Interventi al Forum nel mese di Luglio 2001

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Conflitti di interesse nella scienza: parliamone

Dibattito condotto da Vittorio Bertolini [ * ]

Sulla prima pagina de Il Sole 24 Ore di sabato 8 giugno ...  right-sfondochiaro.gif (838 byte)per l'Introduzione e gli interventi precedenti, v. il mese precedente

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19 luglio 2001
From: Andrea AMATO
Subject: Conflitto di interesse nella scienza: la responsabilità degli scienziati e quella della società

Allo scienziato compete una responsabilità in ordine alla individuazione delle finalità e in ordine alla inflessibile ricerca delle possibili conseguenze di un programma scientifico. Proprio per questo il conflitto di interessi sorge innanzi tutto sul terreno teorico e morale, prima ancora che su quello economico. Più esattamente, il conflitto economico, fondamentalmente, rinvia alla maggiore o minore coerente assunzione di responsabilità da parte dello scienziato. Ciò non significa che i concreti rapporti tra scienza e applicazioni tecnologiche non presentino caratteri propri, autonomi, bensì sta ad indicare la necessità di una preliminare definizione dei compiti dello scienziato, a partire dalla quale diventi poi possibile discutere, in maniera non ideologica e non moralistica, dei suoi reali rapporti con il mondo produttivo. In tal modo, gli scienziati da un lato potranno riconquistare la fiducia dell'opinione pubblica, dall'altro contribuiranno a porre su un piano scientifico, più qualificato e più laico, i termini del conflitto di interessi.

Entrando nello specifico, si può dire che il vero presupposto per una dignitosa e corretta collocazione sociale dello scienziato consiste nella sussistenza di una pluralità di committenti ed, in particolare, nella forte presenza di un soggetto pubblico, il quale completi e, all'occorrenza, contraddica quello privato. Sotto un altro punto di vista, ciò significa garantire la pluralità dei programmi di ricerca, poiché, come è già stato rilevato dai primi interventi al Forum, il mercato spinge in modo unilaterale verso quelle sperimentazioni dagli effetti più immediati e più spettacolari, mentre andrebbe ugualmente tutelato l'impegno a lunga scadenza.

Un altro aspetto del conflitto di interessi, che più o meno direttamente investe lo scienziato, è dato dalla brevettazione delle scoperte e dalla commercializzazione dei prodotti scientifici. Riguardo al primo punto, va chiarito che, se non si vuole un'economia di tipo collettivistico, non vi è alternativa alla brevettazione dei risultati scientifici. Più produttiva sarebbe la discussione sui limiti e sulle caratteristiche della concessione dei brevetti, invece di assumere un'astratta posizione ideologica a favore o contro di essa. D'altro canto, l'eventuale spropositato guadagno chiama in causa, in primo luogo, l'eccessiva concentrazione monopolistica su scala mondiale, propria dell'economia globale. Senza un ridimensionamento delle posizioni oligopolistiche e monopolistiche non si potranno mai assicurare prezzi di vendita equi. Sfoltito il campo da artificiosi rigonfiamenti dei prezzi di listino, si può poi più facilmente pensare ad un intervento integrativo da parte dello stato per l'acquisto di quei prodotti effettivamente altamente costosi.

In definitiva, anche dal punto di vista del conflitto d'interessi emerge una duplice responsabilità: quella della scienza, intesa come scienziato singolo e come comunità scientifica; quella della società.

Nessuno dei due soggetti può delegare all'altro responsabilità che sono proprie, né può nascondersi dietro le altrui responsabilità per ignorare le proprie.


20 luglio 2001
From: Anna BORELLINI
Subject: Il ruolo dello scienziato

Da una pagina del volume di James Lovelock "Le nuove età di Gaia" [ndr: v. la scheda del libro su Internetbookshop], riporto brevemente:

«La ricerca scientifica, diversamente da molte altre attività intellettuali, non si può mai svolgere a casa propria. Chi fra gli scienziati fa davvero il libero pofessionista? Si potrebbe ritenere che lo scienziato accademico sia completamente libero. In realtà quasi tutti gli scienziati sono al servizio di qualche vasta organizzazione, un ente statale, un'università o una multinazionale. E' raro che il loro fare scienza esprima una visione personale.»

