Perché questo Percorso
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Correlazione |
Tutti gli articoli qui citati, oltre ad altri, sono presi in esame
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Da: "Ma non si vive soltanto di marchi",
di Pietro M. Trivelli, Il Messaggero, 17 giugno 2001 [testo presente
sul Sito Web Italiano di Filosofia]
Trivelli: «Quale politica, dunque, per l'ecologia, mentre i grandi della Terra, come Bush, ne prendono le distanze?»
L'atteggiamento rispetto alla comprensione del mondo e il conseguente senso di responsabilità Enzensberger: «Ah, gli Americani. Il loro presidente, in posizione di egemonia, è ancora più a rischio di scarsa "intelligenza" delle cose. Anche Bush paga il suo prezzo, non avvertendo la necessità di riflettere. E' quasi inevitabile. Tutti i grandi imperi hanno assunto atteggiamenti di questo tipo, rispetto alla comprensione del mondo. Per il semplice fatto di sentirsene padroni. Ecco perché Bush può rinnegare il protocollo di Kyoto, sottoscritto pure da Bill Clinton.»
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La percezione del rischio «Quando si entra in una materia delicata e controversa come la ricerca scientifica, è difficile trarre conclusioni valide sul lungo periodo. Anche per questo ci sono voci discordanti persino tra gli scienziati, mentre i modelli matematici si fanno sempre più sofisticati. Specie per l'analisi globale del clima terrestre: un calcolo complicatissimo. Non sono equazioni lineari. La "macchina del clima", come si dice, è imprevedibile. Per controllarla bisognerebbe conoscerne tutte le variabili, con la speranza di saperne di più nei prossimi dieci anni. Ma è meglio partire da analisi approssimate più per eccesso che per difetto, per prevenire le varianti più pericolose. Come quando si guida l'automobile, occorre prevedere incidenti e comportarsi di conseguenza".»
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I politici «Quando si affrontano simili problemi, energetici, ecologici, ambientali, di sopravvivenza, la questione è essenzialmente politica. E le ipotesi dei politici non superano i quattro o cinque anni: il tempo di arrivare alle prossime elezioni. Perciò i loro programmi non sono mai a lungo termine.»
Da: "Enzensberger: nel mondo globale
non serve l'intellettuale", di Luigi Forte, La Stampa, 30 giugno 2001 [testo presente sul Sito Web Italiano di Filosofia]
I costi umani del progresso e le utopie degli scienziati Enzensberger: «Devo dire innanzitutto che io sono anche un amante della scienza. Sono appassionatamente interessato, seguo molte pubblicazioni scientifiche, conosco molti scienziati, capisco questo impulso umano, questa infinita curiosità. Sono dunque tutt'altro che un nemico della scienza. Sono però attento al fatto che non esiste un progresso gratuito, ogni progresso ha un suo prezzo. Il problema si pone oggi nelle scienze biologiche in maniera molto chiara. Oggi noi possiamo manipolarci, ma non succederà senza costi umani e per questo trovo curioso che le scienze biologiche abbiano preso il posto delle utopie politiche. Un tempo c'erano idee, fantasie sulla creazione di una società ideale. Parola d'ordine era l'uomo nuovo. Già Campanella voleva inventare l'uomo nuovo, e anche Tommaso Moro e tutti gli utopisti di allora volevano un uomo nuovo. Poi il comunismo ha fatto un grande tentativo per l'uomo nuovo. Oggi non abbiamo più utopie politiche di quel genere e quel posto vuoto è stato occupato dagli scienziati.»
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Forte: «Lei pensa che si possano porre dei limiti, dei confini alla scienza?»
La possibilità di scegliere Enzensberger: «Certo che no, ma la società non può accettare semplicemente questa cosa, bisogna riflettere su ciò di cui abbiamo bisogno, con che cosa siamo compatibili, perché non lo siamo con tutto. Se ci vogliono mettere un chip nel cervello, questo comporta un mutamento, e si deve poter dire: molte grazie, cari scienziati, ma io non voglio avere un chip nel cervello! Questa possibilità si deve avere e non può essere lo scienziato a decidere in merito.»
I brani seguenti sono tratti dall'articolo, pubblicato in giugno dal Corriere della Sera, in cui Enzensberger esponeva le sue tesi sul rapporto tra gli scienziati e la società, e dal successivo articolo che ha raccolto le repliche di alcuni scienziati e intellettuali.
Da: "Scienziati, aspiranti redentori",
di Hans Magnus Enzensberger, Corriere della Sera, 4 giugno 2001 [testo
presente sul Sito Web Italiano di Filosofia]
Fisica e biologia Determinate discipline delle scienze naturali come la geofisica o la meteorologia conducono un'esistenza piuttosto modesta nell'ombra delle cosiddette "scienze guida". Nel Ventesimo secolo questo ruolo è stato attribuito alla fisica teorica. Ormai, assieme alle scienze informatiche e quelle cognitive, la biologia ha preso il suo posto. Quest'ultima «non ha solo posto fine alla separazione tra ricerca di base e ricerca applicata, ma è allo stesso tempo la scienza capitalistica e rivoluzionaria per eccellenza. La biotecnologia è la tecnologia che sta alla base del prossimo grande ciclo economico» (Claus Koch). Risulta evidente che in presenza di un così profondo cambiamento del sistema cognitivo non si può rinunciare alle pretese ideologiche. Se in passato era compito degli sciamani e dei guaritori miracolosi estirpare tutti i mali, oggi se ne occupano biologi molecolari e genetisti; e non sono più i preti a parlare di immortalità, bensì i ricercatori.
