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(Percorso pubblicato inizialmente in Febbraio 2002 -- Aggiornato il 15 maggio 2002 con la segnalazione del libro "Derive sociali. Precarizzazione del lavoro, crisi del legame sociale ed egemonia culturale del rischio" -- Chiuso in Agosto 2002)

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"L'imprevisto"

Le parole dell'immagine:
cibo, clonazione, mutamento, probabilità, leggi fisiche, leggerezza, rischio, imprevisto

Perché questo Percorso

La Fondazione Giannino Bassetti, nel suo programma di favorire la comprensione e far emergere le ragioni che implicitamente o esplicitamente influenzano l'innovazione nella società contemporanea, in collaborazione con Poster (società di ricerca attiva nel campo della partecipazione pubblica all'innovazione scientifico-tecnologica), ha promosso un sondaggio per cogliere se e in quale misura l’opinione pubblica associ il rischio alla introduzione dei prodotti biotecnologici. Nel Novembre 2001, sul sito della Fondazione, è stato quindi aperto un Forum specificamente orientato a discutere il concetto di rischio (da qui il nome di "focus-group sul rischio") e come questo sia percepito a livello sociale. A corredo del dibattito sono state indicate alcune letture: due scritti di Ulrich Beck e un articolo di Marcello Cini.

 Correlazione 

right.gif (841 byte)Biotecnologie e ingegneria geneticanodo.gif (891 byte)

Questo Percorso è un tragitto attraverso gli interventi che, in argomento, si sono succeduti da Novembre 2001 a marzo 2002.
Il documento che riporta i risultati del sondaggio affidato a Poster è stato integrato all'interno del Percorso su "Biotecnologie e ingegneria genetica".

(G.M.B)

Iniziamo con...
v-grigia.gif (82 byte) Una distinzione tra "pericolo" e "rischio"

Da E. Siniscalchi, "La maledizione del faraone", Diario, 14 dicembre 2001 (articolo segnalato al Forum da Domenico Lanfranchi):

«La dottoressa Marina Miraglia si occupa di micotossine per l’Istituto superiore di Sanità e ci aiuta a capire quanto siano pericolose: "È da almeno vent’anni che c’è evidenza di pericolo per l’uomo. Attualmente le micotossine più pericolose che abbiamo scoperto sono alcune decine e per altre sono in corso degli studi. Bisogna però fare attenzione a distinguere tra pericolo e rischio. Il primo è la capacità intrinseca di alcune sostanze di creare danno una volta entrate in contatto con l’uomo, il rischio è la possibilità che questo contatto si abbia. Per esempio, i cianuri comportano un pericolo molto grande ma un rischio quasi nullo".»

 Links: 

right.gif (841 byte)Ulrich Beck
     Sociologo tedesco che si occupa di rischio e ambiente è professore di sociologia all'Università di Monaco; pubblica regolarmente suoi contributi sul Frankfurter Allgemeine Zeitung.

right.gif (841 byte)Marcello Cini
     E' stato ordinario di Fisica teorica, poi di Teorie quantistiche e oggi è professore emerito dell'Università di Roma «La Sapienza». Ben noti sono i suoi contributi alla storia della scienza e all'epistemologia, in particolare con il celebre volume collettivo "L'ape e l'architetto" (Feltrinelli, 1976). Tra le sue pubblicazioni: "Trentatré variazioni su un tema" (Editori Riuniti, 1990), "Un paradiso perduto" (Feltrinelli, 1994) "Dialoghi di un cattivo maestro (Bollati Boringhieri, 2001) e, in collaborazione con J.-M. Lévy-Leblond, "Quantum Theory without Reduction" (Adam Hilger, 1991).

Le...
v-grigia.gif (82 byte) Letture
che hanno accompagnato la discussione svoltasi on-line sono:

right-sfondochiaro.gif (838 byte) Ulrich Beck, " 'Mucca pazza' e la società del rischio globale "articolo.gif (899 byte), Iride, agosto 2001, n. 33

right-sfondochiaro.gif (838 byte) Marcello Cini, "Vite a rischio nell'era dei brevetti"articolo.gif (899 byte), Il Manifesto, 28 agosto 2001

right-sfondochiaro.gif (838 byte) Ulrich Beck, "Nous avons besoin d'une culture de l'incertitude"articolo.gif (899 byte), Le Monde, 20 novembre 2001 (right-sfondochiaro.gif (838 byte)traduzione in Italiano)

