Domenica 21 Gennaio 2001

-Il Sole 24 Ore - Domenicale (Economia e Societa') - pag. 30

"Microsoft perde anche se vince. Tutti i punti deboli dell'invincibile Bill".

Le vicende Microsoft dividono di nuovo gli Usa: Ken Auletta 
viviseziona la battaglia con il Governo, il film «Antitrust» 
fa la parodia

di Marco Valsania
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«Erano gente incurante. Distruggevano cose e persone e poi si ritiravano
nel loro denaro e nella loro vasta noncuranza». La citazione è tratta dal
Grande Gatsby, l’epopea del sogno americano nell’altra era dei grandi
eccessi, gli anni Venti della "Jazz Age". Ma per Ken Auletta potrebbe
riassumere anche la grande odissea della nuova epoca high-tech, quella
di Microsoft e del suo leader carismatico Bill Gates assediati dal Governo
e dai concorrenti. World War 3.0, (La Guerra Mondiale 3.0) dalla parafrasi
del sistema operativo Windows che ha fatto la fortuna di Microsoft, è
fresco di stampa. E rivela il rapporto di amore-odio che l’America ha
stabilito con il personaggio Gates: simbolo del successo — resta uno
degli imprenditori più ammirati — ma incarnazione di pericolosi e indomabili
monopoli. Invidiabile nei panni di uomo più ricco del mondo e allo stesso
tempo detestabile con la corona di imperatore privo di scrupoli.


Il Grande Gatsby è anche il libro preferito di Gates, che ha scelto
un’ottimistica frase — sui sogni ancora da realizzare — per inciderla
nella sua fantascientifica villa. Più appropriate alle recenti disavventure
del colosso del software sono però le parole pescate da Auletta.
L’autore degli Annali della Comunicazione sulla prestigiosa rivista
«New Yorker» trova in una miscela di arroganza e auto-isolamento,
calcoli errati e ingenuità legali la risposta alla maledizione che sembra
aver colpito Gates. Una "maledizione" che ha visto un giudice di primo
grado condannare l’azienda per violazioni delle leggi antitrust,
ordinandone lo smembramento.


Il caso Microsoft — con le sue lezioni per gli imperi nella nuova economia —
non ha stregato solo Auletta. In Pride before the Fall (L’orgoglio prima della
caduta) John Heilemann, inviato della rivista specializzata «Wired», segue
con occhio da insider di Silicon Valley la parabola del processo. Né mancano
i tentativi di parodia: sugli schermi cinematografici è uscito Antitrust, thriller
che ha per protagonista Tim Robbins nel ruolo di un magnate del software
capace di ammazzare giovani programmatori per completare un super-progetto
di comunicazione satellitare. Occhiali, temperamento volatile, villa e
campus-azienda fanno senza troppe remore il verso a Gates. E la batteria di
"uscite" da sola illustra il peso della vicenda Microsoft, non solo per un settore
economico chiave, ma per la società e l’immaginario collettivo americani: il
principale caso antitrust dall’assalto alla Standard Oil di John D. Rockefeller
ha sollevato dibattito su tempi e modalità di gestione della nuova economia,
che marcia al frenetico passo dell’innovazione ma anche di attori sempre più
colossali.


Gli sforzi per fare i conti anche solo con la vicenda Microsoft, però, non
possono che essere provvisori. L’azienda, una delle più grandi e redditizie
del pianeta, è presa tra la concorrenza del nuovo universo "integrato" della
comunicazione e le strategie di riscossa. La battaglia legale è in divenire:
il mese prossimo dovrebbe iniziare l’appello. E a Washington sta subentrando
un’amministrazione repubblicana, che dovrebbe favorire maggior cautela sul
fronte antitrust, ma che non è detto si disimpegni dal caso Microsoft. I nemici
dell’azienda, suggerisce World War 3.0, non mancano neppure tra i repubblicani.


Il volume di Auletta, tuttavia, ha l’ambizione di offrire una "prima bozza della
storia", nella vena del giornalismo analitico americano che tenta passi avanti
sulla cronaca. E un obiettivo lo raggiunge di sicuro: ripercorre con lucidità e
spunti di riflessione le tappe, non solo processuali, della "caduta" di Microsoft
dall’Olimpo. La sua conclusione: difficilmente l’azienda ritroverà le certezze
perdute. Comunque finisca il processo, il suo prestigio e la sua aggressività,
parte integrante del successo aziendale, potrebbero soffrirne. Mentre il rapido
cambiamento nell’high-tech, a colpi di Internet e servizi multimediali, mina il
tradizionale dominio dell’azienda sul funzionamento dei personal computer.
Il capitolo finale merita così un titolo provocatorio: «Microsoft perde anche se
vince».


Nel ripercorrere la saga, Auletta alterna nuovi particolari sul caso a ritratti in
presa diretta dei protagonisti, da Gates all’ex capo dell’antitrust Joel Klein.
Il contradditorio carattere di Gates — a tratti leader determinato, altrove
irascibile e immaturo — emerge fin dalla descrizione iniziale di un "incidente"
al summit annuale di Davos nel 1998: uno scatto di nervi in pubblico, per le
critiche rivolte all’azienda durante un seminario, che gela amministratori
delegati e ospiti del convegno. Anche la cultura "militare" dell’azienda è
dipinta a tinte forti: chiusi nel loro campus, i dipendenti si dividono in squadre
in lotta l’una con l’altra. All’esterno identificano il nemico per neutralizzarlo.
Questa cultura si rivela però miope all’avvento dell’autostrada elettronica e la
tardiva e dura offensiva contro Netscape e il suo programma di navigazione
Internet offre le cartucce iniziali alle armi dell’antitrust. Ad un ritiro di dirigenti
dei media Gates lascia di stucco personaggi della tempra di Ruperth Murdoch
quando minaccia di distruggere tre avversari: con Netscape anche Sun
Microsystems e Oracle.


La svolta processuale arriva da un momento alla Perry Mason: la testimonianza
videoregistrata di Gates in aula. La sua scena muta, "petulante", a colpi di non
ricordo e dinieghi, ricorda ad Auletta un altro magnate: Rockefeller,
ridimensionato da petroliere d’assalto a imputato titubante. La credibilità di
Gates viene incrinata per conto dell’antitrust da David Boies, il principe del foro
che ha rappresentato Al Gore nella battaglia elettorale.


Due capitoli spiccano per freschezza narrativa e ricchezza simbolica nella
grande guerra di Microsoft. La mediazione affidata al magistrato Richard
Posner: le parti arrivarono "a cinque parole" da un accordo, prima di un
collasso del negoziato. E l’opinione del giudice di primo grado, Thomas
Penfield Jackson, su Gates: «Se potessi decidere una mia punizione —
ha detto Jackson, accusato da Microsoft di essere prevenuto contro
l’azienda — gli affiderei la recensione di un libro». Quale? Una biografia
di Napoleone.


Ken Auletta, «World War 3.0: Microsoft and its enemies»,
Random House, New York 2001, pagg. 436, $ 27,95;


John Heilemann, «Pride Before the Fall: The trials of Bill Gates
and the end of the Microsoft era», Harper Business, New York 2001,
pagg. 246, $ 25.