Rassegna stampa
commentata da Vittorio Bertolini [ * ]

Aprile 2002
[23 aprile] Sull'argomento di questa rassegna stampa sono intervenuti Luigi Foschini ed Elisabetta Volli

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Peter Cushing nel film "Frankenstein must be destroyed (1969)"
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L'inquadratura finale del film "La cina è vicina" (1967), di Marco Bellocchio

I fantasmi di Frankenstein non appartengono all'immaginario cinese

Nel 1967 il regista Marco Bellocchio vinse il premio speciale al festival di Venezia con il film "La Cina è vicina". In quegli anni, l’esperimento maoista di ricreare un nuovo ordine sociale ed economico riplasmando l’uomo, affascinava una considerevole parte della cultura di sinistra europea. Erano gli anni in cui Jean Paul Sartre impegnava il suo prestigio intellettuale in tutte le battaglie culturali che in qualche modo mettevano in difficoltà l’ordine capitalistico occidentale e Louis Althusser abbacinava i giovani col suo comunismo corretto in base al modello maoista.

Ed infatti la "vicinanza" del titolo di Bellocchio era una prossimità che andava misurata, più che in chilometri o in percentuale di un qualche indicatore statistico, nella dimensione dell’utopia che si ispirava al modello cinese. Oggi la situazione è completamente ribaltata: è la Cina che ha acquisito modelli occidentali e questa nuova "vicinanza" la misuriamo in termini di incremento del pil e, da un po’ di tempo, anche in termini di progresso tecnico scientifico.

Il 5 marzo scorso nell'ospedale universitario della provincia di Zhejiang (cfr. Il Corriere della Sera del 27 marzo) è avvenuto il primo trapianto di ovaie. Secondo un copione prestabilito questa operazione ha suscitato le solite e prevedibili polemiche che in sintesi possiamo riassumere fra chi come Demetrio Neri, dell'Università di Messina e della Consulta di Bioetica, ritiene che: "Se c'è una patologia, come nel caso della donna cinese, non vedo perché non possa essere trattata con gli strumenti che la scienza mette a disposizione"e chi come Francesco D'Agostino, presidente emerito del Comitato nazionale di bioetica, ammette la necessità di aprire una nuova riflessione sull'ennesimo caso estremo per "superare i limiti della fertilità naturale".

Non è però nello scopo di queste righe entrare nel dibattito che si è svolto sulle pagine dei quotidiani italiani (chi fosse interessato può sempre fare riferimento alla rassegna stampa "Trapianto di ovaie in Cina" del Sito Web Italiano per la Filosofia).

Quello che invece vorrei mettere in luce è in primo luogo che la priorità di certi interventi non è più prerogativa dell’Occidente (pochi giorni prima del trapianto di ovaie in Cina si è letto di un trapianto di utero in Arabia Saudita (cfr. Il Giornale dell’8 marzo «Ma così la donna rischia la vita») ed in secondo luogo, ma certamente non di secondaria importanza, si ha che, nei paesi non occidentali, la sperimentazione biotecnologica avviene in una dimensione etica alla quale sono estranee tutte le preoccupazioni che attraversano il nostro mondo. Sull’Unità del 28 marzo, leggiamo infatti che mentre: «secondo i medici cinesi, questo tipo di intervento potrebbe essere particolarmente utile per le donne che a causa di alcune terapie, come quella contro il cancro, non possono avere figli, gli esperti italiani sottolineano come, dal punto di vista legale e da quello etico, sia un'operazione inaccettabile».

Da un lato un’etica che confronta una patologia con le probabilità di successo dell’intervento riparatore: «Il nuovo ovaio è perfettamente funzionante e, secondo i test che eseguiamo continuamente sulla paziente, anche il livello di ormoni femminili dell'organismo è tornato ad essere normale - ha aggiunto il professore Zheng Wei gongolante - perché non avevamo mai fatto un'operazione del genere se non sugli animali ed ora è riuscita perfettamente».

Dall’altro un’etica che che prima che ai risultati guarda se gli interventi sono compatibili con i principi morali consolidati. Infatti per Enza Palermo Ravera, presidente dell'Associazione italiana donatori d'organi (Aido), il trapianto delle ovaie è da condannare in quanto «sarebbe molto difficile capire di chi sarebbe veramente figlio un bambino nato da una donna con trapianto dell'ovaia, in quanto il patrimonio genetico del bimbo è quello della donatrice dell'organo e non quello della madre che l'ha portato in grembo».