[26 marzo 2002] Va segnalato l'articolo di Ugo Volli, "Scienziati o politici, chi deve governare?"articolo.gif (899 byte), Avvenire, 17 aprile 2001.
«E però certamente la sfera della politica consiste in decisioni da prendere, intorno a cui non vi è certezza. Anzi, il regime dell'incertezza e del rischio (su cui abbiamo già parlato) costituisce il terreno proprio della politica.»

new.gif (896 byte)[15 maggio 2002] Federico Chicchi, Derive sociali. Precarizzazione del lavoro, crisi del legame sociale ed egemonia culturale del rischio, Franco Angeli, 2001
(una segnalazione bibliografica di Corrado Del Bò [ * ]: «Di taglio sociologico, utilizza, in maniera a mio modo di vedere convincente, la categoria del rischio per descrivere la situazione di insicurezza sociale diffusa in relazione alla precarizzazione del lavoro.»)

E ora, il tragitto nella
v-grigia.gif (82 byte) Discussione svoltasi on-line

Introduzione
Non c'è stato certamente bisogno della tragedia delle Twin Towers per comprendere che la percezione del rischio e dell'insicurezza pervade gran parte della nostra società. Viviamo ormai nella "societa' del rischio" (il testo già classico di Ulrich Beck con questo titolo risale alla metà degli anni '80).
Improvvisamente si è avuta la sensazione che attività del tutto naturali, quali l’alimentazione quotidiana, possono mutarsi in "eventi avversi" e che quello stesso progresso tecnico scientifico che ha consentito di affrancare l’uomo dai bisogni primari può trasformarsi in un pericolo per la nostra sicurezza. (...) [continua]

 

 

v-red.gif (71 byte)Daniela MAINARDI (14 novembre 2001)
Una domanda dall'esito scontato?

«Chiedete un'opinione sull'influenza dei massmedia sulla percezione del rischio. Non vi sembra una domanda dall'esito scontato? Non credo di sbagliarmi molto a dire che il rischio viene percepito solo se viene evidenziato dai massmedia.»

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v-red.gif (71 byte)Vittorio BERTOLINI (14 novembre 2001)
Non tutto ciò che è ovvio è scontato

«Quello che attraverso la domanda, il cui esito per te è scontato, ci si proponeva di conoscere non è tanto se stampa, radio, tv ecc. fanno informazione o disinformazione (implicitamente, quando chiami in causa la respondabilità degli operatori presupponi, come me, che ci sia anche disinfornazione), ma fino a che punto questa consapevolezza (della disinformazione) sia presente nel grande pubblico.»


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v-red.gif (71 byte)Federico NERESINI (19 novembre 2001)
Rinunce?

«Siamo condannati a dover scegliere fra la rinuncia all'agire responsabile -di fatto non praticabile a causa dell'impossibilità di prevederne le conseguenze oppure non alimentato da una consapevolezza sufficientemente ampia e accorta- e la rinuncia allo sviluppo del sapere tecnoscientifico in ragione dell'imprevedibilità dei rischi ad esso collegati, come sembra logicamente conseguire da un'applicazione estensiva, quanto controversa, del "principio di precauzione"?»

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v-red.gif (71 byte)Vittorio BERTOLINI (19 novembre 2001)
Quale etica è praticabile?

«Riguardo al nesso esistente tra l'"incertezza" e l'"imprevedibilità, Neresini, partendo da un articolo di Umberto Galimberti ("Un terremoto che ci riguarda"articolo.gif (899 byte), La Repubblica del 18 novembre 2000) sulla imprevedibilità dell’applicazione dei saperi tecnico e scientifico, ritiene impraticabile sia l’etica dell’intenzione sia l’etica della responsabilità.»


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v-red.gif (71 byte)Luigi FOSCHINI (25 novembre 2001)
L'importanza dei fattori psicologici

«I fattori psicologici, quindi personali, sono determinanti in questo genere di cose: scienza e conoscenza hanno un impatto non determinante.
(...) In fondo è come quando si stipula un'assicurazione: il premio è più alto in caso di invalidità, piuttosto che di morte.»

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v-red.gif (71 byte)Marlene DI COSTANZO (3 dicembre 2001)
Come il rischio viene inteso: il ruolo della dialettica

«Non c'è nessuno (escluso Antinori) che non dica che la clonazione sia un rischio. Però... mentre molti scienziati si oppongono alla clonazione per timore delle conseguenze sulla salute dell'individuo clonato, molti altri invece paventano il rischio che il clonato si troverebbe in uno stato di dissociazione della propria identità personale, altri ancora nella clonazione vedono il rischio di una società di replicanti dove la massificazione viene portata alle estreme conseguenze.
Tre condizioni di rischio decisamente diverse che implicano soluzioni e responsabilità diverse. Infatti mentre nel primo caso il rischio che il soggetto clonato possa nascere con malformazioni rapidamente invalidanti probabilmente potrà essere sanato con il progresso della biomedicina, nel terzo caso il rischio è invece assoluto.»