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Fede (cieca) nel progresso La buona vecchia fede nel progresso, di cui fino a poco tempo fa nessuno voleva sentir parlare, vive così una resurrezione trionfale.
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Conflitto di interesse La posizione oggettiva delle istituzioni scientifiche è radicalmente cambiata. Il divario tra la ricerca e la sua valutazione economica si è talmente ridotto che non è più rimasto molto di quell'indipendenza di cui si vanta la scienza. Gli enormi investimenti nella ricerca devono fruttare al più presto del reddito
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Anche la politica risulta essere perplessa e impotente nei confronti del modello scientifico-industriale. La sua [ndr: della scienza] strategia è semplice - mira con abilità al "fait accompli" (fatto compiuto), al quale la società deve rassegnarsi (...) Con la stessa abilità viene liquidata ogni obiezione, vista come attacco alla libertà della ricerca, come ostilità inspiegabile verso la scienza e la tecnica e come superstiziosa paura del futuro.
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La reazione Tutto sommato non ci vuole molta fantasia per prevedere che i primi contraccolpi porteranno a una mobilitazione attiva. Se persino gli animalisti sono capaci di reazioni terroristiche, che forme assumerà la resistenza quando non si tratterà più di rischi astratti o lotte tra rappresentanti, ma della propria pelle, del concepimento, della nascita e della morte?
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Una "nuova scienza" In fin dei conti l'utopia del completo controllo sulla natura e sull'uomo non fallirà a causa dei suoi oppositori, come è successo con tutte le utopie fino a ora, ma a causa delle proprie contraddizioni e della sua megalomania. L'umanità non si è mai congedata liberamente dalle proprie fantasie di onnipotenza. Solo quando la hybris (prevaricazione dell'uomo nei confronti degli altri uomini, della natura, degli dei, ndr) avrà iniziato il proprio cammino, il comprendere i propri limiti prenderà - per necessità - il sopravvento, probabilmente a un prezzo catastrofico. In quel momento anche una scienza che rispettiamo e con la quale possiamo convivere avrà nuovamente una possibilità.
Da: "Meglio sciamani che depressi, gli
scienziati replicano ad Enzensberger", di Cesare Medail Corriere della Sera, 5
giugno 2001 [testo presente sul Sito Web Italiano di Filosofia]
Conflitto di interesse: v. Percorso Secondo Massimo Piattelli Palmarini, professore di Scienze cognitive a Tucson (Arizona), sono gli enti che elargiscono i fondi per la ricerca a indurre gli scienziati a stupire dicendo "che le loro ricerche rivoluzioneranno tutto o salveranno il mondo": "Lo dicono anche se non ci credono", - sostiene Piattelli - "e poi restano prigionieri dei loro annunci". Le cause del meccanismo perverso? "Impazienza e miopia impongono risultati nell'arco di due-tre anni. Il politico ha scadenze elettorali, l'industria esigenze di profitto a breve termine. Max F. Perutz, che ci ha messo vent'anni a scoprire le strutture dell'emoglobina, ha detto: "oggi non mi darebbero i soldi".
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Non c'è una visione teorica complessiva [Mauro Cerutti (docente di Epistemologia genetica a Milano e membro del Comitato nazionale di Bioetica) sottolinea che] "In campo biotecnologico, per esempio, la tecnica è più avanti della scienza, nel senso che provoca un'evoluzione di artefatti, per i quali non esiste pensiero scientifico"
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Il controllo delle applicazioni scientifiche apartiene ancora alla comunità scientifica La scienza non si identifica ancora con la produzione
[Pasquale Tucci (storico della fisica dell'Università di Milano) sostiene che] "E' vero che oggi abbiamo maggior integrazione fra scienza e produzione, ma i meccanismi di controllo non sono in mano all'industria, bensì alla comunità scientifica che non si identifica ancora con la produzione e ha criteri propri per selezionare i risultati".
Se così non fosse, l'hybris (o tracotanza) dello scienziato manipolatore avrebbe la strada spianata, favorita da chi regge il cordone dei fondi, "Nel mito greco - conclude Tucci - i tracotanti erano puniti con la cecità: se così fosse, la scienza fusa con l'industria non andrebbe troppo lontano". Perché avanzerebbe a tentoni di manipolazione in manipolazione, senza muovere un passo sul cammino della conoscenza.
Nell'editoriale del numero di luglio 2001 di Le Scienze [sul sito di Le Scienze, www.lescienze.it], Enrico Bellone dà una secca risposta alle tesi esposte da Enzensberger in "Scienziati aspiranti redentori". [30 agosto 2001]