Paolo Raineri, "Genoma, manipolati o salvati?", Avvenire, 11 aprile 2000 La mappatura del patrimonio genetico apre nuove questioni morali: una sfida anche per il pensiero cattolico In questi giorni c'è stato un turbinio di notizie nel campo della genetica umana. Hanno iniziato Clinton e Blair ricordando che il genoma umano non è brevettabile e che l'iniziativa governativa anglo-americana renderà disponibile la sequenza completa entro poco tempo. Il Nasdaq, il listino di borsa americano che racchiude i titoli tecnologici, ha reagito negativamente all'annuncio, a testimoniare i legami sempre più stretti tra ricerca biologica e investimenti. Ha fatto seguito il 24 marzo l'annuncio che il genoma della Drosophila, il moscerino della frutta che riveste una grande importanza nei laboratori di genetica, era stato completamente sequenziato. Dei giorni scorsi l'annuncio della stessa Celera Genomics di aver terminato una sequenza quasi completa del genoma della nostra specie. Ma ieri il responsabile della fondazione internazionale "Progetto genoma umano", Francis Collins, ha messo in dubbio il completamento della sequenza. Il tutto mentre si rincorrono voci e smentite sulla clonazione umana. Per questo è necessario non solo che vi sia un ampio dibattito su queste problematiche, ma soprattutto che vi sia una corretta informazione su quanto sta succedendo. Ospitiamo l'intervento di Paolo Raineri e Paolo Vezzoni, dell'Istituto di tecnologie biomediche avanzate del Cnr di Milano e collaboratori di Renato Dulbecco, e un'intervista al decano dei genetisti italiani, il gesuita Angelo Serra. L'ultimo secolo ha segnato un tumultuoso avanzamento nelle scienze della vita. La genetica, la branca della biologia che studia i meccanismi ereditari, si è imposta all'attenzione dei ricercatori e poi del grande pubblico non solo come un insieme di conoscenze tese ad interpretare i fenomeni del vivente, ma anche come una serie di tecnologie che incidono fortemente sulla nostra vita quotidiana. Oggi ci si rivolge alla genetica per investigare malattie di grande diffusione come quelle tumorali, per diagnosticare con grande precisione i pazienti affetti da malattie ereditarie o per cercare di affrontare piaghe sociali quale quella dell'Aids. In tutte queste patologie, il colpevole si trova nel genoma delle nostre cellule, cioè nel Dna, quella molecola di oltre tre miliardi di "lettere" che nel suo insieme racchiude tutte le istruzioni perché il nostro organismo si formi a partire da un'unica cellula embrionaria e possa poi funzionare nel migliore dei modi. L'alterazione anche di una sola di queste lettere può segnare fin dalla nascita la sorte dell'individuo e portarlo a morte o ad invalidità permanente, sottolineando, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto aleatorio sia il destino dell'uomo. Oggi, grazie al Progetto Genoma iniziato poco meno di quindici anni fa, conosciamo quasi per intero tutto il testo racchiuso nel genoma della nostra specie. Si è trattato di un grande sforzo della comunità scientifica internazionale che sta per giungere a compimento non una ma due volte, in quanto all'impegno del settore pubblico si è contrapposta un'aggressiva iniziativa privata capitanata da Craig Venter, che da ricercatore degli Istituti nazionali di sanità di Bethesda nel Maryland è passato a dirigere il progetto privato. Questo sta a dimostrare non solo che i benefici sono enormi, ma che essi sono anche potenzialmente sfruttabili in termini commerciali. È intuibile che ogni nuova tecnologia possa portare con sé costi e benefici. Sarebbe ingenuo pensare che le scoperte scientifiche risolvano problemi senza crearne di nuovi. Un'analisi razionale tuttavia consente in genere di massimizzare i vantaggi e ridurre i danni. Cosa ci può dare la conoscenza dei meccanismi che regolano i geni ottenuta nell'ambito del Progetto Genoma? Al momento attuale ci dà essenzialmente i mezzi per diagnosi precise e precoci, e in un futuro, speriamo prossimo, ci darà delle cure, che, bisogna ripeterlo bene per evitare atroci illusioni, non sono proprio dietro l'angolo. La terapia genica, ad esempio, su cui si poggiano numerose speranze, non si è ancora rivelata utile in nessun paziente. D'altro canto si deve pensare al fatto che l'insulina oggi utilizzata per curare