Consiglio ancora un'altra lettura che chiarisce il ruolo dello scienziato, di Guy Sorman -"I veri pensatori del nostro tempo"- [ndr: v. la scheda del libro su Internetbookshop] e lascio a Voi le conclusioni.


21 luglio 2001
From: Vittorio BERTOLINI
Subject: Al di là del G8

Se a prima vista può apparire una questione di lana caprina, ad una lettura non superficiale risulta chiaramente che l'uso del "fra" al posto del "di", fa slittare sensibilmente il concetto di conflitto. Infatti mentre "di" sta a significare appartenenza, proprietà, "fra", da infra, indica una relazione. Una cooperativa di servizi è diversa da una cooperativa fra servizi.

Il conflitto "di" interessi è riferito ad una singola individualità che persegue due o più interessi divergenti; conseguentemente ogni strategia di persuasione ante e o di dissuasione post, non può che essere indirizzata alla persona.

Nel conflitto "fra" interessi sono gli interessi ad essere in contrasto fra di loro, se non sul piano della coerenza almeno su quello della fattibilità. Un progetto di ricerca sul cancro è alternativo ad un progetto di ricerca sulle radiazioni fossili solo per la limitazione delle risorse; in questi casi perciò più che su strategie di soluzione il problema va inteso come determinazione delle procedure di scelta.

Gli interventi pervenuti al forum proposto dalla Fondazione Bassetti hanno risentito bivalenza, slittando dal "di" al "fra", dal conflitto al confronto.

Nelle righe che seguono si cercherà di focalizzare alcune delle questioni poste dai contributi o nell'ambito del "di" o nell'ambito del "fra".

Un primo punto su cui vale la pena di soffermare l'attenzione sono le considerazioni di Flaminio Musa sulle politiche di prevenzione e di dissuasione. Privilegiare l'una o l'altra secondo il numero dei soggetti interessati è un'affermazione che va sottolineata; infatti, la repressione risulta poco efficace quando i comportamenti non ortodossi appartengono a molti individui. Vedi il caso delle politiche proibizioniste. Flaminio Musa implicitamente pare ritenere il fenomeno del conflitto di interessi nella pratica scientifica tutto sommato di scarsa rilevanza. Anche se i dati empirici sono piuttosto scarsi, è mia opinione che le posizioni potenzialmente a rischio non sono affatto limitate; infatti ritengo la definizione che Musa dà del conflitto di interessi --"quando un individuo utilizza la posizione dominante assunta in un certo ambito per ottenere la posizione dominante anche in un altro ambito"-- eccessivamente restrittiva. Quando pensiamo al conflitto di interessi non dobbiamo pensare solo a posizioni dominanti, ma anche a ruoli in cui limitati privilegi consentono di conseguire indirettamente qualche vantaggio, per esempio un docente che utilizzi per la propria attività privata il lavoro di ricerca dei propri allievi. Di fronte ad una casistica pressoché infinita, il problema è perciò focalizzare il mix di strategie più opportuno.

Domenico Lanfranchi pone al centro del suo intervento la cultura scientifica. In altre parole, dove l'humus culturale è pervaso di conoscenza scientifica è molto più difficile che il conflitto di interessi possa trovare spazi adeguati di proliferazione. Rimane però che la situazione è quella che è e l'auspicato incremento della cultura scientifica è questione di lungo periodo (e per allora, ricordando Keynes, potremmo essere tutti morti). La posizione di Lanfranchi, inoltre, sconta solo un aspetto del conflitto di interessi, che è quello della disinformacja in ambito scientifico; senz'altro è quello che più è stato sottolineato dalla pubblicistica corrente, ma non è certo che sia il più rilevante sul piano quantitativo e su quello delle conseguenze. Visto poi che l'evoluzione della scienza è più veloce di quella della moda e della morte del dialogo leopardiano, in molti casi può essere che il discorso scientifico rimane incomprensibile anche a chi può contare su una buona scuola.

