Psychotherapy and Psychosomatics, vol. 70, n. 3, 
maggio-giugno 2001 (Karger)

Sheldon Krimsky
(Department of Urban and Environmental Policy, Tufts University, 
Medford, Mass., USA)

"Direttive delle riviste sul conflitto d'interessi: 
Se questa è la terapia, qual è la malattia?"

(Editoriale)
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	L'editoriale di Giovanni Fava in un recente numero della sua
rivista ci mette di fronte ai molteplici effetti che hanno sulla
ricerca scientifica e sulla pratica medica, gli interessi di lucro
delle corporazioni. Alcuni di questi influenzano la ricerca a livello
sub-clinico, per usare una metafora medica. Abbiamo il sospetto di
quali possano essere gli effetti salienti sulla ricerca e
sull'impresa scientifica provenienti dalla crescente influenza
dell'industria su ricercatori e scienziati accademici. Negli Stati
Uniti l'obbiettivo della politica federale è stato quello di creare
stretti legami tra compagnie a scopo di lucro e università, con
leggi, incentivi fiscali, decisioni legali e ordini esecutivi. Ormai
gli altri paesi seguono il modello d'industria-accademica (o
università-come-impresa), oggi di moda negli Stati Uniti.
	Il conflitto può sorgere in tre modi: nella scelta delle domande
da porsi nella ricerca, nel riportare i risultati della ricerca con
"bias", e nella percezione che il pubblico ha della scienza. E'
difficile studiare l'influenza di fondi privati sulla scelta delle
questioni da ricercare. In certi  campi, come la scienza degli
infestanti, finanziata soprattutto da privati, l'influenza può essere
abbastanza ovvia. Abbiamo documentato, per un importante periodico,
un notevole pregiudizio a favore di studi che comportano l'uso
estensivo di controlli chimici, verso metodi alternativi, incluso l'
"integrated pest management", che usa disinfestanti non chimici. Nel
campo della scienza dei disinfestanti la scelta di cosa studiare è
pesantemente influenzata dagli interessi dell'industria chimica che
la finanziano. In certi campi delle scienze bio-mediche ove la
ricerca e le pubblicazioni sono fortemente influenzate da interessi
privati, è ragionevole aspettarsi simili effetti di distorsione nelle
strategie di ricerca. Come osserva Fava, certi dati non vengono
pubblicati perchè i guardiani del "nobile sapere" hanno un interesse
finanziario nel marginalizzare progetti di ricerca che minacciano i
profitti corporativi.
	Potenziali rapporti tra fonti di finanziamento e "bias" sono
piuttosto complicati da studiare. I pochi studi che sono stati
pubblicati suggeriscono che ricercatori che studiano un certo
medicinale e sono finanziati dalla casa farmaceutica che lo produce,
sono più proni a interpretare favorevolmente dati che provano
l'efficacia, la non pericolosità o il "cost-effectivness", di coloro
che studiano il medesimo medicinale, ma sono finanziati da istituti
senza scopo di lucro. La ragione per cui non abbiamo trovato maggiore
evidenza di "bias" associato a conflitti d'interesse finanziario, è
semplicemente perchè non abbiamo guardato. I casi che vengono alla
conoscenza del pubblico, di solito sono quelli che vengono rivelati
dopo che un certo medicinale viene tolto dal mercato.
	Una terza possibile conseguenza del conflitto d'interessi fra
scienziati indipendenti è l'impatto che possono avere sulla fiducia
del pubblico nella scienza. Mentre si è parlato di erosione della
fiducia nella scienza come effetto del fatto che l'accademia assume
carattere imprenditoriale, di fatto non esistono studi seri che lo
documentino. Tuttavia, alcuni editori di periodici temendo di perdere
credibilità, hanno cercato rimedio, chiedendo agli autori di rivelare
le loro fonti di finanziamento. 
	Fava è favorevole a questa strategia, come "primo passo
essenziale per gestire la contaminazione del conflitto d'interessi
nella ricerca", ma si domanda quanti periodici condividono questa
posizione. Uno studio che ha esaminato 25 periodici scientifici e 25
clinici tra i più rispettati (secondo l'ISI, istituto per
l'informazione scientifica), trovò che 20 su 47 periodici (43%)
riportano di avere una politica sul conflitto d'interesse. Il mio
collega L.S.Rothenberg della facoltà di medicina dell'UCLA ed io
abbiamo recentemente completato uno studio sulle posizioni che hanno
i periodici circa il conflitto d'interesse. Alcuni risultati furono
presentati a un convegno scientifico. Abbiamo esaminato 1.400
periodici tra i più quotati (secondo l'ISI: col maggior impatto e più
frequentemente citati). Per l'anno 1997, 15,7% di questi
richiedevano agli autori degli articoli di rendere noti possibili
conflitti d'interesse. Abbiamo poi analizzato un sottogruppo di 181
periodici che adottano "peer-review", 29 dei quali stranieri, dei
220 che richiedono di rivelare possibili conflitti d'interesse. E
infine abbiamo esaminato visualmente, con l'aiuto di un piccolo
gruppo di studenti, ben 60.000 articoli di ricerca originale, per
trovare che gli autori si adeguano alla regola di esplicitare un
personale interesse finanziario nello 0,5 % dei casi.  Inoltre, 66%
delle pubblicazioni da noi esaminate, nel 1997 avevano 0 dichiarazioni
di interessi personali ("disclosure policy"). Pensammo ciò fosse 
curioso, data l'intensa commercializzazione delle scienze bio-mediche. 
Forse che gli autori non rispondevano onestamente? O gli editori non 
pubblicavano le dichiarazioni? Oppure le regole erano ambigue? 
Le risposte ad alcune di queste domande sono l'oggetto di studi in corso.
	(...)
	Io penso che i lettori, i recensori e i direttori debbano essere
informati sull'origine dei finanziamenti delle ricerche degli autori
di articoli su argomenti di pertinenza della pubblicazione. (...)
	Come nota Fava, il problema dell'integrità della scienza dipende,
anche se non esclusivamente, dall'"author disclosure" di conflitti
d'interessi. Vi è anche il problema di fondo che le scienze
accademiche sono state colonizzate da interessi privati, in cui
troppi dei ricercatori hanno parte. Occorre che le università e i
garanti del governo pongano dei limiti a conflitti d'interesse più
ovvii.
	Ci vuole equilibrio nel sistema di incentivi tra il diritto degli
scienziati di cercare legittima ricompensa finanziaria per sè e per
il proprio istituto, e l'interesse del pubblico in una scienza
incorruttibile.


(Traduzione e parziale abbreviazione di Maria Grazia Marzot)


In calce alla versione originale dell'articolo sono presenti alcune note. 
Il testo (in Inglese) potete richiederlo allo Staff busta.gif (111 byte) 
della Fondazione Bassetti (è in formato PDF: per leggerlo è 
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