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Sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore di sabato 8
giugno ... per l'Introduzione e gli interventi
precedenti, v. il mese di giugno e di luglio
4 agosto 2001
From: Luigi FOSCHINI
Subject: Sul rapporto tra scienza e tecnologia
Negli interventi che si sono succeduti recentemente, ho notato una certa sovrapposizione tra scienza e tecnologia. Andrea Amato nota che i confini tra scienza pura e applicata si sono fatti più sfuggenti e tenui, il che può essere vero, per certi versi. Come ho già scritto nel primo intervento, lavvento della Big Science ha modificato radicalmente un certo modo di fare scienza (ma non portandolo completamente ai livelli suggeriti da Lovelock, come ha scritto Anna Borellini; ma su questo tornerò più avanti). Tuttavia, ci sono ancora alcune distinzioni abbastanza evidenti e la prova più lampante è sotto gli occhi di tutti, nella direzione in cui si è incanalato questo Forum: quello delle scienze biomediche. Infatti, se il massimo del conflitto di interesse che si può trovare, per esempio, nellastrofisica è il mantenimento di unortodossia, in conseguenza della Big Science (vedi mio intervento precedente), diverso è il discorso quando una casa farmaceutica finanzia le ricerche di un medico. Leffetto è ugualmente deleterio in entrambi i casi per la scienza, ma certo nettamente differente, come ha notato Vittorio Bertolini, proponendo una distinzione tra conflitto "di" interessi e "fra" interessi.
Il conflitto di interessi - nel senso che mi sembra dominante in questo forum - sorge quando si decide di applicare la scienza (tecnologia): la conoscenza di per sé non ha mai fatto male a nessuno, ma lapplicazione della conoscenza può anche decidere della vita o della morte di esseri umani. E questo porta con sé anche interessi economici e considerazioni etiche (non considererei quelle morali, che non dovrebbero appartenere al mondo della scienza).
Occorre non dimenticare che il passaggio da conoscenza a applicazione richiede a sua volta ricerca, che non è scontata né banale. Vediamo un esempio: nel 1873 venne pubblicato il Treatise of electricity and magnetism di James Clerk Maxwell, che costituisce una pietra miliare nella storia della fisica. Ancora oggi vengono impiegate le equazioni di Maxwell sia per la ricerca, sia per la tecnologia. Se, per esempio, consideriamo il radar (unapplicazione tecnologica) vediamo che le sue equazioni di base discendono da quelle di Maxwell, ma questo passaggio non era poi così banale visto che ci sono voluti oltre settanta anni per questo. Nessuno ha scucito un quattrino per finanziare Maxwell (che peraltro era già ricco di famiglia), ma diversi Governi hanno investito palate di soldi per inventare, studiare e perfezionare il radar.
Ai possibili conflitti di interesse che possono essere sorti allora, occorre oggi aggiungere i problemi etici che sorgono su come usare il radar: se come mezzo di offesa per dirigere i missili, come mezzo di difesa per avvistare un nemico in avvicinamento, come mezzo civile per guidare un aereo passeggeri in fase di atterraggio in un aeroporto invaso dalla nebbia. In questo caso è la società civile che deve scegliere che uso fare di una certa tecnologia.
Provate ora a applicare queste considerazioni allo studio di un buco nero o di una galassia: sono inapplicabili, perché questo genere di studi è scienza pura, è conoscenza. Se un giorno qualcuno troverà il modo di costruire una nuova super arma da un buco nero, allora sorgeranno interessi economici e etici con cui la società dovrà fare i conti. Fino a quel giorno non ha senso di parlare di etica o conflitto di interessi in questo settore.
Anche per questo non ha senso chiedere a uno scienziato di essere responsabile delle ricadute tecnologiche delle sue ricerche: spesso tra la ricerca scientifica e lapplicazione tecnologica passano anni e più è innovativa e fondamentale la scoperta, più lontana sarà la sua applicazione. Uno scienziato è responsabile di ciò che scrive o dice, ma non di come altri interpretano i suoi pensieri. Per un tecnologo il discorso è differente (ma non semplicemente opposto), perché è possibile effettuare unanalisi delle possibili e probabili ricadute dei suoi studi.