Il discorso di Lanfranchi è decisamente convincente e puntuale per quanto riguarda il conflitto "fra" interessi. Scegliere fra progetti alternativi significa avere in primo luogo le basi culturali necessarie a comprendere i progetti in competizione. Poiché il caso "Di Bella" molto opportunamente viene citato da Lanfranchi, e poiché qualcuno ha già proposto di riprovarci (L'Unità 6 giugno), può essere importante per comprendere a fondo l'importanza del discorso di Lanfranchi, soffermarsi con attenzione sull'articolo di Ugo Volli, Scienziati o politici, chi deve governare?, apparso su Avvenire il 17 aprile scorso.

Il caso posto da Luigi Foschini appare a prima vista scarsamente significativo sul piano del conflitto di interessi. Sembra infatti che più di conflitto si possa parlare di legittima difesa del proprio status, oppure se vogliamo girarla dal punto vista sociologico, quasi una riproposizione dell'alienazione marxiana trasferita nel campo di un nuovo proletariato intellettuale. Nella definizione però, che Foschini dà del conflitto --"quando interessi estranei alla scienza stravolgono le scelte di ricerca, sottomettendola alle proprie esigenze"-- si colgono tutte le conseguenze di questo tipo di conflitto e la necessità perciò di individuare strategie che non possono essere né del tipo di "chi sbaglia paga" né di tipo impeditivo/selettivo "se hai famiglia, se speri di far carriera … allora non partecipi". Al fondo del discorso di Foschini c'è il problema de La scienza in una società libera (il riferimento a Feyerabend non è casuale).

Francesco Copercini nel suo intervento parte dal presupposto che il conflitto "di" e "fra" interessi nasce dall'importanza che la scienza e la ricerca scientifica hanno assunto nel mondo dell'economia di mercato. Implicitamente perciò Copercini si allinea sulla posizione espressa da Carlo Alberto Redi in un articolo apparso sull'Unita del primo giugno scorso: Il rischio maggiore? Che tutto vada in mano ai privati.

A parte ogni considerazione sui limiti del finanziamento pubblico della ricerca, a cui accenna sia Copercini in chiusura sia, con una mossa un po' provocatoria lo stesso Foschini (autofinanziamento) rimane il problema che se il decisore privato è spinto dall'interesse economico, da quale interesse è spinto il decisore pubblico? Tutti ricorderanno la polemica fra il ministro Bordon e il ministro Veronesi sull'elettrosmog (cfr. La Stampa 9 aprile La verità è umanitaria). Ritorniamo allora al Gorgia di Platone come riportato nell'articolo di Volli citato sopra. Ma l'alternativa è solo fra demagogia ed economia?

In chiusura, come ulteriori elementi di riflessione e documentazione rimando a tre articoli apparsi su "il manifesto" rispettivamente La scienza del conflitto d'interesse del 23 maggio, Arsenico e vecchi trucchetti del 24 aprile e Chi influenza, e come, i ricercatori del 27 giugno. Il primo svolge alcune considerazioni a partire da un articolo apparso sull'Economist e riprodotto nel sito della Fondazione Bassetti, per il contenuto del secondo tanto vale riprodurre parte del sottotitolo dell'articolo stesso "Le lobby pagano. E l'acqua potabile diventa inquinabile". Il terzo è senza dubbio il più rilevante, in quanto pone chiaramente il problema della governance della ricerca scientifica.

La cultura dell'antagonismo de "il manifesto" si muove chiaramente in una precisa direzione ideologica, in cui a volte la denuncia può anche apparire strumentale. Ma il giusto punto di equilibrio fra gli interessi economici delle grandi aziende private, le esigenze di conoscenza del mondo della scienza e il ruolo di un mondo politico che dovrebbe essere interessato al benessere generale è uno degli snodi, al di là dei riti e del folklore del G8, a cui i cittadini del XXI secolo non devono e non possono sottrarsi. Il dibattito prosegue.


22 luglio 2001
From: Andrea AMATO
Subject: Il dramma della scienza

Credo che la questione del conflitto d'interessi scientifico si possa affrontare in modo più costruttivo se lo inquadriamo nel contesto più generale dello statuto della scienza.