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v-red.gif (71 byte)Domenico LANFRANCHI (10 dicembre 2001)
Riflessione su che cosa significhi valutare i rischi

«Viviamo in una società del rischio?
(...) Perché allora ci sembra di essere tanto minacciati, se invece l'umanità non ha mai avuto in passato probabilità di sopravvivenza paragonabili a quelle attuali?»

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v-red.gif (71 byte)Corrado DEL BO' (10 dicembre 2001)
Rischio calcolato

[Ndr: Risponde a Lanfranchi]
«Chi mantiene un approccio laico, scientifico e, diciamolo pure, costruttivista (in senso popperiano) all'esistenza, come credo accada al sottoscritto, non puo' pensare di eliminare il rischio dall'esistenza. Si tratta, e mi sembra che il suo paper mettesse in luce (anche) questo, di *calcolare* questo rischio e valutare, in definitiva, se il gioco vale la candela. Quello che mi chiedo, e che chiedo a lei, e' se possiamo far rientrare nella categoria del *rischio calcolato*:
1. quegli atti (o quelle tecnologie) che potrebbero avere impatti drammatici sul - e al limite distruttivi del - pianeta, come potrebbe essere per il nucleare;
2. quegli atti (o quelle tecnologie) per i quali non sono chiari i vantaggi. Penso qui in particolare agli Ogm, che vengono spacciati come utili per combattere la fame nel mondo quando basta aver letto Sen per sapere che quasi sempre le carestie non sono causate dalla scarsita' di cibo ma dall'impossibilita' di avervi accesso, spesso anche per vere e proprie *barriere* legali.»


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v-red.gif (71 byte)Vittorio BERTOLINI (10 dicembre 2001)
"Rischio calcolato" (Del Bò), "imprevedibilità" (Neresini), "diverse condizioni di rischio" (Di Costanzo)... ma come coniugare tra loro diversi sistemi di credenze?

«Pur condividendo tutto, anche i dubbi di Del Bò, il problema della governance del rischio è come si riesce a convincere un talebano a concedere che una donna afghana possa andare in giro senza il burqua. Il "rischio calcolato", ma anche l'imprevedibità di cui parla Neresini, o i diversi tipi di rischio di cui parla la Di Costanzo, esistono solo all'interno di un sistema di credenze.
La difficoltà nel realizzare la governance è che ciascuno di noi tende a considerare il proprio sistema di credenze come l'occhio di Dio.
(...) Quello che ci dobbiamo chiedere è fino a che punto (con buona pace di Kuhn) i paradigmi siano reciprocraemente esclusivi. Io penso che un paradigma possa essere traducibile in un altro paradigma, se non in modo diretto almeno attraverso un continuo di approssimazioni. »

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v-red.gif (71 byte)Domenico LANFRANCHI (10 dicembre 2001)
Ragionevolezza del rischio e vigile fiducia nei confronti degli scienziati

[Ndr: Risponde a Del Bò]
«Non mi sento di ridurre il "rischio ragionevole" a "rischio calcolato" (...).
Tanto nella nozione di certezza morale, quanto in quella di rischio ragionevole, ravviso ampi margini di soggettività (i sistemi di credenze cui si riferisce Bertolini), che mi disturbano per quel tanto che hanno di a-razionale, ma che non riesco ad eliminare, d'altro lato non mi sembra che si possano considerare nozioni arbitrarie.
(...) Temo che non ci sia alternativa alla fiducia nella comunità scientifica. Non certo una fiducia cieca. Una fiducia vigile, che cerca di discutere tutto, di capire se ci sono fattori esterni che possono inquinare il punto di vista degli scienziati, ma alla fine di questi ci dobbiamo fidare; non voglio con questo dire che la decisione debba essere presa dagli scienziati, ma chiunque sia a prendere una decisione (un dittatore o un parlamento, un consiglio d'amminiztrazione o un popolo) dovrà fidarsi della consulenza di qualcuno. Il parere può anche essere errato; oppure può essere corretto, ma non tenere conto di alcuni dati di fatto al momento ignoti (è il caso del parere dei dotti di Salamanca sull'impresa di Colombo: se non ci fosse stata l'America, la spedizione sarebbe finita in pasto ai pesci), ma ci sono alternative ragionevoli?
Sugli OGM mi ritengo pragmatico e possibilista: non so se contribuiranno alla soluzione dei problemi alimentari dell'umanità, ma mi chiedo perchè ci dobbiamo precludere questa possibilità»


