IL MANIFESTO, 16 FEBBRAIO 2002

LUCA TANCREDI BARONE
 
Ippocrate contro il mercato

Una medicina contro la logica mercantiledi tutela della salute. Parla
Alberto Malliani,il docente italianoche ha partecipatoalla stesuradi
un appello pubblicato dalla rivista "Lancet"

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"La vita è breve, l'arte è complessa; l'esperienza ingannevole, il
giudizio difficile". Da quando - quasi 2500 anni fa - il padre della
medicina empirica scriveva questo pragmatico aforisma, la scienza
medica ha fatto passi in avanti che il povero Ippocrate di Coo non
poteva certo immaginare. E non solo dal punto di vista delle
conoscenze e della tecnologia. Anche l'antico giuramento che porta il
suo nome si scontra oggi con la modernità di una scienza costretta ad
abbandonare la sua pretesa incorruttibilità per confrontarsi con gli
altri attori della società. E per un moderno discepolo di Ippocrate,
alle prese con finanziamenti sempre più interessati, esprimere un
giudizio obiettivo è più che mai difficile.

Così nel numero del 9 settembre Lancet, la nota rivista britannica di
medicina, pubblica in contemporanea agli Annals of internal medicine
una "Carta per la professionalità medica", una sorta di codice
deontologico per i medici di tutto il mondo. Si tratta di un
documento innovativo stilato da 15 medici (8 americani e 7 europei)
in più di due anni di lavori. "La professione medica oggi - si legge
nel documento - è messa di fronte a una esplosione di tecnologia,
alle mutevoli forze di mercato, ai problemi nell'erogazione dei
servizi sanitari, al bio-terrorismo e alla globalizzazione. Di
conseguenza i medici trovano sempre più difficile tenere fede alle
proprie responsabilità nei confronti dei pazienti e della società".
E' da queste considerazioni che nasce, secondo gli estensori,
l'esigenza di riaffermare in chiave moderna alcuni dei principi
cardine individuati per la prima volta da Ippocrate.

Unico membro italiano del gruppo è il professor Alberto Malliani,
docente all'Università degli studi di Milano e presidente
dell'Associazione di medicina interna italiana. Oltre alle sue
ricerche di base nel campo del sistema nervoso neurovegetativo,
Malliani cerca da tanti anni di riflettere anche sui principi etici
nella pratica clinica, ed è stato grazie a una lezione che aveva
tenuto su questo tema nel 1999 che è stato selezionato per far parte
della commissione che ha steso il documento. La sua sensibilità per
il rapporto con la società civile è testimoniata anche dal fatto che
in passato è stato il rappresentante italiano della Associazione
internazionale di medici per la prevenzione dalla guerra nucleare
(Ippnw) e oggi è il presidente di Vidas, una associazione milanese di
volontari per l'assistenza dei malati inguaribili di cancro.

"Qualche tempo fa il New England Journal of Medicine ha scritto
polemicamente in un editoriale: `La medicina accademica è in
vendita?' - racconta Malliani - Si riferiva a quei settori della
medicina dove la corruzione è più diffusa, soprattutto in quei campi
in cui la complicità con gli interessi industriali è particolarmente
forte".

Dice proprio così Malliani, "corruzione", senza paura di usare questa
parola per indicare le connivenze con interessi poco trasparenti.

"Il problema - continua - non è tanto che alcune persone guadagnino
miliardi grazie al sostegno delle industrie: se uno ci paga le tasse,
diventa una scelta di coscienza. Il problema è quando le società di
medici che nascono per rispondere a interessi industriali particolari
scrivono le linee guida per quel determinato campo medico. E' una
situazione di conflitto di interesse non più accettabile".

Il documento che hanno stilato i 15 medici si compone di due parti:
tre "principi fondamentali" e dieci "impegni" divisi per ambito. I
principi sono, nella sostanza, puramente ippocratici: la centralità
del bene del paziente, l'autonomia del paziente, la giustizia
sociale. Ma leggendo fra le righe si intravede qualcosa di più
squisitamente moderno: "le forze del mercato, le pressioni della
società e le esigenze amministrative non devono compromettere il
principio della centralità del bene del paziente", recita il
documento. Poco più sotto, nella parte dedicata all'autonomia del
paziente, campeggia un'altra parola chiave: "empower", dare al
paziente il potere consapevole di scelta sulla propria cura. Infine
il medico non deve più solo curare tutti nello stesso modo,
indipendentemente dalle condizioni socio-economiche, come prevede
l'attuale versione del giuramento di Ippocrate, ma secondo gli
estensori del documento i medici sono tenuti a fare qualcosa di più:
"Il medico deve promuovere la giustizia nei sistemi di cura, compresa
una distribuzione equa delle risorse sanitarie. I medici devono
lavorare attivamente per eliminare le discriminazioni del sistema
sanitario". Malliani è d'accordo, e precisa: "C'è da fare anche una
distinzione molto importante, ontologica: un conto è la `medicina',
con le sue forti connotazioni etiche fondanti, e un conto è la
`sanità', la gestione delle cure. Questi due termini non vanno
confusi come spesso accade: i valori fondanti della medicina non
possono essere erosi dall'economicismo"

Ma i principi che avete espresso, per quanto lodevoli, non sono forse
un po' troppo vaghi per essere applicabili? 

