Il Sole 24 Ore, domenica, 1 aprile 2001

Ogm, libertà e responsabilità

di Rodolfo Saracci e Paolo Vineis
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A metà febbraio milleduecento ricercatori italiani, tra cui due premi Nobel e vari nomi illustri hanno rilanciato l'appello sostegno della ricerca scientifica pubblicato su «Il Sole 24 Ore-Domenica» il 5 novembre (vedi http://sole.ilsole24ore.com/cultura), per protestare contro i divieti del ministro alle Politiche agricole concernenti le sperimentazioni con organismi geneticamente modificati (Ogm), contro l'inadeguato finanziamento della ricerca scientifica e tecnologica. Sull'ultimo punto non si può che concordare con i motivi della protesta. La produttività scientifica del "sistema Italia " (pubblicazioni scientifiche rapportate al reddito pro capite) è tra le più basse d'Europa e il finanziamento per la ricerca è nuovamente disceso negli ultimi anni all'1% del Pil, meno della metà della percentuale investita dagli altri paesi europei comparabili all'Italia.

Se la frustrazione per questo stato di cose è una motivazione condivisibile della protesta dei ricercatori, il loro appello e la manifestazione che ne è seguita a Roma sollevano numerosi interrogativi quanto ai contenuti e, più generalmente, alla responsabilità sociale dei ricercatori, in particolare sull'argomento degli Organismi Geneticamente Modificati (Ogm). Una recente rassegna (Wolfenbarger L.L., Phifer P.R.,Science, 290-2088-2093) sottolinea che gli Ogm non sono assimilabili in tutto, rischi compresi, agli organismi modificati geneticamente per incrocio selettivo con cui conviviamo da secoli e conclude: «Né i rischi né i benefici degli Ogm sono certi o universali... La nostra incapacità a predire accuratamente le conseguenze ecologiche, specialmente a lungo termine, così come le interazioni di ordine più elevato, aumenta l'incertezza associata alla valutazione del rischio e può richiedere modificazioni delle nostre strategie dì gestione del rischio».

Non ci sembra affatto una limitazione della libertà di ricerca il fatto che il ricercatore debba tenere conto di queste considerazioni e non sia autorizzato a chiudersi nel circuito interno del proprio programma di indagine, astraendosi dal contesto in cui il programma viene oggettivamente a collocarsi. Preoccupa una dichiarazione come quella attribuita da «Repubblica» a Rita Levi Montalcini: «Questa storia delle multinazionali è davvero ridicola. La maggior parte di noi scienziati non sa nemmeno cosa sono». Se è così quale fiducia può accordare la società alla capacità di autogoverno di una categoria di specialisti della ricerca di conoscenze la cui maggioranza non sa nemmeno in che mondo vive? L'autogovemo e la responsabilità dei ricercatori riposano sul principio, fondatore della libertà di ricerca come di ogni altra libertà: a ogni grado dì libertà corrisponde un grado di responsabilità».

Con riferimento a questo principio è opportuno esaminare alcuni aspetti che non crediamo siano stati trattati in modo adeguato:

1 Ritengono i ricercatori di avere comunicato esauriente e chiaramente con il pubblico circa le finalità della ricerca sugli Ogm? Un conto è sostenere la necessità della libertà di ricerca, un conto è confondere lo strumento con i fini. Perché si devono produrre Ogm? A che cosa servono? Risolveranno i problemi della fame nel Terzo Mondo? Nessuna singola invenzione o tecnologia ha finora risolto problemi - come quelli del Terzo Mondo - che sono essenzialmente politici e di rapporti di potere. Sono stati consultati gli esperti di problemi sociali del Terzo Mondo?

2 Nel caso del mondo economicamente sviluppato, perchè occorrono gli Ogm? Una ragione principale è che sicuramente la grande industria agro-alìmentare ha bisogno di espandere i propri mercati, a scapito della piccola produzione: si è d'accordo?

3 I ricercatori sono sembrati fare tutt'uno della ricerca scientifica, di per sé positiva, e del trasferimento dei risultati nella pratica, sottovalutando le ricadute, positive e negative, di varia natura (economiche, politiche, etiche) che un filone di ricerca può avere: questo anche in considerazione del fatto che, essendo le risorse limitate, ogni filone di ricerca si sviluppa necessariamente a spese di altri;

4 I ricercatori sono sembrati ignorare gli aspetti simbolici nella reazione dei cittadini agli sviluppi della tecnologia. Molte reazioni hanno componenti irrazionali (vedi anche i casi Di Bella, uranio impoverito, mucca pazza) in parte dovuta, per quanto riguarda gli Ogm, al fatto che le persone temono uno stravolgimento dell'esistenza quotidiana nei suoi aspetti materiali e simbolici: la sostituzione di cibi conosciuti e culturalmente connotati (quelli della "mia terra") con cibi prodotti industrialmente, culturalmente anonimi o addirittura culturalmente "altri" (prodotti dalle multinazionali senza identità e senza responsabilità identificabili, con marchi e simbolismi estranei); o la sostituzione di un paesaggio agricolo conosciuto, controllabile e lentamente evolvente con uno in rapidissima trasformazione biotecnologica su larga scala. Si pone, oggi più ancora di quanto sia accaduto in due secoli di mutazione industriale del mondo, un problema di identità, di simboli in cui riconoscersi, di crescente straniamento e "disincanto del mondo": è un problema culturale - in senso profondo - ed è anche un problema del potere e non-potere di ciascuno nella società, che non si può eludere con leggerezza. Essere entrati in pieno nella fase della "riproducibilità tecnica (bioingegneristica) della natura" è un fenomeno di enorme portata per la civiltà e implica un'apertura e una capacità di dialogo con tutti i settori della società che tra i ricercatori appare ancora insufficientemente sviluppata.


Ndr: Si veda la risposta di Silvio Garattini sul medesimo numero del Sole 24 Ore.