LE MONDE diplomatique - Maggio 2000

Caccia alle banche del Dna di PEDRO LIMA 
(www.ilmanifesto.it/MondeDiplo/LeMonde-archivio/ultimo/0005lm22.01.html)

I genetisti dei laboratori di ricerca pubblici e privati dei 
grandi potentati scientifici rincorrono un obiettivo ambizioso: 
estrarre le informazioni contenute nel Dna umano e sfruttare 
questi geni per mettere a punto dei trattamenti contro le 
malattie. In che modo?
Se si mettono a confronto i geni di persone malate e di persone 
sane, si possono identificare quelli associati alla patologia e 
sperare così di realizzare una molecola che agisca contro i suoi 
effetti.
È il campo della farmacogenomica, presentata dai suoi adepti come 
una vera e propria rivoluzione, perché permetterebbe di 
identificare, grazie alla conoscenza del genoma, un gran numero di 
nuovi bersagli terapeutici contro i soli 400 circa individuati 
fino ad oggi.
Si calcola che nei prossimi dieci anni il mercato dei medicinali 
farmacogenomici varrà molte diecine di miliardi di dollari, visto 
che concerne tutte le grandi malattie: diabete, cancro e obesità.
Ma il successo di queste ricerche dipende dal possesso di banche 
del Dna di persone malate, indispensabili per isolare i geni 
collegati alle patologie. Centinaia di banche si sono dunque 
costituite in tutto il mondo, grazie alle donazioni dei malati e 
delle loro famiglie, che sperano così di aiutare la ricerca 
medica. Recentemente, negli Stati uniti, il Comitato consultivo 
nazionale di bioetica ha reso noto che il numero di campioni di 
Dna stoccati supera i 282 milioni, di cui 2,3 milioni destinati 
alla ricerca (1). Quante banche esistono oggi in Francia? "È molto 
difficile rispondere, dice il genetista Axel Kahn, perché non sono 
censite. Io penso che siano più di cento, alcune molto grandi e 
moltissime piccole." E infatti è il Généthon di Evry, laboratorio 
finanziato dall'Associazione francese contro le miopatie (Afm) 
che, grazie ai soldi raccolti da Telethon (2), possiede la più 
grande banca francese con 42.000 campioni di Dna, che 
rappresentano 300 malattie genetiche. Altri due laboratori, il 
Centro studi sul polimorfismo umano (Ceph) a Parigi, e l'Istituto 
di biologia di Lille ne possiedono circa 15.000 ognuno. Ma, se è 
difficile calcolare il numero totale di queste banche, ancor più 
indefinite sono le condizioni nella quale si sono costituite, 
poiché non esiste nessun testo che le regolamenti con precisione. 
È quanto emerge, ad esempio, da una ricerca effettuata nel 1998 
dal laboratorio di etica medica dell'ospedale Necker di Parigi, 
secondo la quale "mentre la creazione di banche è un fenomeno in 
espansione, per quanto riguarda la loro notifica è lecito dubitare 
dell'efficacia delle attuali procedure, generiche o incomplete 
(3)". Sintetizza un genetista francese: "In questo campo vige la 
legge della giungla".
L'indeterminatezza che aleggia su queste raccolte è tanto più 
preoccupante in quanto esse sono al centro di notevoli interessi 
economici: "Il gene è diventato una materia prima vera e propria, 
spiega Axel Kahn, come il petrolio o l'uranio. All'improvviso, le 
banche del Dna sono diventate, in tutto il mondo, merci vendute a 
caro prezzo. Eppure, non è affatto detto che chi, in particolari 
condizioni, si è offerto volontario per creare una banca del Dna, 
acconsentirebbe a trasformare il proprio dono in merce".
Un esempio concreto di questo tipo di deriva è fornito dal 
progetto Chronos, realizzato nel 1991 dal Ceph. All'epoca, questa 
fondazione di ricerca ha chiesto, sostenuta dalla stampa, campioni 
di Dna di ultranovantenni francesi, per evidenziare i meccanismi 
genetici della longevità, cioè geni la cui presenza garantirebbe 
una protezione naturale contro le malattie. I primi passi del 
progetto sono stati molto positivi, con la costituzione di una 
banca di oltre 800 campioni e la scoperta dei primi geni. Ma il 
seguito è stato molto meno esemplare.
Nell'aprile 1996, il giovane genetista responsabile e ideatore del 