Prima di concludere, vorrei replicare alla citazione di Anna Borellini, sul fatto che oggi non è più possibile fare scienza da soli. Per esperienza personale posso dire che oggi si può fare ricerca da soli, ma ovviamente dipende dal tipo di ricerca. Certo uno scienziato da solo non può costruire un satellite o un acceleratore, ma a livello teorico ci sono forse oggi più possibilità di un tempo, grazie a internet e ai computer. Per fare un esempio, i dati raccolti dai satelliti per lastronomia rimangono privati per un anno dalla data in cui è stata fatta losservazione, poi diventano pubblici. Chiunque può collegarsi via internet al centro dati di un satellite e scaricare i files, il software per lanalisi scientifica, i pacchetti di calibrazione, la documentazione necessaria. Tutto gratis, o almeno buona parte: uno infatti deve procurarsi un accesso a internet (che è gratis, ma si paga la telefonata), un computer (oggigiorno le potenze di calcolo dei personal computer sono paragonabili a quelle delle workstation), e last, but not least, occorre avere la preparazione scientifica necessaria per capirci qualcosa.
Nel ventesimo secolo si sono fatti innumerevoli esperimenti e osservazioni, al punto che solo una piccola percentuale di questi dati è stata analizzata. Il resto è lì che aspetta. Per fare un esempio, per lesperimento Boomerang, che recentemente ha dato importantissimi contributi alla cosmologia, è stato analizzato solo il 5% dei dati raccolti e qualche tempo fa è già andato in orbita un satellite (MAP) che farà la stessa cosa e raccoglierà nuovi e più precisi dati sulla stessa cosa. La gente quindi abbandonerà presto lanalisi dei dati di Boomerang per guardare i dati più freschi di MAP.
Pensate anche ai recenti avvenimenti sul rischio di impatto di asteroidi: poco dopo lannuncio, saltava fuori qualcuno con vecchie lastre fotografiche contenenti lasteroide in questione. I nuovi dati permettevano di ricalcolare lorbita, facendo svanire la probabilità di impatto.
In aggiunta a internet, non bisogna poi dimenticare la buona vecchia e cara carta stampata: un altro fattore fondamentale nel fare scienza da soli è avere a portata di mano una biblioteca ben fornita. La lettura è ancora fondamentale.
Non bisogna però pensare che nel fare ricerca da soli si possa evitare il discorso finanziario: in questo caso, non va più rivolto allacquisto di beni materiali (o almeno in minima parte), ma va invece concentrato nella formazione culturale, sia attraverso lo studio, sia attraverso la partecipazione a congressi, ancora oggi fondamentali nella scienza, nonostante internet.
Se ci si sposta leggermente dalla scienza pura alla tecnologia, almeno a quella tecnologia che è possibile fare da soli, nascono subito nuovi problemi, come lintestazione dei brevetti, problema sollevato da più parti negli ultimi tempi e che presenta forti e ovvie implicazioni nel conflitto di interessi.
Ralph Dharendorf in un saggio di qualche anno (Per un nuovo liberalismo) scrivendo di Teoria e prassi, in riferimento alla carestia nel Bengala fa l'esempio del contadino Gupta che si pone la domanda "Come posso trovare rapidamente qualcosa da mangiare per la mia famiglia e per me?". L'economista di Oxford Amartya Sen ha invece il problema di definire il motivo reale della carestia.
Di fronte al conflitto di interessi nella scienza, e non, analogamente è possibile definire un approccio domanda-prassi e un approccio come problema-teoria. L'amministratore del FDA [ndr: Federal Drug Administration]si pone la domanda come riuscire a trovare esperti, che non siano a libro paga delle industrie farmaceutiche, che certifichino l'efficacia dei medicinali. Il sociologo della scienza invece ha il problema di chiarire (elaborare una teoria) perché gli esperti sono a libro paga delle case farmaceutiche.
Poiché domanda e problema vengono usati in senso tecnico è opportuno chiarire questo senso tecnico. Mentre le domande sono poste dalle esigenze della pratica, che ci piaccia o non ci piaccia, vogliono una risposta (anche una non risposta è una risposta): i problemi sono creati dalla nostra riflessione.
Ovviamente non esiste un approccio privilegiato, è legittimo sia rispondere (cercare di rispondere) sia trovare (cercare di trovare) soluzioni ai problemi, si tratta solo di competenze diverse. Il primo approccio spetta al legislatore, a chi deve decidere. Il secondo al filosofo (inteso nel senso più ampio della parola, dandogli cioè una connotazione pregalileiana, di quando la suddivisione dei saperi era per lo meno incerta).