La scienza moderna è percorsa da un dramma inedito, per le sue proporzioni e per la sua valenza.

Essa, infatti, viene oggi chiamata a ridefinire il proprio ruolo ed i propri compiti, una ridefinizione che avviene non nell'ambito di una pacifica e scontata discussione, tutta interna alla scienza, bensì nel pieno di un confronto drammatico.

Il dramma fondamentale della scienza si riferisce alla fine della pretesa separatezza di questo sapere dalla società, o, comunque, al mancato riconoscimento della fine, per usare un'espressione cara ad Heidegger, della sua pretesa oggettivazione, ossia dell'affermazione di una conoscenza teorica certa ed indiscutibile, tale da giustificare qualsiasi applicazione tecnologica, in quanto oggettivamente conseguente e dipendente da una conoscenza essa per prima oggettiva.

I maggiori epistemologi, finora, hanno, per lo più, discusso dello statuto della scienza pura, ma proprio la distinzione netta tra scienza pura e scienza applicata oggi appare quanto mai inadeguata, dato che le differenze tra le due sfere diventano sempre più sfumate e sfuggenti, anche se non scompaiono del tutto. Perciò, sotto molti aspetti, le riflessioni dei filosofi della scienza dimostrano di essere ancorate ad una visione astratta del sapere scientifico, e, comunque, insufficiente rispetto ai nuovi orizzonti e ai nuovi scenari che si delineano.

Si prenda ad esempio la distinzione operata da Popper tra problemi trovati e problemi posti; essa equivale alla differenziazione dello statuto e dei compiti propri rispettivamente della scienza e della filosofia . Tuttavia, oggi non è più possibile dire che la scienza si muove all'interno di problematiche già esistenti, mentre spetta alla filosofia fornire una riflessione su di esse o trascendere l'immediato e l'esistente per porre l'uomo di fronte alle domande fondamentali che ogni epoca avanza. La scienza non affronta più solo questioni teoriche, trasmesse dal dibattito scientifico, né tantomeno si propone soltanto di risolvere problemi già esistenti; insieme a tutto questo, essa stessa solleva questioni di grande rilevanza, sia di carattere teorico sia di carattere sociale e morale. La scienza cioè interviene sempre più nel mondo e vi traspone le sue incertezze, così come vi trasferisce un'enorme carica di cambiamento. In altre parole, la scienza, pur operando in un campo proprio specifico, contamina sempre più con le sue ricerche il dibattito filosofico, morale, politico.

Allo stesso modo, non è più accettabile la suddivisione netta di compiti tra chi propone dei fini, cioè la società, e chi predispone dei mezzi per raggiungerli, cioè la scienza . Il sapere scientifico, infatti, ormai avanza esso per primo delle finalità all'uomo e non si limita più a recepire o a riconsiderare quelli prospettati dalla società; anche qui non è più possibile distinguere nettamente tra fini trovati e fini posti.

Complessivamente, non si può più postulare una estraneità della scienza sia rispetto ai problemi e alle conseguenze, certe o prevedibili, che le scoperte scientifiche comportano, sia rispetto ai fini, cioè alle domande sociali che le ricerche scientifiche stimolano.

Sussiste, però, anche un'illusione della scienza, la quale risiede nella fiducia di poter continuamente progredire, risolvere problemi, raggiungere successi, e tutto questo entro un contesto sociale ed umano imperturbato ed entro un quadro complessivo, se non di certezze, perlomeno di orizzonti, di problematiche, di programmi di ricerca e di tradizioni largamente condivisi. Questa illusione, però, innanzi tutto non mette in conto il pericolo costituito dall'uomo e dalla sua possibile auto-esaltazione, così come non tiene presente la mutevolezza e la dimensione storica della realtà.

Rispetto a questi dati, si assiste ad una contraddittoria richiesta sociale, la quale spinge o in direzione di una drastica limitazione della ricerca scientifica, oppure difende a spada tratta la libertà e l'autonomia della scienza. In quest'ultimo caso, si apportano motivazioni diverse che vanno dal rispetto per la dignità di questo tipo di sapere a posizioni individualmente interessate, dato che nei progressi della scienza si intravede un accrescimento delle possibilità e dei desideri dell'individuo, cosicchè, in ultima analisi, si difende la libertà della scienza per difendere anche la libertà dell'individuo.

