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"Responsabilità
sociale dell'imprenditore" a pagina 7 degli Argomenti ________________ Per intervenire in argomento anche a Forum chiuso scriveteci |
Data: 21 dicembre 2002
Da: Giacomo Correale e Carlo Penco
Oggetto: Imprenditore: autocratico o democratico?
In una recente intervista (Corriere della Sera, 14.12.02) Carlo De Benedetti, Presidente del gruppo CIR, ha dichiarato:
"Sono convinto che esista una incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura autocratica che contraddistingue le decisioni di un imprenditore, e la natura democratica che deve contraddistinguere quelle di un politico".
Ci viene in mente un'altra affermazione di diversi anni fa, di Prodi, che recitiamo a memoria: l'imprenditore deve essere un semplificatore, mentre il politico deve agire contemperando una vasta pluralità di esigenze.
Nonostante l'autorevolezza dei due personaggi, e la nostra stima per Prodi come economista, ex Presidente dellIRI e statista, non condividiamo queste distinzioni, e soprattutto quella di De Benedetti. In primo luogo perché non crediamo a distinzioni così tagliate col coltello. In secondo luogo perché ci sembrano corrispondere a una visione superata dell'imprenditore e dell'impresa.
Oltre tutto, contribuiscono al permanere di una diffusa ignoranza su che cosa è veramente l'impresa, come organizzazione sostanzialmente politico-sociale e non solo economica, e della concezione, che fa comodo a molti, che vede l'impresa come una zona franca rispetto al sistema democratico.
Certo, l'Impresa è una istituzione nella quale la rapidità delle decisioni è importante, il che richiede meccanismi basati su un alto livello di delega di responsabilità. Inoltre, sarebbe errato pensare, come ai tempi della cogestione iugoslava - e un po' di quella tedesca - che i lavoratori stiano alla dirigenza come i cittadini allo stato. In realtà, l'azienda deve render conto non (solo) ai lavoratori, ma anche ad altri soggetti, a partire dai clienti che, in un sistema di mercato, "votano" ogni giorno acquistando o rifiutando un prodotto. Tutto ciò non ci deve daltra parte portare a dire che l'azienda, e colui che la dirige, siano "autocratici". Ci deve portare a dire semplicemente che l'azienda è diversa, come sono diverse tante altre istituzioni democratiche non elette a suffragio universale, e nondimeno coerenti e funzionali con un sistema democratico complesso (la magistratura, il sindacato, eccetera).
Non crediamo infine che un imprenditore autocratico possa fare molta strada al mondo d'oggi, e farla fare alla sua azienda. Sarebbe per lui una fatica di Sisifo gestire senza una visione sufficientemente condivisa, senza partecipazione e consenso. Da questo punto di vista, la Fiat è un caso da manuale. Anche in azienda, le capacità manageriali non bastano più: ci vogliono capacità di governo, nè più ne meno che nelle "istituzioni democratiche".
Ci piacerebbe sentire qualche opinione in proposito da parte dei navigatori di FGB. Intanto, tanti auguri di buone Feste!
Giacomo Correale, Carlo Penco
secondome@livingstrat.com
Data: 23 dicembre 2002
Da: Gian Maria Borrello
Oggetto: Re: Imprenditore: autocratico o democratico?
Ringrazio Giacomo Correale e Carlo Penco per lo spunto di discussione che si innesta
all'interno del topic "Responsabilità sociale dell'imprenditore".
In gennaio, nel sito della Fondazione Bassetti, apriremo quindi un Forum "ad
hoc" e mi piacerebbe che potesse incrociarsi sinergicamente con quanto avviene nel
sito di Correale e Penco: <http://www.livingstrat.com>.
Chiunque desidera intervenire sul tema, oltre che mettersi in contatto con secondome@livingstrat.com , può sin da ora scriverci .
