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Figura di spicco degli studi sullapprendimento linguistico, Jacques Mehler è stato uno dei primi studiosi a dimostrare, grazie a innovative tecniche sperimentali, che i neonati hanno capacità cognitive molto maggiori di quanto si potesse credere. Mehler è uno degli scienziati grazie ai quali le scienze cognitive esistono come settore disciplinare in Europa. Da qualche anno ha lasciato lEhess di Parigi per diventare direttore del Laboratorio di neuroscienze cognitive della Sissa (Scuola internazionale superiore di studi avanzati) di Trieste.
Riferimenti
(Links a cura di Paola Parmendola [ ** ]) |
Durante la sua carriera ha cambiato tante volte sede di ricerca, lasciando istituti prestigiosi, quali Harvard, il Massachusset Institute of Tecnology, il CNRS di Parigi. Per quale motivo ora ha deciso di lavorare in Italia?
È stato il senato accademico della Sissa, sotto la direzione di Daniele Amati, a chiamarmi. Lidea era quella di espandere il nuovo Settore di ricerca in neuroscienze cognitive includendo gli studi sul linguaggio e lo sviluppo cognitivo. E io ho accettato, anche se bisognava partire da zero e costruire un gruppo di studi interdisciplinari dal niente.
Due sono gli aspetti di questo istituto di ricerca che mi hanno convinto ad accettare la sfida: prima di tutto la vicinanza con studiosi di scienze esatte conosciuti a livello internazionale, secondo il confronto con studenti di diversa formazione e di diversa nazionalità.
In Francia non mi potevo certo lamentare, ero circondato da ottimi studenti selezionati dalle più importanti scuole di eccellenza del paese, ma erano tutti molto simili come impostazione. Quello che mi piace e che trovo interessante della Sissa è la notevole varietà culturale che la caratterizza.
Ci tengo comunque a sottolineare che ho accettato di lavorare qui perché si tratta di un istituto che ha come obiettivo quello di promuovere la ricerca e di formare ricercatori che avranno importanti carriere scientifiche. E questa non mi sembra la norma negli ambienti universitari.
Se le avessero offerto di aprire un settore di ricerca in ununiversità italiana, dunque, non avrebbe accettato?
Difficile rispondere, tuttavia non credo che sarei venuto in Italia per entrare a fare parte di un ambiente accademico, insegnare a livelli elementari a un numero esagerato di studenti e integrarmi in un sistema in cui la ricerca non è al centro di nessun incarico.
La Sissa è un buon posto dove lavorare, in quanto abbiamo a che fare con studenti altamente selezionati che vengono da diversi paesi per fare ricerca. I professori, inoltre, sono scelti dopo che una commissione internazionale dà giudizi accurati sulle loro competenze.
Nelle università italiane invece le cose tendono ad andare diversamente. I concorsi sono organizzati a livello nazionale ed è difficile essere sicuri che i migliori candidati partecipino alle prove di esame.
Idealmente le università dovrebbero diventare più indipendenti dallo stato, diventare più competitive tra loro e incrementare i contatti con le regioni e con le realtà locali.
Un limite tipicamente italiano è che tra gli industriali cè incomprensione e indifferenza nei confronti della ricerca scientifica. Una soluzione potrebbe essere quella di dare più autonomia alle regioni e di detassare quelle industrie che decidono di finanziare le università locali.
La ricerca di base è la risorsa più preziosa dei paesi avanzati e solo con la produzione di conoscenza questi paesi potranno continuare ad assicurare il benessere ai cittadini.
Cosa significa progettare un settore di ricerca partendo da zero in un paese come lItalia?
Abbiamo attivato il Laboratorio di psicologia cognitiva allinterno del Settore di neuroscienze cognitive nellestate del 2001 e i lavori sono ancora in corso. Il gruppo si sta formando, non so se ci riusciremo.
È unimpresa assai ardua realizzare questo laboratorio, soprattutto per il fatto che non è sempre facile attirare bravi ricercatori qui a Trieste.
Gli stipendi sono più bassi che in altri contesti europei, le risorse per lallestimento di laboratori attrezzati sono minime e lo spazio che abbiamo a disposizione è assolutamente insufficiente per lavorare in condizioni paragonabili a quelle in cui mi sono trovato ad operare fino a ora.
Basta guardare il mio ufficio.
