LE MONDE diplomatique - Dicembre 2001

Le paure del 2000 

di Ignacio Ramonet 

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«Nella storia delle collettività, afferma lo storico Jean Delumeau,
le paure cambiano, ma la paura resta (1).» Fino al XX secolo, le
sciagure umane erano causate per lo più dalle forze della natura -
intemperie, devastazioni, carestie - e da flagelli quali la peste, il
colera, la tubercolosi, la sifilide. L'umanità era circondata da
costanti minacce. Le disgrazie erano in agguato quotidianamente.
La prima metà del XX secolo fu segnata dalle due spaventose guerre
del 1914-1918 e del 1939-1945. La morte su scala industriale, le
distruzioni di massa, i campi di deportazione e di sterminio. In
Europa occidentale, la seconda metà del secolo è stata caratterizzata
dal progressivo spegnersi di conflitti armati mentre si affermava una
prosperità quasi generale. Le condizioni di esistenza sono migliorate
in maniera spettacolare, e la speranza di vita ha raggiunto un
livello senza precedenti.
Un giorno gli storici delle mentalità si chiederanno quali fossero le
paure del 2000. E scopriranno che al posto di quelle di ordine
politico o militare (conflitti, guerre, terrore atomico) sono
subentrate paure di carattere ecologico (sconvolgimento della natura
e dell'ambiente), personale (salute, alimentazione) o di identità
(procreazione artificiale, ingegneria genetica).
Queste nuove paure - e in particolare le ansie suscitate dalla
malattia della «mucca pazza» e dagli organismi geneticamente
modificati (Ogm), nascono dalla delusione, dal disincanto nei
confronti dell'evoluzione tecnica. L'utilità del progresso
scientifico, assorbito dal mondo economico e fortemente
strumentalizzato dalle imprese essenzialmente avide di profitto, non
appare più tanto evidente. Troppe volte la confusione tra interesse
pubblico e interessi industriali si è risolta a vantaggio di questi
ultimi. E in questi ultimi vent'anni la voga dei neoliberismo,
l'idolatria del mercato, il riemergere di situazioni di grave
precarietà e di stridenti disuguaglianze sociali hanno contribuito a
rafforzare l'idea che il progresso tecnico abbia tradito la promessa
di migliorare la sorte di tutti. Ognuno di noi ha potuto constatare
che le istituzioni responsabili di garantire la sicurezza
(parlamento, governo, esperti), hanno più volte mancato alla loro
missione, dando prova di imprudenza e di negligenza. Tra l'altro, i
«decisori» si sono abituati a ipotecare le sorti della collettività
senza curarsi di chiedere preventivamente il parere degli
interessati, cioè dei cittadini. Sono stati così alterati i termini
del patto democratico (2).
Conseguenza: un sospetto tenace si è venuto insinuando
sistematicamente nelle menti. Con una tendenza crescente a rifiutare
di delegare a questi «responsabili» il potere di mettere a
repentaglio la sorte collettiva autorizzando pratiche fondate su
innovazioni scientifiche rischiose e insufficientemente sperimentate.
Una nuova diffidenza investe gli apprendisti stregoni del neo-
scientismo.
Di fatto, le clamorose rivelazioni su alcuni «flagelli silenziosi»
hanno dimostrato a posteriori la tragica incompetenza delle autorità
e degli esperti. Non solo il caso del sangue contaminato, ma anche
quello dell'amianto, che in Francia provoca oggi circa 10mila morti
l'anno tra gli operai. O le infezioni nosocomiali, cioè contratte
durante una degenza in ospedale, responsabili di circa 10mila decessi
l'anno (più di quelli dovuti agli incidenti stradali, che nel 1999
sono stati 8.487). Altri dati ci informano che l'inquinamento
atmosferico, dovuto per il 60% ai trasporti su gomma, provoca ogni
anno in Francia il numero veramente allucinante di 17mila morti
premature (3), mentre i decessi dovuti alla diossina, sostanza
cancerogena emessa dagli inceneritori di rifiuti solidi urbani, sono
annualmente tra 1.800 e 5.200 (4).
Basta leggere il recente rapporto di un'inchiesta svolta in Gran
Bretagna, pubblicato il 26 ottobre 2000, sull'epizootia da encefalite
spongiforme bovina (Bse), per comprendere l'attuale diffidenza delle
società europee nei confronti della carne bovina. Misure aberranti,
avallate da «esperti», sono state adottate in spregio alle leggi
della natura (5) e dei più elementari principi cautelativi. Poi,
quando è apparso evidente che la malattia si estendeva e si propagava
agli esseri umani, è stato un succedersi di menzogne e di
dissimulazioni.
A fronte dei ritardi, delle smentite, delle mistificazioni e
dell'atteggiamento irresponsabile delle autorità, l'opinione pubblica
britannica non poteva che sentirsi ingannata. E dato che in tutto il
resto dell'Europa il comportamento delle autorità non è stato
sostanzialmente diverso, perché mai i cittadini non dovrebbero dar
prova di un'identica diffidenza?
Soprattutto quando, come in Francia, possono constatare che in
materia di Ogm è già stata autorizzata la commercializzazione di
alcune varietà di mais transgenico.
Non parliamo dunque di psicosi della sicurezza assoluta o del rischio
zero, ma della legittima preoccupazione dei cittadini per la priorità
troppe volte attribuita dai poteri pubblici ai gruppi economici o
agli egoismi corporativi, anziché al bene comune e all'interesse
generale. La definizione del rischio accettabile, che si pretende di
delegare agli «esperti», non riguarda forse noi tutti? 


note:

(1) Jean Delumeau, Les Malheurs des temps, Larousse, Parigi, 1987.

(2) Leggere Olivier Godard, «De la nature du principe de précaution»,
in Le principe de précaution. Significations et conséquences, sotto
la direzione di Edwin Zaccai e Jean-Noël Missa, Editions de
l'Université de Bruxelles, Bruxelles, 2000.

(3) Due droghe lecite, veri flagelli sociali, provocano in Francia un
numero di vittime ancora maggiore: l'alcool e il tabacco,
responsabili rispettivamente di 42.963 e 41.777 decessi (cifre del
1997).

(4) Tra il 1975 e il 1995, con il moltiplicarsi degli inceneritori di
rifiuti in Francia, il numero dei casi di cancro è aumentato del 21%
tra gli uomini e del 17% tra le donne.

(5) Fin dal 1923, Rudolf Steiner, ispiratore dell'agricoltura
biodinamica, metteva in guardia dai pericoli della trasformazione dei
bovini in carnivori. Le Monde, 6 maggio 1996.