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v-red.gif (71 byte)Luigi FOSCHINI (10 dicembre 2001)
Calcolo del rischio e fattori inconsci

«Sono in linea di massima in accordo con quanto espresso fino a ora, ma vorrei fare qualche aggiunta al dibattito in corso, riprendendo una considerazione fatta nel mio primo intervento [ndr: 25 nov. 2001: v. sopra], cioè: "è importante che la gente sia convinta di poter controllare gli eventi, non tanto che sia effettivamente in grado di farlo". Il succo della questione è che la moneta che paga l'inconscio non sempre è visibile, ma occorre tenerne conto nel bilancio del "calcolo del rischio". Non so se il termine che uso io per inconscio è ciò che Bertolini intende quando parla di un "proprio sistema di credenze". Per quanto mi riguarda, vorrei dire che ciò che interviene quando una persona valuta il rischio non è sempre visibile, a volte anche alla persona stessa.»

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v-red.gif (71 byte)Domenico LANFRANCHI (9 gennaio 2002)
Il raccordo tra responsabilità e percezione del rischio

«L'articolo comparso su Diario del 14/12 mi sembra interessante e si presta ad una considerazione di carattere generale: il rischio micotossine esiste da sempre, ma è noto solo da pochi decenni; solo da quando lo si conosce si può parlare di responsabilità in relazione ad esso: l'avanzamento delle conoscenze porta ad un allargamento delle responsabilità.»


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v-red.gif (71 byte)Vittorio BERTOLINI (9 gennaio 2002)
I sondaggi sulla clonazione: un esempio del rilievo che hanno i fattori soggettivi

[Ndr: prende spunto dai sondaggi sulla clonazione]
«Foschini ha scritto: "... la moneta che paga l'inconscio non sempre è visibile, ma occorre tenerne conto nel bilancio del 'calcolo del rischio' "».
Non so se si tratta di inconscio; personalmente preferisco parlare di altre categorie, abitudini mentali e pigrizie culturali.
In ogni caso non possiamo non tenerne conto nel calcolo del rischio.»

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v-red.gif (71 byte)Marlene DI COSTANZO (9 gennaio 2002)
I fattori soggettivi e la funzione del dialogo

«Quando nel dialogo si inseriscono elementi ideologici, nemmeno l'evidenza empirica è sufficiente. (...)
Per il governo del rischio, quando le opinioni non sono convergenti, prima della via autoritativa è necessario seguire la via della discussione pubblica.
Infatti, mentre la via autoritativa afferma il pensiero unico, attraverso la via dialogica possono interagire fra di loro le diversità. Per esempio, il blocco di coloro che ritengono la clonazione terapeutica un rischio, sono mossi da credenze diverse. (...)
E' evidente che attraverso la discussione pubblica si ottiene il vantaggio che la molteplicità della posizioni in confronto si chiarisce superando quel manicheismo che sembra oggi pervadere molte discussioni sulle biotecnogie.
Il mondo reale non è fatto di scienziati servi delle multinazionali e di cavalieri dell'ideale. Per fortuna è un po' più complesso.»


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v-red.gif (71 byte)Bruna DE MARCHI (18 gennaio 2002)
Il rischio inteso come problematica socio-politica e non solamente come questione tecnica

«Questo forum è una testimonianza che finalmente anche in Italia si parla diffusamente di "rischio" inteso come problematica socio-politica e non solamente come questione tecnica.
A Gorizia, noi sociologi e politologi del Programma emergenze di massa (PEM) dell'Istituto di Sociologia Internazionale (ISIG) abbiamo cominciato a occuparci di questioni di rischio circa 25 anni fa, guardati da molti "scienziati veri" con bonomia, condiscendenza, sospetto perplessità.»

