Commento di Vittorio Bertolini [ * ]
all'articolo di Michael Dertouzos "Ma il futuro ci sfuggira' sempre" (Il Messaggero, 4 settembre 2001)

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Su Il Messaggero del 4 settembre è apparso un articolo di Michael Dertouzos, il padre del Web da poco scomparso, che può essere posto in relazione con le note tesi, a suo tempo espresse da Bill Joy su Wired, in merito alle conseguenze di robotica, ingegneria genetica e nanotecnologia sul futuro dell'uomo. Dertouzos scrive: "Ciò che mi dà fastidio è l'arrogante idea che la logica umana possa anticipare gli effetti di azioni intenzionali e non preordinate, e l'ancora più arrogante idea che il ragionamento umano possa determinare il corso dell'universo". Attraverso alcuni esempi, dal radar ad Internet, dalla ricerca sulle armi nucleari alla medicina nucleare, Dertouzos arriva alla conclusione che le conseguenze dell'agire umano vanno al di là delle intenzioni degli attori, "le valutazioni iniziali non sono correlate al prodotto finale".

Che ciò che avviene vada al di là delle intenzioni degli agenti è una teoria abbastanza diffusa nelle scienze sociali. La "mano invisibile" ne è un esempio paradigmatico, ma non unico. Lorenzo Infantino recensendo su Il Sole del 4 luglio 1999 il "Saggio sulla storia della società civile" dell'illuminista inglese, Adam Ferguson, contemporaneo di Smith e Hume, scrive che "l'ordine diviene un prodotto inintenzionale di azioni umane finalizzate ad altri scopri e citando espressamente Ferguson - Le nazioni si imbattono in istituzioni che sono il risultato dell'azione umana, ma non il risultato di un qualche disegno umano -".

Non diversamente, Dario Antiseri su Avvenire del 28 novembre 2000 scrive che Herbert Spencer "interpreta l'ordine sociale come un processo inintenzionale che si compie grazie alla spontanea composizione di azioni individuali razionali dirette ad altri scopi. Nasce così l'idea della scienza sociale intesa quale studio delle conseguenze inintenzionali dell'agire umano intenzionale".

Questo per quanto riguarda le scienze sociali, dove proprio la natura dell'oggetto indagato, la società umana nella sua complessità, giustifica ampiamente l'imprevedibilità delle azioni.

Ma la cosa non muta di molto nel campo delle scienze fisiche, chimiche e biologiche se in una intervista a Francesca De Sanctis su Il Messaggero del 25 giugno, François Jacob, premio Nobel per la Medicina nel 1965 dice: "gli amministratori della scienza non sopportano l'idea che la ricerca possa procedere per tentativi, senza risultati garantiti. La scienza in sé, invece, è imprevedibile. (...) a una certa idea di qualcosa che non conosce, e se quello che immagina è vero, otterrà un certo risultato. Ma quando fai un esperimento, la maggior parte delle volte le cose non funzionano come tu le avevi immaginate. E' diverso. E in quel momento devi cambiare, correggere il tiro, ricominciare la ricerca."

Non è qui il caso di addentrarci in qualche teoria del caso o nei meandri della meccanica quantistica; molto più semplicemente ci limitiamo a registrare che nella storia della ricerca scientifica, da Fleming a Penzias, con la scoperta della radiazione cosmica di fondo, la casualità ha avuto un ruolo non secondario.

Ma se ciò che avviene, in parte più o meno rilevante, è inintenzionale, che senso ha parlare di responsabilità nell'innovazione? Se la responsabilità consiste nella coscienza delle conseguenze che le mie azioni possono produrre, come posso sentirmi responsabile se ciò che accade va al di là di ciò che è prevedibile e delle mie intenzioni?

Il discorso di Dertouzos è ragionevole e dettato oltre che dal buon senso anche dall'evidenza empirica --ma lo stesso vale per Max Jacob-- tuttavia nasconde una trappola semantica legata all'uso comune del linguaggio.