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L'annuncio e il rapporto dell'Advanced Cell Technology, nel Percorso "Clonazione umana"nodo.gif (891 byte)

«In Cina una scienziata rivela di avere non solo clonato per prima un embrione a scopo terapeutico nel 1999, ma di avere da allora ripetuto il procedimento decine di volte. La signora Lu Guanxiu avrebbe dunque battuto di tre anni la Advanced Cell Technology, l'Istituto del Massachusetts che si credeva detenesse il primato».

Nell’articolo di Anna Guaita "Clonazione, il primato è cinese" su Il Messaggero del 7 marzo leggiamo ancora: «E il predominio cinese non è che un segnale della determinazione dei paesi orientali, dove il dibattito etico è molto più semplice che non nei paesi dominati dalla morale cristiana».

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Il Percorso "Clonazione umana"nodo.gif (891 byte)

Dato che dietro il problema etico «per gli occidentali, rileva il Wall Street Journal, c'è un problema in più: quello della concorrenza cinese» (cfr. Il Mattino del 7 marzo "Cloni umani: in Cina è già realtà"), è opportuno registrare nello stesso articolo il commento di Paul Berg, premio Nobel per la chimica che lavora alla Stanford University: «Possiamo condannare i cinesi e vederli come membri atei di un impero del male, oppure possiamo dire: "non possiamo restare indietro in questa corsa"». E se in Italia dietro la formula, molto cara al ministro Sirchia, che «ciò che la scienza consente non sempre è lecito» viene bloccata ogni ricerca (cfr. La Stampa 7 febbraio "Libertà Scienza" e il Manifesto 13 febbraio "La rivolta degli scienziati"), «nel Regno Unito è stato approvato in via definitiva il via libera alle indicazioni della Commissione Donaldson sulla ricerca sulle cellule staminali che apre la strada alla possibilità anche di clonazione terapeutica e in Usa si discute sulla possibilità dei ricercatori di accedere ai fondi pubblici per ricerche sulle staminali». (Il Mattino, 7 marzo, sopra citato)

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Il Percorso "Organismi geneticamente modificati (OGM)" nodo.gif (891 byte)

Ma l’approccio all’innovazione biotecnologica della Cina non riguarda solo le tecnologie biomediche. Uli Sigg, svizzero, architetto della prima joint-venture straniera in Cina, in un articolo di Francesco Sisci apparso su La Stampa del 27 marzo "Grande corsa al pomodoro transgenico" scrive, dopo aver affermato: «In Occidente siamo ossessionati dai danni e dai rischi legati alla scienza, dai conflitti che crea con le nostre norme etiche o la nostra fede», che «in Cina, invece, tutto ciò che è nuovo e scientifico è bello e buono».

Spiega infatti Huang Jianliang, ricercatore dell´Accademia delle scienze sociali: «I cinesi sono convinti che la sconfitta e l´umiliazione subite da parte degli occidentali, dalle guerre dell´oppio fino alla rivolta dei Boxer, siano dovute anche allo scetticismo e all´indifferenza con cui le classi dirigenti dell´800 considerarono la scienza». Ma accanto a queste ragioni, spunta una questione più forte, e che riguarda molti altri paesi del terzo mondo. «Per questi paesi è infatti prioritaria la lotta contro la denutrizione, riguardo alla quale gli OGM offrono la possibilità di uno spettacolare aumento della produttività, e dunque di una disponibilità garantita di cibo» (cfr. Avvenire, 12 marzo, "Ogm contro la fame" e La Stampa, 17 agosto 2001, "Chi combatte gli OGM spesso dimentica le necessità reali dei paesi in via di sviluppo").

«La Cina - scrive Francesco Sisci nell’articolo citato - ha un disperato bisogno di aumentare la produzione dei cereali e di molti alimenti e al tempo stesso di migliorarne la qualità... Alla luce di questo obiettivo i fantasmi di Frankestein (che non appartengono all´immaginario cinese) non valgono quanto i fantasmi che nascono dalle paure di essere sopraffatti, un´altra volta, dalla scienza occidentale».

Qualche anno fa, Ralph Dharendorf nel saggio "La quadratura del cerchio", poneva in luce come nell’aggiustamento capitalistico post-muro fosse difficile conciliare libertà, benessere e uguaglianza, e mentre nei sistemi occidentali si andava nella direzione di sacrificare l’uguaglianza, nei sistemi asiatici si imponeva un modello in cui il benessere e l’uguaglianza erano i valori dominanti a scapito della libertà. Tenuto conto del potenziale demografico della Cina, del tasso di incremento del suo Pil, è forse opportuno che cominciamo a chiederci quanto essa, già oggi, sia a noi molto più vicina di quella dell’utopia di Bellocchio.

(13 aprile 2002)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti

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