Io, qui, mi limito a fornire qualche riferimento diretto raggiungibile on-line:
Argomento "Responsabilità
sociale dell'imprenditore" (nell'Indice degli Argomenti)
Personal page di Giacomo Correale sul sito della
FGB:
Personal page di Carlo Penco sul sito della FGB:
Auguri di buone feste.
Data: 27 dicembre 2002
Da: Vittorio Bertolini
Oggetto: Democrazia di mercato e democrazia politica
Una breve riflessione sullo spunto di Penco-Correale riguardo a democrazia politica e
democrazia del mercato.
Prendo come possibile definizione di democrazia "sistema attraverso cui i cittadini
possono punire (sostituire) o premiare (riconfermare) chi prende decisioni
pubbliche". Una prima differenza è appunto che mentre la democrazia politica premia
o punisce alle scadenze elettorali la democrazia del mercato lo fa ogni giorno. A mio
parere la differenza più importante risiede però nell'asimmetria del consenso o dissenso
nei due casi. L'imprenditore richiede il consenso ex post, cioè prima produce e
poi cerca di vendere. Il politico invece chiede l'approvazione ex ante (da
Churchill a Jospin la storia ha dimostrato che il buon governo del passato non è
sufficiente per il consenso futuro), e questo determina un problema riguardo alla
responsabilità. E questo credo si riverberi anche sul rapporto fra democrazia e ricerca
scientifica. Se nell'opinione pubblica la sicurezza del passato è meno importante
dell'incertezza o delle promesse, allora è lo stesso concetto di responsabilità che va
ripensato.
------------------------------------------------------------------------------- Forum del sito della Fondazione Bassetti (FGB) Apertura: 27 gennaio 2003 Chiusura: 5 febbraio 2003 ------------------------------------------------------------------------------- From: Marlene Di Costanzo Date: Fri Jan 31, 2003 0:27am Subject: quale mercato? Prima osservazione: l'affermazione dell'autocrazia dell'imprenditore credo che più che all'imprenditore del modello schumpeteriano si riferisca a quello che potremmo definire l'operatore finanziario. Seconda osservazione: sia il politico che l'imprenditore hanno come riferimento il mercato. Quello elettorale il primo, quello dei consumatori il secondo. Ma poichè è difficile pensare che i meccanismi di mercato siano governati dalla mano invisibile di Smith, visto l'influenza della pubblicità, sia l'imprenditore che il politico sono più orientati alla gestione (manipolazione) del mercato. Più che vendere il prodotto (programmi politici, beni e servizi) si tende a vendere la confezione. Dr.ssa Marlene Di Costanzo ------------------------------------------------------------------------------- From: Francesco Zanotti Date: Fri Jan 31, 2003 9:19am Subject: Il ruolo sociale dell'imprenditore IL RUOLO SOCIALE DELL'IMPRENDITORE contributo di Francesco Zanotti ---------------------------------- Mi permetto di proporre alcune considerazioni emotive. Cioè buttate giù come il cuore di "ditta dentro" Il parlare di responsabilità sociale ha senso solo in una società industriale. E per piccole imprese che operino in questo tipo di società. Si tratta di un richiamo a evitare eccessi di egoismo! La dottrina sociale della Chiesa Cattolica, nel contesto di una società industriale, parla della funzione sociale della proprietà! Ma poiché non siamo più in una società industriale, cosa dire e pensare? Naturalmente non spetta a me indicare dogmi, ma forse piccole proposte sì! Per illustrare queste proposte, comincerei da una serie di fatti .. Il PRIMO. Molti business non industriali non hanno solo un impatto sociale, ma sono intrinsecamente sociali! Consideriamo ad esempio due aree di business fondamentali per le compagnie di assicurazione: la sanità e la previdenza. Ogni proposta di business (di servizio e di compenso per il servizio) è possibile solo all'interno di uno specifico modello di stato sociale. Cioè fare strategia significa fare prima socialità. Il SECONDO. Consideriamo il sistema bancario. Le banche si