Interventi al Forum nel mese di Luglio 2000

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From: G.M. Borrello  <borrello@f...>
Date: Sun Jul 9, 2000 9:27am
Subject: RIAPERTURA del Forum e nuova versione del Sito

 

Un saluto a tutti i membri dell'eGroup della Fondazione Bassetti.

Con questa comunicazione riprende il nostro dibattito.

Durante il periodo di sospensione, è stata avviata una fase di
costruzione del sito volta a valorizzare i diversi contributi dei
partecipanti alla discussione.

Sono state inoltre intraprese alcune iniziative di collaborazione che
vedranno la luce in autunno.

Il sito è stato in parte ristrutturato e alcuni dei vostri
contributi inviati al Forum sono stati riorganizzati al suo interno.
Questa operazione ha dato origine ai "Percorsi", che rappresentano un
modo per scorporare iter di ragionamento e fare emergere linguaggi.

La nuova versione del sito, che è pubblica (cioè visibile da
chiunque ne conosca l'indirizzo web), è orientata a contenere
quello che diventerà l' "Ipertesto sull'Innovazione", il cui
embrione è rappresentato, appunto, dai Percorsi. L'indirizzo della
nuova versione è <http://fondazionebassetti.org/0due> [Ndr dell'8 aprile 2001: il link non è più attuale]

Ora, due parole riguardo al nostro forum.

Il dibattito non è fine a se stesso e, visto che, esteriormente,
il forum è, né più né meno, uno dei tanti gruppi di
discussione che esistono in Internet, è giunto il momento di
rendere esplicito a che cosa è finalizzato.
Il forum è, fondamentalmente, uno *strumento*, un *mezzo*... nei
documenti preliminari all'iniziativa della Fondazione, l'avevo
definito come "sensore". Nel seguito della nostra attività on-line
avrò modo di mettervi sempre meglio al corrente dei presupposti,
teorici e metodologici, ai quali è improntata la presenza in
Internet della Fondazione; per il momento, penso che sia opportuno
rendervi partecipi della *procedura* in relazione alla quale il forum
svolge, rispetto al sito, una funzione strumentale. Il forum è un
canale di comunicazione, un' "antenna", verso cui convergono i
diversi interventi scritti dei partecipanti; la Fondazione sottopone
i contributi così raccolti a operazioni periodiche di
riorganizzazione, volte alla loro selezione e alla loro successiva
pubblicazione all'interno del sito; tale riorganizzazione dà luogo
ai cosiddetti "Percorsi", cioè a iter di consultazione il cui
scopo ultimo è quello di dare corpo a fasi di costruzione di una
vera e propria rappresentazione ipertestuale del lavoro concettuale
svolto, cioè all'Ipertesto sull'Innovazione.
E con questo mi fermo.
L'importante è che, sin da ora, sia evidente che siamo all'interno
di un *flusso procedurale*. Ma è anche essenziale che siamo
consapevoli che questo flusso di pensieri, idee e opinioni non è,
in quanto tale, soggetto a una "regia" esterna, perché ciò
sarebbe contraddittorio rispetto allo stesso presupposto metodologico
di "group mind". Esiste --è vero-- una "regia", ma essa dirige non
il forum, bensì il sito web (garantendone la coerenza di intenti),
perché il dibattito è --come si è detto-- soggetto a un
vaglio continuo *in funzione della selezione dei contributi e dalla
loro pubblicazione nel sito* (e, in futuro, anche in altre forme).

Il forum, dicevamo, è dunque uno strumento. Ma non è *soltanto*
uno strumento. E' anche volontà e desiderio di interagire on-line
(altrimenti non saremmo qui), nella convinzione che la strategia di
comunicazione migliore, in ambito Internet, debba essere "volta
all'apprendimento" rispetto all'ambiente in cui si opera, e quindi
perseguire un continuo scambio di feed e feed-back con coloro che
contribuiscono all'attività della Fondazione.

Soffermiamoci, infine, per un momento su questa attività.

Voi sapete (si veda, nel sito, la "Presentazione delle attività")
che essa ha per oggetto l'impatto dell'innovazione imprenditoriale
sulle condizioni sociali, economiche e politiche di una società
complessa, e quindi che, in ultima analisi, si tratta di una
riflessione sull' "agire innovativo consapevole".