Il contributo di Andrea Amato, dato il suo curriculum e le sue competenze [ndr: Andrea Amato, laureato in lettere in Lettere, ha pubblicato i volume a carattere filosofico: "Le interrogazioni della modernità" (Centro Grafico Francescano di Foggia, 1999, pp. 243, testo on-line sul sito "Rescogitans", www.rescogitans.it della Casa editrice "il Saggiatore") e "Il dramma della scienza" (Centro Grafico Francescano di Foggia, 2000, pp. 436, testo on-line sul Sito Web Italiano di Filosofia, www.swif.uniba.it)], non può perciò che essere nel senso del problema-teoria. Nella prima parte del suo scritto, pur riferendosi ai rapporti scienza-società, non cade nella banalizzazione di sociologizzare (che brutto neologismo) il problema (tutto viene ridotto ai rapporti di produzione) . La responsabilità è e resta dello scienziato. Quello che mi interessa però sottolineare ed apprezzare in Amato, se ho capito bene, è che non cade nella trappola di risolvere il senso della responsabilità in un astratto e vago concetto di coscienza, ma definendola come coerenza fra i fini e i mezzi della ricerca.
Questa concezione mi sembra importante in quanto implicitamente può già fornire una specie di risposta a chi vuole affrontare il conflitto di interessi come domanda-prassi.
Dell'intervento di Amato vale la pena di riportare la chiusura: "Nessuno dei due soggetti (lo scienziato e l'imprenditore) può delegare all'altro responsabilità che sono proprie, né può nascondersi dietro le altrui responsabilità per ignorare le proprie",
La provocazione che pongo ad Amato è la seguente: "Ma se le due figure coincidono?". Esiste una casistica pressochè illimitata sul come la "fortune" economiche di un ricercatore dipende dall'uso di mercato della sua ricerca. E per "fortuna" intendo qualcosa in più che non quel giusto benessere e quella giusta sicurezza che tutti noi ci aspettiamo dalle nostre attività. Se il caso Celera e Craig Venter è quello più rilevante, esistono altri modi in cui lo scienziato può essere coinvolto economicamente, per esempio se possiede (caso non raro e difficilmente controllabile) azioni della società a cui collabora.
Sull'onda della polemica che ha accompagnato la manifestazione, nello scorso febbraio, dei ricercatori italiani che chiedevano al governo una maggiore attenzione verso i problemi della ricerca scientifica in Italia, ci è capitato parecchie volte di leggere di scienziati italiani emigrati negli Usa. Il dato unificante in tutti questi racconti è che i singoli scienziati si sono dovuti trasformare in imprenditori di se stessi. La loro prima necessità è infatti quella di trovare i finanziamenti che consentono di portare avanti le "proprie" ricerche.
La negatività di questo stato di cose non risiede solo nel fatto che la ricerca è eterodiretta sia nei fini che nei risultati (chi finanzia la ricerca può avere interesse a nascondere risultati negativi) ma perché implicitamente fa nascere un mercato dei finanziamenti che non è detto che sia sempre trasparente. Si veda al proposito lo scritto, "Ricerche Scientifiche Truccate. Un elenco dei trucchi usati dai ricercatori scientifici per aggiudicarsi finanziamenti" riportato sul portale www.PromiseLand.it.
8 agosto 2001
From: Andrea AMATO
Subject: Fisica e Biologia: le implicazioni morali
Ho letto con molta attenzione l'intervento di Foschini al Forum. I suoi numerosi, interessanti esempi mi sembra che vogliano porre la questione di un possibile diverso statuto scientifico posseduto dalla fisica rispetto alla biologia e, per questa via, indicare un diverso rapporto tra scienza pura e scienza applicata e tra scienza e morale, nell'ambito, appunto, della fisica.