Dalla Francia ho portato con me Marcela Pena, medico pediatra che ha fatto il dottorato con me e Luca Bonatti, prestigioso filosofo del linguaggio, diventato un eccellente psicologo cognitivo sperimentale. Con Pena, Bonatti e Marina Nespor, cattedratica di linguistica presso lUniversità di Ferrara, già alla fine del 2002 abbiamo pubblicato un importante lavoro sulla rivista Science. Spero che i miei collaboratori rimangano, anche se mi rendo conto che scegliere di andare via è una decisione comprensibile.
La motivazione forte per cui ha senso decidere di restare è credere nel progetto e per ora lo stiamo facendo.
Come è composto il suo gruppo e di cosa si occupa esattamente?
Si tratta di un gruppo misto per nazionalità e specializzazione scientifica: medici, neuroscienziati cognitivi, filosofi, fisici, statistici, e da esterni, linguisti e psicolinguisti.
Oggi per osservare gli aspetti neurologici, psicologici e linguistici del problema dellapprendimento del linguaggio è più che mai necessario affrontare la ricerca considerando le diverse prospettive disciplinari.
Il "Language, Cognition and Development Laboratory" è un luogo di ricerca dove ci si concentra sullo sviluppo del linguaggio e della mente e sulle basi cerebrali del linguaggio. Facciamo ricerca su bambini nati da pochi giorni, su adulti bilingui e su madrelingua di diversa provenienza (francesi, giapponesi, turchi, baschi, inglesi, spagnoli).
Da poco abbiamo allestito un eccellente laboratorio per lo studio del cervello dei neonati, dotato di strumentazioni ad alta risoluzione che restituiscono immagini dei movimenti cerebrali.
Quali sono stati gli eventi che lhanno portata a occuparsi di neuroscienze cognitive?
Io ho studiato in Argentina e le uniche discipline che si potevano intraprendere seriamente in quel periodo erano le scienze esatte.
Presa la laurea, ho deciso di partire per Oxford, al seguito di un professore che era venuto in Argentina per un corso di meccanica quantistica.
Là mi sono reso conto di aver letto tanto, di sapere tante cose ma di non essere in grado di risolvere un problema! Gli studenti che facevano il dottorato a Oxford, invece, risolvevano con impressionante velocità i quesiti posti dai professori. Per me ci voleva una settimana. Ed è per questo che sono rimasto, per imparare a risolvere i problemi.
Lavoravo in un gruppo che si occupava della parte statistica dei cosiddetti behaviour studies, e col passare del tempo mi sono appassionato alla psicologia. Presto arrivò la decisione di cambiare mestiere.
Preso un master degree in psicologia sono partito per Harvard, dove ho fatto il dottorato in psicologia con George Miller, uno dei primi psicologi che contestò apertamente il behaviorismo.
A Harvard mi sono trovato nel bel mezzo di quella che Kuhn chiamò la rivoluzione cognitiva e ho partecipato a uno dei dibattiti scientifici più importanti nella storia della psicologia.
È stato un momento molto bello.
Cosa è successo?
È successo che a Harvard lavoravano i più famosi esponenti del behaviorismo guidati da Skinner, che in quel periodo era il più autorevole riferimento degli studi sul comportamento.
Ma dallaltra parte cerano Miller, il mio professore, e altri giovani ricercatori, tra cui Chomsky, che allepoca non aveva neanche trentanni. Accadde che Chomsky pubblicò una recensione al libro "Verbal behavior" di Skinner, opera in cui lautore estende le sue teorie sul comportamento, considerando il linguaggio come un comportamento acquisito. In trenta pagine appassionate Chomsky ha distrutto tutta la proposta teorica di Skinner, proponendo unalternativa al behaviorismo. Il linguaggio, da comportamento acquisito, veniva finalmente considerato come una facoltà umana essenzialmente computazionale e con una larga base innata, e il cervello, di conseguenza, incominciava ad essere concepito come una macchina complessa, e non più come una centralina telefonica.
I migliori studenti di Harvard concentrarono le loro ricerche in questa direzione e fu così che un gruppo agguerrito di ricercatori diede vita alla rivoluzione cognitiva.
(Febbraio 2003 ; on-line: 30 aprile 2003)
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[*] Licia Gambarelli, autrice dell'intervista, collabora con alcune testate giornalistiche
e attualmente sta scrivendo il suo primo libro di divulgazione scientifica. Fa parte del
gruppo di ricerca sulla comunicazione della scienza (ICS) presso la Sissa di Trieste.
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[**] Paola Parmendola che ha curato i riferimenti (links nel box sulla destra del testo)
ha una laurea in matematica e lavora in una società di informatica.
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