Da una parte questo è vero. Ma non si può scendere troppo nel
dettaglio: ogni realtà in ogni angolo del mondo ha le sue
caratteristiche specifiche. Un principio serve per dare una
indicazione di comportamento che valga in contesti diversi: è
importante mettere dei paletti, sta poi al singolo valutare come
applicare il principio. C'è un esempio concreto che possiamo fare:
autonomia del paziente vuol dire che è lui a dover prendere le
decisioni. Ma quando un paziente dà il cosiddetto "consenso
informato" durante i trial clinici, è davvero informato? Chi gli
chiede il consenso, la stessa persona che lo cura o una terza persona
che forse lo può influenzare di meno? Il punto è che bisognerebbe
cercare riflettere su cosa vogliano dire questi principi nella
pratica quotidiana. 

A proposito di giustizia sociale, la Lega nord propone di non curare
gli immigrati entrati clandestinamente nel nostro paese... 

Per fortuna in Italia, almeno per ora, la Lega lo dice e basta e noi
continueremo a curare tutti, come ci impone la nostra professione e
la nostra coscienza. Ma ricordiamoci che negli Stati uniti ci sono 45
milioni di persone senza assicurazione sanitaria: scrivere nero su
bianco un impegno come quello di promuovere sistemi sanitari più equi
vuol dire già molto. 

Dopo i principi, il documento elenca dieci "impegni", dieci
"comandamenti". C'è l'impegno alla competenza professionale,
all'onestà con i pazienti, alla confidenzialità, al rispetto del
rapporto medico-paziente... 

Beh, intanto che siano proprio dieci è successo per caso. Io poi ne
avrei preferiti nove o undici, dieci mi sembrava troppo poco
auto-ironico.

Comunque, questi dieci "comandamenti" nascono dall'esigenza di
rendere più concreti alcuni aspetti che per la verità sarebbero già
impliciti nei principi generali. Ma aver delineato in particolare
alcuni ambiti significativi di applicazione dei principi è stato
secondo noi importante per aiutarci a comprendere dove concentrare i
nostri sforzi. 

Forse l'impegno più clamoroso è quello legato alla gestione del
conflitto di interessi dei medici: "I medici hanno l'obbligo di
riconoscere, rivelare al pubblico e gestire i conflitti di interesse
che insorgano durante i loro doveri professionali e le loro
attività", recita il penultimo "impegno". 

Il conflitto di interessi non è un peccato, è una condizione in cui
ci troviamo quasi tutti noi molto facilmente. Il problema è che
questi conflitti di interesse devono essere messi in condizioni di
non nuocere. Quindi l'importante è che siano trasparenti. Ad esempio,
se posso dettare delle linee guida e sono influenzato da qualche
conflitto di interesse, ho il potere di far spendere allo stato - e
far guadagnare a una casa farmaceutica - un sacco di soldi:
suggerendo di usare un farmaco più costoso di un altro, magari
altrettanto efficace.

Pensiamo poi a cosa accade quando ci sono gruppi editoriali di
riviste internazionali gremiti di persone che vivono di soldi
industriali. E' chiaro che si dubiterà dell'obiettività dei loro
editoriali o dei contributi che accettano o rifiutano. Come pure sarà
legittimo dubitare dell'obiettività delle prescrizioni di apparecchi
medici (siano ginocchi artificiali o apparecchi per i denti) da parte
di un medico che possieda, come accade regolarmente negli Stati
uniti, azioni regalate dalle aziende produttrici degli stessi
apparecchi. 

Ma come fare a diffondere una maggiore sensibilità verso questo tema
da parte dei medici ricercatori? 

C'è una fioritura mondiale di consapevolezza in questo momento, per
cui c'è tanta gente che chiede maggiore attenzione: ecco perché è
importante che due riviste così importanti pubblichino
contemporaneamente lo stesso documento. In fondo, ci stiamo giocando
il futuro della credibilità della medicina stessa, siamo noi che
dobbiamo riscattarla mettendo a nudo le situazioni che potrebbero
condizionare le nostre ricerche.

Per parte mia, cerco di fare la mia parte: vorrei fare in modo che
questo documento arrivi a tutti i medici, che tutti possano
rifletterci sopra. Vedremo.