Questi stessi desideri individuali o sociali, del resto, oggi costituiscono un referente importante per le ricerche scientifiche, per cui la scienza si pone essa stessa una finalità, per così dire, "edonistica", cioè volta a soddisfare esigenze non impellenti e non generalizzate, ma differibili o particolari.

Desiderio individuale o sociale e scienza si incontrano per reciproca affinità e si sostengono a vicenda, per cui le richieste della società giustificano certe imprese scientifiche e, a loro volta, le novità scientifiche alimentano una domanda sociale di innovazione incessante. Di questa situazione la scienza è diventata al tempo stesso strumento e artefice.

In genere, le istituzioni scientifiche e le industrie premono per avere a breve dei risultati, ma ciò né favorisce la serenità del lavoro dello scienziato, né incoraggia questi ad una assunzione consapevole delle sue responsabilità. Lo stesso scienziato può essere animato dal desiderio di spettacolarizzare i risultati del proprio lavoro. La pressione delle istituzioni e delle industrie costituisce, in questo caso, un alibi per il suo comportamento, che, in tal modo, appare essere dettato più dalle esigenze degli altri che non da una propria autonoma propensione in tal senso.

Il tempo più lungo a disposizione per condurre determinati programmi, dunque, rappresenta uno strumento di garanzia per la società, ma di per sé non basta. L'esperienza di questi anni dimostra che, a volte, occorre un intervento tempestivo della società per bloccare o indirizzare da subito le stesse ricerche della scienza pura. Ad esempio, si è preventivamente stabilita la pericolosità di esperimenti che conducano alla clonazione umana. Questi limiti posti alla scienza devono essere considerati eccezionali, altrimenti si sfocia nell'interferenza con la programmazione scientifica. Al contrario, laddove siano giustificati, gli interventi esterni risultano pienamente legittimi e contro di essi non si può invocare l'assolutezza del principio di libertà scientifica, giacchè in certi casi una tale libertà si scontrerebbe con la finalità ultima di qualsiasi attività umana, compresa quella scientifica, che consiste nel favorire il pieno sviluppo della personalità umana e nel garantire l'integrità dell'individuo. Qui, il principio della libertà scientifica si incontra con altri principi e la assolutizzazione di un principio particolare violerebbe ed inficerebbe la libertà generale di ognuno di noi, di tutti noi.

In linea di massima, lo statuto di principio fondamentale può essere stabilito sulla base di un consenso sociale assai forte, raggiunto democraticamente, e deve riferirsi alle prerogative dell'individuo visto nella sua universalità, cioè in quanto costitutivo della specie umana. In tali condizioni, la società è abilitata, anzi, è tenuta ad intervenire sull'attività dei singoli, stabilendo dei limiti e degli indirizzi.

Se, dunque, la conoscenza del mondo diventa sempre più e sempre più immediatamente ambizione a trasformare il mondo, la libertà di conoscere non basta più a giustificare l'autonomia della scienza. Questa se vuole difendere la propria autonomia deve farsi carico di un ulteriore tema, quello della valutazione delle conseguenze delle scoperte scientifiche, o, in altri termini, delle finalità ammissibili da parte della ricerca scientifica.

Una tale questione può essere affrontata su basi scientifiche e, cioè, con metodologie e con criteri di verifica propri della scienza.


23 luglio 2001
From: Gian Maria BORRELLO
Subject: Re: Il dramma della scienza

Non mi è chiaro che cosa Amato intenda quando dice che «si è preventivamente stabilita la pericolosità di esperimenti che conducano alla clonazione umana» e che «la valutazione delle conseguenze delle scoperte scientifiche, o, in altri termini, delle finalità ammissibili da parte della ricerca scientifica, può essere affrontata su basi scientifiche e, cioè, con metodologie e con criteri di verifica propri della scienza».


