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FORUM
"UNA VISIONE SUPERATA DELL'IMPRENDITORE E DELL'IMPRESA?"

APERTO: 27 gennaio 2003
CHIUSO: 5 febbraio 2003

 

 


Data: 21 dicembre 2002
Da: Giacomo Correale e Carlo Penco
Oggetto: Imprenditore: autocratico o democratico?

In una recente intervista (Corriere della Sera, 14.12.02) Carlo De Benedetti, Presidente del gruppo CIR, ha dichiarato:

"Sono convinto che esista una incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura autocratica che contraddistingue le decisioni di un imprenditore, e la natura democratica che deve contraddistinguere quelle di un politico".

Ci viene in mente un'altra affermazione di diversi anni fa, di Prodi, che recitiamo a memoria: l'imprenditore deve essere un semplificatore, mentre il politico deve agire contemperando una vasta pluralità di esigenze.

Nonostante l'autorevolezza dei due personaggi, e la nostra stima per Prodi come economista, ex Presidente dell’IRI e statista, non condividiamo queste distinzioni, e soprattutto quella di De Benedetti. In primo luogo perché non crediamo a distinzioni così tagliate col coltello. In secondo luogo perché ci sembrano corrispondere a una visione superata dell'imprenditore e dell'impresa.

Oltre tutto, contribuiscono al permanere di una diffusa ignoranza su che cosa è veramente l'impresa, come organizzazione sostanzialmente politico-sociale e non solo economica, e della concezione, che fa comodo a molti, che vede l'impresa come una zona franca rispetto al sistema democratico.

Certo, l'Impresa è una istituzione nella quale la rapidità delle decisioni è importante, il che richiede meccanismi basati su un alto livello di delega di responsabilità. Inoltre, sarebbe errato pensare, come ai tempi della cogestione iugoslava - e un po' di quella tedesca - che i lavoratori stiano alla dirigenza come i cittadini allo stato. In realtà, l'azienda deve render conto non (solo) ai lavoratori, ma anche ad altri soggetti, a partire dai clienti che, in un sistema di mercato, "votano" ogni giorno acquistando o rifiutando un prodotto. Tutto ciò non ci deve d’altra parte portare a dire che l'azienda, e colui che la dirige, siano "autocratici". Ci deve portare a dire semplicemente che l'azienda è diversa, come sono diverse tante altre istituzioni democratiche non elette a suffragio universale, e nondimeno coerenti e funzionali con un sistema democratico complesso (la magistratura, il sindacato, eccetera).

Non crediamo infine che un imprenditore autocratico possa fare molta strada al mondo d'oggi, e farla fare alla sua azienda. Sarebbe per lui una fatica di Sisifo gestire senza una visione sufficientemente condivisa, senza partecipazione e consenso. Da questo punto di vista, la Fiat è un caso da manuale. Anche in azienda, le capacità manageriali non bastano più: ci vogliono capacità di governo, nè più ne meno che nelle "istituzioni democratiche".

Ci piacerebbe sentire qualche opinione in proposito da parte dei navigatori di FGB. Intanto, tanti auguri di buone Feste!

Giacomo Correale, Carlo Penco

busta.gif (111 byte)secondome@livingstrat.com

 

Data: 23 dicembre 2002
Da: Gian Maria Borrello
Oggetto: Re: Imprenditore: autocratico o democratico?

Ringrazio Giacomo Correale e Carlo Penco per lo spunto di discussione che si innesta all'interno del topic "Responsabilità sociale dell'imprenditore".

In gennaio, nel sito della Fondazione Bassetti, apriremo quindi un Forum "ad hoc" e mi piacerebbe che potesse incrociarsi sinergicamente con quanto avviene nel sito di Correale e Penco: <http://www.livingstrat.com>.

Chiunque desidera intervenire sul tema, oltre che mettersi in contatto con busta.gif (111 byte)secondome@livingstrat.com , può sin da ora scriverci .