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v-red.gif (71 byte)Vittorio BERTOLINI (20 gennaio 2002)
La gestione del rischio non può che avere una valenza politica, innanzitutto come recupero della responsabilità

L'irresponsabilità organizzata: «Beck nell'articolo, scritto per Le Monde, "Nous avons besoin d’une culture de l’incertitude", sostiene che "Les décideurs politiques affirment qu'ils ne sont pas responsables: au mieux, ils "régulent le développement". Les experts scientifiques disent créer de nouvelles opportunités technologiques, mais ne pas decider de la manière dont elles sont utilisées. Les chefs d'entreprise expliquent qu'ils répondent à la demande du consommateur. C'est ce que j'appelle l''irresponsabilité organisée'"».
Visto anche il contesto in cui l’articolo è stato pubblicato, un dossier dedicato dal quotidiano francese ai problemi finanziari-assicurativi dopo l’11 settembre, Beck pone perciò il problema della gestione del rischio innanzi tutto come recupero della responsabilità.
(...) La gestione del rischio non può che avere una valenza politica e se Beck in questo articolo scrive che:
"changer les politiques de risque implique de changer les relations de pouvoir qui traversent aujourd'hui la régulation des risques",
nel saggio "Mucca pazza e la società del rischio globale", con cui si è aperto il forum, afferma:
"È qui che si fa avanti la vera sfida globale, in cui possono essere "forgiate" (...) istituzioni sovranazionali per la cooperazione, la regolamentazione dei conflitti e la costruzione del consenso".»
La tesi di Beck «ha fatto sì che in un articolo dell’8 novembre de Il Giornale, "L'accademia dei neo-statalisti", Carlo Lottieri prefigurasse nella posizione di Beck la riproposta delle "vecchie logiche statuali all'interno di organismi globali tutti da reinventare".»
«(...) Gestire il rischio significa realizzare un mercato che interiorizzi valori come la sicurezza.
(...) Al di là del come si voglia definire o ridefinire il dialogo, la gestione del rischio impone che i decisori pubblici, ogni volta che su un determinato problema non esiste un’ampia condivisione, si facciano promotori di un’aperta discussione pubblica, da non confondere con il chiacchiericcio dei talk show, attraverso cui il diritto all’informazione consapevole costituisca la nuova frontiera della cittadinanza.»


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v-red.gif (71 byte)Marlene DI COSTANZO (26 gennaio 2002)
L'importanza e il significato dell'evidenza empirica

«Sulle pagine del domenicale de Il Sole 24 di questa settimana (20/1/20001) vi è la recensione di due testi, di cui uno dell’Istituto superiore della sanità, [www.iss.it/scientifica/pubblica/
rapporti/01-25.pdf
] dai quali si evince che il rischio per il cosiddetto elettrosmog va molto ridimensionato, e per me questa è una evidenza empirica.
Questo non significa affatto che in conseguenza dell’evidenza empirica le sicurezze della scienza normale debbano essere imposte. La vita degli individui non è fatta solo di evidenze empiriche ma anche di altri fattori che ormai sono imprescindibili al diritto di cittadinanza.
D’altra parte se le necessità della convivenza trovano ospitalità nel dialogo, fatto di discorso ma anche e di più di ascolto, occorre alla fin fine un metro su cui le diverse credenze possano confrontarsi, e l’evidenza empirica, nei modi almeno in cui la intendo, è uno di questi.»

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[23 aprile] Ultimi interventi inseriti:

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v-red.gif (71 byte)Giacomo CORREALE (7 febbraio 2002)
Il piano inclinato dell'eugenetica

«Habermas, pur non essendo affatto contro gli impieghi terapeutici, parla di piano inclinato del rischio "dell'assuefazione ad un approccio di tipo strumentale alle cellule staminali embrionali"»


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v-red.gif (71 byte)Marlene DI COSTANZO (25 febbraio 2002)
Il rischio c'è... e si vede

«Nel saggio introduttivo al forum sul rischio, Beck imputava, nel caso del morbo della mucca pazza, all'impotenza dei poteri pubblici la percezione del rischio che suscita le apprensioni dell'opinione pubblica. Ora la sentenza sulla Radio Vaticana non può far altro che far crescere l'allarmismo, infatti implicitamente si viene ad affermare che un rischio c'è ma non ci si può far niente.»

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v-red.gif (71 byte)Anna Rita FEDERICI (26 febbraio 2002)
La responsabilità appartiene a chi se la assume

«... discutere sulle responsabilità non è ancora rendere responsabile chi in un modo o nell'altro ci governa, governa le abitudini, le prospettive, le speranze; la responsabilità appartiene a chi, introducendo innovazioni, se la assume, o, più spesso, non se la assume, e non a chi la definisce o tenta di definirla»


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v-red.gif (71 byte)Vittorio BERTOLINI (26 marzo 2002)
Il cortocircuito tra responsabilità amministrative e responsabilità politiche

«... mentre per le strutture amministrative l’etica di riferimento è quella delle convinzioni (cioè, nel caso specifico, leggi e regolamenti) per il politico è quella delle responsabilità. L’amministrazione non può che riferirsi alla regole codificate, il politico invece deve legiferare avendo ben presente le conseguenze delle sue decisioni.»

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