Piero Piazzano
(right-sfondochiaro.gif (838 byte) Scheda biografica)

Commento a "Biotechnology Food: From the Lab to a Debacle"

(Febbraio 2001)


 References 

Alcune osservazioni sull’articolo del New York Times, che mi sembra sempre più attuale col passare dei giorni.

Si tratta, per chi non ha avuto tempo di leggerselo, di una ricostruzione degli eventi che hanno portato alla rapida ascesa e alla successiva rovinosa caduta della Monsanto, prima azienda agro-chimica a cavalcare la tigre delle biotecnologie negli anni 80 e prima anche a subire le conseguenze del ridimensionamento del settore alla fine del decennio 90: dall’anno scorso la Monsanto è stata assorbita da un’azienda farmaceutica, la Pharmacia. L’articolo, che occupa ben 9 cartelle in A4, è stato scritto a cura di Gina Kolata, potente responsabile delle pagine scientifiche del NYT, e da altri collaboratori del giornale.

Secondo gli autori, a causare il crollo -il titolo dell’articolo è: Biotechnology Food: From the Lab to a Debacle- è stata soprattutto una serie di errori gestionali del management della Monsanto, legata in particolare a un brusco cambio di direzione nei rapporti con gli organi federali di controllo su prodotti e alimenti, come la FDA e l’EPA, e con le organizzazioni di tutela dei consumatori.

Alla metà del decennio 80, gli stessi dirigenti della Monsanto avevano chiesto agli enti di controllo di emanare regole di comportamento per la produzione dei cibi geneticamente modificati (OGM), ponendosi addirittura in opposizione alla linea superliberista dell’Amministrazione Reagan.

Contemporaneamente, la politica dell’azienda sceglieva un comportamento di trasparenza nelle informazioni scientifiche, e chiedeva la consulenza degli esponenti più moderati delle organizzazioni verdi e di tutela dei consumatori.

Improvvisamente, all’inizio del decennio 90, questa politica venne abbandonata, contemporaneamente a un rinnovamento dei vertici aziendali. La nuova dirigenza cominciò a premere per ottenere una netta deregulation nella legislazione relativa agli OGM, subito accettata dall’Amministrazione e riassunta nella frase di Dan Quayle, all’epoca vicepresidente con Bush senior: "Faremo in modo che i prodotti biotecnologici possano ricevere lo stesso tipo di controllo degli altri prodotti, invece di essere boicottati da regole non necessarie".

Un regalo per le frange più dure dell’ambientalismo, come ammette Jeremy Rifkin, intervistato dagli autori dell’articolo. Le principali organizzazioni verdi e di tutela, non più frenate dalle aperture dell’azienda, cominciarono un’azione coordinata in tutto il mondo mettendo in evidenza le incertezze degli stessi scienziati sulla sicurezza degli OGM, a partire dall’anello più debole della catena, l’Europa.

Questo, riassunto al volo, il succo dell’articolo, ma a leggerlo si scoprono molti altri interessanti particolari. Su questa trama mi interessa fare alcune osservazioni:

1. Secondo la classifica esposta da uno dei più importanti esperti di "scienza della persuasione", Robert Cialdini (si veda il suo articolo Scienza della persuasione su Le Scienze, marzo 2001, e la mia appendice Risorse in Rete), sono sei le "modifiche comportamentali" che possono essere indotte per ottenere l’acquisizione del consenso da parte dei consumatori. Tra queste, una delle più efficaci è quella che Cialdini chiama reciprocation e che i maestri di retorica chiamavano captatio benevolentiae. Un’altra è definita authority (i retori la chiamavano auctoritas) e utilizza per l’acquisizione del consenso il supporto e la testimonianza degli esperti. Secondo quest’ottica, la Monsanto avrebbe abbandonato un comportamento nei confronti dei consumatori basato sulla reciprocation ("io ti tengo informato e ti coopto nei miei comitati scientifici; tu in cambio appoggi le mie iniziative"); per un altro basato sull’authority ("i miei scienziati hanno detto che i cibi OGM sono identici ai cibi ‘naturali’; perciò invece di etichettarli e di farti sapere come li produco, ti sommergo di dichiarazioni di premi Nobel").

2. Ma c’è di più. La storia raccontata dal NYT mette anche il dito nella piaga di un tema oggi assai dibattuto in Italia, ma universale: l’arroganza della scienza. O meglio: l’uso arrogante della scienza, che talvolta viene fatto dagli scienziati, e molte altre volte da altri soggetti della comunicazione e dell’economia. Qui sta, a mio avviso, il vero nocciolo della questione. Da almeno quattro secoli lo scienziato non dovrebbe essere più automaticamente il portatore dell’auctoritas, ma anzi un suscitatore di dubbi.
Ma sappiamo bene che questo non sempre è vero. Capita così che lo scienziato venga utilizzato, spesso con la sua adesione e talvolta a sua insaputa, come testimone di campagne che hanno come tema uno o più aspetti dello stesso sapere scientifico. Capita anche che altri scienziati, o altre scoperte scientifiche, mettano in discussione proprio gli stessi risultati su cui si è impegnata l’auctoritas di alcuni importanti membri della comunità scientifica.
Il risultato è la cosiddetta "perdita di credibilità" nel sapere scientifico, che giustificherebbe la cosiddetta "fuga verso l’irrazionale" e così avanti. Ovviamente, si tratta di assurdità logiche: la scienza vive proprio di successive perdite di credibilità (falsificazionismo), che non dovrebbero in alcun modo sfociare nell’irrazionalità, ma caso mai nella costruzione di paradigmi più avanzati.
La conclusione, per esprimersi "alla Cialdini", è questa: come testimoni di campagne per l’acquisizione del consenso è meglio utilizzare personaggi come Pippo Baudo o Pietro Taricone, piuttosto che scienziati. Meglio riservare agli scienziati il compito di testimoniare per la libertà della ricerca e per la continua messa in discussione dei suoi risultati.

3. Ultima considerazione tratta dall’articolo: il potere politico delle multinazionali. Sarò un ingenuo, ma mi ha stupito la tranquillità con cui i suoi autori danno per scontato che un’azienda come la Monsanto abbia potuto, nel 1986, andare contro la stessa ideologia dell'Amministrazione chiedendo di regolamentare il settore e, cinque anni dopo, ottenere rapidamente la cancellazione delle stesse norme. Su questo aspetto Gina Kolata e soci non indugiano, dando probabilmente per scontato che questa sia la regola. A costo di allungare viepiù il già lungo saggio, avrei preferito approfondire questo aspetto: fino a che punto sono libere di muoversi le strutture nazionali che si occupano di regolazione e controllo in campi determinanti per la salute dei cittadini? Che differenze esistono fra gli USA, l’Europa e i singoli stati europei? Vedi casi "mucca pazza", integratori agli antibiotici o agli ormoni e, appunto, OGM.

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