del professor Judah Folkman, professore di chirurgia alla Harvard Medical School e al Children's Hospital di Boston, uno scienziato schivo che per oltre 30 anni aveva lavorato nel suo laboratorio (265 pubblicazioni scientifiche) affidando sempre ogni decisione alle autorità sanitarie e che improvvisamente si trovò proiettato sulla prima pagina del New York Times perché aveva scoperto, lavorando sui topi, che certe proteine possono sopprimere un tumore impedendo ai vasi sanguigni di portargli nutrimento. Nonostante Folkman continuasse a ripetere che «Passare dal topo all'uomo è un grosso salto, che spesso fallisce», nell’opinione pubblica si venne a formare una aspettativa crescente sull’efficacia di una cura ancora tutta da sperimentare.

Se quasi sempre il cortocircuito fra scienza, media e pubblico è stato visto come una dimostrazione dello scarso controllo delle fonti, questo certamente non si può dire nel caso Folkman. A più riprese il professore di Harvard ha messo sull’avviso dei limiti della propria scoperta. Aveva infatti dichiarato: «Tutto quello che so è: se hai un cancro e sei un topo, allora noi possiamo prenderci cura di voi».

Senz’altro la notizia, per il fatto di riferirsi a un problema che riguarda i timori e le speranze di milioni di persone, si è in un certo senso autoalimentata. Il giornalista di fronte al rischio di perdere lo scoop preferisce correre l’alea di dare una informazione inesatta (in ultima analisi, non sapere se la cura Folkman è valida per l’uomo non è equivalente a sapere che la cura Folkman non è valida per l’uomo). Dare una notizia inesatta, che però in un prossimo futuro potrebbe anche rivelarsi esatta, è un peccato veniale. Se però ci mettiamo nell’ottica della responsabilità, la tecnica del "binge e purge", cioè prima sparare in prima pagina le notizie e successivamente far intervenire le precisazioni e le puntualizzazioni, si rivela come un’arma a boomerang sia per la credibilità dell’informazione sia della stessa pratica scientifica.

Infatti, se la constatazione che a seguito del tam tam dei media le azioni della ditta che produceva le molecole alla base della terapia Folkman sono balzate da 12 dollari a 83 può indurre qualcuno a ritenere l’informazione scientifica al pari di una qualsiasi pratica di gioco in borsa, esiste, a causa delle aspettative deluse, un costo umano in termini di sofferenza psicologica, per i malati e i loro famigliari, che la responsabilità sociale, sia essa degli scienziati, dei giornalisti o di chi altri, deve cercare di evitare.

Se l’articolo di Greco rimanda al conflitto d’interessi nella forma canonica, un esperto che presta la sua competenza verso fini che poco hanno da spartire con la conoscenza scientifica, nell’articolo della Massi viene avanzata l’ipotesi di un conflitto d’interessi di altro tipo. «Sul banco degli imputati venne fatta sedere l'autrice dell'articolo, Gina Kolata (la più nota delle giornaliste mediche statunitensi) già pronta, a pochi giorni dalla pubblicazione sul giornale, a scrivere un libro sul professore». Ed infatti il direttore del NYT tolse alla giornalista la firma e la sospese per qualche mese dall’incarico, affermando "Non si fanno soldi sulle storie di cui un reporter si occupa, specie se si tratta della vita e della morte delle persone" (cfr. Gianna Milano, Scienza e Media: un rapporto difficile in Cellule e Genomi, Ibis 2002, pag. 68)

Scrive Greco che il conflitto di interessi è accettabile «a patto che sia trasparente e il lettore, esperto e non esperto, sappia con chi intrattiene rapporti l'autore della ricerca», ma se questo può essere più o meno relativamente facile per uno scienziato, i cui rapporti di consulenza possono essere abbastanza rintracciabili, nel caso di un giornalista ciò risulta molto più complesso. Tanto più che al giornalista scientifico molte volte l’opinione pubblica richiede oltre che l’informazione anche la garanzia dell’informazione.

(4 giugno 2002)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti

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