progetto, François Schächter, viene informato che, a sua insaputa, 
la direzione del Ceph ha firmato con la società di biotecnologie 
francese Genset un contratto che coinvolgeva, tra l'altro, la 
banca del Dna Chronos. "Il contratto prevedeva un contributo 
finanziario di 32 milioni di franchi (9,5 miliardi di lire) da 
parte di Genset, in cambio del diritto esclusivo di mettere a 
frutto i risultati della banca, testimonia il ricercatore, e 
questo senza che i donatori ne fossero informati. Risultato: la 
banca è stata distolta dallo scopo iniziale di ricerca di base, e 
centinaia di persone anziane sono state ingannate (4)." L'esempio 
di Chronos è un caso isolato ? "No, afferma Axel Kahn.
Sono molti gli esempi di deriva legati alle banche del Dna, in 
Francia come nel resto del mondo. Queste banche sono soggette a 
due tipi di contratti, tra laboratori universitari e società 
private, o tra due società. I primi sono contratti di accesso, che 
permettono a chi paga di studiare materiale genetico per una 
precisa ricerca.
I secondi, più rari, prevedono la cessione pura e semplice delle 
banche. Sono firmati da ditte biotecnologiche con società 
americane che si dedicano unicamente alla raccolta del Dna, o con 
altre società di biotecnologie che, rinunciando ad una ricerca, 
desiderano separarsi dalla loro banca." Quali sono i prezzi di 
queste raccolte? "Diverse migliaia di franchi per il Dna di una 
persona, ci confida François Thomas, direttore della 
farmacogenomica presso la società Genset, e alcuni milioni di 
franchi al massimo per una banca." I prezzi variano, infatti, da 
alcuni milioni per le più piccole a più di 50 milioni di franchi 
(oltre 15 miliardi di lire) per le più importanti, quelle che 
contengono migliaia di campioni di una malattia molto frequente, 
accompagnati da precise cartelle cliniche. Ma nella stragrande 
maggioranza dei casi, e come per il progetto Chronos, queste 
cessioni avvengono senza che i donatori ne siano informati. "I 
genetisti o i laboratori che creano una raccolta di Dna la 
considerano in seguito come di loro esclusiva proprietà, senza 
alcuna possibilità per le famiglie di intervenire in merito" 
rimprovera Michel Fontes, direttore del laboratorio di Genetica 
medica e sviluppo dell'Istituto nazionale per la salute e la 
ricerca medica (Inserm) di Marsiglia.
"L'aspetto più spiacevole nei contratti tra laboratori pubblici e 
società private, spiega Jean-Louis Mandel, genetista a Strasburgo, 
è che, nella maggior parte dei casi, danno a chi paga l'esclusiva 
sulla banca del Dna. È contro l'interesse dei malati, poiché 
esclude ogni altro indirizzo di ricerca che, a partire da quella 
stessa banca, potrebbe essere condotto con altri partner. Ma i 
laboratori che realizzano le banche hanno disperatamente bisogno 
del denaro che le industrie fanno loro intravvedere. È anche una 
questione di mezzi dati alla ricerca universitaria." I contratti a 
carattere esclusivo sono effettivamente moneta corrente per le 
banche del Dna. Ne è un esempio la Genset di Evry, dove le circa 
trenta collezioni per le quali sono stati effettuati accordi con 
laboratori universitari non possono più essere sfruttate da altre 
aziende. "Per un laboratorio pubblico, questo vuol dire 
semplicemente perdere il controllo delle proprie ricerche, 
sostiene Philippe Froguel, diabetologo dell'Istituto di biologia 
di Lille, e trasformarsi in semplice distributore di Dna. Il 
laboratorio pubblico dovrebbe sempre fare finanziare la sua 
ricerca dai privati, pur continuando a realizzare in prima persona 
le sperimentazioni, e concedere in cambio esclusivamente la 
licenza di utilizzo di un gene scoperto, e solo per un periodo 
determinato." Totale indeterminatezza nei criteri di costituzione 
delle banche e nel loro censimento, interessi privati che prendono 
il sopravvento su quelli dei malati... Come si è arrivati a questa 
situazione ? Nel 1994, Philippe Froguel, allora ricercatore al 
Ceph e responsabile di una banca di diabetici e obesi, denunciava 