Ebbene, in base a quanto vi ho esposto, è importante che ognuno di
noi sia cosciente del fatto che il suo contributo attraverso il forum
ha un significato *costruttivo* che, in quanto tale, è opportuno
che miri a "colpire nel segno". E questo "segno" --o meglio,
"tracciato"-- è rappresentato dalle tre linee di riflessione (a,
b, c) di cui alla Presentazione pubblicata nel sito.
Esse vengono riprese nel primo dei Percorsi, "Una questione di...
convenienza", che, per chi ci ha seguito sino ad oggi, è un titolo
forse non nuovo. Quel testo ha dato spunto, per alcune
considerazioni, a Vittorio Menesini, docente di Diritto Industriale
alla facoltà di Giurisprudenza di Perugia e i cui interessi
scientifici spaziano dalla disciplina dell'informazione in campo
pubblicitario (per la quale ha sostenuto, già trent'anni or sono,
la liceità della reclame comparativa, potenziale strumento
innovativo di notevole significato), alle Biotecnologie (di cui è
un deciso sostenitore), alla tutela della proprietà intellettuale
confrontata con la disciplina della libertà di concorrenza.

Leggiamo le sue parole... nel forum
(<http://www.egroups.com/messages/fondazionebassetti> [Ndr dell''8 aprile 2001: il link non è più attuale]).

A presto

Gian Maria Borrello

____________________________________________

Dott. Giovanni Maria Borrello
(Web Master della Fondazione Bassetti)
<mailto:borrello@f...>
<http://fondazionebassetti.org/borrello.htm>
____________________________________________

From: Vittorio Menesini (by way of G.M. Borrello)  <vittoriome@l...>
Date: Sun Jul 9, 2000 9:44am
Subject: I limiti all'agire innovativo (WAS: Re: Una questione di... convenienza)

 

Inoltro l'intervento che Vittorio Menesini mi ha gentilmente inviato in
risposta a una mail specificamente diretta agli autori dei testi di cui al
cross-post dal Forum del Sole (si veda, in questo forum, l'intervento del 7
giugno 2000).
La mia mail terminava con la seguente frase, alla quale Menesini ha,
appunto, risposto: colgo quindi l'occasione per ringraziarlo.

<<[...] Occorrerebbe pervenire a un concetto di "convenienza" da definirsi
in termini di sviluppo sostenibile, e quindi con un significato originato
da una visione organica dello sviluppo, per arrivare a un concetto di
"responsabilità" frutto di una nuova consapevolezza dell'agire
imprenditoriale: chi bada all'interesse immediato, nella Storia è sempre
stato un distruttore, non soltanto degli altri, ma anche di sè.
MA A CHI ATTRIBUIRE LA RESPONSABILITÀ DI DETERMINARE LIMITI ALL'AGIRE? O
CHI RITERRA' DI ASSUMERSELA? E, IN TAL CASO, PERCHE'?>>

Gian Maria Borrello

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I limiti all'agire innovativo
(Vittorio Menesini)
--------------------------------------------

Dare risposte a domande ponendo altre domande, è un approccio
metodologicamente corretto solo quando ciò sia necessario per l'esigenza di
stabilire una qualche chiarezza preliminare sia concettuale che linguistica.

Questo è (forse) un caso fra questi, allorquando ci si riferisca alle
imprese e si evochino eventuali limiti "all'agire", di quest'ultime,
domandandosi a chi spetti la responsabilità di porli e il "perché".

V'è da chiedersi prima di tutto il significato d'impresa, o almeno in quale
significato venga adoperato rispetto al problema dei "limiti dell'agire".
Questo, non solo giuridicamente, oggi appare un nomen dai contorni nebulosi
e generici: tutti coloro che fanno attività con una qualche ricaduta
economica, sono in vero impresa: lo dice il buon senso, lo stabiliscono le
disposizioni fiscali, e lo esprimono con chiarezza le indicazioni
prescrittive comunitarie che prevedono discipline omogenee per qualunque
tipo d'attività di qualunque genere, che abbia appunto ricadute economiche
(ad esempio la disciplina della pubblicità o dei contributi economici per
nuove iniziative).

Impresa dunque è sia l'operatore economico in senso tradizionale, che il
lavoratore autonomo (ricercatore, l'artista, il professionista), il
professore universitario (sempre che faccia qualcosa di produttivo),
l'organismo o.n.l.u.s., le Chiese, i Partiti, i Sindacati, ogni qualvolta
vi siano aspetti di carattere economico.

Anche un Paese globalmente organizzato come produttore, può essere
considerato come impresa; si pensi non solo alla Cina ma anche ad altri
Paesi strutturati come Azienda.

