Recensione di Margherita Fronte [ * ]
del libro di Massimiano Bucchi "Scienza e società"

Le nuove sfide dei sociologi e della scienza

Che il progresso scientifico e le innovazioni tecnologiche siano strettamente connesse al contesto sociale ed economico in cui si realizzano è un fatto che ben pochi, oggi, si sentirebbero di contestare. Questa consapevolezza è per˜ relativamente recente, ed è il frutto di una disciplina giovane - la sociologia della scienza - che ha faticato non poco a guadagnare lo status di disciplina a se stante, schiacciata fra le rivendicazioni di competenza della filosofia e della bioetica, e le accuse di "invasione di campo" della scienza più tradizionale. La nascita e lo sviluppo degli studi che hanno esaminato, a partire dal secondo dopoguerra, l’intreccio fra la ricerca scientifica e la tecnologia e il contesto sociale è l’argomento del libro Scienza e società, di Massimiano Bucchi, docente di Sociologia della scienza all’Università di Trento.

L’autore chiarisce il suo scopo fin dalle prime pagine: "Questo libro non ha l’intento di fare l’apologia della sociologia della scienza, o di riabilitarla agli occhi di scienziati e commentatori. L’obiettivo, ben più modesto, è presentare alcuni dei principali contributi che hanno caratterizzato questo settore in oltre un cinquantennio. Mostrando, per quanto possibile, che si tratta di un ambito di ricerca ormai estremamente articolato e diversificato, ricco di studi empirici e dibattiti interni spesso non meno vivaci delle polemiche con l’esterno". Come ogni altra disciplina, la sociologia della scienza si è evoluta attraverso un percorso spesso accidentato, fatto di tesi forti, poi contestate o modificate, e di dispute sulla definizione di metodi comuni. E i sociologi che volessero considerare la loro disciplina priva delle dinamiche interne che caratterizzano le altre scienze commetterebbero lo stesso errore di quegli scienziati che negano - o più semplicemente non vedono - le relazioni strettissime che il progresso scientifico ha con il contesto sociale, politico ed economico. Come ogni altro settore del sapere umano, quindi, la sociologia della scienza è ben lungi dall’essere una disciplina "finita". Ma nella sua storia, anche se breve, alcuni punti fermi possono essere individuati. Bucchi, per esempio, ne circoscrive la nascita nel periodo storico del secondo dopoguerra, e mette l’accento sull’importanza teorica e metodologica dei lavori di Robert Merton e della scuola di Edimburgo, di Thomas Khun, e, più recentemente, di Bruno Latour.

La tecnica ampiamente usata dai sociologi della scienza di esaminare casi specifici per verificare la bontà delle loro teorie dà poi la possibilità all’autore di tracciare, parallelamente alla storia della disciplina che è oggetto del libro, l’evoluzione del lavoro dello scienziato e, più in generale, dell’impresa scientifica. L’autore lascia che i due temi procedano fianco a fianco, grazie proprio alla narrazione degli episodi su cui i sociologi della scienza hanno centrato le loro analisi. Ne emerge come, in epoche diverse, gli scienziati hanno dovuto sottoporre la loro attività all’esame non solo dei colleghi, ma anche della comunità - principalmente economica - che dalle loro scoperte poteva trarre beneficio, o essere danneggiata. La storia di Louis Pasteur, studiata a fondo da Latour, ne è un esempio. "Avversato da buona parte dei suoi colleghi per la sua spiegazione delle malattie infettive e per l’ipotesi - ritenuta assurda - che queste potessero essere prevenute attraverso l’inoculazione della malattia stessa, Pasteur riuscì a costruire il suo fatto scientifico ottenendo il supporto di veterinari, igienisti, allevatori" scrive Bucchi. Il consenso della comunità dei medici attorno alle teorie di Pasteur ci fu soltanto in seguito alla "trasformazione dei vaccini in sieri. Mentre infatti il vaccino preventivo, secondo i medici ìporta via lavoro”, riducendo il numero degli ammalati e introducendo la concorrenza di igienisti e vaccinatori, il siero pu˜ più facilmente essere inserito nel quadro della pratica medica in quanto presuppone una diagnosi e una somministrazione a posteriori del tutto simile a ogni altro farmaco" prosegue Bucchi.

Ma il legame con i diversi settori della società è ancora più evidente oggi, che l’impresa scientifica ha assunto un carattere innegabile di impresa economica. Nell’ultima parte del libro, Bucchi esamina le caratteristiche della moderna scienza imprenditrice. L’esempio che viene subito alla mente, e che l’autore affronta, è quello della gara alla decodifica del genoma umano, finita in parità fra Craig Venter e la sua Celera Genomics e il Progetto Genoma, finanziato da soldi pubblici e diretto da Francis Collins. La gara più avvincente cui la biologia abbia mai assistito non è stata segnata soltanto dalle ricerche che si svolgevano nei laboratori. Altrettanto importanti sono state le mosse diplomatiche dei due rivali, la loro capacità di ingraziarsi i politici più potenti del mondo, e, non ultimo, il saliscendi delle quotazioni in borsa della Celera.

La corsa al genoma umano è un esempio paradigmatico di come, in scala più ridotta, si muovano oggi i lavori di ricerca di moltissimi scienziati. Non senza conseguenze per il progresso della conoscenza. Bucchi osserva, per esempio, che la capacità di conquistare visibilità sui media tradizionali sta modificando il modo con cui la comunicazione dei risultati circola all’interno dello stesso mondo scientifico. Arrivare sulle prime pagine diventa più importante che pubblicare i dati su una rivista tradizionale soggetta a peer review. I finanziamenti che i ricercatori ricevono sempre più da privati dipendono anche da questo, e determinano la direzione che prende la ricerca scientifica, soprattutto nel settore biomedico e biotecnologico. I media tradizionali si trasformano in uno strumento di comunicazione nelle mani degli stessi ricercatori, che sono sempre più abili nell’utilizzarli. Stretta fra interessi economici, necessità di comunicare al pubblico i risultati in modo tale che vengano accettati, e strategie politiche, la scienza deve così affrontare una sfida che Bucchi mostra essere non nuova, anche se oggi più difficile che mai: quella di mantenere la propria autonomia e conservare gli obiettivi della conoscenza pura.

(30 aprile 2002)

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[*] Margherita Fronte è giornalista scientifica presso l'Agenzia Zadig di Milano.
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