In assoluto, neanche le ricerche di fisica sono esenti da implicazioni morali, come dimostra il rapido utilizzo dei suoi risultati ai fini della realizzazione della bomba atomica. Tuttavia, va riconosciuto che, attualmente, in genere, i tempi delle indagini della fisica sono più lunghi di quelli della biologia e della medicina, così come le ricadute tecnologiche nel campo della fisica risultano per lo più essere di carattere indiretto o derivanti da esperimenti di tipo osservazionale, più che da un intervento attivo dell'uomo sulla realtà. Ciò dipende dal fatto che l'uomo non padroneggia ancora a sufficienza nè l'infinitamente piccolo, nè l'infinitamente grande e, tuttavia, vi tende. In questo risiedono sia la differenza che l'analogia tra fisica e biologia. Già negli ultimi tempi, però, si sta facendo sempre più stringente l'indagine sulla natura delle particelle a massa zero, mentre notevole, anche dal prevedibile punto di vista pratico, è il recente esperimento con cui si è riusciti a bloccare per un istante il fluire della luce. In generale, poi, la possibile, futura plasmabilità della struttura intima e relazionale della materia potrà porre problemi sociali e morali analoghi a quelli già oggi posti dalla biologia. Allora, la domanda da porsi è questa: come pensa di presentarsi la fisica a questo appuntamento? Con la stessa prosopopea sulla oggettività e neutralità delle scoperte scientifiche, come finora ha fatto buona parte del mondo scientifico legato alla biologia? Con la stessa angelica rassicurazione sulla ferma distinzione tra ricerca pura e ricerca applicata?
In realtà, le ricerche in corso già lasciano intravedere un progressivo sgretolamento della peculiarità della fisica, la sua temporalità più lunga, in direzione di un accorciamento delle distanza tra esperimento, o teoria e ricaduta tecnologica. Più in generale, la stessa più precisa conoscenza della natura fisica e biologica, considerata pure nella sua astratta purezza, costituisce un immediato mutamento dei rapporti tra uomo e realtà, così conosciuta, in quanto rappresenta una diversa e più puntuale appropriazione (nel senso di far proprio, di rendere a sè più confidenzialmente confacente)e, quindi,dominio del mondo (nel senso più ampio del termine), sia esso fisico che biologico. D'altronde, non vi è conoscenza pura che non conosca prima o poi una sua utilizzazione pratica.
Vorrei, innanzi tutto, ringraziare pubblicamente Bertolini per le parole lusinghiere espresse nei confronti del mio lavoro.
Dico subito che è giusta l'osservazione fatta da Bertolini, a proposito del tipo di coinvolgimento richiesto, dal mio punto di vista, allo scienziato, che non è puramente coscienziale, nel senso di non meramente moralistico, bensì etico e, in una certa misura, morale. Lo scienziato è anche una persona, con proprie convinzioni e, sicuramente, la sua psicologia e la sua "metafisica" non possono essere scisse dal suo sapere professionale. Tuttavia, da lui è legittimo attendersi un diverso fondamento ed una diversa impostazione alle sue posizioni etiche e morali. A lui si può chiedere un più saldo e rigoroso ancoraggio scientifico. In questo modo, lo scienziato potrà dare anche un contributo autonomo alla discussione pubblica sulle ricadute sociali delle scoperte scientifiche (non è forse questo un modo più proficuo, più attivo e più apprezzato socialmente di difendere l'autonomia della scienza?).
Il ragionamento che io faccio, in estrema sintesi, è questo: i progressi della scienza accrescono il potere di intervento dell'uomo sulla realtà,proprio questa situazione dovrebbe imporre un più attento controllo ed un più oculato orientamento sia dei risultati che delle applicazioni scientifiche, mentre, in effetti, ci si muove nella direzione opposta, di una crescente sete di dominio. E' l'atteggiamento dell'uomo (a sua volta rafforzato dallo sviluppo scientifico) a renderci più insicuri circa un corretto uso della scienza. Se, perciò, vogliamo evitare una risoluzione coercitiva della complessità moderna, non possiamo che fare appello ad una responsabilizzazione, alla pari,di tutti i soggetti in campo, compresi gli scienziati, e non solo delle istituzioni. La scienza provoca entusiasmi e paure, la risposta dogmatica alle seconde può travolgere anche i primi. Il convolgimento diretto, da protagonisti, degli scienziati nel dibattito sulle finalità della scienza aiuta lo sbocco democratico e progressivo di un latente, ambivalente dissidio tra scienza e società.
Rispetto al rapporto tra imprenditori e scienziati, la prospettiva dell'autofinanziamento da parte degli scienziati sarebbe il segno di una situazione disperata, altrimenti non risolvibile. E, poi, gli scienziati-imprenditori sarebbero davvero più affidabili? Il Prof. Tucci, come si può leggere nella rassegna stampa curata da Bertolini, ci ricorda che anche la scienza rappresenta un potere. A questo pericolo allude anche l'utile e stimolante provocazione di Bertolini.