Questo pone un problema: evocare "limiti all'agire" di qualcuno, è
possibile se questo qualcuno è determinato o determinabile sia
tipologicamente che geograficamente.

Se la premessa definitoria sopra posta è esatta, discende che i "limiti
eventuali" all'agire delle imprese nel campo dell'innovazione, non possono
essere di tipo legislativo tradizionale, ma di natura diversa da quelle a
cui siamo sino ad ora abituati.

In altre parole, un altro passo avanti può essere compiuto, osservando che
il "teatro" per eventuali "limiti all'agire" delle imprese, a questo punto,
non può essere altro che il mercato, l'unico luogo "giuridico" cioè
coercibile, nel senso di poter far rispettare divieti e di far mantenere
gli impegni, nel quale le imprese, nel senso sopra proposto, vanno prima o
poi ad operare.

Ma il mercato oggi è globalizzato, quindi sovra nazionale, quindi senza
regole e più simile ad un mare in tempesta che ad una tranquilla fiera dove
si scambiano merci contro denaro o denaro contro altro denaro.

Coniugare insieme mercato globale, innovazione, limiti all'agire e lo
stabilire anche chi lo possa e debba fare, porta ad una possibile
conclusione contenente più di un'alternativa:

a1) o tutto rimane com'è adesso, e unicuique suum, sia nel bene che nel
male, sia politicamente che economicamente e con la conclusione di
sottostare all'egemonia diretta o indiretta del Paese o dei paesi più
potenti sul piano politico, economico e militare, e ciascuno si scelga il
Paese di riferimento che vuole;

a2) oppure le "formiche" del pensare e dell'agire innovativo si mettano al
lavoro, come si sta facendo in questo confronto, e propongano a sè e agli
altri qualche risposta alle domande essenziali poste all'inizio.

a3) i "limiti all'agire" innovativo possono essere, a mio avviso, solo di
natura economico giuridica, e girare, applicativamente, intorno al valore
della libertà di concorrenza, che è la madre delle innovazione e unica
fonte "etica" alla quale attingere, se si crede.
Altrimenti si ricade nell'assolutismo dirigistico o in formule generiche
tipo "etica" degli affari, che, prima o poi, finiscono inevitabilmente con
l'avere o un sapore neo corporativo (tipo correttezza professionale, usi
onesti del commercio, buona fede, gute Sitten) o alcun tipo d'efficacia.

a4) Questi limiti possono, però, nascere solo da convenzioni internazionali
fra i paesi sviluppati e in via di sviluppo, attribuiti in gestione ad un
organismo sovranazionale ispirato ad una normativa incentrata sui principi
antitrust, che abbia reale autonomia e disponga di potere d'intervento nei
mercati senza farsi condizionare dagli interessi nazionali sottostanti a
quell'impresa o a quell'altra, o addirittura svincolati da tutti come nel
caso delle imprese multinazionali.

a5) questa soluzione alla lunga può apparire ragionevole, attuabile ed è
forse praticabile. Perché altrimenti al di fuori del recinto dei paesi a
libera concorrenza e quindi naturalmente portati all'innovazione
competitiva, nascerebbero innovazioni socialmente inaccettabili e queste
potrebbero in assenza di un'autorità del genere, dilagare per il mercato
globalizzato.

Con queste premesse invece prive della commerciabilità nel mercato globale
queste possibili innovazioni si troverebbero come i pesci fuori dell'acqua
e quindi nell'impossibilità di sopravvivere.

Si tratta di un nuovo possibile colonialismo di tipo giuridico, è una
domanda legittima ma la risposta a me può essere, a mio avviso, di segno
contrario.

Imporre a tutte le imprese - dagli operatori ai Paesi aziende- l'osservanza
di divieti e attribuire a tutti i cittadini del mondo, la garanzia della
libertà di scelta conseguente all'innovazione, può provenire soltanto da un
organismo sovranazionale capace di governare un antitrust globalizzato,
laico, senza preconcetti di alcun genere.

Per chiudere: nulla salus (innovativa) sine mercato e non vi è mercato se
qualcuno, diverso da una autorità legittimata giuridicamente possa porre
dei limiti fondati sui principi di libera concorrenza.