23 luglio 2001
From: Andrea AMATO
Subject: Principi fondamentali e criteri morali

Rispondo vlentieri alle osservazioni fatte da Borrello.

In ordine alla prima domanda, circa il divieto preventivo di clonazione umana, la mia affermazione era tesa ad evidenziare come le istituzioni politiche e larga parte della comunità scientifica hanno imposto o si è autoimposta in modo aprioristico un limite ai programmi di ricerca. In questo caso, cioè, un principio morale, quello della irripetibilità dell'individuo, si è frapposto preliminarmente ad un qualsiasi svilupppo delle ricerche scientifiche che potesse violare un tale presupposto; anzi, ha assunto un carattere prescrittivo e limitativo. Cosicchè, bisogna eccezionalmente prevedere casi in cui va bloccata le stessa ricerca pura, prima ancora di quella applicata, perchè si ritiene che nessuna eventuale valutazione comparativaa tra rischi e benefici possa giustificare una deroga ad alcuni principi, ritenuti fondamentali.

A parte queste situazioni del tutto speciali, generalmente la questione della compatibilità delle ricerche scientifiche, sia pure che applicate, va posta in maniera laica, non ideologica. Ciò significa che da un lato le esigenze sociali ed i criteri morali cercano di dotarsi di un fondamento scientifico, mentre dall'altro i risultati teorici e le innovazioni tecnologiche annettono valore metodologico e sperimentale ad alcuni parametri di controllo richiesti socialmente. In altri termini, dobbiamo evitare che ci si divida tra chi sperimenta fuori da ogni preoccupazione morale e chi decide pregiudizialmente, ignorando qualsiasi analisi scientifica.

L'obiettivo ultimo è quello di coniugare tensione morale e libertà scientifica, cosa che si può ottenre solo se si instaura uno spirito di collaborazione e di confronto tra mondo scientifico, società civile ed istituzioni. Una collaborazione ed un confronto evidentemente biunivoci, in cui come la scienza si fa carico di un orizzonte sociale e morale, allo stesso modo la società valorizza il ruolo della scienza, rispetta il suo lavoro teorico, assume come proprio valore e come proprio obiettivo la crescita dei livelli complessivi di preparazione scientifica della popolazione.


23 luglio 2001
From: Gian Maria BORRELLO
Subject: Re: Principi fondamentali e criteri morali

Bisognerebbe precisare che la frase «si è preventivamente stabilita la pericolosità di esperimenti che conducano alla clonazione umana» andrebbe letta con riferimento ad "alcuni" esperimenti e non a qualunque esperimento di clonazione umana: i divieti riguardano solo la clonazione a fini riproduttivi e non quella a fini terapeutici. In merito, si può consultare, in questo sito, il Percorso sulle "Biotecnologie e Ingegneria genetica", nella parte che riguarda la regolamentazione della clonazione umana.


24 luglio 2001
From: Andrea AMATO
Subject: Re: Principi fondamentali e criteri morali

La precisazione è giusta, io la ritenevo implicita dal momento che l'avevo collegata al principio di irripetibilità dell'individuale, ma probabilmente è opportuno, come suggerisce Borrello, renderla esplicita.


28 luglio 2001
From: Gian Maria BORRELLO
Subject: Divieto di clonazione [was: Re: Principi fondamentali e criteri morali]

C'è qualche novità...

La Commissione Giustizia della Camera degli Stati Uniti ha approvato, qualche giorno fa, un disegno di legge che vieta ogni forma di clonazione umana, indipendentemente dai fini.

«Health and Human Services Secretary Tommy Thompson said the committee should be applauded.
"The bill is consistent with the administration's view that the use of this cloning technique to create an embryo for reproduction or for research should not be permitted,'' Thompson said in a written statement. (...)» (AP - Jul 25, 2001)

right-sfondochiaro.gif (838 byte)v. il lancio di agenzia della Associated Press (il documento rimarrà on-line soltanto per un numero di giorni limitato)
right-sfondochiaro.gif (838 byte)v. il lancio di agenzia della Reuters (il documento rimarrà on-line soltanto per un numero di giorni limitato)


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