Io, qui, mi limito a fornire qualche riferimento diretto raggiungibile on-line:

Argomento "Responsabilità sociale dell'imprenditore" (nell'Indice degli Argomenti)

Personal page di Giacomo Correale sul sito della FGB:

Personal page di Carlo Penco sul sito della FGB:

Auguri di buone feste.

 

Data: 27 dicembre 2002
Da: Vittorio Bertolini
Oggetto: Democrazia di mercato e democrazia politica

Una breve riflessione sullo spunto di Penco-Correale riguardo a democrazia politica e democrazia del mercato.
Prendo come possibile definizione di democrazia "sistema attraverso cui i cittadini possono punire (sostituire) o premiare (riconfermare) chi prende decisioni pubbliche". Una prima differenza è appunto che mentre la democrazia politica premia o punisce alle scadenze elettorali la democrazia del mercato lo fa ogni giorno. A mio parere la differenza più importante risiede però nell'asimmetria del consenso o dissenso nei due casi. L'imprenditore richiede il consenso ex post, cioè prima produce e poi cerca di vendere. Il politico invece chiede l'approvazione ex ante (da Churchill a Jospin la storia ha dimostrato che il buon governo del passato non è sufficiente per il consenso futuro), e questo determina un problema riguardo alla responsabilità. E questo credo si riverberi anche sul rapporto fra democrazia e ricerca scientifica. Se nell'opinione pubblica la sicurezza del passato è meno importante dell'incertezza o delle promesse, allora è lo stesso concetto di responsabilità che va ripensato.

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Forum del sito della Fondazione Bassetti (FGB)
Apertura: 27 gennaio 2003
Chiusura: 5 febbraio 2003
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From: Marlene Di Costanzo
Date: Fri Jan 31, 2003 0:27am
Subject: quale mercato?

  Prima osservazione: l'affermazione dell'autocrazia dell'imprenditore credo
che più che all'imprenditore del modello schumpeteriano si riferisca a quello
che potremmo definire l'operatore finanziario.
Seconda osservazione: sia il politico che l'imprenditore hanno come riferimento
il mercato. Quello elettorale il primo, quello dei consumatori il secondo.
Ma poichè è difficile pensare che i meccanismi di mercato siano governati
dalla mano invisibile di Smith, visto l'influenza della pubblicità, sia
l'imprenditore che il politico sono più orientati alla gestione (manipolazione)
del mercato.
Più che vendere il prodotto (programmi politici, beni e servizi) si tende
a vendere la confezione.
Dr.ssa Marlene Di Costanzo

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From: Francesco Zanotti
Date: Fri Jan 31, 2003 9:19am
Subject: Il ruolo sociale dell'imprenditore

  IL RUOLO SOCIALE DELL'IMPRENDITORE
contributo di
Francesco Zanotti
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Mi permetto di proporre alcune considerazioni emotive. Cioè buttate giù
come il cuore di "ditta dentro"
Il parlare di responsabilità sociale ha senso solo in una società
industriale. E per piccole imprese che operino in questo tipo di società.
Si tratta di un richiamo a evitare eccessi di egoismo!
La dottrina sociale della Chiesa Cattolica, nel contesto di una società
industriale, parla della funzione sociale della proprietà!

Ma poiché non siamo più in una società industriale, cosa dire e pensare?

Naturalmente non spetta a me indicare dogmi, ma forse piccole proposte sì!

Per illustrare queste proposte, comincerei da una serie di fatti ..

Il PRIMO. Molti business non industriali non hanno solo un impatto sociale,
ma sono intrinsecamente sociali! Consideriamo ad esempio due aree di
business fondamentali per le compagnie di assicurazione: la sanità e la
previdenza. Ogni proposta di business (di servizio e di compenso per il
servizio) è possibile solo all'interno di uno specifico modello di stato
sociale. Cioè fare strategia significa fare prima socialità.

Il SECONDO. Consideriamo il sistema bancario. Le banche si trovano in un
drammatico impasse strategico: strategie tutte uguali (crescita
dimensionale) che non portano ai risultati ufficialmente attesi (aumento di
efficienza). Per superare questi impasse occorre immaginare un nuovo ruolo
per il sistema bancario. Ad esempio: invece di tentare di essere un
fornitore sempre più sofisticato di denaro e servizi finanziari, diventare
fornitori di sviluppo per il sistema delle piccole e medie imprese!