-----------------------

Ndr: Vittorio Menesini è docente di ruolo di Diritto Industriale alla
Facoltà di Giurisprudenza di Perugia. Quest'anno ha insegnato la stessa
materia alla Luiss di Roma
(<http://www.luiss.it/facolta/insegnamenti/curriculum/P42.htm>), i suoi
interessi... ma lasciamo parlare Menesini stesso: <<i miei interessi
scientifici spaziano dalla disciplina dell'informazione della pubblicità,
per la quale ho sostenuto già trent'anni or sono la liceità della reclame
comparatriva, potenziale strumento innovativo di notevole significato, alle
Biotecnologie, di cui sono un deciso sostenitore, alla tutela della
proprietà intellettuale confrontata con la disciplina della libertà di
concorrenza.>>

From:   <aamato@s...>
Date: Tue Jul 18, 2000 00:15am
Subject: Responsabilità imprenditoriale e compiti della società

 

Saluto tutti i partecipanti al forum.
Rispetto alla responsabilità imprenditoriale nei confronti
dell'innovazione, mi sembra che la domanda da cui partire possa
essere la seguente: che tipo di rapporti l'economia, vista nel suo
complesso, finora ha stabilito con la società?
In un'epoca di grandi trasformazioni, quale la nostra, nulla può
essere dato per scontato, neppure che l'economia riesca a stare al
passo con l'innovazione e a mettersi in sintonia con le nuove domande
sociali. Invece, abbiamo sinora assistito ad una buona tenuta del
sistema economico, e non credo di sbagliare dicendo che questa sua
stabilità ha contribuito notevolmente alla tenuta della stessa
società. Ma l'economia, oltre a resistere e ad adeguarsi
all'innovazione, sta facendo qualcosa in più, sta definendo un
modello organizzativo che, mutatis mutandis, può essere proposto
all'intera società come schema per la risoluzione dei conflitti
tra
individuo e società, tra gruppi e società, tra gruppi sociali.
Questo
modello si incentra su un'originale compresenza di accentramento di
alcune linee di comando e decentramento di determinate sfere di
competenza, così come, a livello globale, gioca sulla coabitazione
tra forte concentrazione produttiva e diffuso sistema di piccole e
medie imprese. In questo schema il piccolo e il grande convivono,
l'autorità e l'autonomia si ritagliano propri spazi.
Secondo questa prospettiva generale, si può dire che l'economia,
in
linea di massima, sta già offrendo un suo contributo alla
soluzione
dei problemi che la società incontra nel far fronte agli
sconvolgenti
ritmi dell'innovazione e alle trasformazioni ad essa connesse.
Tuttavia, bisogna subito aggiungere che tutto ciò non deriva da
un
atteggiamento esplicito e consapevole da parte delle imprese, vale a
dire che non si è ancora aperta una discussione (nè tanto meno
una
collaborazione) sui rapporti tra organizzazione economica ed
organizzazione sociale. Ne consegue che il contributo indiretto e di
massima avanzato dal sistema economico non si traduce per adesso in
una piena assunzione di responsabilità sociale da parte degli
imprenditori. Cosicchè, l'economia non ha ancora interpretato la
modernità nel suo senso più profondo, ovvero l'impresa moderna
non si
pone sempre e completamente come impresa civile e democratica.
Per uscire dal generico, vorrei indicare qui alcuni criteri che,
secondo me, possono permettere di definire concretamente i caratteri
di modernità, civiltà e democraticità dell'economia, così
da
inquadrare contestualmente i termini della responsabilità
imprenditoriale. Questi criteri potrebbero consistere in:
a) riduzione delle emissioni inquinanti, di qualsiasi tipo;
b) sicurezza e igiene delle condizioni di lavoro, giacchè non si
può
parlare di vera efficienza organizzativa e di di vera innovazione
tecnologica se nel frattempo non si sono assicurate condizioni
ambientali idonee all'interno dell'azienda;
c) valore prioritario assegnato alla qualità dei materiali usati e
dei prodotti conseguiti, se davvero si vuole rispettare l'ambiente e
la qualità della vita dei consumatori;
d) astensione dall'offerta di servizi e prodotti diseducativi nei
confronti dei bambini, o comunque moralmente riprovevoli;
e) freno a livelli di concentrazione monopolistica che possano
rivelarsi o pericolosi per la democrazia o controproducenti per gli
interessi dei consumatori.
Va da sè che non ci si può aspettare che l'intera economia
autonomamente si proponga e persegua questi obiettivi. C'è,
però, da
aspettarsi che almeno alcuni settori imprenditoriali illuminati lo
facciano e che essi, con il loro esempio, dimostrino che
responsabilità sociale e competitività possono coniugarsi. Il
loro
esempio renderebbe meno coercitivo e meno intollerabile l'eventuale
intervento di regolamentazione in questi campi da parte della
società. In un confronto aperto sui termini e sui caratteri
dell'intervento sociale nell'economia costituirebbe già un dato
positivo l'assunzione da parte degli imprenditori di una posizione
non pregiudizialmente ed ostinatamente ostile.
Andrea Amato

From: ilpolitecnico  <ilpolitecnico@t...>
Date: Wed Jul 19, 2000 5:43am
Subject: innovazione tecnologica

 

 Prima di riprendere alcuni degli argomenti che si erano dispiegati prima dell'interruzione del forum vorrei ancora ampliare l'analisi.