milioni di diabetici è insulina umana, cioè il prodotto di uno dei nostri geni, ottenuta con le tecniche dell'ingegneria genetica. Cosa possiamo aspettarci di brutto dalla genetica? Molti temono un'invasione della privacy dell'individuo. Certamente sarà possibile prevedere la predisposizione dell'individuo ad alcune malattie e conseguentemente ognuno conoscerà di più sul proprio destino. Prendiamo ad esempio il morbo di Huntington, una grave malattia ereditaria in cui i primi sintomi si manifestano solo verso la quarta decade di vita. Il gene responsabile di questa malattia è stato individuato ed è così possibile predire alla nascita se un bambino si ammalerà o no. Le conseguenze psicologiche dell'esecuzione del test possono essere drammatiche, perché chi risulterà sano trarrà un sospiro di sollievo, ma chi ne uscirà condannato potrebbe cadere in una grave depressione. La predizione delle malattie però non è una novità in campo medico, anzi è lo scopo principale di una branca della medicina preventiva, basti pensare ai test per identificare i cosiddetti "gruppi a rischio" per una determinata patologia. Con la genetica la precisione aumenterà notevolmente, ma resteranno sempre i criteri fondamentali della pratica clinica, la volontarietà dell'esame e il segreto professionale, che sono già codificati dalle leggi, che, nel caso, potranno essere rinforzate. Nel caso del morbo di Huntington, ad esempio, ognuno è libero di sottoporsi o meno al test diagnostico e se deciderà di eseguirlo rimarrà l'unico destinatario dell'informazione. Lo stesso discorso vale per eventuali discriminazioni nelle assunzioni o nella stipula di assicurazioni, in quanto la legge può proibire la richiesta di esami da parte del datore di lavoro o della compagnia assicuratrice. L'ultima paura riguarda infine la manipolazione genetica dell'uomo. Questa può essere di due tipi, quella tesa a ristabilire la normalità, nel caso ad esempio di una malattia genetica (terapia genica), e quella tesa al miglioramento della specie, reale o immaginario. Per quanto riguarda la terapia genica, quella eseguita sul singolo individuo (terapia genica somatica) è ormai accettata da tutti, essendo in sostanza uguale a qualsiasi intervento terapeutico di tipo tradizionale: in questo caso la modificazione rimane solamente nel paziente e non viene passata alla progenie. Vi sarebbe tuttavia la possibilità teorica di effettuare una terapia genica sulle cellule germinali o sugli embrioni a uno stadio assai precoce, così che non solo ne verrebbe curato il paziente, ma anche tutta la sua discendenza. Questo approccio, detto di terapia genica germinale, è in questo momento al di là delle nostre possibilità pratiche, e secondo molti sarebbe da vietare in ogni caso. Crediamo tuttavia che, se un domani si superassero gli ostacoli tecnici che la rendono oggi impossibile, essa non debba essere rifiutata a priori, ma attentamente vagliata sulla base dei benefici che essa potrebbe dare. In fondo, non si tratterebbe di un'alterazione del genoma umano ma semplicemente di una sua "restitutio ad integrum", che è essenzialmente lo scopo di tutta la scienza medica. Per quanto riguarda invece la possibilità di migliorare (o peggiorare ?) selettivamente la specie umana sulla base delle conoscenze acquisite nell'ambito del Progetto Genoma, la prospettiva è assai più lontana, e per il momento non è ben chiaro neanche come questo potrebbe aver luogo, né con che benefici. Ma a prescindere da ciò, ogni intervento dovrebbe limitarsi a pratiche terapeutiche preventive o all'eliminazione di difetti; peraltro non vi sono criteri assoluti e conseguenti vincoli riguardo il concetto di "miglioramento", che si presterebbe pertanto ad ogni genere di abusi. Possibilità nuove danno origine a problemi morali nuovi e, a volte, inediti. Ci sembra, però, che i tradizionali metodi di valutazione etica siano spesso insufficienti o inadeguati, in ragione soprattutto del loro riferimento a principi o norme troppo astratte e generali. Si ha l'impressione che vi sia spesso uno iato tra la cultura scientifica biologica e il pensiero cattolico, il quale, pur focalizzandosi su alcuni aspetti peraltro importantissimi, lascia che altri vengano tranquillamente ignorati, come se fossero qualcosa che veramente non ci riguarda.