trovano in un drammatico impasse strategico: strategie tutte uguali (crescita dimensionale) che non portano ai risultati ufficialmente attesi (aumento di efficienza). Per superare questi impasse occorre immaginare un nuovo ruolo per il sistema bancario. Ad esempio: invece di tentare di essere un fornitore sempre più sofisticato di denaro e servizi finanziari, diventare fornitori di sviluppo per il sistema delle piccole e medie imprese! Il TERZO. Cambia il processo strategico. Che non può più essere una scelta razionale di vertice, ma un scelta sociale di tutta l'organizzazione. Le ragioni? Immaginate una banca. Ascoltate le sue strategie (dichiarate dal top management e approvate dai Consigli di Amministrazione). E, po,i mettetevi nei panni di un Direttore di Dipendenza con l'obiettivo di applicare queste strategie. Vi troverete a doverle declinare così profondamente che è come riscriverle. E vi troverete soli a riscriverle. Con il risultato che ogni Direttore di Dipendenza le riscriverà a modo suo. Trasformando strategie apparentemente forti e precise in una Babele di implementazioni disordinate e scoordinate! Non posso dettagliare. Devo tentare una sintesi La mia tesi? Perché le imprese svolgano la loro funzione sociale basta che abbiamo il coraggio di ricominciare a fare strategia! Con la consapevolezza che, In una società complessa, fare impresa, sviluppare sistemi sociale, riformare le istituzioni sono compiti managerialmente uguali. Trattano oggetti diversi. Ma richiedono lo stesso processo di sviluppo strategico. Due battute conclusive per quanto riguarda il catalizzatore di questa discussione: De Benedetti. E' stata data importanza alle sue idee per ossequio alla notorietà dell'emettitore. Non per il valore intrinseco delle stesse. Se ci si dimentica l'emettitore e si immagina che le sue idee siano firmate Mario Rossi, allora si scopre immediatamente, come accade nella favola, che il re è nudo. Cioè che idee come quelle dalle quali è partita questa riflessione (non le idee che sono state espresse in risposta) sono assolutamente banali. Solo segno della presunzione di chi ha acquisito un ruolo e non si sente più in dovere di giustificarlo continuamente con studio e profondità. E di un sistema dei media che non sa riconoscere studio e profondità. Ma si limita a fare da cassa di risonanza ai presunti appartenenti all'elite della classe dirigente attuale. ------------------------------------------------------------------------------- From: Vittorio Bertolini Date: Sun Feb 2, 2003 5:45pm Subject: un mercato di valori sociali Nell'affermazione della Di Costanzo sul mercato manipolato c'è indubbiamente qualcosa di vero. Non dobbiamo infatti dimenticare che nelle strategie di lancio di un nuovo prodotto non vi è solo l'analisi del gradimento del mercato, ma anche delle campagne pubblicitarie necessarie ad incrementare il gradimento del mercato. Ciò nonostante non sarei così drastico nel giudicare così importante la "manipolazione" del mercato. Non sono infatti rari i casi di prodotti bocciati dal mercato, anche se la loro promozione è stata condotta con tutti i crismi della professionalità. Infatti sul mercato agiscono diversi operatori che non si rifanno sempre agli interessi delle imprese. Pensiamo per esempio alle associazioni di consumatori, movimenti ambientalisti, sindacati ecc. Classico è il caso della Nike (vedi Fondazione Giannino Bassetti) in cui una multinazionale è stata costretta a retrocedere da una politica produttiva che impiegava mano d'opera minorile del terzo mondo. Questo significa che la responsabilità sociale dell'imprenditore non è un dato esogeno, ma che è determinata dalla sensibilità dei consumatori verso tematiche come l'ambiente e i diritti umani. Riprendendo Smith, è necessario chiedersi se, in un mercato sensibile ai valori sociali, la responsabilità sociale dell'imprenditore, così come il nostro pane quotidiano, li dobbiamo più all'interesse del fornaio che al suo buon