Il TERZO. Cambia il processo strategico. Che non può più essere una scelta
razionale di vertice, ma un scelta sociale di tutta l'organizzazione. Le
ragioni? Immaginate una banca. Ascoltate le sue strategie (dichiarate dal
top management e approvate dai Consigli di Amministrazione). E, po,i
mettetevi nei panni di un Direttore di Dipendenza con l'obiettivo di
applicare queste strategie. Vi troverete a doverle declinare così
profondamente che è come riscriverle. E vi troverete soli a riscriverle.
Con il risultato che ogni Direttore di Dipendenza le riscriverà a modo suo.
Trasformando strategie apparentemente forti e precise in una Babele di
implementazioni disordinate e scoordinate!

Non posso dettagliare. Devo tentare una sintesi La mia tesi? Perché le
imprese svolgano la loro funzione sociale basta che abbiamo il coraggio di
ricominciare a fare strategia!
Con la consapevolezza che, In una società complessa, fare impresa,
sviluppare sistemi sociale, riformare le istituzioni sono compiti
managerialmente uguali. Trattano oggetti diversi. Ma richiedono lo stesso
processo di sviluppo strategico.

Due battute conclusive per quanto riguarda il catalizzatore di questa
discussione: De Benedetti. E' stata data importanza alle sue idee per
ossequio alla notorietà dell'emettitore. Non per il valore intrinseco delle
stesse. Se ci si dimentica l'emettitore e si immagina che le sue idee siano
firmate Mario Rossi, allora si scopre immediatamente, come accade nella
favola, che il re è nudo. Cioè che idee come quelle dalle quali è partita
questa riflessione (non le idee che sono state espresse in risposta) sono
assolutamente banali. Solo segno della presunzione di chi ha acquisito un
ruolo e non si sente più in dovere di giustificarlo continuamente con
studio e profondità. E di un sistema dei media che non sa riconoscere
studio e profondità. Ma si limita a fare da cassa di risonanza ai presunti
appartenenti all'elite della classe dirigente attuale.

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From: Vittorio Bertolini
Date: Sun Feb 2, 2003 5:45pm
Subject: un mercato di valori sociali

  Nell'affermazione della Di Costanzo sul mercato manipolato c'è indubbiamente
qualcosa di vero. Non dobbiamo infatti dimenticare che nelle strategie di
lancio di un nuovo prodotto non vi è solo l'analisi del gradimento del mercato,
ma anche delle campagne pubblicitarie necessarie ad incrementare il gradimento
del mercato. Ciò nonostante non sarei così drastico nel giudicare così
importante la "manipolazione" del mercato. Non sono infatti rari i casi di
prodotti bocciati dal mercato, anche se la loro promozione è stata condotta con
tutti i crismi della professionalità. Infatti sul mercato agiscono diversi
operatori che non si rifanno sempre agli interessi delle imprese. Pensiamo per
esempio alle associazioni di consumatori, movimenti ambientalisti, sindacati
ecc.
Classico è il caso della Nike (vedi Fondazione Giannino Bassetti) in cui una
multinazionale è stata costretta a retrocedere da una politica produttiva che
impiegava mano d'opera minorile del terzo mondo.
Questo significa che la responsabilità sociale dell'imprenditore non è un dato
esogeno, ma che è determinata dalla sensibilità dei consumatori verso tematiche
come l'ambiente e i diritti umani.
Riprendendo Smith, è necessario chiedersi se, in un mercato sensibile ai valori
sociali, la responsabilità sociale dell'imprenditore, così come il nostro pane
quotidiano, li dobbiamo più all'interesse del fornaio che al suo buon cuore.

Ing. Vittorio Bertolini

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From: Gianni Armani
Date: Sun Feb 2, 2003 9:03pm
Subject: autocratico e democratico?