pubblicamente la volontà della sua direzione di firmare un 
contratto in esclusiva con Millenium, società di capitale di 
rischio creata negli Stati uniti da, tra gli altri, Daniel Cohen, 
brillante genetista francese... e allora direttore del Ceph, poi 
passato alla Genset.
A seguito di questa polemica, un rapporto richiesto al biologo 
Pierre Louisot dal ministro francese della ricerca, François 
Fillon, raccomandava la creazione di un comitato, incaricato di 
regolamentare la costituzione e la gestione delle banche, e 
fissava chiare regole per la loro cessione o affitto al settore 
privato (5). A distanza di sei anni, questo comitato non è ancora 
nato, per mancanza di mezzi e, soprattutto, di una reale volontà 
politica di decidere sul problema delle banche.
Ma il massimo del cinismo, in materia di banche del Dna, è 
raggiunto nei paesi in via di sviluppo. I gruppi familiari isolati 
geneticamente, con molti bambini e donne portatrici di una 
patologia, interessano infatti in modo particolare i genetisti, 
che in queste situazioni individuano più facilmente i geni 
responsabili. Famiglie numerose, forte consanguineità, l'appetito 
dei laboratori occidentali si è logicamente rivolto verso i paesi 
del terzo mondo. "Nel Maghreb, in Medioriente, in India o altrove 
assistiamo ad una nuova forma di colonialismo scientifico, che 
vede laboratori pubblici o privati garantirsi l'accesso a campioni 
di malati a minor costo, in cambio di un semplice invito ad una 
conferenza o della citazione del medico o del ricercatore locale 
in un articolo scientifico, osserva Ségolène Aymé, direttrice di 
ricerca all'Inserm e presidente della Federazione internazionale 
delle società di genetica umana. L'informazione verso questi 
pazienti è nulla. Non sanno niente sull'uso del loro Dna, e ancor 
meno che alla fine avrà un valore economico. Il consenso informato 
del donatore, che è la regola in Francia da quando c'è la legge 
Huriet, non esiste infatti in nessuno di questi paesi".
In tutt'altra logica, alcuni ricercatori sostengono la necessità 
di una reale collaborazione con i genetisti dei paesi in via di 
sviluppo, il che implica che i lavori scientifici siano condotti 
sul posto.
"È ciò che facciamo, per esempio, con l'università di Moka, 
nell'isola Maurizio, dove quattro persone lavorano con fondi del 
mio laboratorio.
Ma abbiamo subito la concorrenza di una società australiana, che 
ha contattato le autorità di quella università cercando di mettere 
le mani sui campioni e promettendo il 50% sulle royalties... 
virtuali.
Lo sfruttamento di queste popolazioni da parte di dignitari 
scientifici locali, controllati da interessi privati stranieri, è 
molto frequente.
È una moderna forma di schiavismo", si ribella Philippe Froguel 
(6).
Per Ségolène Aymé, un'altra forma di possibile ritorno per le 
popolazioni potrebbe consistere nel creare un'organizzazione non 
governativa (Ong) che intervenga nelle trattative, per garantire 
il versamento di una parte dei profitti derivanti dalle ricerche 
ad associazioni di malati o ad organizzazioni umanitarie locali. 
Geni contro royalties, ecco una proposta minimale per ridare ai 
malati dei paesi poveri oggi derubati, quanto loro spetta.

note:
(1) National Bioethics Advisory Commission (1999), Research 
involving human biological materials: ethical issues and policy 
guidance, citato in Biofutur, Parigi, febbraio 2000.

(2) Leggere Dominique Cardon e Jean-Philippe Heurtin, "Téléthon, 
anatomie d'un public solidaire", Le Monde diplomatique, dicembre 
1999.

(3) Sandrine de Montgolfier, Enjeux éthiques du fonctionnement des 
banques d'Adn dans les centres de soin et de recherche, 1998, 
disponibile su http://www.inserm.fr/ethique/Travaux.nsf.

(4) Leggere Sciences et Avenir, Parigi, dicembre 1999.

(5) Questo rapporto, consegnato nel giugno del 1994, è disponibile 
presso l'Institut national de la santé et de la recherche 
médicale.

(6) Leggere Philippe Froguel e Catherine Smadja, "Il genoma umano 
quotato in Borsa", Le Monde diplomatique/il manifesto, marzo 1997.