cuore. Ing. Vittorio Bertolini ------------------------------------------------------------------------------- From: Gianni Armani Date: Sun Feb 2, 2003 9:03pm Subject: autocratico e democratico? Avevo notato anch'io la dichiarazione dell'Ingegnere, me l'ero annotata e ne ho fatto uso (limitato) in un confronto scritto che ho in corso con un amico. A mio avviso, peraltro, la dichiarazione va collocata nel suo contesto polemico: «Non mi chiederà ancora una volta se intendo scendere in politica? E' un tormentone che mi perseguita ormai da mesi. Io faccio l'imprenditore e ho intenzione di continuare a farlo. L'ho già detto: sono convinto che esista un'incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura autocratica che contraddistingue le decisioni di un imprenditore e la natura democratica che deve contraddistinguere quelle del politico». Credo quindi che ad essa vada attribuito più che altro il significato di un paradosso (nel senso di affermazione che tende a sorprendere l'interlocutore più che nel senso di verità che sfugge ai più). Non a caso all'intervista seguirono una serie di editoriali molto polemici sui rapporti tra Politica ed Economia in Italia (tra gli altri: Panebianco ed Ostellino sul Corriere, Ferrara sul Foglio). Mi piacerebbe specificare questo giudizio (paradosso) perché allora risponderei alla domanda estremamente più concreta, e quindi più interessante e significativa, di segno esattamente opposto - se cioè l'imprenditore abbia più titolo di altri, in particolare dei politici di professione, nell'arte di governare - nonché al problema (generale) dei conflitti d'interesse. Non lo faccio per il timore di uscire dal tema proposto ma credo, senza pretendere di essere un puntuale esegeta del suo pensiero, che proprio a questo intendesse riferirsi De Benedetti, al di là della sparata iniziale: bisogna leggere tutta l'intervista. Quindi: di per sé l'affermazione e, temo, anche la discussione - ma sono pronto a ricredermi - non mi sembra particolarmente significativa (come altri hanno già prospettato) e promettente sul piano dialettico. Basta sentire ciò che affermava qualche giorno fa il Premio Nobel per l'Economia Amartya Sen: «Succede che ci vengono imposte semplificazioni alla definizione di noi stessi, laddove l'individuo è complesso. Nell'individuo si assomma la partecipazione a un'infinità di gruppi. Lei, per esempio, può sentirsi uomo, italiano, giornalista, di destra o di sinistra, vegetariano o carnivoro, e così via. Siamo solo noi che possiamo decidere quali di queste identità sono più importanti». Ovvero: nell'uomo-imprenditore convivono valori contradditori, non riducibili tra di loro, esito di culture, modalità di formazione, itinerari di vita, contesti sociali e produttivi, talmente diversificati da precludere la possibilità di attribuire a questa categoria particolari handicap - o particolari doti - nell'arte di governare. Con buona pace di De Benedetti, dopo le terribili esperienze del secolo passato l'eterno problema della filosofia politica: chi deve governare? è passato in secondo piano (oserei dire che è stato capovolto) per lasciar posto al problema dei limiti (del potere). "Il potere è in proporzione ai crimini commessi. Invece il limite è tanto: al suo interno c'è spazio per convivere tutti e bene, e questo non necessariamente in attesa di passaporti per premi eterni" [così dimostro a Vittorio Bertolini che leggo con attenzione le recensioni che manda agli iscritti alla sua mailing-list]. Seguirò con curiosità il seguito del dibattito. Cordiali saluti a tutti. Gianni Armani - Bolzano ------------------------------------------------------------------------------- From: Giovanni Maria Borrello Date: Mon Feb 3, 2003 10:50am Subject: 3 cose Buongiorno a tutti i partecipanti al Forum. Vorrei dire tre cose. Le prime due sono note a margine dei precedenti interventi di Vittorio Bertolini e di Gianni Armani. --- 1 --- Il caso della Nike a cui fa riferimento Bertolini