  Avevo notato anch'io la dichiarazione dell'Ingegnere, me l'ero annotata e ne
ho fatto uso (limitato) in un confronto scritto che ho in corso con un amico.

A mio avviso, peraltro, la dichiarazione va collocata nel suo contesto
polemico: «Non mi chiederà ancora una volta se intendo scendere in politica? E'
un tormentone che mi perseguita ormai da mesi. Io faccio l'imprenditore e ho
intenzione di continuare a farlo. L'ho già detto: sono convinto che esista
un'incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura autocratica che
contraddistingue le decisioni di un imprenditore e la natura democratica che
deve contraddistinguere quelle del politico».

Credo quindi che ad essa vada attribuito più che altro il significato di un
paradosso (nel senso di affermazione che tende a sorprendere l'interlocutore
più che nel senso di verità che sfugge ai più). Non a caso all'intervista
seguirono una serie di editoriali molto polemici sui rapporti tra Politica ed
Economia in Italia (tra gli altri: Panebianco ed Ostellino sul Corriere,
Ferrara sul Foglio).

Mi piacerebbe specificare questo giudizio (paradosso) perché allora risponderei
alla domanda estremamente più concreta, e quindi più interessante e
significativa, di segno esattamente opposto - se cioè l'imprenditore abbia più
titolo di altri, in particolare dei politici di professione, nell'arte di
governare - nonché al problema (generale) dei conflitti d'interesse. Non lo
faccio per il timore di uscire dal tema proposto ma credo, senza pretendere di
essere un puntuale esegeta del suo pensiero, che proprio a questo intendesse
riferirsi De Benedetti, al di là della sparata iniziale: bisogna leggere tutta
l'intervista.

Quindi: di per sé l'affermazione e, temo, anche la discussione - ma sono pronto
a ricredermi - non mi sembra particolarmente significativa (come altri hanno
già prospettato) e promettente sul piano dialettico. Basta sentire ciò che
affermava qualche giorno fa il Premio Nobel per l'Economia Amartya Sen:
«Succede che ci vengono imposte semplificazioni alla definizione di noi stessi,
laddove l'individuo è complesso. Nell'individuo si assomma la partecipazione a
un'infinità di gruppi. Lei, per esempio, può sentirsi uomo, italiano,
giornalista, di destra o di sinistra, vegetariano o carnivoro, e così via.
Siamo solo noi che possiamo decidere quali di queste identità sono più
importanti». Ovvero: nell'uomo-imprenditore convivono valori contradditori, non
riducibili tra di loro, esito di culture, modalità di formazione, itinerari di
vita, contesti sociali e produttivi, talmente diversificati da precludere la
possibilità di attribuire a questa categoria particolari handicap - o
particolari doti - nell'arte di governare. Con buona pace di De Benedetti, dopo
le terribili esperienze del secolo passato l'eterno problema della filosofia
politica: chi deve governare? è passato in secondo piano (oserei dire che è
stato capovolto) per lasciar posto al problema dei limiti (del potere). "Il
potere è in proporzione ai crimini commessi. Invece il limite è tanto: al suo
interno c'è spazio per convivere tutti e bene, e questo non necessariamente in
attesa di passaporti per premi eterni" [così dimostro a Vittorio Bertolini che
leggo con attenzione le recensioni che manda agli iscritti alla sua
mailing-list].

Seguirò con curiosità il seguito del dibattito. Cordiali saluti a tutti.

Gianni Armani - Bolzano

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From: Giovanni Maria Borrello
Date: Mon Feb 3, 2003 10:50am
Subject: 3 cose

  Buongiorno a tutti i partecipanti al Forum.

Vorrei dire tre cose.

Le prime due sono note a margine dei precedenti interventi di Vittorio
Bertolini e di Gianni Armani.

--- 1 ---

Il caso della Nike a cui fa riferimento Bertolini può essere immediatamente
letto, nel sito, oltre che...

- cercando "Nike" col motore di ricerca
anche
- leggendo l'articolo di Giulia Crivelli intitolato "Global Compact. La
responsabilità sociale delle imprese secondo l'ONU", a pagina 2 degli
Argomenti.