I beni oggetto dell'innovazione tecnologica sono sostanzialmente beni immateriali derivanti dall'applicazione alla produzione di conoscenze intellettuali. 

Non si tratta come avveniva un tempo di produrre più carne o più acciaio aumentando il numero delle stalle o delle acciaierie, ed aumentando il numero dei lavoratori impiegati, ma di aumentare la produzione di carne o di acciaio attraverso l'applicazione di tecniche al processo produttivo con il fine di utilizzare un numero minore di stalle e un numero minore di lavoratori. 

Addirittura si può dire che non si tratta più neppure di produrre - per molti prodotti vi è un problema di sovrapproduzione - ma di creare  un mercato solo per i prodotti che si desiderano vendere e quindi la comunicazione diventa il vero soggetto dell'innovazione tecnologica.

Uno dei mercati che può ancora assorbire prodotti è quello dei poveri. Ma i prodotti per i poveri devono avere un costo di produzione molto basso, da qui l'idea che l'uso della tecnologia possa diminuendo il costo di produzione rendere economicamente competitivo il mercato dei poveri. Si noti però che si tratta sempre di un mercato che  risponde a leggi economiche, non di beneficenza.

I beni oggetto dell'innovazione tecnologica sono quindi rispetto ai beni materiali ( la carne, l'acciaio) di un livello diverso  si tratta di beni immateriali che si possono suddividere in : brevetti - marchi - tecniche organizzative e tecniche di comunicazione. Tutti questi beni sono essenzialmente  di tipo intellettuale, non hanno più nessun legame con l'oggetto materiale che costituiva il bene di scambio naturale. 

Come diceva Keynes ( se vi è una ragione alla scarsità della terra non vi è una ragione alla scarsità del capitale ) non vi è una ragione alla scarsità dei beni intellettuali. 

Nonostante l'affermazione di Keynes brevetti e marchi sono beni di tipo monopolistico che attribuiscono un plusvalore ad alcune particolari acquisizioni intellettuali.

Come accennavo l'innovazione tecnologica che ritengo più rilevante è lo svilupparsi della comunicazione sotto forma di media, telefono, www,  tecnologie pubblicitarie e di comunicazione. Intuitivamente possiamo immaginare che fra qualche anno  molto del lavoro potrà essere svolto attraverso i nuovi mezzi di comunicazione e la stessa innovazione tecnologica ha già subito e subirà un effetto moltiplicatore dall'uso di questi mezzi. 

Possiamo anche immaginare che una parte degli impiegati,  dei professionisti, dei docenti non vadano più in ufficio, o a scuola, ma lavorino attraverso il filo del telefono. Questo diminuirà la necessità di spostamenti e quindi indurrà un minor consumo di petrolio di automobili, un minor inquinamento...   e forse una maggiore disoccupazione.

Sorge quindi il problema della previsione delle modificazioni sociali indotte dalle nuove tecnologie, che non riguarda beninteso solo la comunicazione.

Le tecniche agiscono sul processo produttivo e sulla società a diversi livelli e con relazioni fra i diversi piani di tipo complesso. Di tipo complesso significa sostanzialmente che l'effetto dell'applicazione delle tecniche  non è determinabile come  somma delle singole tecniche, ma che  è la risultante delle interazioni  fra le tecniche e le variabili sociali.  La previsione dell'effetto indotto dall'applicazione delle tecniche richiederebbe una tecnica di livello superiore alle singole  tecniche applicate.  Se le tecniche applicate sono di livello n il risultato dovrà essere previsto con una tecnica di livello  n+1

per ora mi fermo. spero di non essere andato troppo fuori tema come al solito, ma ho visto che gli interventi spaziano su temi anche molto lontani eppure il discorso complessivo ha un senso proprio, anche per l'ottimo lavoro di coordinamento  di Gian Maria Borrello.

giuseppe cattaneo

 

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