Dal punto di vista pratico, mi sembra che solo la pluralità degli operatori e dei centri di finanziamento può offrire maggiori garanzie di libertà scientifica e, quindi, di autonoma e responsabile decisione. In questo senso, un grande ruolo spetta alla presenza pubblica. Più in generale, dipende dal clima complessivo, di maggior o minor fiducia, che si stabilirà nei confronti della scienza, se questa potrà essere salvaguardata o meno da indebite interferenze istituzionali; mentre, al contrario, è la saldezza del potere delle istituzioni democratiche che può opporsi alle interessate ed esose pressioni dei potentati economici.
In definitiva, abbiamo bisogno di un nuovo tipo di alleanza tra scienza e società.
Innanzitutto desidero ringraziare Andrea Amato per la sua pronta replica al mio intervento, replica arguta che stimola altre riflessioni.
Amato cita il caso della bomba atomica, del "rapido" utilizzo pratico delle scoperte sulla radioattività. Ho volutamente messo tra virgolette la parola "rapido", perché i raggi X furono scoperti da Röntgen nel 1895 e un anno dopo Becquerel scoprì la radioattività. Se poi riflettiamo che queste ricerche si incanalano nel più ampio contesto delle ricerche della quantità elementare di elettricità indicata da Maxwell, dobbiamo risalire al 1873.
Ma allora quando porre la fine della ricerca scientifica e porre linizio di quella tecnologica? Per la bomba atomica è ancora relativamente semplice: nel momento in cui si decise di costruire la bomba, si pensava già che la cosa fosse fattibile, e che sarebbe stata solo una questione di tempo e mezzi. In quel momento era cessata la fase del dubbio, della ricerca sulle caratteristiche dellatomo, del sapere di non sapere: si pensava di saperne già a sufficienza da poter costruire un dispositivo in grado di sfruttare questa conoscenza.
Oggi però, e qui concordo in parte con Amato, la tecnologia è diventata essa stessa motore propulsore della scienza: basti pensare al satellite per lastronomia X Chandra, che grazie alla elevata risoluzione angolare ha permesso di ottenere delle immagini mai viste fino a oggi con dettagli così nitidi da rivoluzionare le concezioni di alcuni oggetti nellUniverso. Uno strumento nuovo o con caratteristiche innovative può fornire materiale di studio per la scienza, per cui lo scienziato è obbligato a conoscere lo strumento se vuole sapere fino a che punto i dati che gli arrivano sono affidabili o no. Però la questione non si limita a questo.
Lo scienziato non è fisso nel suo canovaccio, o meglio non esiste lo scienziato. Esistono invece persone con caratteri, interessi, modi di fare e di avvicinarsi alla ricerca completamente differenti tra di loro: ci sono i collezionisti, gli osservatori, i teorici, i modellisti, gli artisti e gli artigiani, i poeti e i filosofi, e qualche volta anche qualcuno con inclinazioni mistiche o spiritualistiche. Lo scienziato che con aria assorta, completamente immerso nella ricerca della verità, resta incurante dei benefici terreni è uno stereotipo ormai vetusto, così come lo scienziato pazzo che con forte accento mitteleuropeo ripete sempre "presto tutto mondo sarà in mie mani!". Molto interessante a questo proposito lanalisi di Peter Medawar in Consigli a un giovane scienziato (Boringhieri, 1981), da cui ho ripreso alcune delle considerazioni qui sopra riportate. E curioso il lapsus di Amato nel suo intervento del 10 agosto, quando afferma che "Lo scienziato è anche una persona " (il corsivo è mio): lo scienziato è una persona, lumanità non è un optional, anzi come ho scritto sopra occorre invertire e riconoscere che non esiste lo scienziato, ma esseri umani che si dedicano alla scienza.
Quindi, se lo scienziato - o forse è meglio parlare di "ricercatore" - è oggi costretto a affrontare problemi scientifici, tecnologici, imprenditoriali, ecc. dedicandosi a un lavoro multitask, invece la scienza e la tecnologia sono entità astratte, ideali, per cui è possibile definirle e differenziarle (daltra parte, se tutto fosse scienza, non ci sarebbe più scienza). Lessere umano non è definibile, anche perché si evolve e muta nel tempo: Enrico Fermi ha iniziato studiando la fisica nucleare (studi sui neutroni termici), poi ha deciso - per vari motivi: se non ci fosse stata la guerra, che avrebbe fatto Fermi? - di passare allingegneria nucleare (reattore nucleare, bomba atomica). Non per questo la fisica è diventata ingegneria, mentre Fermi da fisico è diventato ingegnere e il passare dalluna allaltra non è immediato, né una conseguenza deterministica.