può essere immediatamente letto, nel sito, oltre che... - cercando "Nike" col motore di ricerca anche - leggendo l'articolo di Giulia Crivelli intitolato "Global Compact. La responsabilità sociale delle imprese secondo l'ONU", a pagina 2 degli Argomenti. E' citato anche da Giacomo Correale nel... - dialogo on-line con Carlo Penco e col sottoscritto sulla Responsabilità sociale dell'imprenditore che trovate a pagina 1 degli Argomenti. Riguardo alla multinazionali "nel mirino", Correale, nel dialogo, richiama anche un - articolo di Repubblica del 15 febbraio 2002, mentre - un altro, del 6 luglio, è indicato nella pagina 1 degli Argomenti. Last (but not least): - si veda la Rassegna stampa di Marzo 2002. --- 2 --- Armani ha aperto il proprio intervento facendo riferimento alla "dichiarazione dell'Ingegnere". E' probabilmente superfluo precisare (ma lo faccio lo stesso) che si riferiva alla dichiarazione di De Benedetti citata da Correale quando ha dato il via a questo dialogo, cioè alla seguente: «In una recente intervista (Corriere della Sera, 14.12.02) Carlo De Benedetti, Presidente del gruppo CIR, ha dichiarato: "Sono convinto che esista una incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura autocratica che contraddistingue le decisioni di un imprenditore, e la natura democratica che deve contraddistinguere quelle di un politico".» --- 3 --- Terza cosa, in qualche modo già accennata da Armani quando afferma che l'affermazione di De Benedetti era da leggersi soprattutto in senso polemico con riferimento al problema del conflitto d'interessi. Non sono sicuro che la semplificazione adottata per dare l'innesco a questo dialogo, quella cioè che richiama il detto lombardo sull'offeliere traslandolo nella frase: "il politico faccia il politico e l'imprenditore faccia l'imprenditore", resti entro un livello accettabile di ambiguità di significato. In altre parole, mi sembra arbitrario affermare "sic et simpliciter" che «Correale e Penco ***contestano*** la visione delle cose sottintesa da questa frase», come è stato fatto, invece, nell'introdurre il dialogo in corso. La loro posizione è necessariamente più articolata e (mi immagino) essi ritengono che... ma sentiamolo (se pensano sia il caso) dalla loro voce. Alla prossima occasione! Gian Maria Borrello ------------------------------------------------------------------------------- From: Paola Emanuele Date: Wed Feb 5, 2003 10:39pm Subject: opinione Sono perfettamente d'accordo!!! Ciao, Paola Emanuele ------------------------------------------------------------------------------- From: Saro Cola Date: Thu Feb 5, 2003 10:51pm Subject: INTERVENTO Correale e Penco, all'inizio di questo forum affermano che le dichiarazioni di Prodi e De Benedetti contribuiscono al permanere ... della concezione, che fa comodo a molti, che vede l'impresa come una zona franca rispetto al sistema democratico. Non credo proprio. Non credo proprio che questa concezione, se c'è, dipenda in una qualche misura da delle parole. Dipende dai fatti. Saro Cola --- Dr. Saro Cola ------------------------------------------------------------------------------- From: Giacomo Correale Date: Wed Feb 5, 2003 11:10pm Subject: Imprenditore: autocratico o democratico? Ringrazio tutti gli intervenuti nel forum promosso da FGB sulla questione se un imprenditore debba essere necessariamente autocratico, secondo una certa concezione del suo ruolo, o possa/debba essere democratico. Vorrei valutare bene gli argomenti addotti, prima di commentarli. A presto! Giacomo Correale ------------------------------------------------------------------------------- From: Giacomo Correale e Carlo Penco Date: Tue, 11 Feb 2003 21:24pm Subject: Imprenditore: autocratico o democratico? - INTERVENTO CONCLUSIVO Prima di tentare di formulare qualche considerazione conclusiva sugli interventi pervenuti al Forum sul tema Imprenditore: autocratico o democratico?, ci sembra opportuno richiamare lo spunto da cui esso è partito. E