IL RIFORMISTA DEL 7 SWETTEMBRE 2007

CHIMERE. INSENSATE CERTE POLEMICHE DOPO LA DECISIONE INGLESE SUGLI IBRIDI
di Claudia Mancina



Bisognerà farci l'abitudine: le questioni bioetiche non ci lasceranno tranquilli 
nel prossimo futuro. La ricerca genetica procede con ritmi veloci e ci scaglia 
addosso sempre nuove emergenze. Dovremmo affrontarle con serietà; cercare di 
capire di che si tratta, quali sono le finalità, le convenienze, gli aspetti 
problematici. Ci troviamo invece molto spesso di fronte a reazioni isteriche. Ma 
davvero qualcuno può pensare che la serissima Autorità britannica preposta alla 
ricerca genetica, che ha affrontato il tema con un anno di lavoro, utilizzando 
una complessa procedura di consultazione (e non semplici sondaggi), pienamente 
consapevole della delicatezza della questione, sia eticamente irresponsabile, o 
peggio influenzata da interessi economici? Basta leggere lo statement dell'Autorità 
(sul sito www.hfea.gov.uk) per vedere che non è affatto così. Si dice sempre che la 
ricerca scientifica deve essere sottoposta a controlli da parte della società. Bene, 
è proprio ciò che fa l'Autorità, che infatti afferma: «Non si tratta di una totale 
luce verde per la ricerca sugli ibridi cito­plasmatici, ma del riconoscimento che 
quest'area di ricerca può, con cautela e attento scrutinio, essere permessa. I 
singoli gruppi di ricerca potranno intraprendere progetti di ricerca che implicano 
la creazione di embrioni ibridi se possono dimostrare che il loro progetto di  
ricerca è necessario e desiderabile». Dunque si tratta precisament di monitorare e 
controllare una ricera che , secondo l'Autorità, ha alte probabilità di portare a 
risultati significativi per la cura di gravi malattie degenerative, come l'Alzheimer o 
il Parkinnson.
Certamente, si possono avere delle perplessità sugli ibridi, o si può tessere in 
generale contrari alla ricercaa sugli embrioni. Credo però che abbiamo tutti il 
diritto di aspettarci un giudizio, espresso con argomenti sufficientemente razionali, 
e non l'espressione diretta e immediata di una ripugnanza istintiva. A Paola Binetti 
vorrei chiedere: che cos'è una «perplessilà viscerale»? Da persone colte, che hanno 
una responsabilità di fronte al paese, non dovremmo aspettarci qualcosa di diverso 
dalla visceralità? E agli altri che hanno espresso il loro vibrante scandalo vorrei 
chiedere: cosa c'entra la dignità umana con la creazione di un embrione da laboratorio, 
che non vivrà (e non potrebbe vivere) più di quattordici giorni? Ma la dignità sta in 
una cellula, in un Dna, o nell'individuo umano? E non sta anche nella capacità che la 
specie umana ha sempre avuto, pur attuandola con strumenti diversi ­ di conquistare 
nuove conoscenze e di migliorare la propria vita?
Ma si dice: si comincia di qui, e non si sa dove si andrà a finire. È il solito 
argomento dello slippery slope, o pendio scivoloso. Un argomento chiaramente 
ideologico, sempre usato ogni volta che si affaccia qualcosa di nuovo, sia nella 
scienza, sia nelle forme di vita. Ideologico, perché fondato sulla convinzione che 
la scienza sia un'attivilà puramente utilitaria e priva di eticità. Invece la scienza, 
che ha i suoi limiti e i suoi rischi come qualunque altra attività umana, ha anche un 
grande pregio etico: una organizzazione interna caratterizzata dal controllo reciproco 
e dalla trasparenza dei metodi e delle finalità. Si potrebbe dire lo stesso della 
politica o della religione? Il problema che si pone oggi, nel rapporto tra scienza e 
società, è un problema di co­municazionereciproca.
Gli scienziati non hanno voglia, o temono, di confrontarsi con una società troppo 
spesso incapace di capire le loro reali motivazioni. Ma oggi, per il carattere proprio 
di questo tipo di ricerca, che ha un forte impatto emotivo sui cittadini, e che 
richiede decisioni pubbliche, diventa necessario e urgente che si stabilisca una 
comunicazione tra gli scienziati e i loro concittadini. È una questione che riguarda 
l'etica della democrazia, e richiede buona volontà da entrambe le parti.
Infine, vorrei fare una domanda indiscreta a coloro che oggi si oppongono con tanta 
forza, e con tanta certezza di verità, a questo tipo di ricerca. Supponiamo che tra 
qualche anno, a seguito della ricerca svolta in altri più (s)fortunati paesi, arrivino 
anche nelle nostre farmacie dei farmaci capaci di curare alcune gravi malattie. Che 
farebbero i nostri amici, ne farebbero uso o no? Non è una provocazione, ma un invito 
a riflettere in prima persona: è utile, qualche volta, per cogliere bene le 
implicazioni del giudizio morale.