E' citato anche da Giacomo Correale nel...

- dialogo on-line con Carlo Penco e col sottoscritto sulla Responsabilità
sociale dell'imprenditore che trovate a pagina 1 degli Argomenti.

Riguardo alla multinazionali "nel mirino", Correale, nel dialogo, richiama
anche un
- articolo di Repubblica del 15 febbraio 2002,
mentre
- un altro, del 6 luglio, è indicato nella pagina 1 degli Argomenti.

Last (but not least):
- si veda la Rassegna stampa di Marzo 2002.

--- 2 ---

Armani ha aperto il proprio intervento facendo riferimento alla
"dichiarazione dell'Ingegnere". E' probabilmente superfluo precisare (ma lo
faccio lo stesso) che si riferiva alla dichiarazione di De Benedetti citata
da Correale quando ha dato il via a questo dialogo, cioè alla seguente: «In
una recente intervista (Corriere della Sera, 14.12.02) Carlo De Benedetti,
Presidente del gruppo CIR, ha dichiarato: "Sono convinto che esista una
incompatibilità sostanziale e profonda tra la natura autocratica che
contraddistingue le decisioni di un imprenditore, e la natura democratica
che deve contraddistinguere quelle di un politico".»

--- 3 ---

Terza cosa, in qualche modo già accennata da Armani quando afferma che
l'affermazione di De Benedetti era da leggersi soprattutto in senso
polemico con riferimento al problema del conflitto d'interessi.

Non sono sicuro che la semplificazione adottata per dare l'innesco a questo
dialogo, quella cioè che richiama il detto lombardo sull'offeliere traslandolo
nella frase: "il politico faccia il politico e l'imprenditore faccia
l'imprenditore", resti entro un livello accettabile di ambiguità di
significato. In altre parole, mi sembra arbitrario affermare "sic et
simpliciter" che «Correale e Penco ***contestano*** la visione delle cose
sottintesa da questa frase», come è stato fatto, invece, nell'introdurre il
dialogo in corso. La loro posizione è necessariamente più articolata e (mi
immagino) essi ritengono che... ma sentiamolo (se pensano sia il caso) dalla
loro voce.

Alla prossima occasione!

Gian Maria Borrello

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From: Paola Emanuele
Date: Wed Feb 5, 2003 10:39pm
Subject: opinione


  Sono perfettamente d'accordo!!!

Ciao, Paola Emanuele

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From: Saro Cola
Date: Thu Feb 5, 2003 10:51pm
Subject: INTERVENTO


  Correale e Penco, all'inizio di questo forum affermano che le dichiarazioni
di Prodi e De Benedetti contribuiscono al permanere ... della concezione, che
fa comodo a molti, che vede l'impresa come una zona franca rispetto al sistema
democratico.

Non credo proprio. Non credo proprio che questa concezione, se c'è, dipenda in
una qualche misura da delle parole. Dipende dai fatti.

Saro Cola



---
Dr. Saro Cola

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From: Giacomo Correale
Date: Wed Feb 5, 2003 11:10pm
Subject: Imprenditore: autocratico o democratico?

  Ringrazio tutti gli intervenuti nel forum promosso da  FGB  sulla questione
se un imprenditore debba essere necessariamente autocratico,  secondo una certa
concezione del suo ruolo, o possa/debba essere democratico.  Vorrei valutare
bene gli argomenti  addotti, prima di commentarli. A presto!

Giacomo Correale

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From: Giacomo Correale e Carlo Penco
Date: Tue, 11 Feb 2003 21:24pm
Subject: Imprenditore: autocratico o democratico? - INTERVENTO CONCLUSIVO

Prima di tentare di formulare qualche considerazione conclusiva sugli
interventi pervenuti al Forum sul tema “Imprenditore: autocratico o
democratico?”, ci sembra opportuno richiamare lo spunto da cui esso è partito.
E cioè l’affermazione di De Benedetti secondo cui le decisioni di un
imprenditore sono necessariamente autocratiche, a differenza di quelle di un
politico che debbono essere democratiche.