Responsabilità, prevedibilità e intenzionalità sono espressioni linguistiche coniugate che però hanno diverse grammatiche. Chiaramente la responsabilità si applica a ciò che è prevedibile: se sparo un colpo di fucile, a parte i miei problemi di mira, sono responsabile di dove il proiettile va a colpire, al contrario nessun giocatore di dadi, se i dadi non sono truccati, può invece essere ritenuto responsabile del numero che viene estratto. Mentre però la grammatica della responsabilità appartiene all'etica, la prevedibilità ha senso solo in un ambito epistemologico. La prima ha carattere normativo, uno studente è responsabile quando si applica con continuità e solerzia, un padre di famiglia responsabile non dilapida il proprio stipendio fra slot machine e donnine allegre, l'imprenditore è responsabile quando dirige la propria azienda in modo tale da non condurla al fallimento. In altre parole è il contesto sociale a determinare i paradigmi entro cui si esercita la responsabilità. Prevedere ciò che le nostre azioni o decisioni determinano dipende invece dal sistema di conoscenze hic et nunc di ciascuno, perciò la prevedibilità ha confini molto più incerti. Questa difficoltà, che però in ultima analisi è simile a quella che sussiste nella distinzione fra responsabilità come esercizio di valori e responsabilità come accettazione di norme condivise, viene superata assumendo come riferimento la "scienza normale". Pietro Greco in un articolo apparso su L'Unità del 9 giugno in riferimento alla polemica sul protocollo di Kyoto, postula che, di fronte ad alcune opinioni divergenti sulle conseguenze dell'"effetto serra" sul clima, allo stato delle cose si "ha il dovere di registrare il parere dell'International Panel on Climate Change (Ipcc), il gruppo di scienziati esperti di clima che lavora per le nazioni Unite. Tanto più se l'Iss (Istituto Superiore di Sanità e l'Ipcc riferiscono opinioni largamente condivise dalla maggioranza degli scienziati che si occupano, rispettivamente, di oncologia e di clima".

La questione "responsabilità-prevedibilità" insorge però di fronte all'innovazione. Infatti, mentre le norme etiche a cui improntiamo il principio di responsabilità rimangono sostanzialmente immutate, le conoscenze della "scienza normale" entrano in tensione.

Gran parte dei processi innovativi non sono altro che processi di sostituzione. La tecnologia "a" viene sostituita con la tecnologia "b", il medicinale "x" con quello "y" e così via. In pratica le "certezze" delle conoscenze "normali" entrano in tensione con il rischio delle conoscenze innovative.

Occorre sottolineare che il concetto khuniano di "scienza normale" è da estendere anche alle applicazioni tecnologiche ed ai modi di produzione. Se non più di tre decenni fa il paradigma dominante era quello fordista, oggi la "fabbrica normale" è improntata allo schema della flessibilità e nel prossimo futuro i modi di produzione saranno determinati dai sistemi esperti (la fabbrica automatica è qualcosa di più di un sogno, cfr. L'Unità del 6 agosto).

Le strategie, o, visto che la tensione fra innovazione e "scienza normale" è dialettica, le astuzie impiegate dalla ragione per coniugare la responsabilità con l'incertezza delle previsioni sono tutte di natura empirica. Comunque, sia che vengano utilizzati i pareri di comitati etici o che ci si affidi a codici di comportamento, oppure che venga privilegiata una collaudata metodologia di controllo rispetto a metodi approssimativi (per. es. la tecnica del doppio cieco rispetto al "vediamo cosa succede" come nel caso Di Bella), la certificazione della responsabilità viene rimandata al consenso degli esperti, con tutte le fallacie che questo comporta.

Nell'articolo che ha dato lo spunto a queste riflessioni Dertouzos scrive: "dovremmo avvicinarci con uguale rispetto all'idea che la naturale spinta umana a indagare il nostro universo possa subire una limitazione". I processi innovativi sono intenzionalmente rivolti ad ottenere nuovi esiti positivi. Accanto a questa intenzionalità positiva dovremmo però cominciare anche a collocare ragionamenti in termini di intenzionalità negativa. La mia intenzione è rivolta a cogliere i risultati positivi, ma deve esistere, con altrettanta evidenza, l'intenzione di evitare gli esiti negativi.

(24 settembre 2001)

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[*]Vittorio Bertolini (right-sfondochiaro.gif (838 byte)Scheda biografica) collabora con la Fondazione Giannino Bassetti

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