Non chiedete al ricercatore cose che non può fare o dare, non chiedetegli di essere il portatore di una verità unica e assoluta: lunica cosa che il ricercatore può dare alla società è qualche brandello di conoscenza, un punto di vista, una testimonianza intorno a una pratica. Come scrisse Niels Bohr, è sbagliato pensare che la fisica consista nel dire ciò che la natura è; la fisica è ciò che noi possiamo dire riguardo la natura.
Da questo discende linesistenza dellesperto, di colui che possa certificare ciò che non è certificabile, il sapere (v. intervento di Bertolini 8 agosto). Al tribunale o allamministrazione che chiede di dire tutta la verità, il ricercatore non può che rispondere come Lacan: non posso dire tutta la verità, perché non bastano le parole.
Per tutto questo, per queste condizioni, spetta alla società decidere se e come impiegare questa conoscenza. E in una società democratica, il voto di uno scienziato vale come quello di chiunque altro.
Mi sia consentito un breve commento alla replica di Foschini, come sempre così analitica. Innanzi tutto, nel mio intervento, in cui mi soffermavo si caratteri degli studi di fisica, non ho fatto alcun riferimento specifico alle ricerche sulla radioattività, iniziate, come ci ricorda Foschini, nel 1895. Più genericamente ho parlato di "ricerche di fisica". L'accenno fatto da Foschini al passaggio di Fermi a studi di ingegneria nucleare, per "diversi motivi", tra cui anche la guerra, conferma il nesso stretto tra alcune ricerche e loro utilizzo pratico, nesso implicito e non del tutto voluto per gli scienziati, esplicito e diretto per militari e politici. Per il resto, non è il caso di dividerci anche quando siamo d'accordo; la mia affermazione che lo scienziato "è anche una persona", non rappresenta un lapsus, bensì una sottolineatura che va proprio nel senso voluto da Foschini. Più in generale, la mia riflessione su questi temi si indirizza verso la ricerca di nuove strade che salvaguardino l'autonomia ed il progresso della scienza, nell'unico modo secondo me possibile: quello di renderla coprotagonista di una dimensione umanamente più compatibile della innovazione.
22 agosto 2001
From: Gian Maria BORRELLO
Subject: Re: Sviluppo scientifico compatibile
Amato wrote:
> Per il resto, non è il caso di dividerci anche quando siamo d'accordo
A me non sembrate d'accordo.
Foschini contesta l'attribuzione allo scienziato di uno specifico ruolo in termini di responsabilità sociale, ruolo che Amato, invece, auspica.
Accolgo volentieri l'invito rivoltomi da Borrello a precisare i punti di accordo e quelli di disaccordo con Foschini.
L'accordo riguarda l'inscindibilità, nello scienziato, della dimensione personale da quella professionale, anche se questo non deve farci dimenticare la loro reciproca autonomia. Si tratta, appunto, di una interrelazione tra sfere autonome.
Il disaccordo attiene, invece, il ruolo dello scienziato, figura alla quale io assegno una funzione sociale specifica. Su questo punto voglio dire che nutro un sincero rispetto per le posizioni espresse da Foschini, le quali hanno alle loro spalle una lunga ed importante tradizione, ma, francamente, le ritengo non confecenti agli attuali sviluppi della ricerca scientifica, così carichi di implicazioni morali e sociali. Questa situazione investe, ormai, anche la fisica, dato che alcuni suoi settori di ricerca, gradualmente, hanno accorciato le distanze temporali tra impegno teorico e ricadute tecnologiche (ed ancor più ciò accadrà nel futuro). La realizzazione della bomba atomica, prima, e l'uso a fini pacifici dell'energia nucleare, poi (che, pure, tante discussioni suscita ancora), ne sono una prova. D'altronde, quand'anche si potesse operare una distinzione netta tra scienziati puri e ricercatori tecnologici, almeno per quest'ultima categoria, anche nel campo della fisica, varrebbe la considerazione di un profondo coinvolgimento morale e sociale della scienza.
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