cioè laffermazione di De Benedetti secondo cui le decisioni di un imprenditore sono necessariamente autocratiche, a differenza di quelle di un politico che debbono essere democratiche. Abbiamo affermato di ritenere che ciò non sia vero, e che quella affermazione esprima una visione superata dellimprenditore e dellimpresa. Gli interventi dei partecipanti al Forum hanno ampliato la tematica. Cercheremo di seguirli, per tornare poi al cuore della questione (che di per sé non ci sembra da poco, e non certo risolvibile in un breve forum, in quanto porta inevitabilmente a porsi delle domande di fondo sulla natura e il ruolo dellazienda come istituzione inserita in un contesto istituzionale nazionale e globale). Marlene di Costanzo fa una interessante affermazione: che autocratico non sia tanto limprenditore del modello schumpeteriano, quanto loperatore finanziario. Anche noi siamo soliti distinguere tra imprenditore e uomo daffari, supponendo che il primo crei ricchezza reale non solo per se stesso, mentre il secondo persegua solo il proprio utile in quanto tale e senza circonlocuzioni (senza cioè porsi il problema della produzione di qualcosa che valga al di là del proprio interesse, né quello della possibilità che il proprio interesse vada a detrimento di quello altrui). Ma lasciando da parte gli affaristi, e restando al tema dellimprenditore, o del capo azienda, non vi è dubbio che vi siano (ancora) capi azienda autocratici. Noi però contestiamo che un capo azienda debba necessariamente essere tale. Anzi, riteniamo che oggi un capo azienda di questo tipo sia sempre più obsoleto, e che per lo più non sia una buona cosa per la vita attuale e futura di una azienda, grande o piccola che sia. Quanto allaffermazione secondo cui sia il politico che limprenditore hanno come riferimento il mercato, quello elettorale il primo, quello dei consumatori il secondo, e che luno e laltro più che vendere il prodotto (programmi politici, beni e servizi) tendono a vendere la confezione, affermazione che peraltro potrebbe trovare numerose conferme, riteniamo comunque sbagliato generalizzare, come giustamente fa rilevare Bertolini. Riteniamo infatti che sia sul mercato politico che in quello vero e proprio si possano trovare programmi e prodotti/servizi meritevoli di per sè, indipendentemente dalla veste mediatica. E che, per fortuna, esistano ancora delle forze e delle istituzioni (Bertolini cita le associazioni di consumatori, i movimenti ambientalisti, i sindacati, ma si potrebbero ricordare anche le authority di controllo) che si contrappongono alle manipolazioni, alle devianze e alle involuzioni del mercato. Francesco Zanotti solleva il problema della responsabilità sociale, affermando che se ne può parlare solo in una società industriale. Non ci sembra vero. Ci sembra al contrario che i fatti mostrino una evoluzione verso un maggior senso di responsabilità dellimpresa, che si accompagna con lo sviluppo di una economia sempre più basata sui servizi. Si può certo convenire sullosservazione che la dottrina sociale della Chiesa ha anticipato quella evoluzione, quando ha parlato di funzione sociale della proprietà. Condividiamo poi pienamente la sua affermazione secondo cui perché le imprese svolgano la loro funzione sociale basta che abbiano il coraggio di fare strategia. Purché si convenga sullattribuire alla strategia aziendale una finalità di produzione di valore, come contenitore e generatore del profitto. Per la verità ci dà sempre un certo fastidio labuso del termine sociale. In particolare non riusciamo a capire perché e non ne facciamo certo una colpa a Zanotti si debba appioppare alla responsabilità imprenditoriale e aziendale questo aggettivo inutile, e per certi versi ipocrita. Ci fa pensare sempre alla strip di Charlie Brown dove egli afferma di amare lumanità, ma di provare fastidio per i propri vicini. Condividiamo quanto dice Bertolini sul fatto che la responsabilità dellimprenditore - e quindi il suo