La Repubblica dell'11 marzo 2002
Franco Prattico, "Se la natura finisce al servizio dell'industria"
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Oggi non vi è nulla di più pervasivo di scienza e tecnologia. Ma se si parla di scienza, si tratta di una etichetta che ricopre non solo una disparata varietà di discipline (spesso lontanissime, anche metodologicamente, l'una dall'altra) ma anche di lacerti di società apparentemente disconnessi: attività conoscitive, economia e impresa industriale, politica e organizzazione della società, rapporto dell'uomo con la natura e con se stesso. Bucchi, sociologo della scienza all'Università di Trento, e uno dei maggiori cultori italiani di questa disciplina, riesce in questo smilzo volume a fornire non solo un'agile guida al lettore medio per intendere il senso della sua giovane disciplina, ma anche a far comprendere in quale misura il cosiddetto lavoro scientifico abbia mutato (in meglio e in peggio) il nostro mondo e cammin facendo anche se stesso. Perché, spiega Bucchi, il «fare scienza» di oggi è ben lontano da quello delle origini. Se esiste un contesto realmente globalizzato nel mondo moderno, oltre ovviamente all'economia, è proprio quello scientifico. E lo è nella misura in cui la conoscenza e il controllo della natura sono oggi al servizio dell'economia, dell'industria e del commercio, oltre che naturalmente dell'esigenza conoscitiva che anima la nostra specie e dell'esigenza di potenza (tecnologica, industriale e militare) degli stati.