iL RIFORMISTA ORE DEL 12 settembre 2007

Gli embrioni chimerici, la Binetti e la presunta saggezza della ripugnanza

di ANNA MELDOLESI

Il dibattito che si è sviluppato in Italia dopo il via libera della Gran Bretagna 
alla ricerca sugli embrioni chimerici ha molti difetti. Buona parte dei commenti 
riportati dalla stampa sono apparsi nervosi e al tempo stesso strumentali a 
ribadire il rigido dislocamento di uomini e mezzi nel risiko bioetico della politica 
nazionale. Ha fatto eccezione l'intervento di Claudia Mancina sul Riformista del 7 
settembre, che tra le altre cose ha messo in luce un elemento di grande interesse: 
l'insistenza di un certo numero di commentatori conservatori, a cominciare da Paola 
Binetti, sul sentimento di ripugnanza suscitato da questa e altre applicazioni 
delle biotecnologie. Binetti ha precisato ieri su questo giornale che «pensare con 
i sensi, pensare visceralmente, è insufficiente». Ma ha insistito su scelte 
lessicali emotive («ecomostri»), ha lasciato intendere che le reazioni istintive 
di disgusto conservano un qualche valore come bussola morale e ha citato Aristotele 
per sostenere che sensi e intelletto sono intimamente legati. Vale la pena, allora, 
provare ad approfondire i rapporti che esistono tra etica, emozioni e ragione.
La questione è tutt'altro che banale, e anzi è al centro di un acceso dibattito 
all'interno della comunità scientifica internazionale da quando Leon Kass
- il bioeticista che ha guidato il comitato di bio etica della Casa Bianca dal 
2002 al 2005 - ha pubblicato su The New Republic un saggio intitolato «La saggezza 
della ripugnanza: perché dovremmo mettere al bando la clonazione umana». Kass 
sosteneva che la repulsione è una sorta di campanello di allarme che ci avverte del 
pericolo, «l'unica voce rimasta che parla per difendere il nucleo centrale della 
nostra umanità» in quest'epoca «in cui tutto è considerato ammissibile fintanto che 
è fatto liberamente». La fallacia di questo approccio, però, diventa lampante non 
appena si prova a stilare un elenco delle azioni e dei comportamenti che sono stati 
ritenuti ripugnanti in passato da moltitudini di persone e oggi sono (o dovrebbero
essere)  acce.ttati da tutti. Come ci ha ricordato il bioeticista Leigh Thrner, la 
storia del pensiero razzista, quella delle politiche omofobiche e persino il recente 
genoci dio del Ruanda traboccano di pericolose caratterizzazioni di ciò che è 
«disgustoso» o «innaturale». Se il fattore disgusto in passato si è rivelato figlio e 
padre di ignoranza e pregiudizi, perché oggi dovrebbe essere una buona fonte di 
intuizione morale?
Il buonsenso e i dati empirici dicono, oltretutto, che per fortuna questi sentimenti 
sono meno universali di quanto sembra credere chi li prova: gli embrioni citoplasmatici 
possono apparire a molte persone uno strumento interessante per la ricerca, senza che 
ci sia bisogno di immaginare potenti lobby della persuasione intente a ordire chissà 
quali inganni. Lo stesso vale per gli Ogm che a Binetti forse non piacciono ma sono 
apprezzati da oltre otto milioni di agricoltori equamente distribuiti tra paesi 
sviluppati ed emergenti. Non esiste alcun "noi" condiviso e anzi la tendenza a 
rabbrividire e provare ribrezzo potrebbe essere proprio una delle differenze di base 
tra liberali e conservatori. In questa direzione, infatti, puntano le ricerche di 
frontiera dello psicologo morale Jonathan Haidt, che sta studiando la correlazione tra 
alcuni moduli comportamentali e le appartenenze politiche.
L'umana tendenza a utilizzare la reazione di ripugnanza quando si tratta di emettere 
giudizi morali è confermata, almeno in parte, dalle neuroscienze e dalla teoria 
evoluzionistica. È probabile che i meccanismi psicologici che usiamo per distinguere 
ciò che è giusto da ciò che è sbagliato siano stati cooptati - nel corso di milioni di 
anni di evoluzione biologica e culturale - da sistemi cere­brali preesistenti che in 
origine servivano a funzioni più primitive. E non si capisce bene quali garanzie 
metafisiche possa offrire un sistema che è frutto del bricolage evolutivo.
In un certo senso, però, Binetti ha colto nel segno: una mole notevole di dati 
dimostra che il ragionamento e l'istinto sono più intimamente collegati di quanto a 
molti di noi piacerebbe credere.
Haidt lo chiama «principio della preminenza intuitiva»: la maggior parte delle 
persone, quando si trova in situazioni tali da sollecitare un giudiZio morale, avverte
prima una reazione emotiva e poi cerca di giustificarla con argomentazioni razionali. 
Assai spesso, insomma, il ragionamento serve soltanto a cercare di confermare i 
propri pregiudizi. Ed è difficile resistere alla tentazione di dire che questo 
cortocircuito, nel dibattito bioetico italiano, è particolarmente evidente.