grado di autocrazia - è condizionata da qualcosa che può essere equiparata al consenso e al controllo democratico. Quanto al richiamo di Bertolini ad Adamo Smith, non abbiamo mai creduto che il macellaio, il birraio o il fornaio, come qualsiasi altro imprenditore, trattino bene i loro clienti solo perché spinti dalla cura per il proprio interesse. Se così facessero, e non ci fosse in loro anche qualche forma di benevolenza verso i clienti o anche di gusto per il loro mestiere, pensiamo che si ritroverebbero ben presto soli nella loro bottega. Su questo argomento, cioè sui rapporti tra etica ed economia degli affari, ci permettiamo di rinviare a uno nostro scritto rintracciabile nel sito dellUNI (www.uni.com/speciali/sa8000/responsabilita_etica.shtml) Gianni Armani ritiene che De Benedetti abbia radicalizzato la contrapposizione tra imprenditore-autocratico e politico-democratico solo per negare ancora una volta la sua intenzione di entrare in politica. E più che probabile. Ma a noi è sembrato comunque interessante prendere spunto da una sua affermazione per porre il quesito, per noi non irrilevante, se limprenditore debba necessariamente essere autocratico, e di conseguenza limpresa una istituzione autocratica, o no. Concordiamo comunque pienamente con Armani nel condividere i caveat di Amartya Sen sui rischi delle inferenze semplificatorie, e sulla non riducibilità dellimprenditore, come di chiunque altro, a qualcosa di simile allastrazione dellhomo oeconomicus. Quanto al quesito se limprenditore abbia più titolo di altri nellarte di governare, la risposta ovvia mi sembra essere né più, né meno di chiunque altro, compresi i politici di professione; dipende. Per questo ci aveva lasciato perplessi laffermazione di Prodi citato a memoria a distanza di anni, e quindi senza poterla provare secondo cui un imprenditore mancherebbe per sua natura delle doti necessarie per governare una istituzione politica. Si potrebbe anzi affermare che, proprio per la sua esperienza di governo di una struttura aziendale, che è comunque una struttura sociale, un imprenditore potrebbe disporre di competenze meno presenti, ad esempio, in un avvocato o in un ingegnere. Abbiamo chiaramente rimosso il tema del conflitto di interessi, che è proprio unaltra cosa rispetto al nostro tema. In conclusione, ci sembra che dal forum siano emerse diverse interessanti osservazioni, che hanno toccato anche tangenzialmente il tema della responsabilità dellimprenditore e dellimpresa e dei condizionamenti a cui il loro eventuale arbitrio comportamentale viene sottoposto, ma che non si sia andati al cuore del problema: limprenditore e limpresa debbono essere necessariamente autocratici perché lazienda funzioni e produca ricchezza e profitto, o no? Questa domanda può essere anche espressa così: può unazienda essere un luogo dove è bello stare e lavorare, come enunciano tante missioni aziendali, un luogo cioè dove ha senso trascorrere tante ore della propria vita, o no? Se dobbiamo arrischiare un'opinione in proposito, diremo che a nostro parere un imprenditore moderno non può più governare autocraticamente l'azienda a cui è preposto, se vuole che essa abbia successo nel lungo termine. Forse una affermazione come questa, che evidentemente deve (e secondo noi può) essere suffragata da molte argomentazioni, se fatta in presa diretta avrebbe suscitato più facilmente reazioni, e altre argomentazioni, a favore o contrarie. Sarà per una prossima volta. Forse queste nostre osservazioni sono andate un po al di là dei compiti di un moderatore. Ovviamente, il loro valore è pari a quello delle opinioni espresse dagli intervenuti al Forum. Un Forum è una sede elettiva per il dialogo che è qualcosa di diverso, e di più euristico, di un dibattito o una discussione. Limportante è che ciascuno di noi vi abbia trovato una occasione di confronto e di verifica per le proprie idee. Giacomo Correale e Carlo Penco
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