Abbiamo affermato di ritenere che ciò non sia vero, e che quella affermazione
esprima una visione superata dell’imprenditore e dell’impresa.

Gli interventi dei partecipanti al Forum hanno ampliato la tematica.
Cercheremo di seguirli, per tornare poi al cuore della questione (che di per
sé non ci sembra da poco, e non certo risolvibile in un breve forum, in
quanto porta inevitabilmente a porsi delle domande di fondo sulla natura e il
ruolo dell’azienda come istituzione inserita in un contesto istituzionale
nazionale e globale).

Marlene di Costanzo fa una interessante affermazione: che autocratico non sia
tanto l’imprenditore “del modello schumpeteriano”, quanto l’“operatore
finanziario”. Anche noi siamo soliti distinguere tra “imprenditore” e “uomo
d’affari”, supponendo che il primo crei ricchezza reale non solo per se stesso,
mentre il secondo persegua solo il proprio utile in quanto tale e senza
circonlocuzioni (senza cioè porsi il problema della produzione di qualcosa che
valga al di là del proprio interesse, né quello della possibilità che il
proprio interesse vada a detrimento di quello altrui).

Ma lasciando da parte gli affaristi, e restando al tema dell’imprenditore, o
del capo azienda, non vi è dubbio che vi siano (ancora) capi azienda
autocratici. Noi però contestiamo che un capo azienda debba necessariamente
essere tale. Anzi, riteniamo che oggi un capo azienda di questo tipo sia sempre
più “obsoleto”, e che per lo più non sia una buona cosa per la vita attuale e
futura di una azienda, grande o piccola che sia.

Quanto all’affermazione secondo cui “sia il politico che l’imprenditore hanno
come riferimento il mercato, quello elettorale il primo, quello dei
consumatori il secondo”, e che l’uno e l’altro “più che vendere il prodotto
(programmi politici, beni e servizi) tendono a vendere la confezione”,
affermazione che peraltro potrebbe trovare numerose conferme, riteniamo
comunque sbagliato generalizzare, come giustamente fa rilevare Bertolini.
Riteniamo infatti che sia sul “mercato politico” che in quello vero e proprio
si possano trovare programmi e prodotti/servizi meritevoli di per sè,
indipendentemente dalla veste mediatica. E che, per fortuna, esistano ancora
delle forze e delle istituzioni (Bertolini cita le associazioni di
consumatori, i movimenti ambientalisti, i sindacati, ma si potrebbero ricordare
anche le authority di controllo) che si contrappongono alle manipolazioni,
alle devianze e alle involuzioni del mercato.

Francesco Zanotti solleva il problema della responsabilità sociale, affermando
che se ne può parlare solo in una società industriale. Non ci sembra vero. Ci
sembra al contrario che i fatti mostrino una evoluzione verso un maggior senso
di responsabilità dell’impresa, che si accompagna con lo sviluppo di una
economia sempre più basata sui servizi. Si può certo convenire
sull’osservazione che la dottrina sociale della Chiesa ha anticipato quella
evoluzione, quando ha parlato di funzione sociale della proprietà.

Condividiamo poi pienamente la sua affermazione secondo cui “perché le imprese
svolgano la loro funzione sociale basta che abbiano il coraggio di fare
strategia”. Purché si convenga sull’attribuire alla strategia aziendale una
finalità di produzione di valore, come contenitore e generatore del profitto.

Per la verità ci dà sempre un certo fastidio l’abuso del termine “sociale”.
In particolare non riusciamo a capire perché – e non ne facciamo certo una
colpa a Zanotti – si debba appioppare alla responsabilità imprenditoriale e
aziendale questo aggettivo inutile, e per certi versi ipocrita. Ci fa pensare
sempre alla strip di Charlie Brown dove egli afferma di amare l’umanità, ma di
provare fastidio per i propri vicini.

Condividiamo quanto dice Bertolini sul fatto che la responsabilità
dell’imprenditore - e quindi il suo grado di autocrazia - è condizionata da
qualcosa che può essere equiparata al consenso e al controllo democratico.

Quanto al richiamo di Bertolini ad Adamo Smith, non abbiamo mai creduto che
il macellaio, il birraio o il fornaio, come qualsiasi altro imprenditore,
trattino bene i loro clienti solo perché spinti dalla cura per il proprio
interesse. Se così facessero, e non ci fosse in loro anche qualche forma di
benevolenza verso i clienti o anche di gusto per il loro mestiere, pensiamo
che si ritroverebbero ben presto soli nella loro bottega. Su questo argomento,
cioè sui rapporti tra etica ed economia degli affari, ci permettiamo di
rinviare a uno nostro scritto rintracciabile nel sito dell’UNI
(www.uni.com/speciali/sa8000/responsabilita_etica.shtml)

Gianni Armani ritiene che De Benedetti abbia radicalizzato la contrapposizione
tra imprenditore-autocratico e politico-democratico solo per negare ancora una
volta la sua intenzione di entrare in politica. E’ più che probabile. Ma a
noi è sembrato comunque interessante prendere spunto da una sua affermazione
per porre il quesito, per noi non irrilevante, se l’imprenditore debba
necessariamente essere autocratico, e di conseguenza l’impresa una istituzione
autocratica, o no.

Concordiamo comunque pienamente con Armani nel condividere i caveat di Amartya
Sen sui rischi delle inferenze semplificatorie, e sulla non riducibilità
dell’imprenditore, come di chiunque altro, a qualcosa di simile all’astrazione
dell’homo oeconomicus. Quanto al quesito “se l’imprenditore abbia più titolo
di altri nell’arte di governare”, la risposta ovvia mi sembra essere “né più,
né meno di chiunque altro, compresi i politici di professione; dipende”. Per
questo ci aveva lasciato perplessi l’affermazione di Prodi – citato a memoria a
distanza di anni, e quindi senza poterla provare – secondo cui un
imprenditore mancherebbe “per sua natura” delle doti necessarie per governare
una istituzione politica. Si potrebbe anzi affermare che, proprio per la sua
esperienza di governo di una struttura aziendale, che è comunque una struttura
sociale, un imprenditore potrebbe disporre di competenze meno presenti, ad
esempio, in un avvocato o in un ingegnere.

Abbiamo chiaramente rimosso il tema del conflitto di interessi, che è proprio
un’altra cosa rispetto al nostro tema.

In conclusione, ci sembra che dal forum siano emerse diverse interessanti
osservazioni, che hanno toccato anche tangenzialmente il tema della
responsabilità dell’imprenditore e dell’impresa e dei condizionamenti a cui il
loro eventuale arbitrio comportamentale viene sottoposto, ma che non si sia
andati al cuore del problema: l’imprenditore e l’impresa debbono essere
necessariamente autocratici perché l’azienda funzioni e produca ricchezza e
profitto, o no? Questa domanda può essere anche espressa così: può
un’azienda essere “un luogo dove è bello stare e lavorare”, come enunciano
tante missioni aziendali, un luogo cioè dove ha senso trascorrere tante ore
della propria vita, o no?

Se dobbiamo arrischiare un'opinione in proposito, diremo che a nostro parere
un imprenditore moderno non può più governare autocraticamente l'azienda a cui
è preposto, se vuole che essa abbia successo nel lungo termine. Forse una
affermazione come questa, che evidentemente deve (e secondo noi può) essere
suffragata da molte argomentazioni, se fatta in presa diretta avrebbe suscitato
più facilmente reazioni, e altre argomentazioni, a favore o contrarie. Sarà per
una prossima volta.

Forse queste nostre osservazioni sono andate un po’ al di là dei compiti di un
moderatore. Ovviamente, il loro valore è pari a quello delle opinioni espresse
dagli intervenuti al Forum. Un Forum è una sede elettiva per il dialogo – che è
qualcosa di diverso, e di più euristico, di un dibattito o una discussione.
L’importante è che ciascuno di noi vi abbia trovato una occasione di confronto
e di verifica per le proprie idee.

Giacomo Correale e Carlo Penco

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